di Don Alberto Fusi

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

 

16 gennaio 2011 - II Domenica dopo l’Epifania


1. L’epifania alle nozze di Cana
   

E' il “segno” compiuto da Gesù alle nozze di Cana ed evocato nell’inno dei Vespri dell’Epifania insieme alla “stella” che guida i Magi da Gesù, il Battesimo al Giordano e la moltiplicazione dei pani.

Il Lezionario prevede come Lettura: Numeri 20,2.6-13; e come Epistola: Romani 8,22-27; mentre il Vangelo è sempre preso da Giovanni 2,1-11. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato Luca 24,1-8, quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 2,1-11    

In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d'acqua le anfore»; e le riempirono fino all'orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l'acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all'inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.    


3. Commento liturgico-pastorale       

Il brano evangelico che contiene la prima autorivelazione di Gesù si apre con l’ambientazione del racconto sia a livello locale, Cana di Galilea, sia nel contestualizzarlo in uno sposalizio e nel citare, tra gli invitati “la madre di Gesù”, Gesù e i suoi discepoli.    
I vv. 3-5 riportano le parole con cui Maria chiede a Gesù di intervenire per togliere gli sposi dall’imbarazzante situazione della mancanza di vino, la risposta apparentemente distaccata e misteriosa di Gesù che si rivolge alla madre con l'appellativo di “donna”: «Non è ancora giunta la mia ora» e l’ordine perentorio dato da Maria ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

I vv. 6-8 riferiscono l’intervento di Gesù che ordina ai servitori di riempire d’acqua “fino all'orlo” sei grosse anfore e di portarle all’incaricato di presiedere al buon andamento del banchetto.

I vv. 9-10 sono incentrati sulla constatazione del “miracolo” dell’acqua diventata vino da parte del direttore del banchetto il quale «non sapeva da dove venisse» l’enorme quantità di vino, per giunta “buono” che aveva sotto i suoi occhi.

Il v. 11 conclude il brano con l’osservazione che il prodigio dell’acqua mutata in vino «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» attraverso il quale «manifestò la sua gloria» ossia la sua origine divina e che favorisce nei suoi primi discepoli la decisione di credere “in lui”.

Il presente brano contraddistingue, come sappiamo, la seconda domenica “Dopo l'Epifania” e, una volta studiato a livello esegetico, va poi considerato alla luce del peculiare contesto liturgico in cui viene proclamato e, in primo luogo, dell’insieme delle altre lezioni bibliche e dei testi oranti del Messale.

In particolare va tenuta presente la Lettura che riporta l’evento dell’acqua scaturita dalla roccia percossa da Mosè, con il bastone, per esplicito comando del Signore: «E essa (la roccia) darà la sua acqua; tu farai uscire per loro l’acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al loro bestiame» (Numeri 20,8). Con questo gesto Dio «si dimostrò santo in mezzo a loro» ovvero rivelò la sua divina potenza dispiegata a favore del suo popolo.

La stessa “santità” viene rivelata nel Signore Gesù la cui parola è capace di mutare l’acqua in vino. è a questa Parola venuta dal cielo che noi tutti siamo invitati a “credere” personalmente e come popolo santo del Signore, come diciamo nel salmo 94: «Noi crediamo, Signore, alla tua Parola».

Nei giorni della nostra vita, tra le immancabili gioie e dolori, nelle vicende spesso tragiche e inquietanti di questo mondo, siamo oggi esortati a fondare e a tenere ferma ogni nostra attesa e speranza, nella Parola fatta carne ossia in Gesù di Nazaret. Egli è in grado di donarci l’acqua pura della rivelazione di Dio, il Padre, dal quale egli è venuto.

Nella divina Parola, in Gesù, è perciò condensata per noi ogni dono e ogni grazia celeste come, a ragione, afferma la parte centrale del Prefazio: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro».

Noi, dunque, a differenza di «colui che dirigeva il banchetto» (Giovanni 2,9) sappiamo bene “da dove viene” e chi è Gesù e, al pari dei discepoli, comprendiamo che occorre credere “in lui”. Per questo, perché possiamo camminare nella fede, «lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza», insegnandoci a «pregare in modo conveniente» (Epistola: Romani 8,26).

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9 gennaio 2011 – Battesimo del Signore


1. La prima domenica “dopo l’Epifania” 

  
Conclude il tempo liturgico di Natale facendo memoria del Battesimo di Gesù al Giordano, ad opera del Battista, evento “epifanico” nel quale, cioè, viene manifestato al mondo il mistero racchiuso nell’uomo che scende nell’acqua. Il Lezionario fa proclamare: Lettura: Isaia 55,4-7; Salmo 28; Epistola: Efesini 2,13-22; Vangelo: Matteo 3,13-17. Nella celebrazione vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,9-16 quale Vangelo della risurrezione.  


2. Vangelo secondo Matteo 3,13-17    

In quel tempo. 13Il Signore Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».  


3. Commento liturgico-pastorale    

Il testo si presenta diviso in due parti. Nei vv. 13-15 è riportato il dialogo tra Giovanni il Battista e Gesù che vuole essere battezzato da lui, mentre i vv. 16-17 narrano l’evento del Battesimo con la relativa teofania, ovvero, con la manifestazione di Dio. Va in particolare notata la resistenza iniziale opposta dal Battista alla richiesta di Gesù. Giovanni, infatti, sa molto bene chi è Gesù e come, lui solo, ha la capacità di battezzare «in Spirito e fuoco» (Mt 3,11) per l’effettiva remissione dei peccati.

Il suo, infatti, è un Battesimo “nell’acqua” di tipo, cioè, penitenziale in qualche modo orientato proprio al “Battesimo” di Gesù! La risposta di Gesù (v. 15) fa capire a Giovanni che il suo mettersi in fila con i “peccatori” bisognosi di purificazione e di perdono dice come lui obbedisce in tutto al disegno divino di universale salvezza rivelato nelle Sacre Scritture.

Il racconto del Battesimo vero e proprio è assai stringato (vv. 16-17). In esso si distinguono quattro elementi come il “salire” di Gesù dall’acqua del Giordano quale segno della sua “discesa” nella morte di croce e di “salita” nella sua risurrezione. Non a caso, perciò, l’apostolo Paolo attribuisce anche al nostro Battesimo un valore simbolico di morte e di risurrezione.

Il secondo elemento è rappresentato dalla “apertura dei cieli”. Essa permette di entrare in contatto con il mondo dove Dio abita. Ad essa fa seguito la visione dello Spirito Santo discendere su Gesù come “colomba”. Questa visione, si riallaccia a ciò che leggiamo nel libro della Genesi 1,2 dove si dice che al principio della creazione lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Con ciò si vuol dire che in Gesù e a partire da lui lo Spirito è all’opera in vista di una nuova creazione. Quella precedente, come ben sappiamo, ha fatto naufragio e con essa l’umanità.

L’ultimo elemento è la “voce” dai cieli a indicare Dio stesso che qui si rivolge ai presenti per rivelare che quell’uomo che “sale dall’acqua” è il «Figlio mio, il prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Si tratta di una citazione di Is 42 modificata dall’evangelista: colui  che il Profeta indicava come il “servo” qui è il “Figlio” di Dio (cfr. Salmo 2,7), non “eletto”, ma il “prediletto” ossia il Figlio quello “unico”, quello che Dio “ama” (cfr. Genesi 22,2 in riferimento a Isacco, figlio “unico” di Abramo).

Queste parole, in realtà, ci richiamano l’ora suprema dell’epifania del Figlio di Dio che è l’ora della sua croce nella quale egli riceve dal Padre l’“onore” più grande: quello di diventare il punto di raccolta dell’umanità così indicata dal Profeta: «Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni. Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano a causa del Signore, tuo Dio, del Santo d’Israele che ti onora» (Lettura: Isaia 55,4-5).

Anche l'Epistola mette in luce la destinazione universale dei disegni salvifici di Dio che si rivelano nel Figlio “amato” e che riguardano tutti gli uomini: «Ora invece, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo» (Efesini, 2,13). Egli, come figlio obbediente, pronto a compiere la volontà del Padre, fino alla consegna di sé sulla croce, è come il capostipite di una moltitudine non più di “lontani”, ma di “vicini”, non più di “nemici”, ma di “riconciliati”, non più di «stranieri né ospiti», ma di «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19).

Tutto ciò è “annunziato” nell’evento del Battesimo al Giordano che, perciò, segna il momento tra i più significativi dell’epifania del Signore il Figlio, l’unico, l’amato, nel quale il Padre ha deciso di concedere a tutti il “perdono e la pace” e specialmente di rendersi a tutti accessibile e di farsi da tutti trovare. è l’esortazione del Profeta: «Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L’empio abbandoni la sua via e l’uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona» (Isaia 55,6-7).

La preghiera liturgica, sola, è in grado di offrire una mirabile sintesi orante del “mistero” che oggi evochiamo, e che consiste nella manifestazione, da parte di Dio, del “Salvatore degli uomini” e della manifestazione di Dio stesso quale “padre della luce”: «Hai schiuso i cieli, hai consacrato le acque, hai vinto le potenze del male e hai indicato il tuo Figlio unigenito, su cui in forma di colomba era apparso lo Spirito Santo. Oggi l’acqua, da te benedetta, cancella l’antica condanna, offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna. Erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio).

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6 gennaio 2011 – Epifania del Signore


1. La solennità odierna
     

E' sempre stata celebrata con grande solennità nella nostra tradizione liturgica come culmine delle feste natalizie. Essa celebra il Natale come “manifestazione” fatta da Dio del suo Figlio Gesù: a tutti i popoli della terra rappresentati dai Magi, nel Battesimo sul fiume Giordano, nell’acqua mutata in vino alle nozze di Cana, nei cinquemila sfamati con cinque pani! Segno della speciale solennità è il fatto che essa possiede, come il 25 dicembre, una propria liturgia vigiliare vespertina completa di lezioni bibliche e di orazioni e due celebrazioni eucaristiche: quella della Vigilia e quella nel giorno.    


2. La liturgia vigiliare vespertina    

Prevede la proclamazione di quattro letture vetero-testamentarie seguite ciascuna da una preghiera conclusiva e di due letture per la Messa vigiliare.  

I testi del Lezionario
- La I Lettura, presa dal Libro dei Numeri 24,15-25a, riporta la “profezia” di Balaam che vede spuntare una “stella” da Giacobbe. La II Lettura, presa da Isaia 49,8-13, presenta l’annunzio dell’accorrere dei popoli “da settentrione e da occidente” verso la Città santa. La III Lettura: 2Re 2,1-12b, parla del “rapimento” del profeta Elia, in cielo, su un “carro di fuoco”. La IV Lettura presa da 2Re 6,1-7 riporta il fatto misterioso del recupero del “ferro della scure” dalle acque del Giordano mediante “un legno” gettato nell’acqua.
- L’Epistola: Tito 3,3-7 è incentrata sulla proclamazione della “bontà” e della “misericordia” di Dio verso tutti gli uomini, in Cristo Gesù rigenerati con un’acqua che “rinnova nello Spirito Santo”.
- Il Vangelo: Giovanni 1,29a.30-34, riporta il racconto del Battesimo di Gesù con al centro la dichiarazione del Battista su colui che “battezza nello Spirito Santo”.  

I testi del Messale    

Riportiamo qui il Prefazio e l’orazione Dopo la Comunione:

Prefazio
   
«E' veramente cosa buona e giusta, renderti grazie, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Oggi in Cristo, luce del mondo, tu hai rivelato ai popoli l’ineffabile mistero della salvezza e in lui, apparso nella nostra carne mortale, ci hai rinnovato nella manifestazione della sua gloria divina. Per questo tuo dono ci uniamo agli angeli e ai santi per cantare gioiosi l’inno della tua lode».  

Orazione Dopo la Comunione
«Dio misericordioso, possa lo sguardo del nostro cuore, purificato da questa celebrazione, penetrare più a fondo nei misteri che ci sono stati rivelati dalla luce di Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli».      


3. La Messa del giorno  

I testi del Lezionario
- Lettura: Isaia 60,1-6. Contempla l’accorrere di tutte le genti verso Gerusalemme: «tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore».
- Epistola: Tito 2,11-3,2. Per l’Apostolo, in Gesù, è apparsa nel mondo la “grazia di Dio” venuta «a formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone».
Vangelo: Matteo 2,1-12
In quel tempo. 1Nato il Signore Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele».
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse  e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
       

I vv. 1-2 riferiscono del viaggio dei Magi a Gerusalemme alla ricerca del “re dei Giudei” del quale hanno visto spuntare “la sua stella”. Segue la reazione “turbata” del re Erode e la proclamazione della profezia di Michea che indica in Betlemme la città di Giuda da cui uscirà «un capo che sarà pastore del mio popolo, Israele».    
I vv. 7-11 riportano il “mandato” ricevuto dai Magi da Erode e il loro arrivo, guidati dalla stella, alla casa dove «videro il bambino con Maria sua madre».    
Il v. 12 conclude il racconto con il ritorno in patria dei Magi senza passare di nuovo da Erode.  

I testi del Messale

Prefazio:  
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Cominciando dalla sua nascita prodigiosa il tuo Verbo rivela al mondo la tua potenza divina con segni molteplici: la stella guida dei Magi, l’acqua mutata nel vino e al Battesimo del Giordano la proclamazione del Figlio di Dio. Da queste chiare manifestazioni salvifiche fulgidamente è apparsa ai nostri occhi la tua volontà di donarti nel tuo Figlio amatissimo. Egli è la via che conduce alla gioia perenne, la verità che ci immerge nella luce divina, la fonte inesauribile della vita vera. Per la crescente rivelazione della tua gloria, ci uniamo felici agli angeli e ai santi nell’inno di lode».  

Alla Comunione  
«Oggi la Chiesa si unisce al celeste suo sposo
che laverà i suoi peccati
nell’acqua del Giordano.
Coi loro doni accorrono i Magi
alle nozze del Figlio del Re,
e il convito si allieta di un vino mirabile.
Nei nostri cuori risuona la voce del Padre
che rivela a Giovanni il Salvatore:
«Questi è il Figlio che amo:
ascoltate la sua parola»
.

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1 gennaio 2011 e 2 gennaio 2011


1 Gennaio 2011

Ottava del Natale – Circoncisione del Signore

1. L'Ottava del Natale    

Conclude i giorni particolarmente dedicati al mistero della natività del Figlio di Dio, mettendo in rilievo gli avvenimenti che segnano da subito la sua vita terrena: “la circoncisione e l'imposizione del nome”. La prima inserisce Gesù a pieno titolo nel popolo dell’Alleanza mentre l’imposizione del nome che accompagnava la circoncisione viene fatta in obbedienza a quanto detto dall’angelo a Maria: Luca 1,31. Il “nome”, per gli antichi, dice la persona. Nel nome di Gesù che letteralmente significa: “Dio salva”, è perciò indicato il senso della sua venuta e della sua missione nel mondo.

2. I testi del Lezionario

- La Lettura: Numeri 6,22-27 riporta la benedizione data dai sacerdoti al popolo di Israele  beneaugurante per l’inizio del nuovo anno. Noi crediamo che Dio ci ha tutti “benedetti” nel suo Figlio Gesù e questa “benedizione” è per sempre.
- L’Epistola: Filippesi 2,5-11 dichiara che a motivo della sua obbedienza «fino alla morte e a una morte di croce», Dio ha dato al suo Figlio Gesù «il nome che è al di sopra di ogni altro nome».
- Il Vangelo preso da Luca 2,18-21 riporta gli avvenimenti che segnano il compimento degli “otto giorni”, vale a dire: la circoncisione e l’imposizione del “nome” rivelato a suo tempo dall’angelo.  

3. I testi del Messale

Riportiamo qui l’orazione All'inizio dell’Assemblea liturgica e il Prefazio:

All'inizio dell’Assemblea Liturgica
«O Dio, che ci largisci la gioia di questa celebrazione nell’ottavo giorno della nascita del Salvatore, donaci di essere sempre difesi dalla sua forza divina; non abbandonarci alla nostra debolezza, ora che siamo redenti dalla venuta tra noi del tuo Figlio unigenito, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli».  

Prefazio
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro che, per riscattarci dal peso della legge, secondo la legge fu circonciso. Affermò così il valore dell’antico precetto, ma al tempo stesso rinnovò la natura dell’uomo liberandola da ogni impaccio e da ogni residuo del peccato. Senza disprezzo per il mondo antico diede principio al nuovo; nell’ossequio alla legge divenne legislatore e, portando nella povertà della nostra natura la sua divina ricchezza, elargì nuova sostanza al mistero dei vecchi riti. Con cuore rinnovato e gioioso, uniti agli angeli e ai santi, sciogliamo a te, o Padre, l’inno della tua gloria».



2 gennaio 2011
Domenica dopo l'Ottava del Natale

1. La domenica dopo l'Ottava del Natale      

Offre un’ulteriore possibilità di immersione nella grandezza del “mistero dell’Incarnazione del Verbo di Dio e della sua nascita, come uomo, dalla Vergine. Il Lezionario, per questo, fa leggere ogni anno: Lettura: Siracide 24,1-16b; Salmo 147; Epistola: Romani 8,3b-9a; Vangelo: Luca 4,14-22. 
 
2. Vangelo secondo Luca 4,14-22    

In quel tempo. 14Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. 15Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. 16Venne a Nazaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. 17Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 1
8Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
19a proclamare l’anno di grazia del Signore.    
20Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. 21Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 22Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?».  
  

Commento liturgico-pastorale      

Il brano fa parte del più ampio racconto della visita fatta a Nazaret, il paese dove era cresciuto, e contrassegnata dal rifiuto dei suoi paesani (vv.14-30). I versetti, oggi proclamati, dopo quelli utili a raccordare l’episodio qui narrato, con il precedente relativo alle “tentazioni” nel deserto (4,1-13), riportano, con alcune modifiche, una citazione di Is 61,1; 58,5; 61,2, riguardante il Messia (vv. 17-19); la breve “omelia” di Gesù (v. 21) e la reazione di ammirato stupore dei suoi paesani.

Il brano viene proclamato nel contesto liturgico delle celebrazioni natalizie e orienta, perciò, il nostro percorso di fede che ci fa riconoscere in Gesù il Figlio unigenito di Dio, nato a Betlemme dalla vergine Maria. A questo ci invita il canto  All’ingresso: «Venite e vedete il grande mistero di Dio: Dio nasce da una vergine per redimere il mondo. è il Salvatore promesso dai profeti, l’Agnello predetto da Isaia».

Nel Natale di Gesù, perciò, si adempie e si avvera anche l’antica profezia riguardante il “Servo di Dio” sul quale si è posato lo Spirito Santo.  Egli è perciò il Messia, ovvero, l’unto, il consacrato, il “Cristo” per eccellenza, e, dunque, “inviato” come “araldo” ovvero annunciatore del Vangelo, letteralmente della “bella notizia”.

Con la venuta nel mondo del suo Figlio, perciò, viene nel nostro mondo non più un “inviato” scelto e mandato da Dio, ma in Gesù è Dio stesso a entrare nella storia degli uomini segnata dal potere negativo e oppressivo del male, per portare l’annunzio perenne ed efficace della “buona notizia”. Essa riguarda certamente  i “poveri” e con essi gli emarginati dalla società che hanno popolato, popolano e popoleranno la terra, ma riguarda, di fatto, ogni uomo reso “povero”, oppresso e prigioniero del male perché esule da Dio, privo perciò di fede e di speranza.

Ed effettivamente Gesù ha “evangelizzato” i “poveri” guarendo i malati, liberando quelli tenuti in scacco dal potere malvagio del male, accogliendo e liberando i peccatori dal giogo mortificante del peccato, annunciando la volontà salvifica del Padre per la quale nell’ora suprema della croce ha dato tutto sé stesso in riscatto di tutti.

E' quanto afferma con forza l’Apostolo guardando al volere salvifico di Dio da lui realizzato «mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato» (Epistola: Romani 8,3). In tal modo Gesù ha dato a ogni uomo la grazia di vivere “secondo il suo Spirito”, sfuggendo così all’ineluttabile triste prospettiva della “morte”, ovvero la rovina eterna alla quale lo trascina inesorabilmente la fragilità della sua “carne”.

Gesù, pertanto, è la Sapienza di Dio personificata, quella «uscita dalla bocca dell’Altissimo» e alla quale Dio ha ordinato: «fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele» (Lettura: Siracide 24,3-8) svelando e portando a compimento i divini disegni di salvezza.

Perciò, a ragione, la preghiera liturgica proclama che: «ogni immagine delle profezie antiche oggi si avvera nell’Agnello di Dio, nel pontefice eterno, nel Cristo che è nato per noi» (Prefazio).

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25 dicembre 2010 e 26 dicembre 2010


25 dicembre
NATALE DEL SIGNORE


1. Liturgia vigiliare vespertina      

Prevista nella sera del 24 dicembre, la liturgia vigiliare vespertina avvia, di fatto, la celebrazione della solennità del Natale. Essa, in sintonia con il più autentico sentire della nostra tradizione liturgica ambrosiana, ci esorta anzitutto a metterci in prolungato ascolto delle Sacre Scritture per poter cogliere la grandezza del mistero che celebriamo nel Natale e aprire, così, il cuore alla gioia della fede e della speranza.    
La celebrazione prevede sostanzialmente due grandi momenti: la proclamazione della parola di Dio, in pratica quattro Letture vetero-testamentarie più l’Epistola e il Vangelo, e la liturgia eucaristica.    

I testi del Lezionario
─ Vengono proclamate le seguenti Letture: Genesi 15,1-7 contenente la promessa fatta da Dio ad Abramo di dargli una discendenza numerosa come le stelle del cielo; 1Samuele 1,7c-17 riporta la preghiera di Anna che chiede a Dio il dono di un figlio; Isaia 7,10-16 sul “segno” della “vergine” che «concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele»; Giudici 13,2-9a riguardante la predizione della nascita di Sansone da una madre “sterile”. ─ Epistola: Ebrei 10,37-39. Annuncia l’imminenza della venuta del Signore.
─ Vangelo: Matteo, 1,18-25. Riporta il racconto della natività del Signore nella quale l’evangelista Matteo vede “compiuta” la profezia proclamata nella III Lettura: «Ecco, la vergine concepirà a darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa “Dio con noi”».

● I testi del Messale

Proponiamo qui il brano centrale del Prefazio e il Responsorio che precede la proclamazione delle Letture:
─ Prefazio    
E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo Signore nostro. In quest’ora anticipiamo, pregando, l’attesa della sua venuta per essere pronti a vegliare nella prossima notte e ad accogliere con animo aperto il suo natale. Con la sua nascita, la tua invisibile divinità si è resa visibile nella natura umana, e colui che tu generi fuori del tempo, nel segreto ineffabile della tua vita, nasce nel tempo e viene nel mondo. Gioiosi per questo tuo dono, uniti ai cori degli angeli, cantiamo con voce incessante l’inno della tua gloria.  
─ Responsorio
Riluce il tuo presepe, Signore;
la notte spira una luce nuova.
Nella tua nascita verginale,
o redentore degli uomini, vieni!
Non per concorso d’uomo,
ma per l’azione arcana dello Spirito,
nella tua nascita verginale,
o Redentore degli uomini, vieni! 



2. Messa nella notte

 
● I testi del Lezionario
─ Come Lettura viene proclamato: Isaia 2,1-5 che trasmette la profezia che noi riteniamo realizzata nel Figlio di Dio venuto nel mondo, in Gesù: «Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri».
─ L’Epistola è presa da Galati 4,4-6: nella venuta del suo Figlio, nella pienezza del tempo, Dio annuncia la sua volontà di fare di tutti gli uomini i suoi “figli adottivi”.
─ Il Vangelo riporta i vv. 9-14 del primo capitolo, ovvero del Prologo di Giovanni, con l’affermazione centrale: «E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità».

● I testi del Messale

Viene qui riportato il Prefazio e il canto Alla Comunione
─ Prefazio    
E' veramente cosa buona e giusta renderti grazie, o Padre onnipotente ed eterno. Oggi celebriamo il natale del Salvatore e il natale della nostra salvezza. Oggi in Cristo, tuo Figlio, anche il mondo rinasce, al peccatore è rimesso il peccato, al mortale è promessa la vita. E noi, ammirati e festanti, uniti alle schiere degli angeli, tutti insieme inneggiamo alla tua gloria.  
─ Alla Comunione
Ecco il Salvatore che i profeti predissero,
ecco l’Agnello e il Servo del Signore
di cui parlò Isaia;
Gabriele lo annunzia alla Vergine,
e noi lo adoriamo,
offrendo a lui tutta la nostra vita.  



3. Messa all’aurora

● I testi del Lezionario
 

─ Presentano come Lettura: Isaia 52,7-9 con l’annuncio del “ritorno del Signore in Sion”, motivo di gioia grande «perché il Signore ha consolato il suo popolo».
─ L’Epistola: 1Corinzi 9,19b-22a evidenzia il farsi “servo di tutti” dell’apostolo Paolo sull’esempio del Figlio di Dio fatto uomo.
─ Il Vangelo: Luca 2,15-20 narra il “pellegrinaggio” dei pastori a Betlemme dove “vedono” il bambino, così come era stato detto loro dagli Angeli e “annunciano” a tutti quelli che incontrano ciò che hanno visto!

● I testi del Messale

─ Prefazio    
è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno. Contempliamo adorando l’amore immenso che ci ha redento con vicenda mirabile e arcana: da un’umanità contaminata e vecchia sorge un popolo nuovo; la condizione mortale assunta dal Figlio di Dio vince la nostra morte; gli uomini deboli e vulnerati sono guariti da un uomo; da una progenie contagiata dal male nasce un Figlio innocente; la nostra fragilità assunta dal tuo Verbo, o Padre, riceve una dignità che non conoscerà decadenza e si fa anche per noi prodigioso principio di vita immortale. Per questo tuo dono, uniti agli angeli e ai santi, tutti insieme inneggiamo alla tua gloria.
─ Sui doni    
Signore Gesù, che hai voluto cominciare con la tua nascita l’opera della nostra salvezza, guarda con bontà ai doni della Chiesa; tu che ci hai creato a tua immagine fa’ che l’obbedienza fedele alla tua parola ci renda sempre più simili a te, che vivi e regni nei secoli dei secoli.  

4. Messa del giorno    
E', con la liturgia vigiliare vespertina del 24 dicembre, la più solenne celebrazione natalizia secondo la tradizione liturgica ambrosiana. Lo si comprende sia dalle lezioni bibliche sia dalle preghiere liturgiche del Messale.

● I testi del Lezionario
 

─ Viene proclamato come Lettura: Isaia 8,23b-9,6a con il solenne annuncio: «Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace». è il “bambino” perciò quella “grande luce” che brilla sul «popolo che camminava nelle tenebre... su coloro che abitavano in terra tenebrosa», ossia su tutta l'umanità oppressa dal potere tenebroso del male.
─ L’Epistola: Ebrei 1,1-8a dichiara: «Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio»,  il Bambino Gesù,  nato a Betlemme da Maria.

─ Il Vangelo: Luca 2,1-14    

In quei giorni. 1Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3 Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.  8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un  angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11 oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
     
Il brano intende anzitutto inquadrare la natività del Signore dal punto di vita geografico e storico così da fugare ogni tentativo di confinare quella natività nel “mito” o nella leggenda. Si parla infatti del “censimento”, effettivamente voluto dall’imperatore romano, che induce Giuseppe ad andare con Maria a Betlemme dove ha origine la “stirpe di Davide” dalla quale Dio, con giuramento, si era impegnato a far sorgere un re, il cui regno sarebbe stato universale ed eterno.

Segue ai vv. 7-8 il racconto assai succinto della nascita da Maria del “suo figlio primogenito” che viene avvolto “in fasce” e deposto in una “mangiatoia”. I vv. 9-12 riportano l’apparizione dell’angelo ai pastori con l’annunzio evangelico: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore».

Il brano si conclude con il canto di lode degli angeli, che anche noi abbiamo cantato all’inizio della celebrazione: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».   

● I testi del Messale

Riproduciamo il Prefazio che benedice e rende a Dio grazie per ciò che ha compiuto nella Vergine-Madre del suo Figlio unigenito e il canto Alla Comunione.
─ Prefazio    
E' veramente cosa buona e giusta, renderti grazie, o Padre di misericordia infinita. Il tuo Figlio unigenito fu concepito da Maria che divenne madre e rimase vergine intatta. Ella credette alla parola dell’angelo e concepì il Verbo in cui aveva creduto. La sua integrità rimase tanto illibata che madre della verginità la possiamo proclamare. Beato il grembo santo della vergine Maria, che tra tutte le donne sola meritò di portare il Signore del mondo e di darlo alla luce per la nostra salvezza eterna. Gioisca oggi tutto l’universo, gioiscano le schiere innumerevoli degli angeli mentre a loro ci uniamo nell’inno della tua gloria.  
─ Alla Comunione
Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te.
Tu sei l’esultanza degli angeli,
sei la Vergine madre, la gioia dei profeti!
Tu, per l’annuncio dell’angelo,
generasti la gioia del mondo, il tuo Creatore e Signore.
Gioisci perché fosti degna di essere madre di Cristo.




26 dicembre
Santo Stefano primo martire

1. Il secondo giorno dell’ottava di Natale          
E' occupato ogni anno dalla memoria di Stefano il “primo martire”. Memoria che, contrariamente alla norma della nostra tradizione liturgica ambrosiana, viene celebrata anche se capita, com’è oggi il caso, nel giorno di domenica. Questo perché i testi biblici come quelli del Messale sono intrisi di temi “natalizi” relativi cioè al mistero della salvezza compiuto dal Signore Gesù nella sua natività “nella carne”, preannunzio della sua Pasqua.  Il Lezionario riporta, ogni anno, le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 6,8-7,2a; 7,51-8,4; Salmo 30; Epistola: 2Timoteo 3,16-4,8; Vangelo: Matteo 17,24-27 o, in alternativa, Giovanni 15,18-22.  

2. Vangelo secondo Matteo 17, 24-27    

In quel tempo. 24Quando furono giunti a Cafarnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si  avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». 25Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». 26Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. 27Ma, per evitare di scandalizzarli, va’  al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te».  


3. Commento liturgico pastorale      
La curiosa scena qui descritta è ambientata a Cafarnao dove Gesù arriva dopo aver molto peregrinato per la Giudea. Cafarnao, come si sa, è la patria di Pietro il quale viene avvicinato da «quelli che riscuotevano la tassa per il tempio», interessati a sapere se anche Gesù, come tutti gli ebrei, avrebbe pagato il dovuto per le spese di gestione del Tempio di Gerusalemme (v. 24).

La scena al v. 25 si sposta dalla strada alla “casa”, quella di Pietro, dove Gesù trova ospitalità e, in essa,  pone la domanda registrata nei vv. 25-26 a cui fa seguito (v. 27) l’ordine dato a Pietro in vista del pagamento della tassa per non creare “scandalo” tra coloro che lo seguono.

Nella sua domanda, con ovvia risposta, Gesù intende affermare, anche se indirettamente, la sua figliolanza divina che, di per sé, lo esonera dal pagare la tassa per il Tempio di Gerusalemme che è la casa di Dio, suo Padre!

Tuttavia, rivelando il suo animo paziente e comprensivo, Gesù non intende avvalersi del suo diritto di “figlio” per non “scandalizzare” ossia per non creare intoppo nel cammino di fede dei suoi discepoli i quali non sono ancora giunti a riconoscerlo qual egli è in verità: Figlio di Dio!

Di qui il sorprendente rinvenimento, nella bocca di un pesce, della moneta d’argento, con la quale Pietro avrebbe pagato la tassa per sé e per Gesù. Questo particolare, di difficile interpretazione, è stato più volte commentato da sant’Ambrogio e applicato proprio al protomartire Stefano, nella cui bocca si trova la “moneta d’argento” che è l’integrale potente annuncio del Vangelo di salvezza.

Il Vangelo ha, infatti, portato alla fede Saulo, il “persecutore” presente all’uccisione di Stefano. Egli, com’è noto, porterà “in tutto il mondo” l’annuncio e la testimonianza evangelica resa da Stefano “al popolo dei Giudei”. Si tratta certo  di un’interpretazione assai libera di sant’Ambrogio ma essa fa capire come per lui il martire santo Stefano riproduceva e ripresentava, nelle sue parole e nella sua morte, Gesù stesso che il libro dell’Apocalisse chiama il “testimone (=martire) fedele”.

Anche Stefano è irresistibile a motivo della sapienza e dello Spirito “con cui egli parlava” (Lettura: Atti degli Apostoli 6,10). Anche lui, al pari di Gesù, è stato accusato ingiustamente e da “falsi testimoni” (v. 13) e, nell’ora della morte fece sue le parole di abbandono di Cristo crocifisso: «Signore Gesù, accogli il mio spirito» (7,59) e quelle di perdono: «Signore, non imputare loro questo peccato»  (7,60).

Tutto ciò è stato ben compreso dalla preghiera della Chiesa che nell’odierno suo “rendimento di grazie” a Dio Padre così afferma: «Egli per primo versò il suo sangue a testimonianza del Signore e meritò di vedere nei cieli aperti il Salvatore risorto alla tua destra. Morendo, ripeteva le parole del  Maestro sulla croce e le confermava col proprio sangue. Dal Calvario Gesù aveva gettato il seme del perdono, e Stefano, suo vero discepolo, per chi lo lapidava innalzava la sua preghiera» (Prefazio).

Stefano, dunque, e dopo di lui tutti coloro che hanno versato, versano e verseranno il loro sangue “a testimonianza del Signore”, riproducono nella comunità ecclesiale il Signore Gesù che è venuto nel mondo rivestito della debolezza della “carne” per dare “testimonianza”, nella sua stessa persona, alla volontà divina di salvezza che abbraccia l’intera umanità.

Testimonianza che al pari di Stefano la Chiesa deve continuare a offrire anche agli uomini del nostro tempo, i quali sembrano non sopportare più «la sana dottrina» e si circondavano di «maestri secondo i propri capricci, rifiutando di dare ascolto alla verità per perdersi dietro le favole» (Epistola: 2Timoteo 3,16-4,8).

Il canto che accompagna il rito dello “spezzare il pane” mentre afferma: «Ieri il Signore è nato sulla terra, perché Stefano nascesse nel cielo. Ieri il nostro re si è degnato di visitare il mondo, perché Stefano entrasse nella gloria», spalanca davanti agli uomini la stupenda prospettiva di salvezza  rappresentata nella natività del Figlio di Dio e portata a compimento nell’ora della croce: “far nascere al cielo” e immettere l’uomo nella “gloria” di Dio, ovvero nella partecipazione alla sua stessa vita divina.

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19 dicembre 2010 - VI Domenica di Avvento


1. Domenica dell’incarnazione o della divina maternità di Maria
   

La tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana dedica l’ultima domenica dell’Avvento alla celebrazione  dell’incarnazione del Signore nel seno della Vergine Maria. Si vuole, in tal modo, condurre i fedeli a guardare al Bambino, nato a Betlemme, come il Figlio dell’Altissimo generato, come vero uomo, nel seno della Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo.

La presente domenica, perciò, vuole aprire i nostri cuori alla grandezza e alla stupenda bellezza dei disegni di Dio che tutti ci riguardano e che comportano la venuta salvifica nel mondo del suo Figlio Unigenito che noi, con fede integra, confessiamo “vero Dio e vero uomo”. Di conseguenza con stupore di fede riconosciamo  la Vergine Maria come “vera madre” del Figlio di  Dio fatto uomo!

Il Lezionario propone ogni anno i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 62,10-63,3b; Salmo 71; Epistola: Filippesi 4,4-9; Vangelo: Luca 1,26-38a. Nella Messa vigiliare del sabato si legge Giovanni 20,11-18 quale Vangelo della risurrezione.


2. Vangelo secondo Luca, 1,26-38a.

In quel tempo. 26L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, 27ad una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». 29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il racconto di Luca trova la sua ispirazione nelle diverse scene bibliche di “annunciazione” di concepimenti e di nascite del tutto singolari come, ad esempio, quella di Sansone, narrata nel libro dei Giudici (13,1-7). Nei versetti iniziali (26-27) l’evangelista, mentre ambienta il suo racconto a livello temporale e spaziale, è particolarmente interessato a mettere in evidenza la condizione della destinataria dell’annuncio: Maria, “una vergine”. Tale sottolineatura prepara l'annunzio della sua singolare maternità dovuta esclusivamente all’intervento di Dio.

I vv. 28-33 riportano il contenuto dell’annuncio diretto a Maria, salutata dall’angelo come «piena di grazia», a motivo del favore divino del tutto sorprendente e gratuito che guarda proprio a lei, una “donna”, una “vergine” non appartenente certo alle classi sociali più elevate.

Il v. 29 registra il “turbamento”, anzi, il forte spavento avvertito inizialmente da Maria e che viene fugato dalle successive parole dell’angelo, finalmente rivelatrici dei disegni divini su di lei (vv. 30-33.35-37). Esse annunziano la sua imminente maternità, quella di “un figlio” che porterà il nome di Gesù (=Dio salva), indicativo della sua missione nel mondo quale “figlio dell'Altissimo”, nel quale si realizza l’antica promessa fatta da Dio al re Davide: «io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno... io renderò stabile il trono del suo regno per sempre» (2Samuele 7,12-13).

Con queste parole viene annunziata la funzione regale di Gesù. Egli “regnerà per sempre”, non solo “sulla casa di Giacobbe” (v. 33) ma sull’intera famiglia umana, una volta liberata dai suoi nemici e mortali oppressori nell’ora della croce. È quanto viene profeticamente annunziato nella Lettura dove si parla di un personaggio misterioso: «che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza» (Isaia 63,1) e nel quale riconosciamo il Signore Gesù che, con la sua incarnazione, avvia quell’opera di salvezza e di liberazione dell’uomo che porterà a compimento nella sua Pasqua di morte e di risurrezione.

Il v. 34 registra un secondo intervento di Maria riguardante la sua condizione di “vergine”, al quale fa seguito la nuova risposta dell’angelo (vv. 35-37) che rivela come l’annunciata maternità non sarà ascrivibile a un intervento umano, ma soltanto all’intervento divino mediante l’azione dello Spirito Santo. Le successive parole angeliche (v. 35b) segnano il culmine della rivelazione riguardante il figlio concepito dalla Vergine: non solo “figlio dell’Altissimo”, non solo “figlio di Davide” e, dunque il re, il Messia, ma: «sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» in senso proprio ed esclusivo.

Gesù, dunque, è il Figlio di Dio ed è il figlio di Maria, la “vergine”. Ciò è possibile solo a Dio, per il quale «nulla è impossibile» come, ad esempio,  rendere madre Elisabetta una parente di Maria che, nella sua vecchiaia, ha concepito anch’essa un figlio (v. 36).    
Il racconto si conclude al v. 38 con il “sì” di Maria che la pone nel numero dei “servi del Signore”, vale a dire di coloro che si consegnano con decisione fedele e irrevocabile alla volontà di Dio. Questo “sì” di Maria, che “avvicina il Signore” a ogni uomo, è il motivo della gioia evangelica a cui ci invita l’Apostolo: «Fratelli, siate lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Epistola: Filippesi 4,4) e che viene così motivato nella preghiera liturgica: «O scambio di doni mirabile! Il creatore del genere umano, nascendo dalla Vergine intatta per opera dello Spirito Santo, riceve una carne mortale e ci elargisce una vita divina» (Alla Comunione).

La stessa preghiera liturgica ci consegna, nel cuore della celebrazione, una sintesi davvero mirabile del “mistero” della Vergine-Madre annunciato nelle Scritture. Ella: «accogliendo con fede illibata l’annunzio dell’angelo, concepì il tuo Verbo rivestendolo di carne mortale; nell’esiguità del suo grembo racchiuse il Signore dei cieli e il Salvatore del mondo e per noi lo diede alla luce, serbando intatta l’integrità verginale» (Prefazio I).

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12 dicembre 2010 - V Domenica di Avvento


1. La domenica del Precursore
    

Viene oggi posta in rilievo, nel cammino di Avvento, la figura e  la specifica “missione” del precursore del Signore, di Giovanni il Battista. Per questo il Lezionario propone come Lettura un testo composto rispettivamente da Michea 5,1 e Malachia 3,1-5a.6-7b. L'Epistola è presa da Galati 3,23-28 e il Vangelo da Giovanni 1,6-8.15-18. Alla Messa vigiliare vespertina del sabato viene proclamato Giovanni 21,1-14 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 1,6-8.15-18    

In quel tempo. 6Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perchè tutti credessero per mezzo di lui. 8Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. 15Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. 17Perchè la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.     


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano è preso dal “prologo” del Vangelo secondo Giovanni (1,1-18). Di esso vengono oggi letti i vv. 6-8 appartenenti alla terza strofa che introduce la figura di Giovanni il Battista come “testimone” qualificato del Figlio di Dio che viene nel mondo e i vv. 15-18 appartenenti all’ultima strofa. In particolare il v. 15 riporta il contenuto essenziale della “testimonianza” resa da Giovanni, mentre i vv. 16-17 offrono la testimonianza nel Signore Gesù Cristo da parte della comunità cristiana delle origini. Il v. 18, infine, proclama solennemente che Gesù è il Figlio Unigenito, unico “rivelatore” del Padre.    

Proclamato nel contesto della preparazione al Natale del Signore il brano pone in luce la figura di Giovanni il Battista che appare, con tutto il rilievo dovuto, nel momento in cui la storia della salvezza giunge a un suo culmine, qual è appunto la venuta nel mondo del Figlio di Dio. Giovanni, perciò, viene indicato come uomo “mandato” da Dio, così come Gesù stesso è “mandato” dal Padre e come lo sono stati i profeti scelti e “mandati” da Dio al suo popolo.    

Tra di essi, Malachia, manifestando la volontà di Dio a venire di persona tra il suo popolo, dice che, per questo, si farà precedere da un suo «messaggero a prepare la via davanti a me»; un messaggero «che io manderò» (Lettura: Malachia, 3,1).    

In ragione di questo “mandato” (Gv 1,6) Giovanni è “testimone” autorevole di Gesù, il Figlio di Dio che viene nel mondo come “luce” ossia portatore della rivelazione di Dio che è luce di vita e di salvezza. Lui solo, infatti, il Figlio unigenito che “è nel seno del Padre” (v. 18) ha “visto” e conosce Dio!    

Il “mandato” e la “testimonianza” di Giovanni, nei disegni divini, devono ottenere l'adesione di fede nel Signore Gesù di tutti gli uomini! In lui solo, e solo da lui, come leggiamo nell'iniziale professione di fede contenuta nel v. 17, essi possono trovare e ricevere “grazia su grazia”. Prima di Gesù, infatti, gli uomini erano come «custoditi e rinchiusi sotto la Legge», quella data da Dio per mezzo di Mosè, e che l’apostolo Paolo descrive come “pedagogo” (Epistola: Galati 3,23-24), ossia come un provvisorio accompagnatore dell’umanità verso Cristo, dalla cui “pienezza” divina discende sull’umanità “grazia su grazia”, ossia la salvezza in tutta la sua portata e in tutta la sua efficacia.    

Mentre accogliamo con cuore disponibile la “testimonianza” di Giovanni e riconosciamo che Gesù è il Figlio Unigenito di Dio, venuto nel mondo, crediamo che, con la sua apparizione tra gli uomini i disegni e le divine promesse finalmente si sono attuati. In Cristo, infatti, ha fatto il suo personale ingresso nel mondo Dio stesso (cfr. Malachia 3,1). In lui ha ricevuto lo splendore della divina rivelazione che, come luce, finalmente dirada le tenebre dell’incredulità e della morte che gravano sul mondo.    

Non solo, pieni di ammirato stupore, proclamiamo che Gesù, unico, porta nel mondo la “grazia”; anzi “grazia su grazia”, ossia, non solo la redenzione, la liberazione dal potere del male, ma specialmente il dono e la partecipazione alla vita stessa di Dio come “figli”. La preghiera liturgica così interpreta e traduce la traboccante pienezza di grazia che, in Cristo, viene a noi dal Cielo: «La nostra redenzione è vicina, l'antica speranza è compiuta; appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi» (Prefazio).    

La “missione” e la “testimonianza” di Giovanni la compie, ora, la comunità del Signore, la Chiesa. Essa sa di non essere la “luce” ma essendo stata “illuminata” e, avendo accolto Gesù “luce nel mondo”, non può fare a meno di dare una tale “testimonianza” autorevole all’uomo di oggi con la parola evangelica, la bella e la buona notizia: il figlio Unigenito ci ha detto che Dio è Padre e rivela la sua paternità riversando per mezzo di lui sul mondo “grazia su grazia”. E questa parola di luminosa rivelazione la Chiesa continuamente annuncia e trasmette a un mondo che vive nello smarrimento, nella paura, nell’angoscia.  

Intanto, ogni domenica, radunati in santa assemblea riceeviamo la “testimonianza” della divina liturgia che diffonde la luce della Parola e la grazia del cibo eucaristico, e che così ci fa pregare: «Rivelati, o tu che siedi sui cherubini! Manifesta la tua potenza e vieni, Signore, a salvarci. Volgiti a noi, o Dio onnipotente, guardaci dal cielo e vieni, Signore, a salvarci» (All’Ingresso).

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5 dicembre 2010 - IV Domenica di Avvento


1. L’ingresso messianico del Signore      

La tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana ha marcato questa domenica di Avvento con la proclamazione della pericope evangelica riguardante l’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme letto in chiave di epifania del Messia e per orientare, così, la comprensione del mistero del Natale del Signore. Il Lezionario, pertanto, riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia, 40,1-11; Salmo: 71; Epistola: Ebrei 10,5-9a; Vangelo: Matteo 21,1-9: Nella Messa vigiliare vespertina viene letto Matteo 28,8-10 come Vangelo della risurrezione.  


2. Vangelo secondo Matteo 21,1-9      

1In quel tempo. Quando furono vicini a Gerusalemme e giunsero presso Bètfage, verso il monte degli Ulivi, il Signore Gesù mandò due discepoli, 2dicendo loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito troverete un’asina, legata, e con essa un puledro. Slegateli e conduceteli da me. 3E se qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma li rimanderà indietro subito”». 4Ora questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: 5«Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma». 6I discepoli andarono e fecero quello che aveva ordinato loro Gesù: 7condussero l’asina e il puledro, misero su di essi i mantelli ed egli vi si pose a sedere. 8La folla, numerosissima, stese i propri mantelli sulla strada, mentre altri tagliavano rami dagli alberi e li stendevano sulla strada. 10La folla che lo precedeva e quella che lo seguiva, gridava:  «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!».  


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico inaugura la sezione riguardante l’attività di Gesù in Gerusalemme (Mt 21,1-23,39) che prelude agli avvenimenti conclusivi della sua vita terrena con la sua morte e risurrezione. Viene proclamato in questa domenica con lo scopo di indirizzare i fedeli a vedere, nel Natale di Gesù, il compimento delle promesse  riguardanti l’invio nel mondo del Messia e Salvatore del quale, il testo di Matteo, traccia un chiaro peculiare profilo.

Il brano può essere così suddiviso: i primi tre versetti, con la precisa ambientazione dell’evento, descrivono i preparativi dell’“ingresso” di Gesù in Gerusalemme; i vv. 4-5 chiariscono, alla luce delle parole del profeta Zaccaria 9,9, l’identità del Messia che entra nella Città santa; i vv. 6-9, infine, descrivono i fatti legati all’ingresso del Signore, ponendo in rilievo il ruolo dei discepoli (vv. 6-7) e quello della folla con le acclamazioni di lode e di giubilo mutuate dal Salmo 118,25.

Proclamato nel tempo di Avvento, il presente brano evangelico, preludio alla passione, morte e risurrezione del Signore, va letto specialmente nella sua capacità di tracciare l’identità del Messia del quale l’evangelista Matteo rimarca i tratti della “mitezza” e della “mansuetudine”. Non a caso nella citazione del profeta Zaccaria al v. 5 viene dato risalto unicamente al carattere “pacifico” della venuta del Messia in mezzo al suo popolo e alla sua mansuetudine con il rilievo dato alla cavalcatura da lui scelta: “un’asina” con il suo “puledro” e non splendidi cavalli come erano soliti fare i re dell’epoca.

I Padri e gli antichi scrittori cristiani hanno poi visto rappresentati “nell’asina” e nel suo “piccolo” rispettivamente il popolo di Dio della Prima Alleanza e quello  preso da tutte le “genti”. Gesù, il Messia, viene, perciò, a portare “pace” e salvezza a tutti i popoli della terra.

Tali tratti caratterizzanti il Messia sono pure riscontrabili nell’annunzio profetico che è risuonato nelle prime parole della Lettura: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta»; e specialmente in quelle conclusive: «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Isaia 40,1-2.11).

Le Divine Scritture, in tal modo, imprimono nei nostri cuori un impulso interiore capace di orientarli verso Gesù, il Signore, che nel mistero del suo primo ingresso nel mondo, viene nella amabilità e nella piccolezza del Bambino. Egli, in verità, viene a recare salvezza, liberazione, redenzione come canta il Prefazio della Messa: «...nella pienezza dei tempi hai mandato (o Dio) lo stesso tuo Verbo nel mondo perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo».

Tutto ciò induce a  unire le nostre voci a quelle della moltitudine di Gerusalemme (Matteo 21,9) nel lodare e “benedire” Dio per aver mandato il Messia, il suo figlio Gesù come nostra “salvezza”. In pari tempo comprendiamo che viene chiesto anche a noi di assumere lo stesso atteggiamento del “re di pace”: imparare cioè a vivere come uomini di pace nella mansuetudine e nella mitezza e, soprattutto, accettare di vivere in questo mondo con gli stessi sentimenti e atteggiamenti del Figlio di Dio così riassunti nell’Epistola: «Ecco, io vengo a fare la tua volontà» (Ebrei 10,9).

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28 Novembre 2010 - III Domenica di Avvento


1. Le profezie adempiute
     

Si vuole, in questa domenica, mettere in evidenza come le “divine promesse” di salvezza testimoniate nelle Sacre Scritture si sono realizzate nella venuta del Figlio di Dio in questo mondo. Il Lezionario prevede: Lettura: Isaia 35,1-10; Salmo 84; Epistola: Romani 11,25-36; Vangelo: Matteo 11,2-15. Nella Messa vigiliare del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da Giovanni 20,1-8.
 

2. Vangelo secondo Matteo 11,2-15
      
In quel tempo. 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!  9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la tua via”. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. 15Chi ha orecchi, ascolti!».    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico mostra come Gesù, concluso il discorso missionario e l’invio dei Dodici (9,36-10,42), è il primo a intraprendere la predicazione. Con ciò si vuol evidenziare che è lui “l’Inviato”, è lui il “Messia” annunziato dai Profeti.

I versetti 1-6 riportano la domanda rivolta a Gesù dai discepoli di Giovanni Battista incarcerato da Erode e riguardante la sua identità messianica (v 3). A essa Gesù risponde enumerando le opere da lui compiute (vv 4-6) e che, secondo i Profeti, identificano proprio il Messia.

Nella seconda parte (vv 7-15) viene riportata la “testimonianza” data da Gesù a Giovanni Battista, il suo Precursore, di cui riconosce l’autenticità come Profeta (vv 7-9) e soprattutto di essere “quell’Elia” che nella tradizione biblica sarebbe ritornato al momento dell’arrivo del Messia.

Questa terza domenica di Avvento vuole mettere in evidenza come in Gesù si sono adempiute le profezie che hanno tenuto viva in Israele e, tramite esso, nel cuore dell’umanità l’attesa della salvezza come inaugurazione del regno di Dio destinato, come sappiamo, a realizzarsi in pienezza e definitivamente con il ritorno “glorioso” del Signore.   La “salvezza” è annunziata dai Profeti come effettiva liberazione del popolo d’Israele dalla triste condizione dell’esilio ed è cantata come un intervento diretto di Dio che procura una reazione gioiosa nel popolo specialmente nei più poveri e tribolati: «Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto» (Lettura: Isaia 35,6).

Tale reazione contagia tutto il creato e in particolare il “deserto” e la “terra arida” destinata a «diventare una palude e il suolo riarso sorgenti d’acqua» (v 7).

Non a caso, perciò, il Signore Gesù ai messi del Battista, che intendono accertarsi su di lui come inviato da Dio per la salvezza, ovvero come Messia, risponde: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Vangelo: Matteo 11,4-5).

Si tratta cioè di gesti molto concreti e a tutti comprensibili come segnali che finalmente le profezie si sono adempiute! Dare la vista ai ciechi, risuscitare i morti, sono infatti cose che solo Dio può operare. In Gesù che le compie, dunque, agisce la divina potenza che interviene in modo concreto liberando da condizioni di malattia, di menomazione, addirittura di morte e di marginalità: «ai poveri» infatti «è annunciato il Vangelo», la bella e la buona notizia che li trasforma da “ultimi” e da “più piccoli” in più «grandi nel regno dei cieli», più grandi, addirittura, del Precursore del Signore (v 11).

L’Epistola paolina s’incarica di aiutarci a valutare in tutta la sua portata la “salvezza” che le profezie annunziano e che in Cristo si adempiono. Tutti gli uomini, a cominciare dagli appartenenti al popolo che Dio ama e i cui doni e la cui chiamata «sono irrevocabili» (Romani 11,29), sono di fatto “rinchiusi” «nella disobbedienza» ovvero nell’empietà e nel peccato che è essenzialmente l’incredulità e l’idolatria di sé.

È questa la vera schiavitù, è questa la malattia che precipita l’umanità nella morte, quella eterna, da cui nulla e nessuno la può liberare se non la libera sovrana decisione di Dio di «essere misericordioso verso tutti» (Romani 11,39).

L’Avvento, mentre ci dispone a celebrare la prima venuta nell’umiltà della carne del Figlio di Dio, ravviva nel cuore della Chiesa anzitutto la consapevole e forte fede in Cristo quale unico e definitivo portatore della divina salvezza. In lui, perciò, si sono adempiute tutte le divine promesse. Non ne «dobbiamo aspettare un altro» (Matteo 11,3).

L’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica interpreta in modo sintetico e chiaro tutto ciò: «O Dio, che nella venuta del tuo Figlio unigenito hai risollevato l’uomo, caduto in potere della morte, a noi che ne proclamiamo con gioia l’incarnazione gloriosa dona di entrare in comunione di vita con il Redentore, nostro Signore e nostro Dio».

All’antica universale implorazione: «O cieli, stillate rugiada, dalle nubi discenda giustizia; si schiuda la terra e germogli il Salvatore» (Canto All’Ingresso) Dio risponde nel Bambino di Betlemme, nell’Uomo della croce, e ora, nel “pane” della mensa eucaristica.

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21 Novembre 2010 - II Domenica di Avvento


1. I figli del Regno

La seconda domenica di Avvento vuole proclamare il carattere universale della salvezza ovvero: tutti gli uomini sono chiamati, nel Figlio di Dio venuto nel mondo, a diventare “figli del Regno”. Vengono perciò oggi letti i seguenti brani biblici: Lettura: Baruc 4,36-5,9; Salmo 99; Epistola: Romani 15,1-13; Vangelo: Luca 3,1-18. Il Vangelo della risurrezione da leggere nella Messa vigiliare del sabato è preso da Luca 24,1-8.    


2. Vangelo secondo Luca 3,1-18
     

1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:    
«Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / 5Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno dritte / e quelle impervie, spianate.  / 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».    
7Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo. 9Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».    
10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».    
15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». 18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
   


3. Commento liturgico-pastorale
     

Il brano evangelico odierno segue immediatamente i primi due capitoli del racconto di Luca altrimenti detti il Vangelo dell’infanzia del Signore. Il brano può essere così suddiviso: vv 1-6 narrano la chiamata di Giovanni come precursore del Messia; i vv 7-14 riportano il ruolo essenziale della sua predicazione, mentre i vv 15-18 tratteggiano la figura del Messia che sta per venire con i tratti di colui che viene per il “giudizio”.

    Al cuore del messaggio di questa II domenica di Avvento è posta la manifestazione del mirabile disegno divino che nel suo Figlio, inviato in questo mondo come vero uomo, chiama tutte le genti della terra ad accogliere la salvezza che consiste nella trasformazione di tutti gli uomini in autentici figli di Dio, candidati a entrare nel suo Regno. Si tratta di  una grandiosa prospettiva che dice il senso nascosto dell’incarnazione e della venuta nel mondo del Figlio di Dio e che il canto “All’ingresso” liricamente così esprime: «Il suo frutto si innalzerà come il cedro del Libano. Il Signore sarà benedetto per sempre, davanti al sole ascenderà il suo nome; in lui saranno benedette tutte le genti della terra».

    Tale prospettiva cozza contro la mentalità mondana deformata dal peccato e, perciò, votata alla divisione, alla contrapposizione tra gli uomini. A essa L’Apostolo reagisce predicando l’accoglienza e la reciproca carità «perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Epistola: Romani 15,6).

    Anche la parola profetica parla di un ritorno e di un raduno di tutti i figli d’Israele nella città di Gerusalemme che Dio vuole fare brillare di splendore davanti «a ogni creatura sotto il cielo» come luogo, cioè, di attrazione per tutte le genti e dove si manifesta la «pace di giustizia» e la «gloria di pietà» (Lettura: Baruc 5,4) di Dio per tutti.

    Gerusalemme, in questo caso, diventa un annunzio profetico della Città celeste, del Regno “della misericordia e della giustizia” (Baruc 5,9) che è storicamente apparso in questo mondo in Gesù e che è destinato a rivelarsi in pienezza e definitivamente nella “parusia”, nel ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi come ci ricordava la prima domenica di Avvento.

    Di qui l’appello rivolto indistintamente a tutti a entrare nel Regno assumendo, mediante la conversione del cuore e l’immersione battesimale nel fuoco trasformante dello Spirito Santo (Luca 3,16), la nuova condizione di “figli” in tutto simili all’unico Figlio di Dio che è il Signore Gesù, nato a Betlemme da Maria, morto sulla croce, risorto per donare il suo Spirito.

    Il Battista aveva già indicato percorsi concreti di conversione di cui tutti siamo bisognosi così come lo erano le “folle”, i “pubblicani” e i “soldati” che accorrevano a lui (cfr. Luca 3,10-14). Si tratta, a ben guardare, di un concreto cambiamento di vita essenzialmente nei riguardi del nostro prossimo.

    Ci viene chiesto dal Precursore un atteggiamento di condivisione, di rettitudine, di rispetto che prelude a quella che Paolo chiama “accoglienza”, ovvero disponibilità nei confronti dell’altro, chiunque esso sia, sull’esempio di Cristo che «accolse anche voi per la gloria di Dio» (Romani 15,7).

    In tale capacità di “accoglienza” che in realtà è un dono divino (cfr. Romani 15,5) si rende a tutti evidente la concretezza del progetto divino di chiamare tutte le genti, nel suo Figlio, a fare parte come “figli” del suo Regno.

    “Accoglienza” e anelito incessante al Regno sono doni ricevuti alla mensa eucaristica imbandita dall’amore del Signore. Così, infatti, preghiamo nell’orazione “Dopo la Comunione”: «La forza ricevuta nei tuoi misteri, o Dio onnipotente, ci aiuti a vincere il nostro egoismo e ci confermi nel desiderio del tuo regno».

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14 Novembre 2010 - I Domenica di Avvento


1. La venuta del Signore


È il “titolo” distintivo, nel Lezionario ambrosiano, della prima domenica di Avvento con il quale si vuole mettere in luce la dimensione “escatologica”, ovvero l’attenzione alle cose “ultime” della nostra storia, propria dell’inizio di questo tempo liturgico essenzialmente destinato a preparare la celebrazione della “prima venuta” del Signore nel mistero del suo Natale. Le lezioni bibliche, oggi proposte, sono: Lettura: Isaia 51,4-8; Salmo 49; Epistola: 2Tessalonicesi 2,1-14; Vangelo: Matteo 24,1-31. Nella Messa vigiliare del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da Marco 16,9-16.


2. Vangelo secondo Matteo 24,1-31

In quel tempo. 1Mentre il Signore Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta». 3Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». 4Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! 5Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno. 6E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. 9Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. 11Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. 14Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. 5Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l’abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele – chi legge, comprenda –, 16allora quelli che sono in Giuda fuggano sui monti, 17chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! 20Pregate che la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. 21Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. 22E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno vi salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati. ; 23Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; 24perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. 25Ecco, io ve l’ho predetto. 26Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non andateci; “Ecco, è in casa”, non credeteci. 27Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 28Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi. 29Subito dopo la tribolazione di quei giorni, “il sole si oscurerà, / la luna non darà più la sua luce, / le stelle cadranno dal cielo / e le potenze dei cieli saranno sconvolte”. 30Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. 31Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli».


3. Commento liturgico-pastorale

Il brano evangelico odierno riporta buona parte del discorso escatologico, cioè, relativo alle “cose ultime” che devono accadere (24,1-25,46) e che, nel Vangelo secondo Matteo coincidono con la parusia, ovvero il ritorno del Signore Gesù «con grande potenza e gloria». I vv 1-3 relativi alla distruzione del Tempio di Gerusalemme segnano come l’avvio di “queste ultime cose” illustrate da Gesù interrogato esplicitamente su di esse dai suoi discepoli. Tale distruzione segna perciò l’avvio dei “dolori” (vv 4-14) attraverso il ricorso a immagini di realtà ben conosciute quali: guerre, rivoluzioni, carestie… Esse, però, non sono la “fine” la quale è dilazionata in vista della predicazione di «questo Vangelo del regno in tutto il mondo» (v 14). Persino la “grande tribolazione” (vv 15-28), ovvero la terribile persecuzione scatenata dall’Impero romano non rappresenta ancora la fine. In quella circostanza, poi, occorrerà guardarsi dai “falsi messia” dai “falsi profeti” che cercheranno di sedurre anche i credenti.

    La fine (vv 29-31) coincide, invece, con la venuta del Signore, significata dal suo “segno” e descritta con perturbazioni cosmiche, a indicare che tutto il creato è in essa coinvolto, con la sua apparizione sulle “nubi del cielo” e con il raduno degli “eletti”. Le pagine della Scrittura, oggi proclamate, e soprattutto la pagina evangelica di Matteo caratterizzano l’Avvento come tempo in cui la Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore, mentre si prepara a celebrare il suo Natale, è sollecitata a considerare di essere incamminata, con l’intera umanità e il cosmo, verso le “cose ultime”. Si tratta, cioè, di tenere vivo nel cuore della Chiesa la domanda rivolta un giorno dai discepoli a Gesù: «quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?» (v 3). È una domanda di capitale importanza per tutti noi. Essa ci dice che di tutte le realtà di questo mondo non rimarrà «pietra su pietra» e, pertanto, ci mette in guardia dal cadere vittima del materialismo dilagante che chiude gli occhi e i cuori e li ripiega sulle cose quali il potere, il piacere, il successo, illudendosi sulla loro reale capacità di dare vita e felicità durature.

    È decisivo, in una parola, tenere viva in noi la certezza di fede che questo mondo è destinato a finire e che la sua fine coincide con la seconda definitiva venuta del Signore. La prospettiva dunque è il ritorno “glorioso” del Signore che è venuto nel mondo nell’umiltà e nella piccolezza del Bambino, che ha sofferto la croce per la salvezza. Il Vangelo perciò ci aiuta a comprendere come la “gloriosa venuta del Signore” è dilazionata nel tempo perché a tutte le genti sia predicato il suo nome nel quale c’è salvezza. Nel frattempo la comunità è esortata a non farsi sviare dagli accadimenti e dai fenomeni tragici che scandiscono tale attesa. Tra questi accadimenti, come già per la Chiesa delle origini è da mettere in conto anche la “grande tribolazione” ovvero la persecuzione a cui dovrà andare incontro. Soprattutto la Chiesa deve guardarsi dal lasciarsi sedurre dai falsi profeti o dagli anti-cristi che si impegnano a togliere dal cuore dei credenti la fede nel Signore Gesù e la carità vicendevole e verso tutti per depositarvi i semi malvagi dell’odio e del tradimento (cfr. v 10).

    Anche l’Apostolo mette in guardia la giovane comunità cristiana di Tessalonica dal lasciarsi sedurre dalla «venuta dell’empio» forte della «potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità» (Epistola: 2Tessalonicesi 2,9-10). Ciò che apprendiamo in questa I domenica di Avvento va tenuto costantemente presente nel nostro cammino. Abbiamo capito che il mondo, la storia, il cosmo e ognuno di noi ha come prospettiva finale un evento salvifico: il Figlio dell’uomo che porta con sé il suo “segno” ossia la sua croce, l’emblema di ciò che egli ha compiuto per nostro amore e attorno al quale tutti saranno radunati dagli angeli ministri del Signore.

     Si tratta perciò di una prospettiva di per sé piena di luce e non di tenebre già annunziata dall’oracolo profetico e dove trova compimento la divina promessa: «la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta» (Lettura: Isaia 51,6). Per questo occorre trascorrere questa esistenza terrena “perseverando sino alla fine” nella fedeltà al Signore e al suo Vangelo: in concreto rifiutando le ingannevoli seduzioni del mondo, non ”scandalizzandoci” per le umiliazioni e le persecuzioni subite a causa del Vangelo, e soprattutto vivendo integralmente e dando piena testimonianza al Vangelo stesso che è tutto racchiuso nel comandamento della carità, sulla quale tutti saremo giudicati allorché verremo radunati davanti al trono del grande re e giudice.

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7 novembre 2010


1. La domenica conclusiva dell’Anno liturgico

È, di fatto, l’ultima domenica dopo la Dedicazione che, nella liturgia ambrosiana, coincide con l’odierna solennità di Gesù Cristo re dell’universo con la quale si chiude il corrente Anno liturgico. Il Lezionario prevede i seguenti brani scritturistici: Lettura: Daniele 7,9-10.13-14; Salmo 109; Epistola: 1Corinzi 15,20-26.28; Vangelo: Matteo 25,31-46. Il Vangelo della risurrezione da leggere nella Messa vigiliare del Sabato è preso da Luca 24,1-8.    


2. Vangelo secondo Matteo 25,31-46
     

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 31«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo  di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».    


3. Commento liturgico-pastorale
     

L’odierno brano evangelico fa parte della sezione “escatologica” del Vangelo secondo Matteo (24,1-25,46) quella che attiene, cioè, alle ultime cose che precedono la “parusia” ovvero la seconda definitiva “venuta” del Signore.

    È immediatamente preceduto dalle tre parabole della “vigilanza” (24,45-25,30), le quali vogliono esortare a farsi trovare preparati nell’ora della “venuta” del Signore. Oggi tale “venuta” ci viene presentata come “venuta” per il “giudizio universale”.

    Il brano si apre al v 31 con l’entrata in scena del “Figlio dell’uomo” (cfr. Daniele 7,13) ossia di Gesù giudice escatologico circondato dagli “angeli suoi assistenti” (Zac 14,5). Il v 32 descrive il raduno universale davanti al Giudice, il quale da subito divide gli uni dagli altri recuperando l’immagine biblica del pastore che separa le pecore a destra e i capri a sinistra (cfr. Ezechiele 37,16-17).

    Seguono poi le due parti rispettivamente: 34-40 e 41-45 costruite però in stretto parallelismo. Di fatto entrambe sono avviate dall’emissione della sentenza:  favorevole per quelli posti alla “sua destra” (vv 34-36) e di condanna per quelli posti “alla sinistra” (vv 41-43), così come dalla replica meravigliata dei “benedetti” (vv 37-39) e quella dei “maledetti” (v 44) si concludono con la motivazione della stessa sentenza da parte del Giudice (v 40 e v 45) fondata sull’aver fatto o sul non aver fatto queste cose, ossia le opere di misericordia (vv 35-36; vv 42-43) «a uno di questi miei fratelli più piccoli» nei quali si identifica lui stesso.

    In questa ultima domenica dell’anno liturgico ambrosiano le pagine della Scrittura pongono in particolare rilievo una delle prospettive essenziali per la nostra fede: quella “escatologica”.

    Si vuole, con questo, tener viva nella Chiesa mandata ad annunciare il Vangelo di salvezza a tutti i popoli, l’attenzione alle cose “ultime” che coincidono con la “parusia” ovvero il ritorno del Signore alla fine dei tempi nello splendore della sua “gloria” intravista dal profeta Daniele «nelle visioni notturne» e così descritta: «ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; … Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Lettura: Daniele 7,14).

    Tra le “cose ultime” concomitanti alla “parusia” gloriosa del Signore, viene oggi evidenziata quella del giudizio che è una delle prerogative del Figlio dell’Uomo, ossia del Signore Gesù esaltato “alla destra del Padre”. La scena evangelica, in verità, non parla di un giudizio diretto alla singola persona, bensì mostra il raduno universale dell’umanità davanti al Giudice divino per la irreformabile sentenza di beatitudine e di condanna.    
Nell’ora solenne del giudizio universale il Signore, venuto una prima volta dal Cielo per radunare in un unico gregge l’umanità dispersa e divisa a causa del peccato, continua ora nel suo compito “pastorale” interpretato, adesso, come un «separare gli uni dagli altri» (v 32) in due greggi distinti.

    Il primo è quello dei “benedetti”, di quanti, cioè, nella loro esistenza terrena hanno seguito il Signore, uniformandosi a lui nel tratto distintivo della sua vita: la carità. Egli, fattosi l’ultimo e il “più piccolo” nel mistero della sua continua umiliazione e spogliazione di sé, si è preso personalmente cura dei più umili, dei più emarginati, identificandosi in essi diventati così come il “sacramento” della sua stessa continuata presenza nel mondo.

    Sono pertanto “benedetti” e dunque salvi per sempre nel regno di Dio, perché hanno sentito di doversi comportare con gli altri come si è comportato il Signore Gesù! La carità dunque come regola suprema dell’agire dell’uomo che si rifà in tutto a colui che è carità!     I “maledetti” che ricevono la sentenza definitiva  di condanna sono perciò coloro che, di fatto, hanno idolatrato il proprio “io” e quindi non hanno mai accettato di ascoltare e di convertirsi al Vangelo del regno che ha come sua regola, appunto, la carità.

    L’Anno liturgico che va verso la conclusione attiva ogni anno in tutti noi l’attenzione verso le “cose ultime”, quali appunto la fine della nostra esistenza su questa terra e il “giudizio” che tutti ci aspetta davanti al tribunale del grande re.

    Alla fine saremo giudicati sull’amore! È questo il potente messaggio che ci viene dal nostro re crocifisso per amore e che a lui domandiamo di saper accogliere con tutta sincerità così da trasformare la nostra esistenza in una vita “data”, come la sua, per amore.

    A lui così ci rivolgiamo: «Ave, re nostro, che solo avesti pietà dei nostri errori: obbediente al volere del Padre, ti lasciasti condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio. A te sia gloria, osanna, trionfo e vittoria, a te la più splendente corona di lode e di onore» (Canto dopo il Vangelo).

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31 ottobre 2010 - II Dom dopo la Dedicazione


1. La  partecipazione delle genti alla salvezza


È il titolo assegnato a questa domenica che orienta a cogliere il peculiare messaggio delle odierne Scritture destinate a illuminare il “mistero” della Chiesa di cui tutti siamo membra. Il Lezionario prevede per questo le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 25,6-10a; Salmo 35; Epistola: Romani 4,18-25; Vangelo: Matteo 22,1-14. Viene proclamato Marco 16,9-16 quale Vangelo della risurrezione nella Messa vigiliare del sabato. Le orazioni e i canti sono presi dalla XXXI domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Matteo 22,1-14
     

In quel tempo. 1Il Signore Gesù riprese a parlare loro  con parabole e disse: 2«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. 5Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. 10Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. 12Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. 13Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. 14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
   


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico riporta l’ultima delle tre parabole sul rifiuto del regno dei Cieli (21,28-46; 22,1-14) pronunciate da Gesù in polemica con i capi del popolo. La parabola, caratterizzata da subito come parabola del Regno (v 2), si sviluppa in tre momenti narrativi: il primo (vv 2-6) riguarda l’invito del re alla festa nuziale «per suo figlio» e il rifiuto da parte degli invitati potremmo dire “ufficiali”.

    Il secondo momento (vv 7-10) registra la reazione violenta del re e l’estensione dell’invito a gente di per sé estranea la quale accetta volentieri. Il terzo momento (vv 11-13) riporta la scena drammatica dell’ingresso del re nella sala di nozze e l’espulsione di un commensale privo dell’«abito nuziale».

    Il v 14, infine, è rappresentato da una massima che aiuta a capire il senso della parabola. Questa nell’immagine del banchetto di nozze del figlio del re allude a Gesù quale Messia inviato da Dio anzitutto al suo popolo Israele per impiantare il regno dei Cieli.ù

    Negli invitati che rifiutano l’invito loro rivolto dai “servi” del re nei quali possiamo ravvedere i Profeti, sono indicati i capi del popolo anzitutto e, più in generale, l’intero popolo d’Israele che è l’invitato potremmo dire di “diritto” al Regno. La reazione sdegnata e violenta del re rappresenta il “giudizio” pronunziato da Dio sul suo popolo incredulo.   
Al “giudizio” segue la decisione del re di mandare i suoi servi, vale a dire i missionari del Vangelo, a invitare al banchetto nuziale del Figlio: «andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze» (v 9). In essi sono raffigurati i popoli pagani ai quali viene finalmente predicato il Vangelo ed estesa la chiamata al Regno.

    Questa decisione  del re segna una svolta nel racconto della parabola ma, più ancora, ha dato come il via libera decisivo, nella storia della Chiesa delle origini, alla predicazione del Vangelo del Regno a tutti gli uomini indistintamente: ebrei e, ora, i pagani.

    Uno dei “servi” più zelanti nell’andare «ai crocicchi delle strade» è stato senza dubbio l’apostolo Paolo il quale, nella chiamata delle “genti”, vede avverata la promessa di Dio ad Abramo, quella di fare di lui il «padre di molti popoli» forti nella fede al pari di lui (Epistola: Romani 4,17).

    Già il profeta Isaia aveva annunziato la volontà di Dio di fare partecipi tutti i popoli della “salvezza” raffigurata nell’immagine del «banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati» (Lettura: Isaia 25,6) e concretamente descritta come rimozione del «velo» e della «coltre» funerea «distesa su tutte le nazioni», ossia l’ignoranza della fede, e specialmente come eliminazione della «morte per sempre» asciugando così le «lacrime su ogni volto».

    Questo progetto divino, come sappiamo e crediamo, si è avverato nel banchetto delle nozze dell’Agnello di cui parla il libro dell’Apocalisse, ovvero nell’immolazione  sacrificale del Signore Gesù sulla croce.

    La Chiesa, perciò, lungo i secoli dovrà incessantemente predicare il Vangelo e invitare tutti gli uomini a partecipare al “banchetto nuziale del Signore”, ossia a sperimentare fin da ora la gioia della salvezza. Con una speciale consapevolezza e avvertenza: al “banchetto” si accede con «l’abito nuziale» che è certamente la fede nel Signore Gesù ma specialmente la carità.

    Occorre farsi trovare da Dio degni di entrare nella definitiva salvezza e questa “dignità” è rappresentata dall’obbedienza all’unico precetto a noi dato dal suo Figlio: quello della carità. L’amore infatti e, perciò, la felicità e la gioia sono le caratteristiche del regno dei Cieli che la Chiesa è mandata ad annunciare e ad anticipare in tutta verità.

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24 Ottobre 2010 - I Dom dopo la Dedicazione


1. La  domenica del “mandato missionario”
      
L’annuale solenne memoria della Dedicazione del Duomo, dando l’avvio ad alcune settimane e domeniche a essa collegate, offre ogni anno a noi fedeli della Chiesa ambrosiana, la grazia di guardare al “grande mistero” che è la Chiesa di cui tutti siamo membra: da dove essa trae origine, qual è la sua natura e la sua missione.    
Questa seconda domenica ci dà l’opportunità, nell’ascolto comunitario delle divine Scritture, di tornare su ciò che la Chiesa, per esplicito mandato del Signore risorto, deve essenzialmente fare.

    I testi biblici proposti nel Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 13,1-5a; Salmo 95; Epistola: Romani 15,15-20; Vangelo: Matteo 28,16-20. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 21,1-14, quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXX domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.    
Oggi si celebra, in tutta la Chiesa, la Giornata missionaria.    


2. Vangelo secondo Matteo 28,16-20
     

In quel tempo. 16Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che il Signore Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato  ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».    


3. Commento liturgico-pastorale
     

Il testo evangelico riporta le ultime parole del Signore risorto agli Undici prima del suo ritorno al Padre. Esse mantengono un valore perenne all’interno della Chiesa.

    Il v 16 è destinato ad ambientare l’incontro del Risorto anzitutto a livello geografico: la “Galilea”, regione aperta ai popoli pagani; quindi a livello locale: un “monte” come luogo tipico della rivelazione; e, infine, i protagonisti: gli Undici, dei quali il v 17 registra l’atteggiamento pieno di fede in alcuni («si prostrarono») e, in altri, una certa esitazione a credere («Essi, però, dubitarono»).

    Al centro della scena, comunque, c’è Gesù che si rivolge per l’ultima volta ai suoi dichiarando anzitutto di possedere, in seguito alla sua croce e risurrezione, il potere universale proprio di Dio (v 18). In base a tale potere egli conferisce un incarico espresso ai vv 19-20a con quattro verbi: “andate”, “fate discepoli”, “battezzate”, “insegnate”.

    L’attività principale è senza dubbio quella di “fare discepoli”, per questo occorre “andare”; mentre il Battesimo nel nome della Trinità e l’“insegnamento” sottolineano il compimento del diventare “discepoli”. Al fine di garantire tale missione e il suo buon esito, Gesù assicura la sua permanente presenza tra i suoi, fino alla consumazione dei tempi (v 20b).

    Proclamato nel peculiare momento liturgico qual è quello delle “Settimane dopo la Dedicazione” del Duomo, il brano evangelico rappresenta un forte richiamo al compito essenziale della Chiesa e di ogni singolo fedele: “la missione”. Questi deve realizzare il mandato del Signore risorto: «fate discepoli  tutti i popoli» (v 19) incorporandoli nella Chiesa dov’è possibile ottenere la “salvezza” da lui procurata nella sua Pasqua.

    La Lettura evidenzia come la comunità delle origini ha, da subito, tradotto il comando del Signore, deputando alla “missione” Barnaba e Saulo, ricolmati dalla potenza del suo Spirito, mediante l’imposizione delle mani (cfr. Atti degli Apostoli 13,3). Missione che essi concepiscono come “universale”, riguardante cioè sia i Giudei (v 5) sia quelli che l’apostolo Paolo ama chiamare “le genti” (Epistola: Romani 15,16-18) ovvero i popoli pagani presso i quali non era conosciuto «il nome di Cristo» (v 20).

    Lo stesso «sacro ministero di annunciare il Vangelo di Dio» che ha come “sequestrato” l’intera esistenza dell’Apostolo deve oggi trovare in tutti noi una più piena e convinta disponibilità. Siamo tutti persuasi che l’umanità, oggi come ieri, come domani e «fino alla fine del mondo», ha bisogno del Vangelo di Gesù, ha bisogno di ascoltare le sue parole che invitano a mettersi alla sua scuola, a diventare cioè suoi discepoli.

    Si imparano così le grandi cose preparate da Dio per noi e i cuori si aprono alla fede e soprattutto alla carità, nella quale è sintetizzato l’“insegnamento” del Signore che la Chiesa deve conservare e trasmettere intatto.

    L’immersione battesimale «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» vincola per sempre il discepolo all’amore bruciante di Dio e lo inserisce nel corpo vivo del Signore che è la Chiesa,  per diventare così: «un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Romani 15,16).    
Viene, a questo punto, spontaneo interrogarci sulla nostra disponibilità al “mandato” missionario del Signore, da vivere già all’interno delle nostre stesse comunità ecclesiali, nelle quali è necessario pervenire a una piena professione di fede e a un’osservanza puntuale di tutto ciò che il Signore ci ha comandato (cfr. Matteo 28,20).

     Saranno proprio la riconosciuta fede battesimale e la condotta ispirata al comando del Signore a rendere fruttuoso l’impegno missionario verso “le genti” che oggi abitano i nostri paesi e le nostre città. Ciò che più conta, però, è avvertire la presenza viva del Signore nella sua Chiesa. Presenza che va percepita sommamente nella celebrazione eucaristica.

    È ciò che domanda l’orazione Dopo la Comunione: «O Dio forte ed eterno, che ci hai radunato oggi nel nome di Gesù a celebrare le lodi della tua azione di salvezza, fa’ che possiamo sperimentare nella gioia dell’amore fraterno, secondo la sua promessa, la permanente presenza tra noi del nostro Signore e Maestro».

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17 Ottobre 2010 - Dedicazione Duomo di Milano


1. La  domenica della dedicazione del Duomo
      

Si tratta di una ricorrenza di grande importanza per tutti i fedeli della diocesi di Milano che guardano al Duomo come loro cattedrale, ma anche per quei fedeli che, pur appartenendo ad altre diocesi, seguono il rito ambrosiano e, perciò, riconoscono il Duomo di Milano come loro Chiesa madre. In questa domenica, perciò, mentre si fa “memoria” della dedicazione o consacrazione del Duomo, si celebra, in realtà, il mistero della Chiesa che in esso si raduna. Vengono oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 60,11-21 (in alternativa: 1Pietro 2,4-10); Salmo 117; Epistola: Ebrei 13,15-17.20-21; Vangelo: Luca 6,43-48. Il Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Giovanni 20,24-29.    


2. Vangelo secondo Luca 6,43-48      

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 43«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. 46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene».    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico odierno conclude il cosiddetto “discorso in pianura” di Luca 6,20-49 da leggere in parallelo con il “discorso sul monte” di Matteo 5-7. Esso è rivolto da Gesù ai discepoli e a tutti coloro che intendono seguirlo al fine di indicare le essenziali esigenze che qualificano la sequela.    

    Esigenze che hanno al loro vertice il precetto dell’amore del nemico (6,27-35) e dell’amore fraterno (vv 36-42). Questo è il Vangelo che i suoi devono predicare sempre e ovunque. I versetti odierni sono come l’avvertimento finale di Gesù a mettere in pratica i suoi insegnamenti.

    Egli lo fa paragonando gli uomini ad alberi (vv 43-44a). Guardando i loro frutti si capisce se essi sono buoni o cattivi. Esattamente come gli alberi anche gli uomini producono frutti secondo la natura del loro cuore. Se ha un cuore “buono” dice e fa cose buone (v 45). E il cuore buono si ottiene ascoltando e mettendo in pratica la Parola di Gesù (v 45). Chi fa così pone sé stesso sul fondamento solido che è Cristo e non va incontro a rovina (vv 47-48).

    Proclamato nell’odierna circostanza il brano evangelico ci aiuta a comprendere come nel segno esterno del Duomo si rende visibile il mistero della Chiesa come casa di Dio posta tra gli uomini. Chi guarda il Duomo e ne ammira la maestà e la bellezza perdurante nei secoli comprende che essa è dovuta al fatto che le sue fondamenta sono state scavate molto in profondità.

    Una simile osservazione rende al vivo la parola di Gesù sulla casa costruita su fondamenta molto profonde fino a incontrare la “roccia”. La “roccia” è lo stesso Signore Gesù e la sua Parola, sicché il fondamento su cui poggia la comunità ecclesiale è incrollabile. Esso, infatti, non è gettato superficialmente sulla “sabbia” che siamo tutto noi con la nostra nativa fragilità e inconsistenza, ma sulla “roccia” che è il Signore Gesù ovvero, come leggiamo nella Lettura alternativa, sulla  «pietra viva… scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pietro 2,4).

    Su tale  «pietra d’angolo» la Chiesa, perciò, e tutti noi che la componiamo come “pietre vive” (v 5), deve tenersi poggiata in modo da resistere “alla piena del fiume” (cfr. Luca 5,48) che periodicamente la investe nel passare del tempo, vale a dire le difficoltà interne che l’attraversano e le persecuzioni esterne che la minacciano.

    Celebrare ogni anno la dedicazione della nostra chiesa cattedrale e della nostra chiesa madre, significa anzitutto lodare, benedire e “rendere grazie” al Padre per il mistero della Chiesa, “sua dimora”, “sposa e regina”, “madre di tutti i viventi”, “vita feconda”, “città posta sulla cima dei monti” (cfr. Prefazio).

    Significa, inoltre, assumere sempre più viva coscienza che, avendo creduto e obbedito alla Parola del Signore, su di lui “pietra viva” siamo edificati e uniti al punto da poterci chiamare, in tutta verità,: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pietro 2,9).

    Tale consapevolezza sprona la Chiesa e noi, suoi fedeli, ad “ascoltare” e a “obbedire” alla Parola del Signore traducendola in pratica di vita, evitando così il suo rimprovero: «Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?» (Luca 6,46).

    Ora la Parola che occorre ascoltare e mettere in pratica è tutta riassunta nel precetto della carità nei confronti di tutti: “amici” e “nemici”. È questa “obbedienza”, infatti, a tenere la Chiesa fondata sulla “roccia” e a donarle l’inesauribile capacità di «trarre fuori il bene» «dal buon tesoro del suo cuore» (v 43) abitato dall’amore del Signore.

    Dal cuore della Chiesa traboccano quei frutti buoni quali l’annunzio del Vangelo destinato a tutti indistintamente: «un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pietro 2,10).

    Un Vangelo che la Chiesa quale «vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci» (Prefazio) reca in dono a ogni uomo chiamato a stringersi a Cristo poggiandosi sulla “roccia” del suo amore, vale a dire la sua croce. Così come il nostro Duomo spalanca accogliente le sue porte, la Chiesa «tiene le sue porte sempre aperte, di giorno e di notte» (cfr. Lettura: Isaia 60,11) perché tutti possano entrare attratti dalla “luce eterna” e “dal divino splendore” (v 19) ed essere rivestiti di misericordia e di salvezza perenne.

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