28
mag

Nuove console e spazi familiari

La nuova console Microsoft "rivelata" a metà maggio
La nuova console Microsoft "rivelata" a metà maggio

Le nuove console interattive stanno per arrivare. Crescono i “rumori” attorno alle imminenti uscite di Sony e Microsoft, ovvero PlayStation 4 e Xbox One.

Dal punto di vista tecnologico probabilmente ci sarà da stropicciarsi gli occhi: velocità, grafica eccetera.

A noi però importa di più capire che cosa apporteranno di nuovo. Posto che le chiacchiere restano tali in assenza di riscontri concreti, tuttavia il fatto innegabile è la necessità di un riposizionamento. Il mondo dei videogiochi “classici”, infatti, subisce la duplice erosione del mercato interno e di quello esterno: da una parte, il numero di videogiochi di fascia alta si è ridotto perché pochi possono permettersi certi budget senza la garanzia di vendere copie in proporzione. Dall’altra, il pulviscolo di giochi diffusi su tablet e smartphone ha lasciato vedere nuovi modi di intrattenersi senza il bisogno di “macchine dedicate”.

Pare di capire che le nuove console andranno a chiedere nuovi spazi alle famiglie. Diventeranno sempre più il cuore tecnologico dei soggiorni, da cui comandare qualsiasi interazione con i media. Addirittura, Microsoft ha appena brevettato un sistema per “premiare” la visione di specifici programmi tv, serie di fiction o eventi sportivi: nuovi spazi, o nuovi modi di gestire gli spazi di sempre. E i videogiochi saranno soltanto un pianeta, per quanto primario, delle costellazioni da gestire.

Qui sotto invece il trailer della nuova PlayStation:

Nessuno però chiede alle famiglie che spazi chiedono e come vogliono occuparli rispetto alla ricchezza delle loro relazioni interpersonali. Essere attivi e interattivi non vuol dire soltanto fare click su controller e telecomandi, bensì schierarsi a partire dalla qualità dei contenuti. Che compriate o no le nuove console, è questo che conta.

Pubblicato il 28 maggio 2013 - Commenti (0)
21
mag

Save the last dance

Immagini del flashmob di piazza Duomo
Immagini del flashmob di piazza Duomo

Chi ha detto che i videogiochi isolano dal mondo? L’altra sera, l’11 maggio alle 19, migliaia di appassionati del videogioco Just Dance si sono dati “appuntamento virtuale” per un flashmob in piazza Duomo, a Milano, a ballare tutti insieme in un evento organizzato dall’editore Ubisoft insieme con Radio Italia.

Si dice “flashmob”, si traduce come un richiamo raccolto nella rete digitale per ritrovarsi tutti insieme in uno stesso posto alla stessa ora. Senza conoscersi l’un l’altro, ma pronti a fare la stessa cosa: ovvero, nel caso, a ballare a tempo sulle note di Cercavo amore di Emma.

Just Dance è il capofila di una particolare categoria di videogiochi: possiamo chiamarli  i “tutor di danza”. Con l’aiuto dei controller, se si ha la Wii o la PlayStation, oppure soltanto con il controllo del corpo se si adopera Windows Kinect, si balla a ritmo, da soli o in gara con altri, presenti o via rete.

Ecco qui sotto un video diffuso sul web per preparare la coreografia del flashmob:

La grafica del videogame
La grafica del videogame

Nessun altro videogioco possiede la stessa capacità di impegnare integralmente lo spazio e il corpo, mettendo in comunicazione altrettanto direttamente la realtà fisica e quella elettronica. L’enorme successo (40 milioni di copie, ma ci sono anche i concorrenti) dimostra che questa modalità di ballo, niente affatto solitaria, viene ormai recepita come normale. Certo, a ben guardare c’entra anche la somiglianza – certo non involontaria – con i format di ballo televisivi, verso i quali si crea, grazie allo schermo, alle voci delle guide virtuali e alla competizione, una forte immedesimazione.

Pubblicato il 21 maggio 2013 - Commenti (0)
14
mag

Telefoni? No, terminali

Immagini dalla campagna pubblicitaria di 1st Fone
Immagini dalla campagna pubblicitaria di 1st Fone

Bambini e telefono. Secondo un report recente di Telefono Azzurro, il 53,7% dei bambini e il 97,8% degli adolescenti italiani ne possiedono uno. Sarebbe interessante verificare quante e quali funzioni svolgono questi apparecchi, che nella grande maggioranza dei casi sono in grado di svolgere ben altre funzioni oltre a quella di fare e ricevere chiamate: videogiochi, fotografie, filmati, accesso a internet e ai social media.

Dalla Gran Bretagna, secondo quanto riferiva il Corriere della Sera qualche giorno fa, arriva la novità del “1st Fone”, un apparecchio abilitato soltanto a telefonare, e soltanto a pochi numeri predeterminati: c’è un “tasto mamma”, un “tasto papà”, uno dedicato ai nonni o a chi si vuole, e nient’altro.

La nostra voglia di sapere dove sono e che cosa fanno i nostri ragazzi ha condizionato sempre più la diffusione dei cellulari in mano a giovani e giovanissimi. Essendo però telefoni portatili, la localizzazione del possessore resta affidata alla fiducia: “Dove sei?” è la frase più gettonata, ma anche quella che può ricevere le risposte più evasive.

L’idea dei britannici è quella di limitare il traffico telefonico alle chiamate di prima necessità. Non so se quei telefoni arriveranno mai in Italia, Paese telefonico per eccellenza (siamo i primi al mondo per numero di utenze in rapporto alla popolazione), ma lo spunto è buono per riflettere sulla reale impossibilità, in famiglia, di governare l’accesso dei più giovani alla rete globale: per riuscirci un telefono basta e avanza.

Sappiamo quali funzioni sono abilitate nei cellulari dei nostri figli? Sappiamo se sono in grado di acquisire applicazioni, magari gratuite, in qualche caso consentite dall’inserimento distratto del nostro numero di carta di credito?

Il problema non è, in sé, soltanto quello di poter accedere alla rete. È piuttosto quello di avvertire la responsabilità delle conseguenze che si innescano a partire da quegli accessi: il consenso esplicito o implicito a divulgare dati personali che spesso sono anche fotografie, filmati, spezzoni di vita privata che una volta immessi nella rete non si possono più controllare.

Una mamma mi raccontava l’episodio, accaduto a scuola, di una ragazzina quattordicenne che aveva spedito una propria foto intima al suo ragazzo, come gesto privato di affetto. Solo che il destinatario l’aveva girata al migliore amico, come “trofeo” condiviso. E l’amico a sua volta l’aveva inoltrata, fino al punto che della foto, pochi giorni dopo giravano un centinaio di esemplari.

La questione è finita in mano alla polizia, dal momento che inoltrare una foto del genere equivale a diffondere materiale pedopornografico. Ma di questa vicenda è lampante soprattutto l’incoscienza dei protagonisti, incapaci di distinguere fra un gesto discutibile, sì, ma privato, e un atto pubblico dalle gravi conseguenze.

Non voglio spaventare nessuno, ma occorre essere responsabili per sé e per i più giovani. Una seria conversazione sull’uso dei terminali portatili s’impone, anche su cose che sembrano banali: giochi innocenti come Angry Birds trasmettono a terze parti nome utente e password, lista contatti, posizione dell’utente e id del telefono. Sono dati sensibili, che alterano non poco il concetto di “gratis” e di privacy.

Pubblicato il 14 maggio 2013 - Commenti (0)
07
mag

Videogiochi: malattia o terapia?

Giocare con i videogiochi fa bene o fa male? Oggi ho letto tre notizie contrastanti. La prima, a firma di un oculista, informa che gli schermi di pc, smartphone e tablet possono affaticare gli occhi dei bambini, inducendo una sorta di miopia da stanchezza soprattutto nel caso di intensa frequentazione di videogiochi, che sovraccaricano i muscoli oculari.

Bene a sapersi, anche se credo che sia un’epoca in cui gli occhi di tutti noi sono sovraccarichi di immagini.

D’altra parte un gruppo di ricercatori canadesi ha pubblicato un articolo in cui si sostiene che i videogiochi possono contribuire a curare l’ambliopia, ovvero quella “pigrizia oculare” che affligge molti bambini e che finora si curava bendando l’occhio “sano” per obbligare l’altro a fare il suo dovere.

Insomma, è questione di prospettive.

Infatti ecco un’altra notizia positiva: una ricerca dell’Università dell’Iowa è giunta alla conclusione che l’uso di videogiochi può ritardare di molto il declino cognitivo negli anziani. Detto questo, secondo i ricercatori i vantaggi si possono misurare già dai cinquant’anni in su.

Una conferma divertente viene dal confronto del gruppo di anziani videogiocanti con un altro gruppo di vecchietti dediti alle parole crociate: i risultati sono stati fino a sette volte migliori dalla parte dei videogame.

In sostanza, da notizie come queste si ricavano utili conferme di ciò che si poteva intuire: darsi da fare con l’interattività indubbiamente stimola. Il resto è misura, è equilibrio.

Pubblicato il 07 maggio 2013 - Commenti (0)

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Autore del blog

Family Game

Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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