27
set

Giochi e scuola: matrimonio possibile

Non tutti sanno che Google Earth fornisce un simulatore di volo gratuito. Bisogna digitare Ctrl+Alt+A (Windows) o Mela+Alt+A (Mac) per avviarlo.
Non tutti sanno che Google Earth fornisce un simulatore di volo gratuito. Bisogna digitare Ctrl+Alt+A (Windows) o Mela+Alt+A (Mac) per avviarlo.

A scuola con i videogiochi? Per qualcuno sono il diavolo e l’acquasanta, ma si sbaglia: tant’è vero che alcune scuole italiane, d’intesa col ministero dell’Istruzione, proprio in quest’inizio di anno scolastico hanno avviato esperimenti in proposito. Le premesse positive ci sono: esistono giochi molto adatti a dare una mano con l’italiano e per apprendere le lingue straniere, per esercitare la matematica e la logica. Alcune “simulazioni di storia”, senza essere l’equivalente di un manuale, riescono a farci intuire elementi rappresentativi nell’evoluzione delle civiltà umane. In altre nazioni, come la Francia, il rapporto tra videogiochi ed educazione è molto più consolidato che da noi.

Il gioco non va confuso con lo studio. Non è vero, tuttavia, che il gioco sia l’opposto dello studio e, quindi, dannoso. Giocare significa al tempo stesso accettare le regole ed esercitare l’iniziativa. Fa parte del processo di crescita dei giovani e dell’equilibrio degli adulti. Certi videogiochi, senza essere esplicitamente “educativi”, stimolano la fantasia, la prontezza d’animo, la curiosità di scoperta, o ripropongono situazioni reali del lavoro o della vita quotidiana: per esempio i simulatori di volo.

Giocare arricchisce, specie se lo si fa insieme ad altri. Certi videogiochi aiutano a stabilire e a mantenere relazioni positive tra persone fisicamente lontane. Altri insegnano il valore della collaborazione per raggiungere obiettivi comuni. Non mancano giochi che, scelti con criterio, stimolano gradevolmente quelle stesse abilità che a scuola vengono “messe in gioco” dai compiti quotidiani. È un tema su cui mi piacerebbe ascoltare le esperienze dei lettori.

Pubblicato il 27 settembre 2010 - Commenti (1)
23
set

Internet come un palcoscenico

Un picnic virtuale su Second Life
Un picnic virtuale su Second Life

A Torino, organizzato dalla Scuola Superiore di Formazione Rebaudengo (dov’è attiva una laurea in Psicologia della comunicazione), si sta svolgendo un convegno dedicato a rischi e virtù dell’internet riguardo ai giovani. Giornate d’incontri promosse dal mondo salesiano per interrogarsi, con esperti, studiosi e insegnanti, su ciò che accade nel mondo da quando abbiamo un sistema di comunicazione istantaneo e mondiale, democratico e universale, capace di molto bene e di molto male.

Avventori in un bar virtuale su Second Life
Avventori in un bar virtuale su Second Life

Per tirare l’acqua al mulino di questo blog, mi pare significativo riflettere che la caratteristica più palese dei rapporti via internet è quella che potremmo definire la loro “teatralità”. Nel mondo della Rete si comunica, sì, all’istante, ma anche alla cieca, senza tutto il contorno di segnali umani a cui i nostri cinque sensi sono abituati. Dunque ci ritroviamo inevitabilmente a indossare maschere e a recitare parti: lì, volenti o nolenti, agiamo tutti “nascosti” dietro i nickname e gli avatar di noi stessi. Nel migliore e più frequente dei casi indossiamo la maschera di noi stessi e recitiamo la nostra parte sincera. Molti tuttavia approfittano delle circostanze e s’inventano una facciata fittizia per l’occasione. Paradossalmente, chi sente meno il bisogno di sembrare diverso da sé sono proprio i videogiocatori, che recitano “ufficialmente” nel ruolo che si sono scelti per giocare. Infatti, accanto alle fasi di gioco, spesso danno vita a chat e forum in cui nascono amicizie effettive e anche incontri fisici, per proseguire di persona discorsi e passioni nati nella rete. Non è sempre così, ma capita più spesso di quanto non si creda.

Pubblicato il 23 settembre 2010 - Commenti (3)
22
set

Universi sintetici ma reali

Personaggi di World of Warcraft, videogioco online di ambientazione fantastica che conta 12 milioni di iscritti
Personaggi di World of Warcraft, videogioco online di ambientazione fantastica che conta 12 milioni di iscritti

Sempre più spesso film e fiction presentano “casi” di famiglie alle prese con ragazzi dipendenti dai videogiochi. In un thriller di Jeffery Deaver ho letto una storia emblematica con evidenti intenti pedagogici: La strada delle croci (2009) racconta l’indagine su un liceale scomparso che forse è un assassino. Di lui si sa che ha pochi amici e che passa molte ore a giocare con un videogame online sull’internet.

Spiega un protagonista: “Per la nostra generazione il confine fra l’universo sintetico e quello reale è netta: il reale è quello in cui ceni con la tua famiglia o giochi a softball o ti vedi con la fidanzata dopo esserti scollegato da quello sintetico e avere spento il computer. Ma i giovani… non colgono la differenza. Gli universi sintetici stanno diventando sempre più reali per loro”.

Distinzione, questa, che inquieta molti genitori alle prese con figli che si tuffano nell’universo digitale. Ed è una distinzione importante, ma anche ambigua. Sì, è vero, un adulto distingue tra mondo sintetico e reale. E, a volte, per un giovane non è facile fare altrettanto. Tuttavia è bene procedere coi piedi di piombo: che vuol dire “reale”? Forse che un videogioco, un sito-comunità in cui si chatta con decine di persone, non sono reali? Mi sembra che la prospettiva andrebbe capovolta: la realtà è una sola e ne fanno parte anche gli “ambienti sintetici”. Lì le azioni, e le loro conseguenze, non sono meno reali che altrove. Insultarsi o confidarsi su Facebook non è meno reale che farlo in classe, e ha effetti più plateali. Passare ore su un videogioco è un divertimento reale che però può comportare un disordine reale, né più né meno che starsene a ciondolare tutto il giorno per la strada.

Pubblicato il 22 settembre 2010 - Commenti (0)
20
set

Il futuro della scuola

Un particolare della Scuola di Atene di Raffaello (Musei Vaticani)
Un particolare della Scuola di Atene di Raffaello (Musei Vaticani)

La scuola vista dalla parte dei ragazzi: un’inchiesta promossa da un’associazione no profit i cui risultati sono stati riportati sul quotidiano online Affari italiani, ci descrive come gli studenti italiani vorrebbero il futuro. Tra le migliorie più invocate primeggia l’ingresso massiccio della tecnologia, vale a dire l’uso di strumenti come Smartphone, iPad e videogiochi durante le lezioni e negli intervalli. I 1600 interpellati si dicono certi che imparerebbero di più e meglio se i programmi di studio venissero arricchiti con corsi interattivi di apprendimento e sfide al computer tra compagni.

Il tallone d’Achille d’inchieste del genere sta nel fatto che si domanda un giudizio sul cibo a chi è digiuno. Costui si esprimerà su odori, colori e parvenze, senza saper dire niente di sensato su sapori e qualità nutrizionali. Guardacaso quegli stessi ragazzi (73%) che con un plebiscito pretendono l’introduzione dei new media per rendere “più digeribili” le materie, affermano disprezzabile (65%) la fatica di studiare il pensiero di gente morta centinaia di anni fa, e tanti saluti alla storia umana. D’altra parte gli studenti non andrebbero a scuola se non fossero ignoranti.

Sono certo che la scuola trarrà vantaggio dall’uso delle nuove tecnologie. Che però da sole servono a poco: la sostanza infatti non sta nelle tecniche (luci, colori, effetti speciali) bensì nei linguaggi, vecchi e nuovi, se ben impiegati per comunicare il sapere. In questa prospettiva sì che rientrano anche i giochi interattivi e le sfide intellettuali mediate dal computer: purché tutti, insegnanti e allievi, se ne avvalgano per parlarsi da uomini. Le lavagne, di pietra o elettroniche, contano e conteranno sempre molto meno di ciò che qualcuno ci scrive e ci legge sopra.

Pubblicato il 20 settembre 2010 - Commenti (0)
16
set

Starcraft è già leggenda

Starcraft II offre una visuale prospettica dall’alto, adatta alle decisioni strategiche
Starcraft II offre una visuale prospettica dall’alto, adatta alle decisioni strategiche

Starcraft II, apparso a luglio, è una leggenda nel mondo dei videogiocatori. La nuova edizione, giunta 12 anni dopo la precedente, è già considerata un capolavoro. Edito da Activision Blizzard, è un “gioco di strategia in tempo reale”, una simulazione in cui, mentre ti muovi e decidi, l’avversario fa altrettanto, senza interruzioni per riflettere come negli scacchi, o per decidere la mossa successiva.

L’ambientazione di Starcraft (che si gioca su Pc e su Mac) è un universo futuribile e fantascientifico in cui alcune razze aliene contrastano quella umana, un po’ come in Star Trek. Il gioco (che è consigliabile da 16 anni in su) alterna fasi organizzative e momenti di scontro bellico a seconda delle missioni, che prevedono di reperire materiali, recuperare ostaggi, liberare prigionieri o conquistare territori. Svariate le unità da scegliere e addestrare, così come le risorse da trovare e i supporti da costruire: non sarà solo la violenza bruta a decidere le sorti di una missione (violenza che comunque è visivamente ammorbidita e sfumata; il paragone con gli scacchi torna a proposito).

Nella versione che si gioca online, tramite il sito del produttore, Starcraft II raggiunge il suo meglio: è l’equivalente digitale di un gioco di società. S’incontrano giocatori di ogni livello, spesso agguerriti e brillanti. S’impongono abilità e capacità strategiche. La controindicazione più seria per un gioco del genere è l’uso sregolato del tempo. Certe partite durano molte ore: dunque, accanto alle truppe e alle risorse industriali dei giocatori, è bene misurare anche quella risorsa preziosa che è il tempo personale, quando è il caso mettendosi d’accordo per interrompere e riprendere successivamente. Riuscirci non è impossibile, ed è una vera e durevole vittoria.

Pubblicato il 16 settembre 2010 - Commenti (0)
06
set

Nel Paese dei balocchi digitali

Una schermata del gioco Stardoll, sito-comunità frequentato da quasi 50 milioni di ragazzine.
Una schermata del gioco Stardoll, sito-comunità frequentato da quasi 50 milioni di ragazzine.

Nell’internet molti siti, specie quelli frequentati da persone in cerca di relazioni e conversazioni – i social network – ospitano sezioni dedicate al gioco. Facebook ne è pieno. Altri siti fanno da ingresso a grandi comunità di gioco. Uno di questi è Stardoll (www.stardoll.com), la “comunità online per ragazze più grande al mondo”. Propone a bambine e adolescenti di sesso femminile “dai 7 ai 17 anni” di creare e gestire una “bambola virtuale”, che può anche somigliare a un’attrice o a un personaggio famoso. Il gioco consiste nell’abbigliare la bambola, allestirne la suite, farle incontrare altre bambole le cui “proprietarie” diventeranno – comunicando sulla rete – conoscenti e amiche. Stardoll è enorme: vanta oltre 48 milioni di membri; ha una sezione in italiano. Varie istruzioni iniziali sono rivolte ai genitori, spiegando che possono mantenere il controllo su ciò che la figlia fa quando gioca con Stardoll. Ma di fatto l’iscrizione è aperta a chiunque, senza verifiche stringenti. Quindi l’unica vera forma di controllo è la presenza frequente: vedere e sapere che cosa fa la giocatrice e con chi chatta.

Stardoll è un gioco positivo? In sostanza no, dato che la filosofia di fondo è quella del consumo: compra nuovi accessori per essere sempre più bella, avere più abiti, sfoggiare un look superiore. A dosi equilibrate, tuttavia, non è che un gioco di bambole, come promette, e le conversazioni via rete con altre ragazze possono essere interessanti e divertenti. Sta ai genitori verificare, vegliare.

Discutibili e pericolosi senza appello sono invece siti come l’inglese Miss Bimbo  che propone di creare un personaggio e di renderlo sempre più simile a una “velina”, con la possibilità di ricorrere anche a chirurgia estetica “virtuale”. Il sito, di proprietà dell’inglese Blouzar, è anche un inno all’anoressia e ha giustamente scatenato polemiche.

Pubblicato il 06 settembre 2010 - Commenti (0)
06
set

Quando i videogiochi entrano in famiglia

Come i libri, come i film: i videogiochi sono mondi da esplorare in famiglia.
Come i libri, come i film: i videogiochi sono mondi da esplorare in famiglia.

I videogiochi non sono ciò che sembrano. Sembrano giocattoli, prodotti commerciali, svaghi disimpegnati. E invece sono opere capaci di colpirci in profondità, a un livello sia emotivo sia intellettuale. Toccano corde importanti dell’immaginazione, della memoria, dell’orientamento spazio-temporale, dei processi logici e di quelli intuitivi.

Si tratta di un mercato ingente: oggi in Italia i videogame vendono più dell’home video e dei cd musicali. Tanti soldi, soprattutto tanto pubblico interessato e tante teste pensanti dedite a inventare e a produrre. Sarebbe ingenuo trattarli come banali prodotti di consumo, senza pretese e senza conseguenze.

I videogiochi sono più simili ai libri che al Lego. Fanno entrare in mondi simili a quelli del cinema, ma ancora più coinvolgenti. Gli effetti speciali impressionano chi non è abituato al loro linguaggio, ma non sono l’aspetto principale: sono mezzi, tra altri, per trasmettere contenuti accuratamente elaborati. Possono essere preziosi per divertirsi e per imparare, o pericolosi se deformano e propongono contenuti non opportuni.

Pertanto in famiglia è importante assumere un atteggiamento più consapevole riguardo alla presenza e all’uso dei giochi per computer. Non intendo un atteggiamento spaventato, indignato, animato da pregiudizi. Intendo l’atteggiamento maturo di chi si sente soggetto di scelte perché decide lui che cosa ammettere in casa propria, e perché, e come. Questo atteggiamento, come una moneta, ha due facce: da un lato la responsabilità di chi controlla, sceglie e decide in positivo che cosa vuole. Dall’altro l’impegno di chi fa esperienza diretta accanto ai propri figli, indispensabile per conoscere e preliminare alle scelte.

Pubblicato il 06 settembre 2010 - Commenti (3)
06
set

Realtà virtuale? Più reale di così…

Secondo le statistiche, oltre la metà dei bambini usa il proprio cellulare per giocare e per scattare foto.
Secondo le statistiche, oltre la metà dei bambini usa il proprio cellulare per giocare e per scattare foto.

Sei bambini italiani su dieci, in un’età compresa tra i 7 e gli 11 anni, utilizzano un telefono personale. Lo dicono le statistiche. Le quali, se interpellate, direbbero anche che sei genitori italiani su dieci non hanno un’idea chiara di ciò che figlio o figlia fanno, o potrebbero fare, con le potenzialità tecnologiche di quel telefonino.

A papà e mamma risulta che l’apparecchio serva a telefonare. Sì, fa anche sms. E forse ci si può scattare fotografie, girare qualche filmato.

Non hanno idea del fatto che quel “telefonino” è un terminale mobile dell’internet, che può agganciarsi (o essere agganciato) dentro infiniti “luoghi virtuali” frequentati da persone reali. Folle di amici e di sconosciuti. Consente non soltanto di telefonare quanto di immergersi in una realtà senza confini e – paradosso, trattandosi di tecnologie basate sulla visualizzazione – senza schermi.

Nell’era digitale le prospettive cambiano. Un pc, un cellulare, sono punti di partenza per luoghi e attività sterminati, diversi, a volte meravigliosi e altre volte orribili. Con questi strumenti si può giocare, studiare, lavorare, conversare. Si può anche aggredire, distorcere, ferire.

Occorre anzitutto sapere, di quest’universo digitale che alcuni chiamano “realtà virtuale”, che non c’è niente di virtuale. È tutto reale: le persone, i discorsi, gli insulti, le carezze. Ciò che si fa nell’internet si fa davvero. C’è gente che ne vive e gente che ne muore. Gente che si rivela e gente che si traveste.

Qui entriamo in una dimensione “family” del mondo e del gioco digitale. Una dimensione, intendo, in cui le scoperte non si fanno da soli e soprattutto non si resta soli davanti all’ignoto. Perché la sostanza della famiglia pulsa dentro l’avverbio “insieme”, e insieme non c’è niente che non sia abbastanza importante da meritare attenzione, né troppo impegnativo per non meritarla.

Pubblicato il 06 settembre 2010 - Commenti (1)

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Autore del blog

Family Game

Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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