Secondo le statistiche, oltre la metà dei bambini usa il proprio cellulare per giocare e per scattare foto.
Sei bambini italiani su dieci, in un’età compresa tra i 7 e gli 11 anni, utilizzano un telefono personale. Lo dicono le statistiche. Le quali, se interpellate, direbbero anche che sei genitori italiani su dieci non hanno un’idea chiara di ciò che figlio o figlia fanno, o potrebbero fare, con le potenzialità tecnologiche di quel telefonino.
A papà e mamma risulta che l’apparecchio serva a telefonare. Sì, fa anche sms. E forse ci si può scattare fotografie, girare qualche filmato.
Non hanno idea del fatto che quel “telefonino” è un terminale mobile dell’internet, che può agganciarsi (o essere agganciato) dentro infiniti “luoghi virtuali” frequentati da persone reali. Folle di amici e di sconosciuti. Consente non soltanto di telefonare quanto di immergersi in una realtà senza confini e – paradosso, trattandosi di tecnologie basate sulla visualizzazione – senza schermi.
Nell’era digitale le prospettive cambiano. Un pc, un cellulare, sono punti di partenza per luoghi e attività sterminati, diversi, a volte meravigliosi e altre volte orribili. Con questi strumenti si può giocare, studiare, lavorare, conversare. Si può anche aggredire, distorcere, ferire.
Occorre anzitutto sapere, di quest’universo digitale che alcuni chiamano “realtà virtuale”, che non c’è niente di virtuale. È tutto reale: le persone, i discorsi, gli insulti, le carezze. Ciò che si fa nell’internet si fa davvero. C’è gente che ne vive e gente che ne muore. Gente che si rivela e gente che si traveste.
Qui entriamo in una dimensione “family” del mondo e del gioco digitale. Una dimensione, intendo, in cui le scoperte non si fanno da soli e soprattutto non si resta soli davanti all’ignoto. Perché la sostanza della famiglia pulsa dentro l’avverbio “insieme”, e insieme non c’è niente che non sia abbastanza importante da meritare attenzione, né troppo impegnativo per non meritarla.
Pubblicato il 06 settembre 2010 - Commenti (1)