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Ragazzi all’opera nel Laboratorio videogiochi del Fiuggi Family Festival 2010.
Due notizie significative sono apparse nei giorni scorsi sui giornali. Da un lato una ricerca mostrava quanto sia vero che le ultime generazioni sono diverse dalle precedenti rispetto all’apprendimento e alla percezione del mondo: imparano a maneggiare un mouse e un telecomando ben prima di saper parlare, leggere o andare in bici. Dall’altro lato, ricercatori ci informano che, a quanto pare, la dipendenza da videogiochi in età infantile può frequentemente generare ansia e depressione.
Sono dati su cui riflettere. Senza, tuttavia, indurci ad accettare per comprovate alcune conclusioni che, in assenza di prove più ampie e circostanziate, assomigliano piuttosto a pregiudizi. Un bambino o una bambina crescono entro la cornice del mondo reale: una cornice che oggi è piena zeppa dei manufatti, delle tecnologie e dei linguaggi che noi stessi, i loro genitori, abbiamo inventato e prodotto.
In sé questa constatazione non è né nuova né particolarmente significativa, dal momento che da sempre i figli beneficiano delle innovazioni prodotte dai padri. Semmai c’è da domandarsi se non siamo proprio noi, i padri odierni, a essere confusi dalla vertiginosa rapidità delle innovazioni, visto che confusioni del genere facilmente si ripercuotono sui più giovani.
Ugualmente, quanta dall’ansia dei piccini davanti a computer e videogiochi è indotta dal fatto stesso di essere abbandonati lì da genitori stremati o distratti, che li parcheggiano davanti allo schermo per sbarazzarsene o almeno per rifiatare? Dovremmo chiederci, quindi, quanto tempo passiamo accanto a loro, anche mentre giocano, per aiutarli a scoprire il mondo. Se non lo facciamo, forse il problema è lì, nello stile di vita che ce lo rende impossibile. Forse è da qui che dovrebbe partire la riforma del nostro mondo.
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24 gennaio 2011 - Commenti
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Dietro i videogiochi ci sono commercianti avidi di denaro? I malpensanti potrebbero ricredersi conoscendo iniziative come quella di OneBigGame (www.onebiggame.com). È un editore di videogiochi non-profit fondato nel 2007 negli Stati Uniti da professionisti del settore. Si propone di ricavare dal mondo dei games e dei gamers – cioè quelli che i giochi li inventano, li producono e li giocano – risorse economiche per aiutare chi ha bisogno, specialmente bambini di tutto il mondo (si appoggia a organizzazioni come Save The Children).
OneBigGame produce e vende giochi che sono stati allestiti grazie alla collaborazione gratuita di professionisti del settore. Almeno l’80% del ricavato va in beneficenza. Inoltre i giochi prodotti si propongono di promuovere aspetti positivi della personalità.
Recentemente OneBigGame ha annunciato il suo secondo progetto. Si chiama WINtA (sigla misteriosa, non sono riuscito a scoprirne il significato), un “music & rhythm game”, vale a dire un gioco che fa interagire con le melodie tramite i polpastrelli, la parte di noi che entra in contatto con il touch screen e può inseguire i ritmi a forza di… tamburellare. L’inventore è un “grande” giapponese dei videogame, Masaya Matsuura, il primo a ideare in passato giochi musicali per la PlayStation.
WINtA unisce una sfida basata sul riconoscimento e la naturale tendenza umana a combinare ritmi e parole con l’utilizzo delle possibilità di interazione tattile offerte da iPhone e iPod touch, le piattaforme a cui il gioco si rivolge. Sarà presto disponibile nell’Apps Store, gratuito salvo acquistare altre canzoni online con cui giocare, fornite da autori famosi che hanno deciso di appoggiare il progetto (tra cui gli Who, Underworld, UNKLE ecc.).
Il primo progetto di OneBigGame è stato invece Chime, disponibile per pc via Steam e per Xbox 360 via Live Arcade. Si tratta di un puzzle game musicale che contiene all’interno sei brani musicali e altrettanti livelli da completare sbloccando la musica secondo la propria capacità di disporre i pezzi (dei rettangoli, sullo stile di tetris) per completare il livello. La versione pc è disponibile per un po’ meno di 5 euro (4,99$) e fin qui è stata un successo.
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10 gennaio 2011 - Commenti
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