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L’ansia dei figli e quella dei padri
Ragazzi all’opera nel Laboratorio videogiochi del Fiuggi Family Festival 2010.
Due notizie significative sono apparse nei giorni scorsi sui giornali. Da un lato una ricerca mostrava quanto sia vero che le ultime generazioni sono diverse dalle precedenti rispetto all’apprendimento e alla percezione del mondo: imparano a maneggiare un mouse e un telecomando ben prima di saper parlare, leggere o andare in bici. Dall’altro lato, ricercatori ci informano che, a quanto pare, la dipendenza da videogiochi in età infantile può frequentemente generare ansia e depressione.
Sono dati su cui riflettere. Senza, tuttavia, indurci ad accettare per comprovate alcune conclusioni che, in assenza di prove più ampie e circostanziate, assomigliano piuttosto a pregiudizi. Un bambino o una bambina crescono entro la cornice del mondo reale: una cornice che oggi è piena zeppa dei manufatti, delle tecnologie e dei linguaggi che noi stessi, i loro genitori, abbiamo inventato e prodotto.
In sé questa constatazione non è né nuova né particolarmente significativa, dal momento che da sempre i figli beneficiano delle innovazioni prodotte dai padri. Semmai c’è da domandarsi se non siamo proprio noi, i padri odierni, a essere confusi dalla vertiginosa rapidità delle innovazioni, visto che confusioni del genere facilmente si ripercuotono sui più giovani.
Ugualmente, quanta dall’ansia dei piccini davanti a computer e videogiochi è indotta dal fatto stesso di essere abbandonati lì da genitori stremati o distratti, che li parcheggiano davanti allo schermo per sbarazzarsene o almeno per rifiatare? Dovremmo chiederci, quindi, quanto tempo passiamo accanto a loro, anche mentre giocano, per aiutarli a scoprire il mondo. Se non lo facciamo, forse il problema è lì, nello stile di vita che ce lo rende impossibile. Forse è da qui che dovrebbe partire la riforma del nostro mondo.
Pubblicato il 24 gennaio 2011 - Commenti (2)