12
giu

Fx Calcio, inventa la tua squadra

Una schermata tattica di "Fx Calcio"
Una schermata tattica di "Fx Calcio"

Mi piace consigliare Fx Calcio (Fx Interactive), simulatore di calcio per pc, perché ci sono affezionato. Già molti anni fa, alla fine degli anni Novanta (si chiamava allora Pc Calcio), era un titolo “fuori schema”, ovvero fuori dai circuiti della grande concorrenza dei “nobili” Fifa e Pro Evolution Soccer: addirittura si poteva comprarlo in edicola e costava un quarto.

Certo, era più spartano nella grafica e in tanti altri particolari. In compenso c’erano infinite scelte fra cui spaziare e soprattutto una “modalità carriera” semplice e completa. Giocavi a fare l’allenatore e al momento della partita, se volevi, scendevi in campo a dimostrare (manovrando i giocatori) che le tue teorie e i tuoi schemi funzionavano davvero.

È passato del tempo. Fx Calcio si è evoluto, rinunciando al calcio giocato per restare un titolo manageriale. Costa tuttora molto meno di altri videogiochi: 20 euro. La dimensione della progettazione è completa e convincente: dallo stadio allo staff medico, dalle tattiche alla ricerca di nuovi talenti per il vivaio. Se si vuole, si fa al tempo stesso da presidente, da allenatore, da preparatore atletico, da talent scout.

Ecco un video. Benché si riferisca all'edizione spagnola, mostra quel che va visto ed è facile da seguire:

la visualizzazione delle fasi di gioco (si possono dare istruzioni tatiche)
la visualizzazione delle fasi di gioco (si possono dare istruzioni tatiche)

 Certo, qualche particolare lascia a desiderare: molte squadre hanno ricevuto nomi strani (per questione di diritti pubblicitari, ma si possono cambiare “a mano”: l’Inter non può continuare a chiamarsi Lombardia…), la visualizzazione delle partite fa venire qualche brivido… Ma nell’insieme è – come è sempre stato – un gioco di fattura onesta e divertente.

Pubblicato il 12 giugno 2013 - Commenti (0)
03
giu

Videogiochi, inventiva e spirito critico

"Journey" è un premiato e affascinante videogioco per PS3 ambientato in un deserto surreale
"Journey" è un premiato e affascinante videogioco per PS3 ambientato in un deserto surreale

Si è tenuta in questi giorni a Milano la Wired Next Fest, riunione di esperti e appassionati di nuovi media tecnologici organizzata dalla rivista Wired.

Tra le molte sollecitazioni, due contrapposte. Uno spunto importante viene da Evgeny Morozov, guru della rete e dei suoi influssi sociali, in questi giorni a Milano per la Wired Next Fest organizzata dall’omonima rivista: “Abbiamo sensori ovunque, che condizionano il nostro comportamento. Ci sono app per mangiare meglio, ombrelli collegati al web che ci dicono se pioverà, bidoni della spazzatura ‘intelligenti’ per sprecare meno. Siamo sempre collegati ai social. Ma dovremmo cercare di capire cosa sta dietro a tutto questo, perché abbiamo smesso di essere critici”.

Direttamente connessi al mondo dei videogiochi sono invece stati gli auspici di altri addetti ai lavori, che ci vedono risorse per agevolare chi è disagiato ma anche per aiutare a comprendere il mondo e per cogliere la distinzione fra ciò che è bene e ciò che è male. Suggestivo l’esempio di Flower, un gioco per PlayStation 3 dove non c’è niente da uccidere né da vincere: si impersona un vento benevolo che raccoglie e trasporta a suo piacere petali di fiori, con effetti emozionanti.

Ecco un video:

Un'immagine del videogioco "Cloud"
Un'immagine del videogioco "Cloud"

Temi trattati abbastanza di frequente in queste pagine digitali. Mettendo in sintonia i due spunti viene da ribadire un concetto: non esistono “i videogiochi”, come non esistono i libri o i film. Esiste questo concreto videogioco, libro, film, con la sua proposta umana di contenuti e di scopi. A ciascuno di noi valutarli. Tutti sappiamo quanto bene possa fare una bella e valida storia, o quanto possa danneggiare un racconto negativo e falsificante.

Dello stesso autore di Flower - Jenova Chen, giovane game designer cinese - è Cloud, un incantevole puzzle fatto di nuvole, per Windows.

Pubblicato il 03 giugno 2013 - Commenti (0)
28
mag

Nuove console e spazi familiari

La nuova console Microsoft "rivelata" a metà maggio
La nuova console Microsoft "rivelata" a metà maggio

Le nuove console interattive stanno per arrivare. Crescono i “rumori” attorno alle imminenti uscite di Sony e Microsoft, ovvero PlayStation 4 e Xbox One.

Dal punto di vista tecnologico probabilmente ci sarà da stropicciarsi gli occhi: velocità, grafica eccetera.

A noi però importa di più capire che cosa apporteranno di nuovo. Posto che le chiacchiere restano tali in assenza di riscontri concreti, tuttavia il fatto innegabile è la necessità di un riposizionamento. Il mondo dei videogiochi “classici”, infatti, subisce la duplice erosione del mercato interno e di quello esterno: da una parte, il numero di videogiochi di fascia alta si è ridotto perché pochi possono permettersi certi budget senza la garanzia di vendere copie in proporzione. Dall’altra, il pulviscolo di giochi diffusi su tablet e smartphone ha lasciato vedere nuovi modi di intrattenersi senza il bisogno di “macchine dedicate”.

Pare di capire che le nuove console andranno a chiedere nuovi spazi alle famiglie. Diventeranno sempre più il cuore tecnologico dei soggiorni, da cui comandare qualsiasi interazione con i media. Addirittura, Microsoft ha appena brevettato un sistema per “premiare” la visione di specifici programmi tv, serie di fiction o eventi sportivi: nuovi spazi, o nuovi modi di gestire gli spazi di sempre. E i videogiochi saranno soltanto un pianeta, per quanto primario, delle costellazioni da gestire.

Qui sotto invece il trailer della nuova PlayStation:

Nessuno però chiede alle famiglie che spazi chiedono e come vogliono occuparli rispetto alla ricchezza delle loro relazioni interpersonali. Essere attivi e interattivi non vuol dire soltanto fare click su controller e telecomandi, bensì schierarsi a partire dalla qualità dei contenuti. Che compriate o no le nuove console, è questo che conta.

Pubblicato il 28 maggio 2013 - Commenti (0)
21
mag

Save the last dance

Immagini del flashmob di piazza Duomo
Immagini del flashmob di piazza Duomo

Chi ha detto che i videogiochi isolano dal mondo? L’altra sera, l’11 maggio alle 19, migliaia di appassionati del videogioco Just Dance si sono dati “appuntamento virtuale” per un flashmob in piazza Duomo, a Milano, a ballare tutti insieme in un evento organizzato dall’editore Ubisoft insieme con Radio Italia.

Si dice “flashmob”, si traduce come un richiamo raccolto nella rete digitale per ritrovarsi tutti insieme in uno stesso posto alla stessa ora. Senza conoscersi l’un l’altro, ma pronti a fare la stessa cosa: ovvero, nel caso, a ballare a tempo sulle note di Cercavo amore di Emma.

Just Dance è il capofila di una particolare categoria di videogiochi: possiamo chiamarli  i “tutor di danza”. Con l’aiuto dei controller, se si ha la Wii o la PlayStation, oppure soltanto con il controllo del corpo se si adopera Windows Kinect, si balla a ritmo, da soli o in gara con altri, presenti o via rete.

Ecco qui sotto un video diffuso sul web per preparare la coreografia del flashmob:

La grafica del videogame
La grafica del videogame

Nessun altro videogioco possiede la stessa capacità di impegnare integralmente lo spazio e il corpo, mettendo in comunicazione altrettanto direttamente la realtà fisica e quella elettronica. L’enorme successo (40 milioni di copie, ma ci sono anche i concorrenti) dimostra che questa modalità di ballo, niente affatto solitaria, viene ormai recepita come normale. Certo, a ben guardare c’entra anche la somiglianza – certo non involontaria – con i format di ballo televisivi, verso i quali si crea, grazie allo schermo, alle voci delle guide virtuali e alla competizione, una forte immedesimazione.

Pubblicato il 21 maggio 2013 - Commenti (0)
14
mag

Telefoni? No, terminali

Immagini dalla campagna pubblicitaria di 1st Fone
Immagini dalla campagna pubblicitaria di 1st Fone

Bambini e telefono. Secondo un report recente di Telefono Azzurro, il 53,7% dei bambini e il 97,8% degli adolescenti italiani ne possiedono uno. Sarebbe interessante verificare quante e quali funzioni svolgono questi apparecchi, che nella grande maggioranza dei casi sono in grado di svolgere ben altre funzioni oltre a quella di fare e ricevere chiamate: videogiochi, fotografie, filmati, accesso a internet e ai social media.

Dalla Gran Bretagna, secondo quanto riferiva il Corriere della Sera qualche giorno fa, arriva la novità del “1st Fone”, un apparecchio abilitato soltanto a telefonare, e soltanto a pochi numeri predeterminati: c’è un “tasto mamma”, un “tasto papà”, uno dedicato ai nonni o a chi si vuole, e nient’altro.

La nostra voglia di sapere dove sono e che cosa fanno i nostri ragazzi ha condizionato sempre più la diffusione dei cellulari in mano a giovani e giovanissimi. Essendo però telefoni portatili, la localizzazione del possessore resta affidata alla fiducia: “Dove sei?” è la frase più gettonata, ma anche quella che può ricevere le risposte più evasive.

L’idea dei britannici è quella di limitare il traffico telefonico alle chiamate di prima necessità. Non so se quei telefoni arriveranno mai in Italia, Paese telefonico per eccellenza (siamo i primi al mondo per numero di utenze in rapporto alla popolazione), ma lo spunto è buono per riflettere sulla reale impossibilità, in famiglia, di governare l’accesso dei più giovani alla rete globale: per riuscirci un telefono basta e avanza.

Sappiamo quali funzioni sono abilitate nei cellulari dei nostri figli? Sappiamo se sono in grado di acquisire applicazioni, magari gratuite, in qualche caso consentite dall’inserimento distratto del nostro numero di carta di credito?

Il problema non è, in sé, soltanto quello di poter accedere alla rete. È piuttosto quello di avvertire la responsabilità delle conseguenze che si innescano a partire da quegli accessi: il consenso esplicito o implicito a divulgare dati personali che spesso sono anche fotografie, filmati, spezzoni di vita privata che una volta immessi nella rete non si possono più controllare.

Una mamma mi raccontava l’episodio, accaduto a scuola, di una ragazzina quattordicenne che aveva spedito una propria foto intima al suo ragazzo, come gesto privato di affetto. Solo che il destinatario l’aveva girata al migliore amico, come “trofeo” condiviso. E l’amico a sua volta l’aveva inoltrata, fino al punto che della foto, pochi giorni dopo giravano un centinaio di esemplari.

La questione è finita in mano alla polizia, dal momento che inoltrare una foto del genere equivale a diffondere materiale pedopornografico. Ma di questa vicenda è lampante soprattutto l’incoscienza dei protagonisti, incapaci di distinguere fra un gesto discutibile, sì, ma privato, e un atto pubblico dalle gravi conseguenze.

Non voglio spaventare nessuno, ma occorre essere responsabili per sé e per i più giovani. Una seria conversazione sull’uso dei terminali portatili s’impone, anche su cose che sembrano banali: giochi innocenti come Angry Birds trasmettono a terze parti nome utente e password, lista contatti, posizione dell’utente e id del telefono. Sono dati sensibili, che alterano non poco il concetto di “gratis” e di privacy.

Pubblicato il 14 maggio 2013 - Commenti (0)
07
mag

Videogiochi: malattia o terapia?

Giocare con i videogiochi fa bene o fa male? Oggi ho letto tre notizie contrastanti. La prima, a firma di un oculista, informa che gli schermi di pc, smartphone e tablet possono affaticare gli occhi dei bambini, inducendo una sorta di miopia da stanchezza soprattutto nel caso di intensa frequentazione di videogiochi, che sovraccaricano i muscoli oculari.

Bene a sapersi, anche se credo che sia un’epoca in cui gli occhi di tutti noi sono sovraccarichi di immagini.

D’altra parte un gruppo di ricercatori canadesi ha pubblicato un articolo in cui si sostiene che i videogiochi possono contribuire a curare l’ambliopia, ovvero quella “pigrizia oculare” che affligge molti bambini e che finora si curava bendando l’occhio “sano” per obbligare l’altro a fare il suo dovere.

Insomma, è questione di prospettive.

Infatti ecco un’altra notizia positiva: una ricerca dell’Università dell’Iowa è giunta alla conclusione che l’uso di videogiochi può ritardare di molto il declino cognitivo negli anziani. Detto questo, secondo i ricercatori i vantaggi si possono misurare già dai cinquant’anni in su.

Una conferma divertente viene dal confronto del gruppo di anziani videogiocanti con un altro gruppo di vecchietti dediti alle parole crociate: i risultati sono stati fino a sette volte migliori dalla parte dei videogame.

In sostanza, da notizie come queste si ricavano utili conferme di ciò che si poteva intuire: darsi da fare con l’interattività indubbiamente stimola. Il resto è misura, è equilibrio.

Pubblicato il 07 maggio 2013 - Commenti (0)
29
apr

Un corso di pittura firmato Topolino

Di Art Academy, l’applicazione interattiva che aiuta a disegnare e a dipingere sulla console portatile Nintendo 3DS, abbiamo già parlato tempo fa. Torno sull’argomento perché la ritengo un ottimo esempio di ciò che si può fare attraverso uno schermo interattivo. Me ne dà spunto un accordo fra Nintendo e Disney, di cui è stata data notizia nel mese di aprile, grazie al quale i possessori della console potevano godere di un corso di disegno che ha come oggetto i personaggi di Topolino.

Professore del corso è il fumettista e disegnatore Claudio Sciarrone. Ho scritto "potevano" perché le lezioni interattive sono state usufruibili soltanto per una settimana tramite il canale gratuito Nintendo Video, un’app che consente di scaricare contenuti sulla DS3. Spero che la proposta abbia avuto un successo tale da indurre a rendere ancora disponibili questi materiali per più tempo.

A ogni modo,  la versione più recente dell'app, New Art Academy, contiene di suo un corso in ben 32 lezioni: lo strumento viene utilizzato sfruttandone tutte le potenzialità, dalla fotocamera all’uso dello stilo sullo schermo a modo di pennello, e i risultati possono essere scambiati e condivisi via rete.

Nel mondo touch screen, anche per altri sistemi operativi di tablet e smartphone, le app dedicate alla pittura sono molte. In questo caso però spicca la volontà di aiutare a trasformare un passatempo in un’attività più strutturata, che dà i mezzi per trasformare l’interesse in passione. E la tecnologia si dimostra - non sempre accade - una scorciatoia per l'apprendimento, capace di simulare gesti e risultati non soltanto splendidi, ma carichi di arte, di sapienza e di storia.

Ecco un video:

Ed eccone un altro:

Pubblicato il 29 aprile 2013 - Commenti (0)
22
apr

In nome dei Transformers

I Transformers sono quei robot-veicoli di provenienza aliena che si dividono in molti modelli e in due squadre: una minaccia la Terra, l’altra la protegge. Li abbiamo conosciuti come cartoni animati, al cinema in tre film movimentati, e soprattutto molti bambini li conoscono sotto forma di giocattoli.

Per celebrare il trentesimo anniversario che cade nel 2014, la casa produttrice si è inventata un sondaggio virtuale universale per stabilire, in base alle preferenze espresse votando sul sito www.transformers.com/vote, quale sarà il nuovo personaggio sotto forma di pupazzo (e chissà, lo vedremo prima o poi in qualche film).

Il nuovo personaggio sarà un Autobot, quindi un leale abitante di Cybertron, o un malvagio Decepticon? Lo deciderà la Rete, come pure sceglierà a prevalenza il colore, la personalità, le armi in dotazione e soprattutto se si trasformerà in un auto, un elicottero o un jet. In più, dopo la fase di creazione, verrà il turno di scegliere il nome del nuovo personaggio. Le votazioni sono aperte fino al 5 maggio.

Una simpatica trovata, che forse lascerebbe il tempo che trova se quella dei Transformers non fosse una comunità di fan vasta, solida e antica. Stando così le cose, perché non imprimere anche il proprio sigillo nel futuro della serie? Sono, anche queste, piccole novità dell’era digitale, in cui talvolta i pensieri si fanno realtà in un battere di byte.

Qui sotto il trailer di uno dei film:

Pubblicato il 22 aprile 2013 - Commenti (0)
16
apr

Se si evade dalla vita vera

Che cosa sia accaduto nella mente delle due adolescenti friulane che hanno ucciso e poi se ne sono andate a girovagare non è dato sapere, al momento, nemmeno dal punto di vista fattuale, figurarsi da quello interiore.

Resta, tra le poche dichiarazioni riportate dai giornali, la frase “ci sembrava di essere in Grand Theft Auto”, ovvero nel videogioco indubbiamente “violento” di cui abbiamo varie volte, l’ultima recentemente.


Fin troppo facile saltare a bordo del carro dei “visto che succede con i videogiochi?”. A me pare più proficuo partire invece dall’evidenza di un comportamento così insensato da trovare paragone soltanto in vicende irreali. Non conosco – non conosciamo –  dettagli sull’esistenza che le due ragazze conducevano, ma tutto lascia pensare che quanto accaduto rientri in un quadro di profonda distorsione della realtà a vantaggio, se così si può dire, di una fantasia che vuol imporsi a ogni costo.

I videogiochi possono contribuire a creare realtà alternative, certo. Ma è anche vero il contrario: il mondo è pieno di persone che, volendo evadere dalla realtà, si tuffano in mondi virtuali dove nessuna “dura verità” può contraddirle. E smarriscono la distinzione fra i due piani.

Credo che sia questo il pericolo più grande: dove si vuol vivere, nella realtà o nelle fantasie? L’assistenza dei familiari, dei formatori, verso i giovani dovrebbe essere un accompagnamento sui sentieri della vita vera. A volte è l’esatto contrario, e la vita diventa un incubo da cui si vorrebbe fuggire. Altre volte si fa del proprio meglio ma il malessere si fa strada lo stesso. In entrambi i casi l’esistenza può diventare un assurdo videogioco, ma i videogiochi c'entrano poco.

Pubblicato il 16 aprile 2013 - Commenti (0)
10
apr

LucasArts, addio e grazie

Un'inquadratura dalla versione videogioco di "La guerra dei cloni"
Un'inquadratura dalla versione videogioco di "La guerra dei cloni"

Che delusione. Disney chiude LucasArts, come dire un sogno che se ne mangia un altro, qualcosa come un incubo nell’immaginario collettivo. LucasArts è la casa di produzione di videogiochi fondata molti anni fa, nel 1982 (il nome allora era LucasFilm Games), dal regista George Lucas, il quale aveva visto bene che quella dei giochi interattivi sarebbe stata una stagione lunga e intensa. Dopo una storia brillante, cinque mesi fa l’azienda era stata rilevata dal colosso dell’animazione. Che bello, pensavamo, si annunciano nuove fioriture. E invece no: tutti a casa i 150 dipendenti, blocco dei progetti in atto, vaghe promesse che qualcosa continuerà col nuovo marchio.

Dedico questo post alla memoria di LucasArts perché è stata la casa di produzione di videogiochi più attenta, in assoluto, a far coincidere l’intrattenimento interattivo con una visione serena, simpatica, familiare e al tempo stesso eroica delle storie. Oltre agli innumerevoli giochi ambientati nell’universo di Star Wars, che non potevano mancare, LucasArts resta giustamente famosa per alcune serie delle origini di questo mondo: quella di Monkey Island – della quale abbiamo già parlato in Il gioco più divertente, gennaio 2012 – e per le avventure dedicate a Indiana Jones sotto forma di cartone animato. Qui sotto un lungo filmato da Indiana Jones e l’ultima crociata, del 1989, anno in cui era uscito l’omonimo film con Harrison Ford. Si tratta di una delle migliori trasposizioni fra i due generi, in cui la vicenda assume autonomia e garantisce divertimento.

Peccato sia finita così.

Pubblicato il 10 aprile 2013 - Commenti (0)
04
apr

Videogiochi da annusare?

Così dovrebbe presentarsi il "GameSkunk"
Così dovrebbe presentarsi il "GameSkunk"

Ma tu guarda. Sapevamo che il desiderio di simulare sempre più fedelmente la realtà anima da sempre ciò che avviene “dietro” gli schermi di un computer, ma ci eravamo rassegnati ad accontentarci di effetti sempre più speciali a livello di video e audio.

Oggi però ho letto il comunicato di un’agenzia che annuncia il grande salto: i videogiochi entrano nel regno dell’olfatto. In verità non è la prima volta che si tentano esperimenti del genere: il “cinema olfattivo” ha avuto le sue stagioni fin dal 1959, con odori inseriti nelle poltrone in sala, nell’impianto di aerazione e più recentemente in schede gratta-e-annusa. In tutti i casi con più difetti che pregi, posto che non tutti gli odori erano gradevoli e che comunque non lo era il loro ammassarsi nelle sfortunate narici degli spettatori.

L’aggeggio presentato dalla californiana Sensory Acumen alla recente Game Developer Conferenze 2013 di San Francisco si chiama GameSkunk ed è una periferica dotata di venti cartucce piene di oli aromatici, attivabili in automatico quando viene il momento, per accrescere il realismo della scena in cui si è immersi.

L’agenzia Punto informatico spiega così le possibilità: “Se si è alla guida di un bolide virtuale in una sfrenata corsa automobilistica, si potrà avvertire l'odore dei fumi dai tubi di scappamento, della benzina o delle gomme bruciate lasciate sull'asfalto. Se si è intenti in un gioco di ruolo, alcuni effetti olfattivi potrebbero permettere la risoluzione di un enigma o il ritrovamento di qualche oggetto. Ed ancora: in uno sparatutto in mezzo alla foresta si potrebbe sentire l'odore dell'erba umida o l'arrivo di un nemico o di uno zombie proprio dal cattivo odore”.

Si aggiunge che l’apparecchio è stato studiato per scopi terapeutici: per esempio, per alleviare lo stress dei reduci riproducendo gli odori dei campi di battaglia. Sarà…

Qui sotto il trailer di un gioco di guerra di imminente uscita, Company of Heroes 2 (THQ), riservato ai maggiori di 16 anni, che racconta con crudissimo realismo la campagna di Russia della seconda guerra mondiale. C’è bisogno anche di odorare?


Pubblicato il 04 aprile 2013 - Commenti (0)
26
mar

Basta con lo "stellone"

Avrei volentieri scritto d’altro, ma le ultime notizie sul crescere dei giochi d’azzardo, in specie slot e videopoker, sono terrificanti. Riporto alcune frasi eloquenti apparse sul Corriere della Sera del 24 marzo:

«Solo tre anni fa le entrate dai giochi avevano già raggiunto i 61 miliardi di euro, qualcosa come il 4% del PIL, e nel 2011 Famiglia Cristiana pubblicava un articolo dal titolo: “Giochi d’azzardo, lo Stato biscazziere”. Il fenomeno è importante, è cresciuto nel frattempo di ulteriori 9 miliardi di euro e in alcuni casi ha risvolti inquietanti, mentre è avvertita la necessità di arrestare nuove concessioni, di controllare il web e di fare un passo indietro su alcuni giochi che di ludico ormai non hanno più nulla. Il mercato attuale dei giochi pubblici in Italia vale infatti 70 miliardi di euro ed è in continua crescita: nel 2012 è aumentato del 14% e l'azienda è ai primi posti in Italia per volume d'affari.

Vincono le slot, quasi 400mila in Italia, mentre c'è ora il boom delle VLT (video lotteries) e dei mini casinò. Lo stesso sindacato ammette che queste macchine sono troppe e punta il dito sul tema della ludopatia e della dipendenza da gioco, ormai incontrollate. Ultimo tema caldo: il gioco online, cresciuto oggi al 16,3% del mercato dei giochi e completamente incontrollato.

 Il mercato dei giochi pubblici, secondo la più recente stima del Coordinamento Nazionale gruppi per giocatori d’azzardo, è così suddiviso: slotmachine (55,6%), giochi online (16,3%), lotterie (11,4%) lotto (7,2%), scommesse sportive (4,2%), giochi numerici (2,2%), bingo (2%) totocalcio, tris (1,2%). Questo mercato vale oltre 70 miliardi di Euro. Nel 2012 è cresciuto tra il 13% ed il 14% rispetto al 2011.

L’azienda gioco è quindi ai primi posti in Italia per volume d’affari».

Fin qui la cronaca. Penso che questo sia il volto più triste di quella che una volta per gli italiani era la risorsa delle risorse: lo “stellone”, la fortuna malgrado tutto. Nel “malgrado tutto” oggi c’è un’Italia che affonda, che distrugge senza costruire e anziché costruire spesso evade.

Non ce l’ho con chi ogni tanto si diverte a puntare spiccioli al Superenalotto o al Grattaevinci, senza dire dei mille giochi accessibili senza fatica sul web. Penso però che siccome tantissime persone lo fanno, l’educazione in famiglia consiste almeno nel moderarsi e nello spiegare instancabilmente la differenza fra un piccolo e occasionale solletico alla buona sorte e la solida realtà del lavoro, della solidarietà, dell’andare avanti insieme.

Papa Francesco, così presente in queste settimane di speranza, ha parlato di sé come di un costruttore di ponti. Anche il gioco è un ponte, ed è bene che in famiglia lo sia verso la realtà, non verso la fuga. Esempi piccoli e piccolissimi possono impartire lezioni eterne.

Pubblicato il 26 marzo 2013 - Commenti (1)
20
mar

Kinect, comandare il pc col corpo

Microsoft Kinect diventa open source. In linguaggio italiano, l’interfaccia elaborata da Microsoft per comandare la console con il corpo, senza mouse né controller né telecomandi, non è più un segreto industriale perché Microsoft ha pubblicato i codici che consentiranno a qualsiasi programmatore di elaborare software compatibili.

Non ho mai pensato che Kinect fosse uno strumento esclusivamente dedicato al gioco, e adesso credo che la recente apertura indirizzerà la programmazione verso gli scopi per cui l’interfaccia “corporea” di Microsoft era stata originariamente progettata. Prima che sia troppo tardi: prima, cioè, che altri concorrenti facciano troppa strada in questo campo. Per esempio le nuove tv Samsung già dispongono di un interfaccia vocale e di una loro rudimentale interfaccia in stile “Kinect”.

Giocare con Kinect (ma anche con Wii, infatti la nuova seconda edizione non ha incontrato il successo sperato) è da un certo punto di vista fin troppo scontato, dall’altro eccessivo. Scontato perché ormai non c’è valore aggiunto, tutti contano sul fatto che la propria console riconoscerà i movimenti corporei se e quando serve. Ma anche eccessivo perché, appunto, giocare con l’uso del corpo non sempre serve e non sempre è piacevole. Può risultare insufficiente come precisione ed eccessivo come dispendio di energie. Dipende dal gioco, certo, ma fatto sta che nessun gioco “serio”, ginnastica e ballo a parte, ha tratto vantaggio da queste nuove interfacce.

D’altra parte al momento di chiedersi in che direzione possa andare il rapporto “senza fili e senza strumenti” tra uomo e computer, la risposta partorisce un topolino: impartire comandi con la voce e con i gesti, forse poco più di questo. In attesa che qualche genio ci smentisca.

Intanto, da Mediaworld tv, ecco un video che spiega un ventaglio di giochi disponibili per l'interfaccia Microsoft:

Pubblicato il 20 marzo 2013 - Commenti (0)
12
mar

Barcraft, il nuovo intrattenimento digitale

Da lunedì 11 marzo è disponibile Starcraft II: The Heart of the Swarm, secondo episodio di un mondo interattivo che mette molte suggestioni narrative della fantascienza al servizio di un  gioco che è, da una parte, sempre più scenografico e sorprendente da esplorare in prima persona e, dall’altro, aperto a complesse ma efficaci sfide multigiocatore. Tecnicamente questa è una espansione, sicché per giocarla serve possedere il gioco primogenito: Starcraft II: Wings of Liberty.

In passato avevo già sottolineato in questa rubrica come, pur essendo Starcraft un gioco “di battaglie” (è un videogioco strategico in tempo reale), la violenza non è né lo scopo né il contenuto più evidente. La qualifica “16” anni stabilisce l’età consigliata, e mi pare un giudizio molto prudente.

Ecco il trailer, comunque impressionante:

Come tutte le opere targate Blizzard, anche questa è curata in ogni dettaglio. Gli appassionati del genere che vogliano immergersi nelle galassie e nelle razze in guerra fra loro non resteranno delusi. Interessante novità introdotta nel lancio del gioco, quella dei “barcraft”, termine che incrocia il bar con Starcraft e viene dalle simili riunioni diffuse in questi mesi dappertutto nel mondo: la gente si riunisce in un bar, o in un pub, e assiste in diretta a una partita di Starcraft fra giocatori particolarmente abili, con tanto di telecronaca. Non siamo ancora ai livelli coreani, dove questo è uno sport nazionale trasmesso per televisione in prima serata, ma è un’occasione di intrattenimento indubbiamente inedita, che conta anche da noi non pochi appassionati.

Pubblicato il 12 marzo 2013 - Commenti (0)

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Autore del blog

Family Game

Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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