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Un’immagine da “Pirati dai Caraibi, l’armata dei dannati”, imminente videogame che Disney ha sviluppato ispirandosi agli scenari della serie cinematografica.
Tocco un tema sul quale in famiglia dovremmo riflettere più di quanto non facciamo: la “pirateria”, ovvero la copia illegale di videogiochi (e film, e musica).
Ne parlo perché è un fenomeno così diffuso da far ritenere che poche famiglie ne siano immuni: secondo dati del dicembre scorso, su 100 videogame usati in Italia, ben 64 sono “piratati”. Non che ci voglia molto: basta scaricare dalla rete o passarsi fra amici un dvd che si riprodurrà in pochi minuti.
C’è un altro elemento. Si è divulgata molto l’idea che copiare software sia un’attività per niente riprovevole, sicché se lo permettono persone che inorridirebbero all’idea di sottrarre una barretta di cioccolato al supermarket o sgraffignare un volume dallo scaffale di una libreria.
La materia in effetti è complessa. Da quando, dieci anni fa, il programma e il sito web Napster ci insegnarono come procurarsi musica gratis e facilmente, il mondo è cambiato. E se le case di produzione avevano le loro ragioni per contrastare un fenomeno che sottraeva loro il mercato dei “supporti controllabili”, è anche vero che da quei “furti” è nato il vasto fenomeno odierno, legale e conveniente, della musica scaricata a poco prezzo. Il mercato e il mondo hanno trovato un nuovo equilibrio, che per i commercianti è vantaggioso e che ultimamente sta estendendosi anche ai mondi dell’home video e dei videogiochi.
Questi ultimi, però, fanno fatica, perché la produzione costa moltissimo e dimezzare le vendite rispetto alle copie in giro taglia le gambe a tutti quei titoli che non sarebbero comunque tra i primi 5 in classifica. Tra i quali si contano quasi tutti quelli di qualche interesse culturale, educativo, familiare. Da quando qualcuno ha inventato il modo per copiare le opere per Nintendo Ds, per esempio, la situazione in Italia si è fatta così drammatica che il numero di opere prodotte e distribuito è calato di oltre il 50%. Alla fine, chi si perde sono proprio gli utenti, non solo i produttori.
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28 dicembre 2010 - Commenti
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