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Mia figlia "si fa" di videogiochi

Un'immagine da "Gears of War 3", uno tra i giochi esaminati da Bissell.
Un'immagine da "Gears of War 3", uno tra i giochi esaminati da Bissell.

Che cosa siano i videogiochi non è ancora del tutto chiaro. Ieri sera, in una conferenza che stavo tenendo su rischi e potenzialità dell’universo digitale, una signora nel pubblico mi ha replicato con amarezza che sua figlia, a vent’anni, è schiava del gioco in rete sul computer al punto che in famiglia sono tutti disperati. E ha aggiunto che dal suo punto di vista di madre e di cittadina non c’è differenza tra giochi che catturano in questo modo e le droghe: spacciatori, quindi, quelli che vendono gli uni e le altre.

Il discorso è complesso e delicato, posto che non ci si può limitare a invocare più equilibrio nel tempo da dedicare al gioco. L’equilibrio c’è quando lo si rende possibile, e oggi tante famiglie italiane sono letteralmente schiacciate dall’aggressiva pressione di inviti al consumo e all’evasione che sono così sofisticati, studiati e indirizzati con tale precisione da sgominare, spesso, qualsiasi difesa.

Questo è vero e non vale solo per i videogiochi al computer. I giochi d’azzardo, dai "gratta e vinci" ai casinò online, vengono propagandati senza sosta e senza confini, entrando nei nostri soggiorni col sussiegoso fascino di “consiglieri” perfino istituzionali: è lecito che lo Stato si faccia a sua volta “spacciatore”?

La copertina originale del libro di Bissell
La copertina originale del libro di Bissell

Tornando ai videogiochi, sto leggendo in questi giorni un libro appena tradotto che ha il pregio di affrontare la questione a un livello mai visto prima. Voglia di vincere (Perché i videogiochi sono importanti), edito da ISBN, è firmato da Tom Bissell, uno scrittore che racconta la sua esperienza pluriennale di “giocodipendente” (nonché di cocainomane). Uscito dal tunnel, Bissell mostra una straordinaria lucidità nel tratteggiare pregi, difetti, suggestioni e seduzioni di queste multimilionarie produzioni interattive, che coinvolgono così tanti cervelli da raggiungere vertici di qualità, ma che tuttavia mostrano anche profili così ingenui da sconcertare e, talora, così inquietanti da preoccupare. Il titolo originario, Extra lives, che alla lettera suona “vite extra”, quelle che si conquistano giocando in molti videogiochi classici, è a suo modo illuminante rispetto ai paradisi artificiali della dipendenza da gioco.

 Una lettura istruttiva e, date le capacità affabulatorie del personaggio (che ha all'attivo numerosi romanzi), anche assai avvincente.

Pubblicato il 29 marzo 2012 - Commenti (2)

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Postato da Sergio Fenizia il 09/04/2012 17:08

Alcuni alunni (di scuola primaria) non riescono a trascorre neppure 45 minuti di viaggio in pullman, durante un gita scolastica, senza stare attaccati a videogiochi portatili. In verità, a volte, giocano in qualche modo in gruppo, il che sembra positivo. A febbraio, concordandolo previamente con i colleghi e con i genitori dei bambini, ho comunicato agli alunni che in occasione della successiva gita scolastica, eccezionalmente, non avrebbero dovuto portare con sé videogiochi (e cellulari). Ho cercato di spiegare alcune ragioni della decisione. Ci sono stati dei mugugni, ma il giorno della gita tutti – con loro grande sorpresa – sono riusciti a sopravvivere. Vedremo i futuro come muoverci. Contiamo anche su esperti come voi per avere luci e spunti di riflessione.

Postato da Andrea Annibale il 02/04/2012 23:39

C’è un enorme mercato di manipolazione delle menti. Chi si rifugia in questi paradisi virtuali e artificiali, aderisce ad una dimensione psichica non sempre dannosa ma certamente poco sana in quanto le relazioni dell’io vengono alterate. L’io interagisce con fantasmi disegnati che insegnano cose a volte buone a volte cattive. Non sono un grande frequentatore di videogiochi. Non sono d’accordo che questi videogiochi veicolino messaggi sempre negativi. Si può imparare da qualunque esperienza, a volte scottandosi un poco. Se forte è il potere di seduzione, sono anche forti le difese che la mente e forse anche l’anima posseggono di fronte alla influenza del male. Distinguerei tre categorie di videogiochi per i messaggi anche subliminali che veicolano. I primi, propongono senz’altro il male come modello vincente, quasi da imitare. Senza il consenso del destinatario non possono diffondere il flagello. Gesù, che ha detto di mantenersi puri da questo mondo, avrebbe oggi qualcosa da dire. I secondi mandano messaggi neutri e non per questo meno ingannevoli, per cui il male semplicemente non esiste. Questi, introducono ad una sorta di masturbazione mentale, cerebrale dell’io, che tende a logorare l’io morale per farlo sfiorire e sono anch’essi dannosi. Ci sono anche videogiochi che veicolano messaggi positivi. Questi ultimi possono diventare propaganda buona. Che poi uno ne abusi giocando troppo richiama veramente l’insostituibile ruolo dei genitori nell’educare e anche coinvolgono la buona volontà dell’individuo che inizia ed impara a fare le prime scelte fondamentali dell’esistenza e della vita nella libertà e nella responsabilità personale. Per maturare finalmente, si spera. Facebook: Andrea Annibale Chiodi; Twitter: @AAnnibale.

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Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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