27 gennaio 2013 – Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Occupa il posto della terza domenica “dopo l’Epifania” ed è annoverata, nel calendario liturgico ambrosiano, tra le “feste del Signore”.
Il Lezionario
Riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Siracide 44,23-45,1a.2-5; Salmo: 111 (112); Epistola: Efesini 5,33-6,4; Vangelo: Matteo 2,19-23. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da: Giovanni 20,11-18. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della festa nel Messale Ambrosiano).
Lettura del libro del Siracide (44,23-45,1a.2-5)
In quei giorni. 23La benedizione di tutti gli uomini e la sua alleanza / Dio fece posare sul capo di Giacobbe; / lo confermò nelle sue benedizioni, / gli diede il paese in eredità: / lo divise in varie parti, / assegnandole alle dodici tribù. / Da lui fece sorgere un uomo mite, / che incontrò favore agli occhi di tutti / 1aamato da Dio e dagli uomini. / 2Gli diede gloria pari a quella dei santi / e lo rese grande fra i terrori dei nemici. / 3Per le sue parole fece cessare i prodigi / e lo glorificò davanti ai re; / gli diede autorità sul suo popolo / e gli mostrò parte della sua gloria. / 4Lo santificò nella fedeltà e nella mitezza, / lo scelse fra tutti gli uomini. / 5Gli fede udire la sua voce, / lo fece entrare nella nube oscura / e gli diede faccia a faccia i comandamenti, / legge di vita e d’intelligenza, / perché insegnasse a Giacobbe l’alleanza, / i suoi decreti a Israele.
Il brano è preso dalla terza sezione del libro (capitoli 42,15-50,29), nella quale viene esaltata la sapienza divina che brilla nel creato e nella storia degli uomini che hanno vissuto nella fedeltà a Dio. Tra di essi vengono qui ricordati Giacobbe (cap. 44,23) e Mosè (cap. 45,1-5), del quale si fa memoria evocando i prodigi dell’esodo dall’Egitto (v. 3) e quelli del deserto dove Dio «gli fece udire la sua voce», gli diede le tavole della Legge e stabilì l’Alleanza con il suo popolo (cfr. Esodo 19,19; 20,1.21-22; Deuteronomio 4,6-8; 32,47) (v. 5).
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (5,33-6,4)
Fratelli, 33ciascuno da parte sua ami la propria moglie come se stesso, e la moglie sia rispettosa verso il marito.
1Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto: 2«Onora tuo padre e tua madre!». Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: 3«perché tu sia felice e goda di lunga vita sulla terra». 4E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore.
Il breve brano, oggi proclamato, è preso dalla parte esortativa della lettera, fondata sulla vita nuova dei credenti nella Chiesa e nella società civile. Qui in particolare si parla della morale domestica che, sull’esempio dell’amore di Cristo verso la Chiesa, è posta all’insegna della reciproca subordinazione dei membri di una famiglia. Di qui la norma che regola il rapporto moglie/marito (capitolo 5,33); quella che regola il rapporto genitori/figli basato sul comandamento divino e come garanzia di una vita lunga e felice (capitolo 6,1-3; cfr. Esodo 20,12; Deuteronomio 5,16) e, infine, l’esortazione ai padri a far crescere i propri figli «negli insegnamenti del Signore» (v. 4).
Lettura del Vangelo secondo Matteo (2,19-23)
In quel tempo. 19Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto 20e gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». 21Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele. 22Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura ad andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea 23e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Viene oggi letto l’ultimo episodio dell’itinerario di Giuseppe profugo in Egitto con il «bambino e sua madre» (cfr. Matteo 2,13-15) per sfuggire alla persecuzione di Erode. Il racconto è diviso in due brevi parti. La prima: vv. 19-21, parla del ritorno di Giuseppe, «il bambino e sua madre» in Israele, con allusione all’esodo di Israele dall’Egitto e al ritorno del popolo dall’esilio babilonese. La seconda: vv. 22-23, precisa il luogo nel quale Giuseppe fissa la sua residenza: Nazaret in Galilea, motivo per cui Gesù sarà chiamato “nazareno”.
Commento liturgico-pastorale
L’ascolto delle Scritture e i testi oranti del Messale ci invitano a tenere ancorata la festa odierna all’interno del dispiegarsi, nel corso dell’anno liturgico, del mistero della nostra salvezza in Cristo. In particolare, questa festa, che il calendario liturgico ambrosiano fa cadere nel tempo “dopo l’Epifania”, manifesta e celebra, nell’appartenenza del Figlio di Dio a una famiglia, la reale portata della sua incarnazione, come giustamente rileva la preghiera liturgica quando afferma che egli «venendo ad assumere la nostra condizione di uomini volle far parte di una famiglia» (Prefazio). La condizione umana, infatti, passa normalmente proprio dall’appartenenza a una famiglia secondo il volere stesso di Dio rivelato nelle Scritture.
Tale appartenenza, vissuta dal Figlio fatto uomo in obbedienza a quanto è disposto dalla sapienza divina, manifesta la sua piena disponibilità a spogliarsi della sua gloria divina e ad assumere la realtà umana per attuare il disegno del Padre riguardante la salvezza del mondo.
Una disponibilità messa in luce nel brano evangelico, che sottolinea la dipendenza assoluta del bambino, che viene preso e portato in Egitto (Vangelo: Matteo 2,14) e poi portato «nella terra d’Israele», a Nazaret (v. 23).
Forse è lecito vedere in ciò un annuncio della disponibilità del Signore a lasciarsi “prendere” ed essere condotto alla Passione e alla Croce, momento dell’umiliazione più profonda del Figlio di Dio, attuativa, però, dell’universale salvezza.
Salvezza, dunque, annunziata e già attuata nella sua sottomissione al volere del Padre, che passa anche dalla sua sottomissione a Giuseppe e a Maria secondo il comando di Dio citato nel brano dell’Epistola (cfr. Esodo 20,12) e dall’accettazione di eventi che sembrano tenerlo in pugno, come l’avversione mortale del re Erode. E proprio sul precetto divino l’Apostolo poggia le norme che regolano la vita domestica (Epistola: Efesini 6, 1-3).
Con l’obbedienza di Gesù, i testi oggi proclamati esaltano quella di Giuseppe, il quale esegue fedelmente le istruzioni dell’Angelo del Signore (Matteo 2,13) meritandosi, perciò, le “benedizioni” date da Dio a Giacobbe (Lettura: Siracide 44,23) e realizzando alla lettera ciò che il medesimo testo biblico afferma a proposito di Mosè (45,1a-5).
Davvero Giuseppe, lo sposo di Maria e custode del Figlio dell’Altissimo, è l’«uomo mite che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini» (v. 44,23-45,1a), capace di insegnare al bambino Gesù «l’alleanza e i decreti a Israele» (v. 45,5), facendolo crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore (Efesini, 6,4). La preghiera liturgica può, quindi, affermare che nella Famiglia di Nazaret Dio ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio)
La Santa Famiglia, perciò, offre alle nostre famiglie la possibilità di riconoscere che non hanno in sé stesse il fondamento, ma nel superiore disegno di Dio al quale sono chiamate a “obbedire” così come ha fatto il suo stesso Figlio e, con lui, la Vergine Madre e san Giuseppe.
Nell’obbedienza, dunque, sta fondata la famiglia e il riferimento costante di tutti i suoi membri, genitori e figli, ai divini precetti è per essa garanzia per godere di un’esistenza “felice” perché immersa nella benedizione divina. Alle nostre famiglie va perciò sempre raccomandato di cercare nella volontà di Dio e nei suoi disegni il fondamento sul quale essa sta poggiata e al quale deve fare costante riferimento. Il compimento della volontà di Dio, pur tra inevitabili prove e difficoltà, è possibile anche oggi, a patto che le nostre famiglie rimangano ancorate all’Altare. L’amore del Signore Gesù che su di esso risplende nel pane e nel vino dell’Eucaristia, donando la grazia «di seguire sempre la legge dell’amore evangelico» (Orazione Dopo la Comunione), imprime in quanti ad essa si consegnano, un’energia capace di superare ogni avversità e di far sperimentare, in tutta verità, «i dolci affetti della famiglia» (Orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica).
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Questa seconda domenica “dopo l’Epifania” pone in rilievo il terzo evento che la tradizione liturgica, anche ambrosiana, vede come momento della “manifestazione” del Figlio di Dio venuto nel mondo e della sua missione.
Il Lezionario
Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Ester 5,1-1c.2-5; Salmo 44; Epistola: Efesini 1,3-14; Vangelo: Giovanni 2,1-11 che viene letto ogni anno. Alla Messa vigiliare del sabato si legge Luca 24,1-8 quale Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della II domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).
Lettura del libro di Ester (5,1-1c.2-5)
1Il terzo giorno, quando ebbe finito di pregare, Ester si tolse gli abiti servili e si rivestì di quelli sontuosi.
Fattasi splendida, invocò quel Dio che su tutti veglia e tutti salva, e prese con sé due ancelle. Su di una si appoggiava con apparente mollezza, mentre l’altra la seguiva sollevando il manto di lei. Era rosea nel fiore della sua bellezza: il suo viso era lieto, come ispirato a benevolenza, ma il suo cuore era oppresso dalla paura. Attraversate tutte le porte, si fermò davanti al re. Egli stava seduto sul suo trono regale e rivestiva i suoi ornamenti ufficiali: era tutto splendente di oro e di pietre preziose e aveva un aspetto che incuteva paura.
2Alzato lo scettro d’oro, lo posò sul collo di lei, la baciò e le disse: «Parlami!».
Gli disse: «Ti ho visto, signore, come un angelo di Dio e il mio cuore è rimasto sconvolto per timore della tua gloria: tu sei ammirevole, signore, e il tuo volto è pieno d’incanto». Mentre parlava, cadde svenuta; il re si turbò e tutti i suoi servi cercavano di rincuorarla.
3Allora il re le disse: «Che cosa vuoi, Ester, e qual è la tua richiesta? Fosse pure metà del mio regno, sarà tua». 4Ester rispose: «Oggi è un giorno speciale per me: se così piace al re venga egli con Amàn al banchetto che oggi io darò». 5Disse il re: «Fate venire presto Amàn, per compiere quello che Ester ha detto». E ambedue vennero al banchetto di cui aveva parlato Ester.
Il brano fa seguito al racconto dei giorni di digiuno e di preghiera a cui si sottopose la regina Ester una volta avvertita della trama di un potente ministro del Re Artaserse di votare allo sterminio gli Ebrei deportati nelle varie regioni dell’impero persiano dopo la distruzione di Gerusalemme. Qui sono descritti i preparativi di Ester (vv. 1-1b) per comparire davanti al re, descritto al v. 1c in tutto il suo regale splendore. Viene poi detto come il re, ponendo il suo scettro sul collo di Ester le permette di stare alla sua presenza (v. 2) e vengono riferite le parole della regina che suscitano la compiacenza di Artaserse nei suoi confronti e la sua disponibilità a partecipare a un banchetto durante il quale la regina smaschererà il complotto del ministro infedele (vv. 3-5).
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (1,3-14)
Fratelli, 3benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, / che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo.
4In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo / per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, / 5predestinandoci a essere per lui figli adottivi / mediante Gesù Cristo, / secondo il disegno d’amore della sua volontà, / 6a lode dello splendore della sua grazia, / di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. / 7In lui, mediante il suo sangue, / abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, / secondo la ricchezza della sua grazia. / 8Egli l’ha riversata in abbondanza su di noi / con ogni sapienza e intelligenza, /9facendoci conoscere il mistero della sua volontà, / secondo la benevolenza che in lui si era proposto / 10per il governo della pienezza dei tempi: / ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. / 11In lui siamo stati fatti anche eredi, / predestinati – secondo il progetto di colui / che tutto opera secondo la sua volontà – / a essere lode della sua gloria, / noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo.
13In lui anche voi, / dopo avere ascoltato la parola della verità, il Vangelo della vostra salvezza, / e avere in esso creduto, / avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso / 14il quale è caparra della nostra eredità, / in attesa della completa redenzione / di coloro che Dio si è acquistato a lode della sua gloria.
Il brano oggi proclamato inaugura la parte dottrinale della lettera, nella quale l’Apostolo colloca come fondamento della Chiesa il disegno divino rivelato in Cristo Gesù. Si tratta, in realtà, di una lunga preghiera di benedizione, di lode e di ringraziamento a Dio per quanto egli ha fatto e continua a fare per gli uomini tramite il suo Figlio: «Ci ha scelti prima della creazione del mondo» (v. 4), ci ha predestinati a «essere per lui figli adottivi» (v. 5). Nel sangue del suo Figlio “abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe” (v. 7); in lui ci ha svelato i suoi disegni: «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose» (v. 10). I vv. 12-13 mettono in luce come la benevolenza divina in Cristo riguarda sia i credenti di origine ebraica, sia quelli di origine pagana. Tutti infatti hanno ricevuto «il sigillo dello Spirito Santo» come anticipo (“caparra”) dell’eredità che si riceverà una volta che la redenzione abbia raggiunto anche il corpo (v. 14).
Lettura del Vangelo secondo Giovanni (2,1-11)
In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Il brano evangelico si premura di collocare il racconto nel «terzo giorno» che succede ai primi due caratterizzati dalla chiamata dei primi discepoli (vv. 35-51) e di ambientarlo in una «festa di nozze» nella città di Cana in Galilea, senza trascurare di nominare tra gli invitati la madre di Gesù, Gesù stesso e i suoi discepoli (vv. 1-2). I vv. 3-5 sottolineano il protagonismo della madre di Gesù che sollecita da lui un intervento a motivo dell’improvvisa mancanza di vino. L’apparente risposta negativa di Gesù che si rivolge alla madre con l’appellativo “donna”, da lui ripreso nel momento della sua morte (cfr. Giovanni 19,26), è motivata dal fatto che «non è ancora giunta la mia ora» (v. 4). L’“ora” di Gesù è quella della sua “glorificazione” sulla Croce con il conseguente ritorno al Padre. Di fatto Gesù interviene ordinando di riempire di acqua le anfore, di cui viene precisato il numero, sei, e la capienza, «da ottanta a centoventi litri l’una» (v. 6). Segue la constatazione da parte del direttore del banchetto della bontà del vino fatta notare allo sposo (vv. 9-10). L’evangelista non trascura di sottolineare che colui che dirigeva il banchetto «non sapeva da dove venisse» quel vino: un non sapere, una non conoscenza che dice la necessità di aprire il cuore alla fede in Gesù, il rivelatore unico di Dio. Il v. 11 precisa che questo «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù», appunto per rivelare la sua identità e per sollecitare a credere in lui come hanno prontamente fatto i suoi discepoli.
Commento liturgico-pastorale
Questa seconda domenica pone in primo piano il terzo degli eventi che la tradizione liturgica, anche ambrosiana, propone insieme a quello dell’accorrere dei Magi a Betlemme e del Battesimo al Giordano come epifania del mistero del Figlio di Dio nel mondo.
Si tratta dell’acqua mutata in vino alle nozze di Cana, che l’evangelista descrive come «l’inizio dei segni» (Vangelo: Giovanni 2,11) compiuti da Gesù e con i quali manifestò la sua gloria, ovvero la sua provenienza dall’“alto”, da Dio, e questo al fine di suscitare la fede in lui come, di fatto, avviene per i primi discepoli chiamati a seguirlo (v. 11).
Ed è altamente espressivo il fatto che Gesù dia inizio alla sua attività di “rivelatore del Padre” nel contesto della festa per eccellenza, quella di nozze, nella quale è lecito vedere l’annuncio che in lui si stabilirà quella nuova e definitiva alleanza tra Dio e il suo popolo preannunziata dai profeti, ossia quella comunione d’amore che, in realtà, dovrà essere estesa fino ad abbracciare quegli uomini che, sino alla fine dei tempi, crederanno in lui.
Con altre parole l’epistola paolina afferma la stessa cosa lodando e magnificando l’inesprimibile grandezza dei disegni di Dio che, mandando il suo Figlio, ha «benedetto con ogni benedizione» l’intera umanità (Epistola: Efesini 1,3). La benedizione di Dio in Cristo, mentre esprime concretamente la benevolenza divina per il mondo, consiste non solo nella «redenzione e nel perdono delle colpe» (v. 7), ma nel chiamare gli uomini alla grazia della vita di figli e nel «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (v.10).
In Gesù, pertanto, Dio ci ha «fatto conoscere il mistero della sua volontà», per noi di per sé inaccessibile, quella cioè di riversare la «ricchezza della sua grazia» e della sua «benevolenza» (cfr. Efesini 1,7-8) sull’intera umanità.
Cosa questa ben recepita dalla preghiera liturgica del Prefazio che ci fa rivolgere così a Dio, il Padre: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro». Non ci resta, pertanto, che guardare al Signore Gesù che è il segno insuperabile della volontà salvifica di Dio e che nell’acqua mutata in vino alle nozze di Cana ci invita ad accostarci con fede alla pienezza della rivelazione dell’amore di Dio per noi, che avrà il suo momento più alto nell’“ora” della sua Croce! (cfr. Giovanni 2,4)
“Ora” che ci vede radunati, nel giorno di domenica, nel banchetto di nozze dell’Agnello il quale, nel vino eucaristico, ci offre la sua stessa vita divina alla quale ci lega con vincolo di amore indissolubile.
Per questo Maria, la madre di Gesù, con la sua fede esemplare per tutti coloro che in ogni tempo crederanno in lui, lo ha spinto ad anticipare l’“ora” della gioia pasquale portatrice di salvezza. Ella, con intuito di fede, sa che il suo Figlio è venuto nel mondo per mutare la sorte del mondo stesso, per convocarlo al banchetto eterno della salvezza e, nel domandare il suo intervento a favore dei due giovani sposi nel giorno delle loro nozze (cfr. v. 3), diviene l’immagine e il modello della Chiesa chiamata a intercedere sul mondo la «ricchezza della grazia» (cfr. Efesini 1,7). In Maria e, quindi, nella Chiesa, trova compimento ciò che era prefigurato nella regina Ester che non esita a mettere a repentaglio la sua stessa vita per salvare il suo popolo votato allo sterminio (cfr. Lettura: Ester 5,1-2). In realtà, non un popolo soltanto, ma l’intera umanità corre in ogni tempo il pericolo mortale di essere annientata dall’insidia di un potente “nemico”. La Chiesa, modellandosi a immagine della Madre di Gesù, intercede perché il Signore attualizzi la sua “ora” nella quale il dono della sua vita, significato nella coppa eucaristica del suo Sangue, abbatte l’opera devastatrice del male, comunica la gioia indicibile della comunione perenne con il Padre e la “caparra” dell’eredità che attende quanti, avendo creduto nel suo Unico Figlio, diventano, in lui, “figli”.
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La prima domenica dopo il sei gennaio è dedicata alla celebrazione del Battesimo del Signore come “epifania” o manifestazione delle Tre Divine Persone e di Gesù quale Figlio Unico di Dio e salvatore del mondo. Con questa festa si conclude il tempo liturgico di Natale e prende quindi avvio quello “Dopo l’Epifania”.
Il Lezionario
Prevede, ogni anno, la proclamazione delle seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 55,4-7, il Salmo 28 (29) e l’Epistola: Efesini 2,13-22 , ad eccezione del Vangelo che, per il corrente anno C, è preso da Luca 3,15-16.21-22. Alla Messa vigiliare del sabato sera viene letto Marco 16,9-16 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della festa nel Messale Ambrosiano).
Lettura del profeta Isaia (55,4-7)
Così dice il Signore Dio: 4«Ecco, l’ho costituito testimone fra i popoli, / principe e sovrano sulle nazioni. / 5Ecco, tu chiamerai gente che non conoscevi; / accorreranno a te nazioni che non ti conoscevano / a causa del Signore tuo Dio, del Santo d’Israele, che ti onora. / 6Cercate il Signore, mentre si fa trovare / invocatelo, mentre è vicino. / 7L’empio abbandoni la sua via / e l’uomo iniquo i suoi pensieri; / ritorni al Signore che avrà misericordia di lui / e al nostro Dio che largamente perdona».
Il brano conclude la seconda parte del libro di Isaia con un’ultima esortazione ai membri del popolo d’Israele a prendere parte ai beni della rinnovata alleanza in seguito al ritorno dall’esilio babilonese e ad essere testimoni presso tutti i popoli della terra dei doni divini (vv. 4-5), così come Davide era stato testimone, principe e sovrano di Israele. Nei vv. 6-7 spicca l’invito alla conversione della mente e della condotta approfittando della vicinanza benevola di Dio.
Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (2,13-22)
Fratelli, 13in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
14Egli infatti è la nostra pace, / colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, / cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne. / 15Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, / facendo la pace, / 16e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, / per mezzo della croce, / eliminando in se stesso l’inimicizia. / 17Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, / e pace a coloro che erano vicini. / 18Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri, / al Padre in un solo Spirito.
19Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, 20edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù. 21In lui tutta la costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; 22in lui anche voi venite edificati insieme per diventare abitazione di Dio per mezzo dello Spirito.
Il brano mette in luce la riconciliazione dei giudei e dei pagani fra di loro e con Dio come frutto della salvezza operata in Cristo ovvero, come viene precisato al v. 13, «grazie al suo sangue», quello della sua Croce. In particolare nei vv. 14-15 si parla della riconciliazione tra il popolo di Dio, Israele, e i popoli pagani che la Croce del Signore ha fatto «una cosa sola». I vv. 16-18 parlano della riconciliazione degli uni e degli altri con Dio sempre «per mezzo della Croce», con la quale ha eliminato ogni «inimicizia tra Dio e gli uomini». I vv. 19-22 infine indicano le felici conseguenze per gli uomini dell’opera di salvezza compiuta dal Signore: «non più stranieri né ospiti», ma «concittadini dei santi e familiari di Dio» (v. 19), edificati su Cristo come pietra d’angolo (v. 20) per diventare «tempio santo del Signore» (v. 21), «abitazione di Dio per mezzo dello Spirito» (v. 22).
Lettura del Vangelo secondo Luca (3,15-16.21-22)
In quel tempo. 15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
21Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì 22e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Nella prima parte del brano, vv. 15-16, si parla dell’attesa del popolo riguardante il compimento della promessa di Dio relativa all’invio del Messia identificabile, in un primo momento, nel Battista (v. 15). La sua risposta instaura un parallelo tra sé stesso e colui che deve venire, identificato come il «più forte», infinitamente superiore a Giovanni perché battezza non con acqua, ma «in Spirito Santo e fuoco» (v. 16). La seconda parte (vv. 21-22) descrive ciò che avviene dopo il battesimo di Gesù, che l’Evangelista coglie in preghiera. Qui si parla del cielo che si apre, sembra per far discendere su Gesù lo Spirito Santo (cfr. Isaia 63,7.19-64,11), la cui presenza è visibile e tangibile attraverso la colomba (cfr. Cantico dei Cantici 2,14; 5,2; 6,9). Infine, si ode una voce provenire dal cielo, vale a dire Dio stesso, che proclama Gesù come «il Figlio mio» (cfr. Isaia 42,1; Salmo 2,7); «l’amato» (cfr. Genesi 22,2.12.16) nel quale risiede la benevolenza divina.
Commento liturgico-pastorale
La festa odierna, in sintonia con le antiche tradizioni liturgiche, è da considerare come la principale degli eventi epifanici citati nel canto Alla Comunione della solennità del sei gennaio: «Oggi la Chiesa si unisce al celeste suo sposo che laverà i suoi peccati nell’acqua del Giordano. Coi loro doni accorrono i Magi alle nozze del Figlio del Re, e il convito si allieta di vino mirabile. Nei nostri cuori risuona la voce del Padre che rivela a Giovanni il Salvatore: “Questi è il Figlio che amo: ascoltate la sua parola”».
Il battesimo di Gesù, a ben guardare, è effettivamente l’evento “epifanico” per eccellenza, in quanto risultano in esso coinvolte le Tre Divine Persone, delle quali la preghiera liturgica ambrosiana ama mettere in luce il rispettivo ruolo a partire da Dio che in esso ha «manifestato il Salvatore degli uomini» e si è rivelato «padre della luce» (Prefazio I).
Il Padre dunque è il protagonista di ciò che avviene sulle rive del Giordano, accompagnando «con segni mirabili il lavacro del Salvatore al Giordano, principio del nostro battesimo» (Prefazio II). È lui, infatti, ad aprire il cielo mentre Gesù si immergeva nelle acque, che vengono così consacrate portando egli in sé la pienezza dello Spirito Santo disceso «sopra di lui… in forma corporea di colomba» (Vangelo: Luca 3,22).
Ed è ancora il Padre a far udire la sua voce, che rivela Gesù quale Figlio: «Il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 22). Ed è proprio la solenne proclamazione e indicazione di Gesù come “il Figlio”, quello “Unico”, quello “amato”, il vertice della rivelazione trinitaria al Giordano.
In lui si adempie la parola profetica relativa al popolo d’Israele, costituito da Dio «testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni» (Lettura: Isaia 55,4). Gesù, dunque, è il testimone, ossia il rivelatore ultimo e definitivo di Dio e punto di convergenza attorno al quale nei disegni divini i popoli e le nazioni tutte della terra sono destinate a radunarsi.
Si tratta di un mirabile progetto ideato nel cuore della Trinità e ora visibile e riscontrabile nettamente nel Figlio Unico, mandato nel mondo a portare il “compiacimento”, ovvero la benevolenza di Dio del quale egli è detentore e dispensatore (cfr. Luca 3,22).
In lui l’umanità intera, che ancora oggi si presenta divisa e lacerata, è destinata a diventare «una cosa sola» (Epistola: Efesini 2,14) in quanto «egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini» (v. 17).
I vicini sono, per l’Apostolo, gli appartenenti al popolo d’Israele, mentre i lontani sono i popoli pagani. Due “popoli” ostili, irriducibilmente nemici, che «per mezzo della sua carne» (v. 14), l’umanità cioè del Figlio di Dio, diventano, appunto «una cosa sola», diventano amici.
Viene così aperta una prospettiva di ricomposizione dell’umanità in «un solo uomo nuovo» che è, appunto, il Signore Gesù, anzi: «in un solo corpo» (v. 16), che è quello formato da lui e dall’intera umanità che ascolta la sua parola. Di tutto ciò i credenti cominciano a fare reale esperienza nella partecipazione ai sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia.
L’acqua del Battesimo, da Dio benedetta mediante la santificazione dello Spirito, cancella l’antica condanna, «offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna», sicché quanti «erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio). Gloria che consiste esattamente nella rigenerazione a figli di Dio!
Partecipando, quindi, alla mensa eucaristica del Corpo e del Sangue del Signore, «sacrificio perfetto che ha purificato il mondo da ogni colpa» (Orazione Sui Doni), osiamo domandare al Padre del cielo di renderci «fedeli discepoli del tuo Figlio unigenito perché possiamo dirci con verità ed essere realmente tuoi figli» (Orazione Dopo la Comunione).
Saremo allora credibili e convincenti nel proclamare con fede gioiosa il contenuto salvifico dell’Epifania al Giordano: «Tutto il mondo è santificato nel battesimo di Cristo e sono rimessi i nostri peccati» e nell’invitare gli uomini del nostro tempo: «Purifichiamoci tutti nell’acqua e nello Spirito» (Canto Alla Comunione) per rinascere come figli e membra di un unico Corpo abitato dall’unico Spirito, quello del Figlio di Dio.
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6 Gennaio 2013 - Epifania del Signore
Nella nostra tradizione liturgica è sempre stata celebrata con grande solennità e considerata come culmine delle feste natalizie. L’Epifania va intesa come manifestazione di Gesù come Figlio Unigenito del Padre e come manifestazione, in lui, della divina Trinità. La tradizione liturgica ambrosiana, in particolare, riconosce quattro eventi come “segni epifanici”: la manifestazione del Signore Gesù a tutti i popoli della terra rappresentati dai Magi; il Battesimo nul fiume Giordano; l’acqua mutata in vino alle nozze di Cana e la moltiplicazione dei pani. La solennità odierna pone in rilievo la manifestazione ai Magi, considerati come primizia dei popoli pagani chiamati alla fede e, al pari del 25 dicembre, possiede una propria Liturgia vigiliare vespertina e due celebrazioni di Messe: “della vigilia” e “nel giorno”, della quale proponiamo, di seguito, il commento.
La Messa “della vigilia”, celebrata nel contesto della Liturgia vigiliare vespertina, prevede la proclamazione di quattro Letture vetero-testamentarie: Numeri 24,15-25a; Isaia 49,8-13; 2 Re 2,1-12b; 2 Re 6,1-7; dell’Epistola: Tito 3,3-7 e del Vangelo: Giovanni 1,29a.30-34.
Il Lezionario della Messa “nel giorno”
Fa leggere: Lettura: Isaia 60,1-6; Epistola: Tito 2,11-3,2; Vangelo: Matteo 2,1-12. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della Solennità nel Messale Ambrosiano).
Al termine della proclamazione evangelica viene dato l’Annuncio della Pasqua: “Si annuncia alla vostra carità, fratelli carissimi, che, permettendo la misericordia di Dio e del Signore nostro Gesù Cristo, il giorno 31 del mese di marzo celebreremo con gioia la Pasqua del Signore”.
Lettura del profeta Isaia (60,1-6)
In quei giorni. Isaia disse: «1Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, / la gloria del Signore brilla sopra di te. / 2Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, / nebbia fitta avvolge i popoli; / ma su di te risplende il Signore, / la sua gloria appare su di te. / 3Cammineranno le genti alla tua luce, / i re allo splendore del tuo sorgere. / 4Alza gli occhi intorno e guarda: / tutti costoro si sono radunati, vengono a te. / I tuoi figli vengono da lontano, / le tue figlie sono portate in braccio.
5Allora guarderai e sarai raggiante, / palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, / perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, / verrà a te la ricchezza delle genti. / 6Uno stuolo di cammelli ti invaderà, / dromedari di Madian e di Efa, / tutti verranno da Saba, portando oro e incenso / e proclamando le glorie del Signore».
I versetti oggi proclamati si riferiscono alla città di Gerusalemme che, illuminata dalla presenza del Signore, si distingue tra tutti i popoli avvolti dalla “tenebra” e dalla “nebbia fitta”, vale a dire dall’ignoranza di Dio e, quindi, dall’incredulità e dall’idolatria (vv. 1-2). Per questo Gerusalemme diviene meta di pellegrinaggio per le genti della terra e ad essa faranno ritorno anche i suoi figli dispersi (vv. 3-4). La città vivrà giorni di gioia e di prosperità perché i popoli che in essa si riverseranno porteranno i loro doni più significativi, tra i quali l’oro e l’incenso (vv. 5-6), cosa, questa, che il brano evangelico mostrerà realizzata nell’accorrere dei Magi alla casa del Bambino di Betlemme.
Lettera di san Paolo apostolo a Tito (2,11-3,2)
Carissimo, 11è apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini 12e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, 13nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo.14Egli ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere buone.
15Questo devi insegnare, raccomandare e rimproverare con tutta autorità. Nessuno ti disprezzi!
1Ricorda loro di essere sottomessi alle autorità che governano, di obbedire, di essere pronti per ogni opera buona; 2di non parlare male di nessuno, di evitare le liti, di essere mansueti, mostrando ogni mitezza verso tutti gli uomini.
Il brano riporta alcuni degli insegnamenti impartiti dall’Apostolo al fedele suo discepolo Tito sul come vivere nell’attesa della “beata speranza”, ovvero dell’incontro con il Signore. È lui, Gesù, la “grazia” di Dio, ossia il suo amore gratuito e misericordioso (v. 11), il quale da una parte ci insegna cosa dobbiamo evitare nella nostra vita (v. 12a) e come, invece, dobbiamo cercare (v. 12b), così che, nella sua manifestazione gloriosa alla fine dei tempi, egli sia il nostro salvatore (v. 13). Segue al v. 14 una sintetica confessione di fede nell’opera salvifica compiuta dal Signore nella sua morte per liberarci dal male e dal peccato e, soprattutto, per fare di noi il suo popolo santo, che vive in pace e in armonia con tutti (vv. 3,1-2).
Lettura del Vangelo secondo Matteo (2,1-12)
In quel tempo. 1Nato il Signore Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 5Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “6E tu Betlemme, terra di Giuda, / non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: / da te infatti uscirà un capo / che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
7Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella 8e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
9Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. 10Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. 11Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 12Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Il v. 1 oltre a riferire del luogo e del tempo della nascita di Gesù: «al tempo del re Erode», chiamato il Grande, dice dell’arrivo a Gerusalemme di «alcuni Magi» che possiamo ritenere dei sapienti di origine orientale, e della domanda sul neonato «re dei Giudei», ad essi annunziato dalla «sua stella». I vv. 3-6 riferiscono del turbamento di Erode e dell’inchiesta condotta tra gli esperti delle Scritture riguardante il luogo di nascita del Messia, che risulta essere Betlemme sulla base di una profezia di Michea 5,1, integrata dall’evangelista con l’allusione a 2Samuele 5,2. I vv. 7-9a parlano dell’incarico dato da Erode ai Magi di riferire a lui, una volta trovato il bambino, e della sua intenzione di andare ad adorarlo. I vv. 9b-10 riferiscono del viaggio dei Magi a Betlemme guidati dalla stella fino alla casa del Bambino. Il racconto si conclude con l’ingresso dei Magi nella casa dove videro «il bambino con Maria sua Madre» e con l’offerta dei doni simbolici della loro fede in lui: l’oro, l’incenso (cfr. Lettura: Isaia 60,6) e la mirra (v. 11) e con la precisazione del loro ritorno in patria senza passare da Erode (v. 12).
Commento liturgico-pastorale
L’ascolto delle divine Scritture, nel contesto dell’odierna celebrazione eucaristica, apre i nostri cuori alla contemplazione dei mirabili disegni divini annunciati negli eventi vetero-testamentari, nella antiche profezie e realizzati con l’apparizione, nel mondo, del Figlio Unigenito di Dio. Come tutti ben sappiamo, il mondo è davvero ricoperto dalla “tenebra” e una «nebbia fitta avvolge i popoli» (Lettura: Isaia 60,2) a motivo della lontananza da Dio, dell’incredulità che produce indifferenza e ogni genere di peccato e di male. Sicché il mondo, uscito buono dalle mani creatrici di Dio, risulta invece dominato dal potere tenebroso del male. Nella natività del suo Unico Figlio, di Gesù, Dio ha reso evidente, una volta per tutte, che lui ha a cuore l’umanità e l’intera creazione. In quella natività, pertanto, «è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini» (Epistola: Tito 2,11). Una salvezza, perciò, gratis data per sovrana deliberazione di Dio e che, pertanto, rivela la sua benevolenza verso tutti. In Gesù, perciò, si realizza la profezia che invitava la città santa di Gerusalemme ad “alzarsi” e a “rivestirsi di luce” (Isaia 60,1). Gesù infatti è la gloria di Dio che brilla su Gerusalemme, divenuta oramai simbolo della vera e definitiva città santa, la comunità del Signore, destinata ad accogliere le genti, attratte dalla sua luce, che è lo stesso Signore Gesù che tutta la illumina con la sua presenza (cfr. v.3). Un così grande disegno divino è svelato nell’accorrere dei Magi a Betlemme, alla casa del neonato re dei Giudei. I Magi, saggi orientali e pagani, non esitano a intraprendere un faticoso e pericoloso viaggio interiormente illuminati da una “stella”, che è la fede misteriosamente accesa da Dio nei loro cuori e, stando a quanto viene affermato nel Prefazio, si tratta di una chiara manifestazione della volontà di Dio di donarsi lui stesso nel suo Figlio! Una fede che essi esprimono in gesti esteriori di grande eloquenza quali il prostrarsi con il viso a terra davanti al Bambino e con l’offerta di doni quali oro, incenso e mirra (Vangelo: Matteo 2,11) che ne proclamano la sua divina regalità e messianicità. Davanti a questa scena sorprende e stupisce l’atteggiamento del re Erode e con lui dei dottori della Legge che non si lasciano illuminare dalle Sacre Scritture, che pure essi trattano continuamente (cfr. vv.4-6). Le Scritture che essi stessi citano rivelano, infatti, in tutta chiarezza, che il Messia atteso e invocato dal popolo d’Israele sarebbe nato in un piccolo paese custode delle divine promesse al re Davide.
La loro reazione è il turbamento, che in Erode diviene, da subito, un’avversione mortale al Bambino e che nei capi dei sacerdoti e negli scribi del popolo si tramuterà, più tardi, in un odio senza quartiere a Gesù, fino alla sua morte. Sarà proprio con quella morte, epifania suprema dell’Unigenito Figlio di Dio, che egli consegnerà sé stesso, la sua stessa vita, per riscattare l’umanità intera e farne così «un popolo puro che gli appartenga» (Tito 3,14).
La nostra assemblea liturgica che rende visibile la Chiesa è oggi, più che mai, attraversata da una grande intima gioia perché riconosce realizzata la pagina profetica di Isaia a sua volta confermata dall’accorrere dei Magi a Betlemme. Nella Chiesa che, per pura grazia, è in realtà quel “popolo puro” che appartiene al Signore (cfr. Tito 3,14), già convergono, infatti, genti da ogni angolo della terra quale primizia dell’intera umanità che la stella, segno dell’amore misericordioso del Padre, non cesserà di condurre fino ad essa dove, soltanto, è possibile incontrare il Signore Gesù. Perciò la Chiesa e ogni nostra comunità comprende che sul suo volto, ossia nella vita concreta di tutti i suoi fedeli, deve brillare più che mai la luce e la gloria del Signore, vale a dire il suo Vangelo, in grado di attirare irresistibilmente anche i figli che vengono da più lontano (cfr. Isaia 60,4) e avvolti dalla “nebbia fitta” dell’incredulità e dell’indifferenza.
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