1 Maggio 2011 – Domenica “In Albis Depositis”


1. La II domenica di Pasqua    

E' tradizionalmente chiamata “In Albis” perché i battezzati nella precedente Veglia pasquale si presentavano da questo giorno avendo «oramai tolto le vesti battesimali». Il Lezionario propone ogni anno: Lettura: Atti degli Apostoli 4,8-24a; Salmo: 117; Epistola: Colossesi 2,8-15; Vangelo: Giovanni 20,19-31. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato: Giovanni 7,37-39a quale Vangelo della risurrezione.     


2. Vangelo secondo Giovanni 20,19-31    

In quel tempo. 19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».     24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».     26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto: beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».     30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.    


3. Commento liturgico-pastorale    

Il testo evangelico che ogni anno viene proclamato nella seconda domenica di Pasqua è di decisiva importanza per la comprensione dell’esistenza stessa della Chiesa e della sua missione. è chiaramente diviso in due parti. Nella prima (vv. 19-23) si riferisce l’apparizione del Signore risorto la sera di Pasqua. La seconda (vv. 24-29) riferisce del successivo incontro del Signore “otto giorni dopo” con la presenza dell’apostolo Tommaso. I vv. 30-31, infine, riportano alcune considerazioni finali dell’evangelista.

Il brano si apre al v. 19 con l’importante precisazione riguardante il raduno dei “discepoli” in un unico luogo, facendo capire che ciò che viene narrato riguarda la comunità ecclesiale di allora, come di oggi e di sempre. Al centro dell’attenzione c’è il Signore Gesù che si presenta ai suoi riuniti a porte chiuse “per timore dei Giudei”. Viene così evidenziato che non vi sono ostacoli e barriere che possano impedire al Signore di “stare in mezzo” alla sua Chiesa e di offrire il dono pasquale della “pace” dovuta proprio alla sua presenza. Con il Signore risorto, perciò, non c’è più timore ma “pace”.

Il Signore quindi si fa riconoscere ai suoi (v. 20), mostrando “loro le mani e il fianco”, con i segni della trafittura dei chiodi e della lancia del soldato romano, facendo sgorgare la “gioia” nei loro cuori riconoscendo in lui il Maestro che videro pendere dalla croce.

La prima parte si chiude con la consegna ai discepoli della specifica missione che dovranno compiere e che la Chiesa dovrà continuare lungo i tempi. A tale riguardo il Signore, “mandato” dal Padre, a sua volta “manda” i suoi discepoli, e in essi la Chiesa, a compiere la sua stessa missione, la cui efficacia è garantita dal dono dello Spirito indicato nel gesto molto espressivo del “soffio” (v:22).

La missione consiste essenzialmente nell’estendere a ogni uomo l’Alleanza ovvero la comunione di vita e d’amore con Dio, frutto della Pasqua del Signore e che prevede la previa remissione e il perdono dei peccati. In tal modo la Chiesa può portare nel mondo la “vita” quella che nel Signore Gesù ha trionfato sul peccato e dunque sulla morte, nella cui oscurità giace il mondo e, in esso, l’intera umanità.

La seconda parte del racconto, strettamente legata alla prima, prende avvio dalla contestazione da parte di Tommaso della “testimonianza” che gli altri discepoli sono in grado di dare in tutta verità: «Abbiamo visto il Signore!» (v.25).

Tommaso che: «non era con loro quando venne Gesù» (v. 24) rappresenta tutti coloro che, nei secoli, dovranno fidarsi e affidarsi con fede alla testimonianza che la comunità dei credenti offre su Gesù, il vivente, senza esigere perciò di “vedere” e di “mettere” personalmente la mano sulle ferite del Signore. Tommaso supererà questa pretesa “otto giorni dopo”, allorché il Signore tornerà tra i suoi augurando e recando il dono della “pace” e gli chiederà di mettere il suo dito e la sua mano nelle sue ferite esortandolo con le parole che, tramite lui, sono rivolte  a ogni uomo: «non essere più incredulo, ma credente!».(v. 27).

La reazione di Tommaso è quella di chi oramai è diventato “credente” in pienezza: non lo sfiora più il pensiero di mettere dito e mano sulle ferite del Signore, ma si rivolge a lui con una proclamazione di fede assoluta: «Mio Signore e mio Dio!», riconoscendo l’unità di Gesù che è il Risorto, con Dio!

Le parole conclusive del Signore (v. 29) sono anch’esse rivolte, tramite Tommaso, ai futuri credenti e, dunque, anche  a noi che oggi le ascoltiamo nella proclamazione liturgica dell’Evangelo. Fin da ora siamo da Gesù stesso proclamati “beati” perché crediamo in lui senza poterlo vedere e toccare. Questo lo hanno potuto fare i suoi apostoli e d’ora in poi la fede dei credenti dovrà poggiarsi sulla loro testimonianza.

Nella celebrazione eucaristica, scandita dal solenne ritmo domenicale istituito da Gesù, il vivente, è possibile per noi vivere l’esperienza degli apostoli, crescere nel rapporto con il Signore, nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Epistola: Colossesi 2,9) e accogliere con il “soffio” dello Spirito il mandato che ci abilita alla missione evangelica nel mondo da ricostruire nell’unità di vita e di amore con Dio.

La Lettura mostra come questa “missione” è stata da subito attuata dagli stessi apostoli, i quali annunziano con estrema chiarezza che: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati»  (Atti degli Apostoli 4,12). L’esperienza che essi hanno fatto del Risorto, la missione ricevuta nel “soffio” del Signore, nella potenza cioè dello Spirito Santo è insopprimibile nei loro cuori e li spinge ad annunziare a tutti, anche a costo della vita, la reale unica possibilità di salvezza che è in Cristo Signore: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20).

Anche noi, di domenica in domenica, impariamo a «camminare nella nuova realtà dello Spirito” nella quale siamo stati stabiliti dai sacramenti pasquali. In tal modo “ ci è dato di superare il rischio orrendo della morte eterna, ed è serbata ai credenti la lieta speranza della vita senza fine» (Prefazio). Non è perciò possibile “tacere” ciò che “vediamo” e “ascoltiamo” nella celebrazione dei divini Misteri che ci pongono a contatto con lui, il vivente, dono di “pace” e di “gioia” per ogni  uomo.

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24 aprile 2011 – Domenica di Pasqua


1. La Domenica “Nella Risurrezione del Signore”    

Prende avvio con la celebrazione eucaristica culmine della grande Veglia pasquale, cuore e centro dell'intero anno liturgico, nel quale la Chiesa rivive ogni anno il mistero della salvezza portato a compimento proprio nella morte e risurrezione del Signore. La tradizione propria della nostra Chiesa ambrosiana prevede, per questa domenica, “la festa che dà origine a tutte le feste” (Prefazio) due distinte celebrazioni: la “Messa per i battezzati” da celebrare qualora vi fossero dei battesimi e la “Messa nel giorno” sulla quale ora ci soffermiamo. Per questa celebrazione sono previste le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1,1-8a; Salmo 117; Epistola 1Corinzi 15,3-10a; Vangelo: Giovanni 20,11-18.    


2. Vangelo secondo Giovanni 20,11-18    

In quel tempo. 11Maria di Magdala stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’  dai miei fratelli e dì loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Magdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.    


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano odierno segue immediatamente il racconto della “corsa” fatta al sepolcro da Pietro e Giovanni ai quali proprio Maria di Magdala recatasi di buon mattino al sepolcro aveva annunziato: «Hanno portato via il Signore dalla tomba e non sappiamo dove l’hanno posto!» (20,1-10).

Sono due racconti che intendono proporre, a partire dall’esperienza degli Apostoli e di Maria, una catechesi idonea a suscitare e ad accrescere la fede in Gesù quale unico Signore! Quello di Maria al sepolcro presenta anzitutto il suo dialogo con “due angeli in bianche vesti” (vv. 12-13) e quello con Gesù che Maria però non riconosce (vv. 14-15) fino a che il Signore stesso la chiama per nome e si fa riconoscere (v. 16).

Sorprende il fatto che Maria, totalmente sopraffatta dal dolore per la morte prima e ora per la scomparsa del corpo di Gesù, non avverta nei due suoi interlocutori, che lei tratta come persone qualsiasi, la presenza di creature angeliche. Le loro vesti bianche e la loro posizione: «seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù» (v. 12) segnalano infatti la loro origine celeste che Maria, però, non riesce a cogliere perché pur amando più di sé stessa il Signore questi, alla fine, è oramai solo un corpo esanime. Tutto ciò rappresenta in questa donna una fede ancora non piena destinata a diventare tale solo con l’incontro con il Risorto.

L'iniziale equivoco di Maria che scambia Gesù con il “custode del giardino” (v. 15) sta a dire che il Risorto è certamente il Maestro che ella ha conosciuto e amato, ma ora egli non è più di questo mondo e, pertanto, c’è bisogno che lui si manifesti per poterlo “riconoscere” nella sua nuova condizione di vita. In una parola Gesù non va più cercato, come fa Maria, tra i “morti” ma nella sua nuova identità di Figlio “glorificato”.

Per questo Gesù, chiamando Maria con il suo nome, la costringe ad andare oltre la sua morte e a riconoscerlo finalmente come “vivente”. Ciò è reso evidente nel grido della donna: “Rabbuni!” il titolo cioè con il quale si è sempre rivolta al Signore. è il grido del riconoscimento di fede oramai piena e definitiva: il Maestro che lei ha visto pendere dalla croce e deporre nel sepolcro è ora “vivente”!

Le parole consegnate a Maria per i discepoli, che il Signore “glorificato” chiama “miei fratelli”, costituiscono l’apice dell’intero racconto: «Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (v.17). Con questo solenne messaggio afferma che la sua “salita” al Padre, vale a dire la sua “esaltazione” e “glorificazione” avviata con la “salita” sulla croce sta per diventare definitiva anche nelle conseguenze riguardanti i discepoli e tutti coloro che, lungo i secoli, crederanno in lui.

Questi, infatti, d’ora in poi potranno con lui chiamare Dio “Padre”, assumendo così una vera relazione filiale ed entrando in quel rapporto di amore che unisce il Padre e il Figlio dall’eternità.

Trova così risposta la domanda formulata dagli Apostoli al Risorto: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?» (Lettura: Atti degli Apostoli 1,6). Nella sua “salita” al Padre Gesù non ha ricostituito il “regno” per una nazione soltanto, ma in lui tutte le genti possono rivolgersi a Dio come al loro Dio, il Dio che assicura a essi la sua Alleanza che non verrà mai meno perché inaugurata ed «esaltata nel Sangue del Signore» (Prefazio).

L’annunzio che Maria deve recare ai discepoli divenuti “fratelli” è l’annunzio che la Chiesa, comunità dei credenti deve recare a tutti gli uomini: l’“esaltazione” del Signore nella sua Pasqua di morte e di risurrezione li ha tratti “dall’abisso del peccato” e li ha fatti entrare “nel regno dei cieli” (Prefazio). L’apostolo Paolo lo ha così sinteticamente trasmesso: «A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (Epistola: 1Corinzi 15,3-4).

La celebrazione eucaristica ha trasmesso e continua a trasmettere non solo l’annunzio evangelico del Vivente proclamato nelle Divine Scritture ma a rendere continuamente viva e attuale la sua presenza che dona ai credenti un’esperienza sempre più profonda dell’Alleanza con Dio, ovvero di crescere in quella comunione d’amore filiale con lui fino alla pienezza. A tutti, perciò, è rivolto l’invito: «O popoli, venite con timore e fiducia a celebrare l’immortale e santissimo mistero. Le mani siano pure e avremo parte al dono che ci trasforma il cuore. Cristo, agnello di Dio, si è offerto al Padre, vittima senza macchia. Lui solo adoriamo, a lui diciamo gloria, cantando con gli angeli: Alleluia» (Alla Comunione).

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17 aprile 2011 – Domenica delle Palme


1. La domenica che inaugura la Settimana autentica    

La nostra tradizione liturgica ambrosiana chiama “autentica” la Settimana santa nella quale viene come dispiegato l’evento pasquale della morte, sepoltura e risurrezione del Signore nel quale consiste la salvezza del mondo e che ci è partecipata nei misteri o sacramenti pasquali con al centro l’Eucaristia. L’antica tradizione ambrosiana prevede per questa domenica due distinte celebrazioni: una dove si benedicono le palme e si fa la processione e una chiamata “Messa nel giorno”.    


2. Messa per la benedizione delle palme    

Con il rito della benedizione e successiva processione delle palme si intende far memoria dell’ingresso solenne di Gesù in Gerusalemme per dare inizio alla sua Pasqua.     

* Il Lezionario    
Prevede, ogni anno, le seguenti lezioni bibliche:    
Lettura: Zaccaria 9,9-10. In essa il profeta, nell’annunziare l’ingresso in Gerusalemme di un re umile e pacifico che «annuncerà la pace alle nazioni», prefigura, in verità, l’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme per inaugurare il suo regno universale di “pace”.    
Il Salmo responsoriale riporta alcune strofe del Samol 47 nel quale si canta la grandezza di Gerusalemme dove Dio ha posto la sua residenza.    
L’Epistola: Colossesi 1,15-20. In essa l’Apostolo parla della riconciliazione universale operata da Dio con il «sangue della Croce» del suo Figlio, che non solo è il «primogenito di tutte le creazione» ma anche il «primogenito di quelli che risorgono dai morti».      

Il Vangelo riportato con un breve commento è preso da Giovanni 12,12-16.      

In quel tempo. 12La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando:
«Osanna!   
Benedetto colui che viene nel nome del Signore, i
l re d’Israele!».
14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:
15Non temere, figlia di Sion!
Ecco, il tuo re viene,
seduto su un puledro d’asina.

16I sui discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.      

Il brano segue immediatamente quello dell’“unzione” di Gesù in casa di Lazzaro da lui “risuscitato dai morti” (Gv 12,1-11) e che viene proclamato nella “Messa nel giorno”. I vv. 12-13 riportano l’iniziativa spontanea della folla presente in Gerusalemme per l’imminente festa di Pasqua che “va incontro” a Gesù  recando non semplici fronde strappate a degli alberi ma “palme”, che sappiamo essere simbolo di vittoria. La folla intona il canto gioioso che riconosce in Gesù l’inviato da Dio e il “re” d’Israele.

I vv. 14-15 mettono in luce con il gesto di Gesù di “montare” su un asinello che egli è sì il re d’Israele, ma non come i re di questa terra. Anzi, con la citazione del profeta Zaccaria viene chiarito che Gesù è il re umile e pacifico destinato a regnare su tutte le genti.

Il brano si chiude al v. 16 con l’indicazione preziosa anche per noi: sarà soltanto nell’ora della sua “glorificazione” ovvero della croce che i discepoli di allora e di sempre saranno pienamente illuminati sulle parole e sui gesti di Gesù.      

* Il Messale    
La preghiera liturgica custodita nel Messale ambrosiano offre per questa celebrazione una grande varietà di antifone, inni e orazioni. Qui ci limitiamo a riportare il Prefazio con il quale viene introdotta la Preghiera eucaristica e l’Antifona IV che accompagna la processione: 

Prefazio    
E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Tu hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita.

Salendo a Gerusalemme portava a compimento quanto le Scritture avevano annunziato; e la folla dei credenti con fede e con gioia gli andava incontro acclamando.

Come allora la voce dei fanciulli risuonava della tua lode, così ora con tutto il nostro amore eleviamo esultando un inno alla tua gloria.      

Antifona IV
   
Il cielo si è fatto vicino e tu,
Signore pietoso,
senza lasciare il tuo trono
sei disceso sulla terra.    
Tu vieni a noi, Salvatore del mondo,
su mite asinello.    
Ti corrono incontro i fanciulli con rami di palma
e cantano le tue lodi.    
Benedetto sei tu
che vieni volontariamente a soffrire
per il nostro riscatto.    
A te, Signore, sia gloria.    


3. Messa nel giorno    

Si deve celebrare quando non si fa la processione degli ulivi. Alla Messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 2,12-22 quale Lettura vigiliare.      

*Il Lezionario    
Ha fissato le seguenti lezioni scritturistiche:    

Lettura:
Isaia 52,13-53,12 contiene il quarto canto del servo di Dio sofferente «uomo dei dolori che ben conosce il patire» nel quale non ci è difficile vedere raffigurato il Signore Gesù nella sua passione e morte.

Il Salmo responsoriale è composto da alcune strofe del salmo 87 che trasmette il lamento di un uomo “sazio di sventure” e che tende le sue mani a Dio consegnandosi a lui con fiducia.

L’Epistola: Ebrei 12,1b-3 ci esorta a tenere sempre fisso lo sguardo su Gesù che si sottopose alla croce e questo non solo nei giorni della Settimana autentica ma per tutti i giorni della nostra vita.      

Il Vangelo riportato con un breve commento è preso da Giovanni 11,55-12,11      
In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.     1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete sempre avere me».    
9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti.
10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.  
   

Il brano incentrato sul racconto dell’unzione di Gesù nella casa di Lazzaro (12,1-8) è come incorniciato dai versetti iniziali 11,55-57 e quelli finali 12,9-11. I primi riportano il desiderio della gente, venuta a Gerusalemme per la festa di Pasqua, di poter incontrare Gesù, la cui fama, dopo la risurrezione di Lazzaro, si era sparsa ovunque. I versetti finali riferiscono della decisione di mettere a morte anche  Lazzaro, a causa del quale molti lasciavano la Sinagoga per aderire a Gesù.

Il racconto dell’unzione è collocato nel contesto di un pranzo familiare consumato da Gesù a casa di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, ardenti di fede e di amore verso di lui che si sta incamminando verso la sua Pasqua! Il pranzo può forse rappresentare la gioia della risurrezione, mentre l’unzione che Maria fa sui piedi di Gesù annunzia la sua sepoltura.

Il significato profondo del gesto di Maria, non capito da Giuda, il traditore (vv. 5-6), consiste nell’anticipare, pur senza saperlo, il gesto pieno di amore che ella avrebbe presto compiuto sul corpo esanime del Signore.        

*Il Messale
    
La preghiera liturgica evidenzia il perenne valore salvifico della morte del Signore annunziata dal gesto pieno d’amore di Maria e attualizzato proprio nella celebrazione. Qui riportiamo il Prefazio e l'Antifona alla Comunione:
      
Prefazio    
E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, rendere grazie sempre, qui e in ogni luogo, a te, Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno.

Cristo tuo Figlio, il giusto che non conobbe la colpa, accettò di patire per noi e, consegnandosi a una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri errori. La sua morte ha distrutto il peccato, la sua risurrezione ha ricreato la nostra innocenza.

Per questo mistero d’amore, uniti agli angeli e ai santi cantiamo con voce unanime l’inno della tua gloria.      

Alla Comunione
   
Nel Figlio del suo amore
tutto dal nostro Dio ci fu donato,
il sangue del Signore
ogni peccato nostro ci ha lavato.    
Perdona il nostro errore,
medica le ferite del peccato.

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10 aprile 2011 – V domenica di Quaresima


1. La domenica “di Lazzaro”
   

E' così chiamata perché viene in essa proclamato il Vangelo della risurrezione di Lazzaro come momento culminante del graduale cammino di fede che la Quaresima ci fa intraprendere ogni anno verso la Pasqua. Il Lezionario presenta: Lettura: Esodo 14,15-31; Salmo 105; Epistola: Efesini 2,4-10; Vangelo: Giovanni 11,1-53. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato: Matteo 12,38-40 quale  Lettura vigiliare.    


2. Vangelo secondo Giovanni 11,1-53    

In quel tempo. 1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».    
4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».  11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Didimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».    
17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me,  non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».    
28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31I Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.   
32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?». 38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra.    
39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore; è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra: Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberatelo e lasciatelo andare».    
45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero  in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.    
47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da sé stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.    


3. Commento liturgico-pastorale
   

Per poter più agilmente affrontare la lettura del brano proponiamo la seguente suddivisione:

- i vv. 1-6 sono destinati a presentare la situazione e i personaggi del racconto. In primo piano ci sono ovviamente le parole con cui Gesù parla della “malattia” di Lazzaro come l’occasione perché sia manifestata la “gloria” di Dio, ovvero il suo disegno di salvezza che è destinato a rivelarsi in pienezza nella “glorificazione” di Gesù, il Figlio di Dio. “Glorificazione” che si realizzerà nell’ora della sua croce.

- I vv. 7-16 riportano le parole con cui Gesù spiega ai suoi discepoli, refrattari ad andare con lui in Giudea dove aveva già rischiato di essere ucciso (cfr. Gv 8,59; 10,31), il senso di ciò che si appresta a fare andando da Lazzaro oramai morto (v. 15). Il “risveglio” di Lazzaro, infatti, manifesterà il disegno di Dio che si compirà anche nel suo Figlio crocifisso, e inviterà ancora una volta i discepoli a “credere” in lui e a “seguirlo”.

- Segue ai vv. 20-27 e ai vv. 29-32 l’incontro di Gesù con Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro. In particolare a Marta, che professa la fede nella risurrezione “nell’ultimo giorno” ma soprattutto la fede in Gesù capace, con la sua presenza, di liberare dalla morte, Gesù risponde con la solenne autorivelazione: «Io sono la risurrezione e la vita» (v. 25). Essa riguarda la potenza personale di Gesù di riportare in vita i morti e soprattutto di non far cadere nella morte “eterna” ossia nella dannazione coloro che credono in lui!

La risposta di Marta è una piena professione di fede nel Signore come il Messia, il Figlio di Dio che viene in questo mondo per portare in esso il regno di Dio. è la fede richiesta a tutti coloro che intendono seguire Gesù, diventare suoi discepoli e per mezzo del Battesimo diventare membri della sua comunità. è la fede  che il tempo quaresimale intende far recuperare e brillare in tutta la sua integrità nella Chiesa e in ogni singolo fedele.

Nell’incontro di Gesù con Maria invece questa sembra come sopraffatta dalla tremenda realtà della morte che induce in Gesù stesso una triplice reazione così annotata: v. 33 si “commosse profondamente“; ne fu “molto turbato”; v. 35 “scoppiò in pianto”. La “commozione” e il “turbamento” in Gesù dicono quanto egli avvertisse attorno a sé la terribile presenza della morte alla quale egli stesso dovrà presto andare incontro.

Le lacrime del Signore sono le lacrime di Dio stesso davanti al potere devastante che la morte esercita sull’uomo uscito dalle sue mani, ma sono anche le lacrime di chi, come Gesù, “deve” lasciarsi avviluppare da quel potere perché si compia il disegno del Padre, quello che ora brilla nel miracolo del “risveglio” di Lazzaro che, addirittura, è morto già da quattro giorni ed è già in decomposizione (v. 39).  Il gesto di “alzare gli occhi” (v. 41) verso l’alto mette in luce la continua comunione di vita e di amore con il Padre che sempre ascolta ed esaudisce il Figlio.

- La narrazione del miracolo vero e proprio e destinato a suscitare la fede in lui occupa soltanto due versetti: 43 e 44. Gesù grida a gran voce il nome del morto al quale ingiunge di lasciare il sepolcro e di uscire incontro a lui; e ai presenti ordina di liberarlo dalle bende, nelle quali va forse vista un’allusione alla morte che Lazzaro dovrà nuovamente affrontare. Gesù invece lascerà il sepolcro sciolto dalle bende in cui era stato avvolto per indicare la definitività della sua risurrezione e della vita cosa  che riguarderà anche tutti coloro che perseverano e credono in lui.

- Il brano si conclude con la reazione dei testimoni dell’accaduto (vv. 45-53). Una reazione duplice: alcuni «alla vista di ciò che egli aveva compiuto» credettero. Altri invece informarono dell’accaduto «i capi dei sacerdoti e i farisei» i quali in una apposita riunione ne decretano la morte (v. 53).

Di tale riunione interessano particolarmente le parole di Caifa (v. 50) e il commento che di esse ne fa l’evangelista (51-52). Egli riconosce come “ispirate” le parole dette dal sommo sacerdote e che rivelano la destinazione della morte di Gesù in vista della “salvezza” della nazione giudaica e, a partire da essa, destinata a radunare «insieme i figli di Dio che erano dispersi», realizzando così la missione “pastorale” che Gesù è venuto a compiere sulla terra: chiamare e radunare nella comunione con lui e con il Padre tutti i popoli della terra insieme con il popolo d’Israele.

Collocato nel contesto del graduale cammino quaresimale verso la Pasqua, il brano evangelico va letto anzitutto come un appello potente a credere nel Signore Gesù, il quale è venuto in questo mondo rivestito della stessa potenza salvifica dispiegata a suo tempo da Dio stesso a favore del suo popolo. Quella “gloria” che Dio dimostra contro il Faraone d’Egitto deciso a sterminare il suo popolo (Lettura: Esodo 14,17-18) e che si concretizzò nell’inaudito prodigio della divisione delle acque del Mar Rosso, è la “gloria” che Dio manifesta nel suo Figlio che viene posto davanti al potere non di un tiranno, ma a quello invincibile della “morte”.

Il “risveglio” di Lazzaro dalla morte manifesta che «la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l'Egitto»  (Es 14,31a) continua a operare nel suo Figlio Gesù. Davanti al prodigio del Mar Rosso «il popolo temette il Signore e credette in lui» (Es 14,31b). Davanti alla risurrezione di Lazzaro “alcuni” credettero in Gesù e tra questi vanno annoverate le due sorelle, i discepoli e alcuni  giudei presenti al miracolo.

La fede in Cristo che richiama alla vita i morti e che è soprattutto in grado di liberare dalla “morte eterna” è ciò che viene chiesto a tutti noi che ci diciamo di Cristo! La “morte eterna” è la nostra terribile nemica ed è indotta in noi a causa del peccato, come ci avverte l’Apostolo nell’Epistola (Efesini 2,1).

Il fremito interiore, il turbamento e le lacrime del Signore sono certamente dovute alla morte corporale di Lazzaro, alla quale Gesù stesso sta per andare incontro. Ma esse sono dovute all’annuncio tremendo che questa morte rappresenta: quello della morte eterna o dannazione, dalla quale solo la mano potente di Dio ci può preservare e, di fatto, ci ha preservato nel suo Figlio: «Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo» (Efesini 2,4-5).

La preghiera liturgica evidenzia come tutto ciò si sia già attuato in noi a livello sacramentale nell’acqua del Battesimo dove: «la grazia divina del Cristo libera noi tutti sepolti nella colpa del primo uomo, e ci rende alla vita e alla gioia senza fine» (Prefazio I). Il sacramento eucaristico poi «che ci è dato per liberarci dalla schiavitù della colpa» nella quale purtroppo cadiamo a motivo dell’umana fragilità: «purifichi i nostri cuori e, a immagine della risurrezione, ci riscatti da ogni antica decadenza» (Orazione dopo la Comunione).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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