28 Novembre 2010 - III Domenica di Avvento


1. Le profezie adempiute
     

Si vuole, in questa domenica, mettere in evidenza come le “divine promesse” di salvezza testimoniate nelle Sacre Scritture si sono realizzate nella venuta del Figlio di Dio in questo mondo. Il Lezionario prevede: Lettura: Isaia 35,1-10; Salmo 84; Epistola: Romani 11,25-36; Vangelo: Matteo 11,2-15. Nella Messa vigiliare del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da Giovanni 20,1-8.
 

2. Vangelo secondo Matteo 11,2-15
      
In quel tempo. 2Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò 3a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». 4Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: 5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. 6E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 7Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? 8Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re!  9Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, / davanti a te egli preparerà la tua via”. 11In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui. 12Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono. 13Tutti i Profeti e la Legge infatti hanno profetato fino a Giovanni. 14E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire. 15Chi ha orecchi, ascolti!».    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico mostra come Gesù, concluso il discorso missionario e l’invio dei Dodici (9,36-10,42), è il primo a intraprendere la predicazione. Con ciò si vuol evidenziare che è lui “l’Inviato”, è lui il “Messia” annunziato dai Profeti.

I versetti 1-6 riportano la domanda rivolta a Gesù dai discepoli di Giovanni Battista incarcerato da Erode e riguardante la sua identità messianica (v 3). A essa Gesù risponde enumerando le opere da lui compiute (vv 4-6) e che, secondo i Profeti, identificano proprio il Messia.

Nella seconda parte (vv 7-15) viene riportata la “testimonianza” data da Gesù a Giovanni Battista, il suo Precursore, di cui riconosce l’autenticità come Profeta (vv 7-9) e soprattutto di essere “quell’Elia” che nella tradizione biblica sarebbe ritornato al momento dell’arrivo del Messia.

Questa terza domenica di Avvento vuole mettere in evidenza come in Gesù si sono adempiute le profezie che hanno tenuto viva in Israele e, tramite esso, nel cuore dell’umanità l’attesa della salvezza come inaugurazione del regno di Dio destinato, come sappiamo, a realizzarsi in pienezza e definitivamente con il ritorno “glorioso” del Signore.   La “salvezza” è annunziata dai Profeti come effettiva liberazione del popolo d’Israele dalla triste condizione dell’esilio ed è cantata come un intervento diretto di Dio che procura una reazione gioiosa nel popolo specialmente nei più poveri e tribolati: «Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto» (Lettura: Isaia 35,6).

Tale reazione contagia tutto il creato e in particolare il “deserto” e la “terra arida” destinata a «diventare una palude e il suolo riarso sorgenti d’acqua» (v 7).

Non a caso, perciò, il Signore Gesù ai messi del Battista, che intendono accertarsi su di lui come inviato da Dio per la salvezza, ovvero come Messia, risponde: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Vangelo: Matteo 11,4-5).

Si tratta cioè di gesti molto concreti e a tutti comprensibili come segnali che finalmente le profezie si sono adempiute! Dare la vista ai ciechi, risuscitare i morti, sono infatti cose che solo Dio può operare. In Gesù che le compie, dunque, agisce la divina potenza che interviene in modo concreto liberando da condizioni di malattia, di menomazione, addirittura di morte e di marginalità: «ai poveri» infatti «è annunciato il Vangelo», la bella e la buona notizia che li trasforma da “ultimi” e da “più piccoli” in più «grandi nel regno dei cieli», più grandi, addirittura, del Precursore del Signore (v 11).

L’Epistola paolina s’incarica di aiutarci a valutare in tutta la sua portata la “salvezza” che le profezie annunziano e che in Cristo si adempiono. Tutti gli uomini, a cominciare dagli appartenenti al popolo che Dio ama e i cui doni e la cui chiamata «sono irrevocabili» (Romani 11,29), sono di fatto “rinchiusi” «nella disobbedienza» ovvero nell’empietà e nel peccato che è essenzialmente l’incredulità e l’idolatria di sé.

È questa la vera schiavitù, è questa la malattia che precipita l’umanità nella morte, quella eterna, da cui nulla e nessuno la può liberare se non la libera sovrana decisione di Dio di «essere misericordioso verso tutti» (Romani 11,39).

L’Avvento, mentre ci dispone a celebrare la prima venuta nell’umiltà della carne del Figlio di Dio, ravviva nel cuore della Chiesa anzitutto la consapevole e forte fede in Cristo quale unico e definitivo portatore della divina salvezza. In lui, perciò, si sono adempiute tutte le divine promesse. Non ne «dobbiamo aspettare un altro» (Matteo 11,3).

L’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica interpreta in modo sintetico e chiaro tutto ciò: «O Dio, che nella venuta del tuo Figlio unigenito hai risollevato l’uomo, caduto in potere della morte, a noi che ne proclamiamo con gioia l’incarnazione gloriosa dona di entrare in comunione di vita con il Redentore, nostro Signore e nostro Dio».

All’antica universale implorazione: «O cieli, stillate rugiada, dalle nubi discenda giustizia; si schiuda la terra e germogli il Salvatore» (Canto All’Ingresso) Dio risponde nel Bambino di Betlemme, nell’Uomo della croce, e ora, nel “pane” della mensa eucaristica.

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21 Novembre 2010 - II Domenica di Avvento


1. I figli del Regno

La seconda domenica di Avvento vuole proclamare il carattere universale della salvezza ovvero: tutti gli uomini sono chiamati, nel Figlio di Dio venuto nel mondo, a diventare “figli del Regno”. Vengono perciò oggi letti i seguenti brani biblici: Lettura: Baruc 4,36-5,9; Salmo 99; Epistola: Romani 15,1-13; Vangelo: Luca 3,1-18. Il Vangelo della risurrezione da leggere nella Messa vigiliare del sabato è preso da Luca 24,1-8.    


2. Vangelo secondo Luca 3,1-18
     

1Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:    
«Voce di uno che grida nel deserto: / Preparate la via del Signore, / raddrizzate i suoi sentieri! / 5Ogni burrone sarà riempito, / ogni monte e ogni colle sarà abbassato; / le vie tortuose diverranno dritte / e quelle impervie, spianate.  / 6Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».    
7Alle folle che andavano a farsi battezzare da lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque frutti degni della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli di Abramo. 9Anzi, già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco».    
10Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». 12Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». 13Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».    
15Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, 16Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». 18Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
   


3. Commento liturgico-pastorale
     

Il brano evangelico odierno segue immediatamente i primi due capitoli del racconto di Luca altrimenti detti il Vangelo dell’infanzia del Signore. Il brano può essere così suddiviso: vv 1-6 narrano la chiamata di Giovanni come precursore del Messia; i vv 7-14 riportano il ruolo essenziale della sua predicazione, mentre i vv 15-18 tratteggiano la figura del Messia che sta per venire con i tratti di colui che viene per il “giudizio”.

    Al cuore del messaggio di questa II domenica di Avvento è posta la manifestazione del mirabile disegno divino che nel suo Figlio, inviato in questo mondo come vero uomo, chiama tutte le genti della terra ad accogliere la salvezza che consiste nella trasformazione di tutti gli uomini in autentici figli di Dio, candidati a entrare nel suo Regno. Si tratta di  una grandiosa prospettiva che dice il senso nascosto dell’incarnazione e della venuta nel mondo del Figlio di Dio e che il canto “All’ingresso” liricamente così esprime: «Il suo frutto si innalzerà come il cedro del Libano. Il Signore sarà benedetto per sempre, davanti al sole ascenderà il suo nome; in lui saranno benedette tutte le genti della terra».

    Tale prospettiva cozza contro la mentalità mondana deformata dal peccato e, perciò, votata alla divisione, alla contrapposizione tra gli uomini. A essa L’Apostolo reagisce predicando l’accoglienza e la reciproca carità «perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Epistola: Romani 15,6).

    Anche la parola profetica parla di un ritorno e di un raduno di tutti i figli d’Israele nella città di Gerusalemme che Dio vuole fare brillare di splendore davanti «a ogni creatura sotto il cielo» come luogo, cioè, di attrazione per tutte le genti e dove si manifesta la «pace di giustizia» e la «gloria di pietà» (Lettura: Baruc 5,4) di Dio per tutti.

    Gerusalemme, in questo caso, diventa un annunzio profetico della Città celeste, del Regno “della misericordia e della giustizia” (Baruc 5,9) che è storicamente apparso in questo mondo in Gesù e che è destinato a rivelarsi in pienezza e definitivamente nella “parusia”, nel ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi come ci ricordava la prima domenica di Avvento.

    Di qui l’appello rivolto indistintamente a tutti a entrare nel Regno assumendo, mediante la conversione del cuore e l’immersione battesimale nel fuoco trasformante dello Spirito Santo (Luca 3,16), la nuova condizione di “figli” in tutto simili all’unico Figlio di Dio che è il Signore Gesù, nato a Betlemme da Maria, morto sulla croce, risorto per donare il suo Spirito.

    Il Battista aveva già indicato percorsi concreti di conversione di cui tutti siamo bisognosi così come lo erano le “folle”, i “pubblicani” e i “soldati” che accorrevano a lui (cfr. Luca 3,10-14). Si tratta, a ben guardare, di un concreto cambiamento di vita essenzialmente nei riguardi del nostro prossimo.

    Ci viene chiesto dal Precursore un atteggiamento di condivisione, di rettitudine, di rispetto che prelude a quella che Paolo chiama “accoglienza”, ovvero disponibilità nei confronti dell’altro, chiunque esso sia, sull’esempio di Cristo che «accolse anche voi per la gloria di Dio» (Romani 15,7).

    In tale capacità di “accoglienza” che in realtà è un dono divino (cfr. Romani 15,5) si rende a tutti evidente la concretezza del progetto divino di chiamare tutte le genti, nel suo Figlio, a fare parte come “figli” del suo Regno.

    “Accoglienza” e anelito incessante al Regno sono doni ricevuti alla mensa eucaristica imbandita dall’amore del Signore. Così, infatti, preghiamo nell’orazione “Dopo la Comunione”: «La forza ricevuta nei tuoi misteri, o Dio onnipotente, ci aiuti a vincere il nostro egoismo e ci confermi nel desiderio del tuo regno».

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14 Novembre 2010 - I Domenica di Avvento


1. La venuta del Signore


È il “titolo” distintivo, nel Lezionario ambrosiano, della prima domenica di Avvento con il quale si vuole mettere in luce la dimensione “escatologica”, ovvero l’attenzione alle cose “ultime” della nostra storia, propria dell’inizio di questo tempo liturgico essenzialmente destinato a preparare la celebrazione della “prima venuta” del Signore nel mistero del suo Natale. Le lezioni bibliche, oggi proposte, sono: Lettura: Isaia 51,4-8; Salmo 49; Epistola: 2Tessalonicesi 2,1-14; Vangelo: Matteo 24,1-31. Nella Messa vigiliare del sabato il Vangelo della risurrezione è preso da Marco 16,9-16.


2. Vangelo secondo Matteo 24,1-31

In quel tempo. 1Mentre il Signore Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio. 2Egli disse loro: «Non vedete tutte queste cose? In verità io vi dico: non sarà lasciata qui pietra su pietra che non sarà distrutta». 3Al monte degli Ulivi poi, sedutosi, i discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: «Di’ a noi quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo». 4Gesù rispose loro: «Badate che nessuno vi inganni! 5Molti infatti verranno nel mio nome, dicendo: “Io sono il Cristo”, e trarranno molti in inganno. 6E sentirete di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi, perché deve avvenire, ma non è ancora la fine. 7Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi: 8ma tutto questo è solo l’inizio dei dolori. 9Allora vi abbandoneranno alla tribolazione e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. 10Molti ne resteranno scandalizzati, e si tradiranno e odieranno a vicenda. 11Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; 12per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti. 13Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. 14Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. 5Quando dunque vedrete presente nel luogo santo l’abominio della devastazione, di cui parlò il profeta Daniele – chi legge, comprenda –, 16allora quelli che sono in Giuda fuggano sui monti, 17chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere le cose di casa sua, 18e chi si trova nel campo non torni indietro a prendere il suo mantello. 19In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano! 20Pregate che la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato. 21Poiché vi sarà allora una tribolazione grande, quale non vi è mai stata dall’inizio del mondo fino ad ora, né mai più vi sarà. 22E se quei giorni non fossero abbreviati, nessuno vi salverebbe; ma, grazie agli eletti, quei giorni saranno abbreviati. ; 23Allora, se qualcuno vi dirà: “Ecco, il Cristo è qui”, oppure: “È là”, non credeteci; 24perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi segni e miracoli, così da ingannare, se possibile, anche gli eletti. 25Ecco, io ve l’ho predetto. 26Se dunque vi diranno: “Ecco, è nel deserto”, non andateci; “Ecco, è in casa”, non credeteci. 27Infatti, come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. 28Dovunque sia il cadavere, lì si raduneranno gli avvoltoi. 29Subito dopo la tribolazione di quei giorni, “il sole si oscurerà, / la luna non darà più la sua luce, / le stelle cadranno dal cielo / e le potenze dei cieli saranno sconvolte”. 30Allora comparirà in cielo il segno del Figlio dell’uomo e allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra, e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. 31Egli manderà i suoi angeli, con una grande tromba, ed essi raduneranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli».


3. Commento liturgico-pastorale

Il brano evangelico odierno riporta buona parte del discorso escatologico, cioè, relativo alle “cose ultime” che devono accadere (24,1-25,46) e che, nel Vangelo secondo Matteo coincidono con la parusia, ovvero il ritorno del Signore Gesù «con grande potenza e gloria». I vv 1-3 relativi alla distruzione del Tempio di Gerusalemme segnano come l’avvio di “queste ultime cose” illustrate da Gesù interrogato esplicitamente su di esse dai suoi discepoli. Tale distruzione segna perciò l’avvio dei “dolori” (vv 4-14) attraverso il ricorso a immagini di realtà ben conosciute quali: guerre, rivoluzioni, carestie… Esse, però, non sono la “fine” la quale è dilazionata in vista della predicazione di «questo Vangelo del regno in tutto il mondo» (v 14). Persino la “grande tribolazione” (vv 15-28), ovvero la terribile persecuzione scatenata dall’Impero romano non rappresenta ancora la fine. In quella circostanza, poi, occorrerà guardarsi dai “falsi messia” dai “falsi profeti” che cercheranno di sedurre anche i credenti.

    La fine (vv 29-31) coincide, invece, con la venuta del Signore, significata dal suo “segno” e descritta con perturbazioni cosmiche, a indicare che tutto il creato è in essa coinvolto, con la sua apparizione sulle “nubi del cielo” e con il raduno degli “eletti”. Le pagine della Scrittura, oggi proclamate, e soprattutto la pagina evangelica di Matteo caratterizzano l’Avvento come tempo in cui la Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore, mentre si prepara a celebrare il suo Natale, è sollecitata a considerare di essere incamminata, con l’intera umanità e il cosmo, verso le “cose ultime”. Si tratta, cioè, di tenere vivo nel cuore della Chiesa la domanda rivolta un giorno dai discepoli a Gesù: «quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?» (v 3). È una domanda di capitale importanza per tutti noi. Essa ci dice che di tutte le realtà di questo mondo non rimarrà «pietra su pietra» e, pertanto, ci mette in guardia dal cadere vittima del materialismo dilagante che chiude gli occhi e i cuori e li ripiega sulle cose quali il potere, il piacere, il successo, illudendosi sulla loro reale capacità di dare vita e felicità durature.

    È decisivo, in una parola, tenere viva in noi la certezza di fede che questo mondo è destinato a finire e che la sua fine coincide con la seconda definitiva venuta del Signore. La prospettiva dunque è il ritorno “glorioso” del Signore che è venuto nel mondo nell’umiltà e nella piccolezza del Bambino, che ha sofferto la croce per la salvezza. Il Vangelo perciò ci aiuta a comprendere come la “gloriosa venuta del Signore” è dilazionata nel tempo perché a tutte le genti sia predicato il suo nome nel quale c’è salvezza. Nel frattempo la comunità è esortata a non farsi sviare dagli accadimenti e dai fenomeni tragici che scandiscono tale attesa. Tra questi accadimenti, come già per la Chiesa delle origini è da mettere in conto anche la “grande tribolazione” ovvero la persecuzione a cui dovrà andare incontro. Soprattutto la Chiesa deve guardarsi dal lasciarsi sedurre dai falsi profeti o dagli anti-cristi che si impegnano a togliere dal cuore dei credenti la fede nel Signore Gesù e la carità vicendevole e verso tutti per depositarvi i semi malvagi dell’odio e del tradimento (cfr. v 10).

    Anche l’Apostolo mette in guardia la giovane comunità cristiana di Tessalonica dal lasciarsi sedurre dalla «venuta dell’empio» forte della «potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità» (Epistola: 2Tessalonicesi 2,9-10). Ciò che apprendiamo in questa I domenica di Avvento va tenuto costantemente presente nel nostro cammino. Abbiamo capito che il mondo, la storia, il cosmo e ognuno di noi ha come prospettiva finale un evento salvifico: il Figlio dell’uomo che porta con sé il suo “segno” ossia la sua croce, l’emblema di ciò che egli ha compiuto per nostro amore e attorno al quale tutti saranno radunati dagli angeli ministri del Signore.

     Si tratta perciò di una prospettiva di per sé piena di luce e non di tenebre già annunziata dall’oracolo profetico e dove trova compimento la divina promessa: «la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta» (Lettura: Isaia 51,6). Per questo occorre trascorrere questa esistenza terrena “perseverando sino alla fine” nella fedeltà al Signore e al suo Vangelo: in concreto rifiutando le ingannevoli seduzioni del mondo, non ”scandalizzandoci” per le umiliazioni e le persecuzioni subite a causa del Vangelo, e soprattutto vivendo integralmente e dando piena testimonianza al Vangelo stesso che è tutto racchiuso nel comandamento della carità, sulla quale tutti saremo giudicati allorché verremo radunati davanti al trono del grande re e giudice.

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7 novembre 2010


1. La domenica conclusiva dell’Anno liturgico

È, di fatto, l’ultima domenica dopo la Dedicazione che, nella liturgia ambrosiana, coincide con l’odierna solennità di Gesù Cristo re dell’universo con la quale si chiude il corrente Anno liturgico. Il Lezionario prevede i seguenti brani scritturistici: Lettura: Daniele 7,9-10.13-14; Salmo 109; Epistola: 1Corinzi 15,20-26.28; Vangelo: Matteo 25,31-46. Il Vangelo della risurrezione da leggere nella Messa vigiliare del Sabato è preso da Luca 24,1-8.    


2. Vangelo secondo Matteo 25,31-46
     

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 31«Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo  di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».    


3. Commento liturgico-pastorale
     

L’odierno brano evangelico fa parte della sezione “escatologica” del Vangelo secondo Matteo (24,1-25,46) quella che attiene, cioè, alle ultime cose che precedono la “parusia” ovvero la seconda definitiva “venuta” del Signore.

    È immediatamente preceduto dalle tre parabole della “vigilanza” (24,45-25,30), le quali vogliono esortare a farsi trovare preparati nell’ora della “venuta” del Signore. Oggi tale “venuta” ci viene presentata come “venuta” per il “giudizio universale”.

    Il brano si apre al v 31 con l’entrata in scena del “Figlio dell’uomo” (cfr. Daniele 7,13) ossia di Gesù giudice escatologico circondato dagli “angeli suoi assistenti” (Zac 14,5). Il v 32 descrive il raduno universale davanti al Giudice, il quale da subito divide gli uni dagli altri recuperando l’immagine biblica del pastore che separa le pecore a destra e i capri a sinistra (cfr. Ezechiele 37,16-17).

    Seguono poi le due parti rispettivamente: 34-40 e 41-45 costruite però in stretto parallelismo. Di fatto entrambe sono avviate dall’emissione della sentenza:  favorevole per quelli posti alla “sua destra” (vv 34-36) e di condanna per quelli posti “alla sinistra” (vv 41-43), così come dalla replica meravigliata dei “benedetti” (vv 37-39) e quella dei “maledetti” (v 44) si concludono con la motivazione della stessa sentenza da parte del Giudice (v 40 e v 45) fondata sull’aver fatto o sul non aver fatto queste cose, ossia le opere di misericordia (vv 35-36; vv 42-43) «a uno di questi miei fratelli più piccoli» nei quali si identifica lui stesso.

    In questa ultima domenica dell’anno liturgico ambrosiano le pagine della Scrittura pongono in particolare rilievo una delle prospettive essenziali per la nostra fede: quella “escatologica”.

    Si vuole, con questo, tener viva nella Chiesa mandata ad annunciare il Vangelo di salvezza a tutti i popoli, l’attenzione alle cose “ultime” che coincidono con la “parusia” ovvero il ritorno del Signore alla fine dei tempi nello splendore della sua “gloria” intravista dal profeta Daniele «nelle visioni notturne» e così descritta: «ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; … Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Lettura: Daniele 7,14).

    Tra le “cose ultime” concomitanti alla “parusia” gloriosa del Signore, viene oggi evidenziata quella del giudizio che è una delle prerogative del Figlio dell’Uomo, ossia del Signore Gesù esaltato “alla destra del Padre”. La scena evangelica, in verità, non parla di un giudizio diretto alla singola persona, bensì mostra il raduno universale dell’umanità davanti al Giudice divino per la irreformabile sentenza di beatitudine e di condanna.    
Nell’ora solenne del giudizio universale il Signore, venuto una prima volta dal Cielo per radunare in un unico gregge l’umanità dispersa e divisa a causa del peccato, continua ora nel suo compito “pastorale” interpretato, adesso, come un «separare gli uni dagli altri» (v 32) in due greggi distinti.

    Il primo è quello dei “benedetti”, di quanti, cioè, nella loro esistenza terrena hanno seguito il Signore, uniformandosi a lui nel tratto distintivo della sua vita: la carità. Egli, fattosi l’ultimo e il “più piccolo” nel mistero della sua continua umiliazione e spogliazione di sé, si è preso personalmente cura dei più umili, dei più emarginati, identificandosi in essi diventati così come il “sacramento” della sua stessa continuata presenza nel mondo.

    Sono pertanto “benedetti” e dunque salvi per sempre nel regno di Dio, perché hanno sentito di doversi comportare con gli altri come si è comportato il Signore Gesù! La carità dunque come regola suprema dell’agire dell’uomo che si rifà in tutto a colui che è carità!     I “maledetti” che ricevono la sentenza definitiva  di condanna sono perciò coloro che, di fatto, hanno idolatrato il proprio “io” e quindi non hanno mai accettato di ascoltare e di convertirsi al Vangelo del regno che ha come sua regola, appunto, la carità.

    L’Anno liturgico che va verso la conclusione attiva ogni anno in tutti noi l’attenzione verso le “cose ultime”, quali appunto la fine della nostra esistenza su questa terra e il “giudizio” che tutti ci aspetta davanti al tribunale del grande re.

    Alla fine saremo giudicati sull’amore! È questo il potente messaggio che ci viene dal nostro re crocifisso per amore e che a lui domandiamo di saper accogliere con tutta sincerità così da trasformare la nostra esistenza in una vita “data”, come la sua, per amore.

    A lui così ci rivolgiamo: «Ave, re nostro, che solo avesti pietà dei nostri errori: obbediente al volere del Padre, ti lasciasti condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio. A te sia gloria, osanna, trionfo e vittoria, a te la più splendente corona di lode e di onore» (Canto dopo il Vangelo).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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