30 settembre 2012


30 settembre 2012 – V domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

 

 

Fa risuonare con forza nella Chiesa il comandamento dell’amore, quale norma unica e suprema data da Gesù alla sua comunità e valida per tutti i tempi.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti testi della scrittura: Lettura: Deuteronomio 6,1-9; Salmo 118 (119); Epistola: Romani 13,8-14a; Vangelo: Luca 10,25-37. Alla Messa vigiliare del sabato si proclama: Luca 24,13-35 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVI domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro del Deuteronomio (6,1-9)

 

In quei giorni. Mosè disse: «1Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; 2perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. 3Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.

4Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. 5Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. 6Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. 7Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. 8Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi 9e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».

 

Il brano, che ruota attorno al comandamento dell’amore per Dio, è introdotto, ai vv. 1-3, dall’esortazione a temere il Signore, a rimanere cioè fedeli ai suoi comandi come condizione per avere una vita lunga e serena. Il grande comandamento è inoltre preceduto dall’invito ad ascoltare la proclamazione di fede riguardante Dio, unico Signore (v. 4). Si tratta del nucleo essenziale della professione di fede del giudaismo sulla quale si poggia il precetto di amare il Signore con una totale dedizione a lui (v. 5). I vv. 7-9, infine, contengono una serie pratica di suggerimenti volti a favorire la perseveranza nel tener fede al comando del Signore.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (13,8-14a)

 

Fratelli, 8non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

11E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.

 

Il brano fa parte della sezione “pratica” della lettera, nella quale l’Apostolo offre concrete indicazioni per la vita cristiana: 12,1-15,13. È il caso dei vv. 8-10, nei quali con riferimento a Esodo 20,13-17 e Levitico 19,18 pone al centro dell’impegno di vita cristiana l’esigenza dell’amore vicendevole come adempimento dei divini precetti. I vv. 11.14, infine, esortano a vivere nella prospettiva pasquale della risurrezione del Signore che ha inaugurato gli ultimi tempi e che esigono perciò, da parte del credente, una condotta aliena dalle «opere delle tenebre» e del tutto conforme a quella del Signore del quale, nel battesimo, è stato rivestito.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (10,25-37)

 

In quel tempo. 25Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova il Signore Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

Il testo evangelico registra, nella prima parte (v. 25-28), la risposta data da Gesù a un dottore della Legge che lo interroga «su cosa devo fare per ereditare la vita eterna» (v. 25) rimandandolo a quanto afferma, al riguardo, la Scrittura. Il dottore della Legge cita, per questo, Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18, attinenti al grande precetto dell’amore di Dio e del prossimo (v. 27). La seconda parte (vv. 29-37) risponde alla domanda: «E chi è mio prossimo?» (v. 29) ossia come applicare in concreto tale precetto e Gesù, per questo, si serve di una parabola che è avviata dalla situazione di urgente bisogno di aiuto da parte di un uomo caduto nelle mani dei briganti e lasciato sulla strada mezzo morto (v. 30). Entrano allora in scena rispettivamente un sacerdote e un levita che alla vista del malcapitato passano oltre (vv. 31-32) mentre è un samaritano, che il dottore della Legge non può considerare suo “prossimo” perché eretico e peccatore, ad avvertire per il malcapitato compassione, che è il sentimento attribuito dalla Bibbia a Dio stesso nei confronti dei deboli e dei poveri e, più volte, manifestato anche da Gesù. I vv. 34-35, perciò, descrivono accuratamente i gesti del samaritano che si prende cura del ferito. A questo punto è possibile rispondere alla domanda del versetto 29 che Gesù lascia al suo interlocutore invitato, dunque, a fare la stessa cosa (vv. 36-37) per ottenere la vita eterna, ossia la salvezza (cfr. v. 25).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Ci viene oggi presentata la regola fondamentale e il precetto “unico” che il Signore dà alla sua comunità e che essa è chiamata a testimoniare in quanto tale e nella condotta dei suoi componenti. 

Nell’Antico Testamento Dio stesso, attraverso Mosè, ha dato comandi, leggi e norme al suo popolo da mettere in pratica «perchè tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele» (Lettura: Deuteronomio 6,3). Essi erano come riassunti nel precetto di tutti i precetti: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (v. 5), integrato con l’amore del «tuo prossimo come te stesso» (cfr. Levitico 19,18 citato nel testo evangelico al v. 27).

Gesù stesso indica nell’osservanza di questi due precetti la strada sicura per «ereditare la vita eterna» (Vangelo: Luca 10,25), per ottenere, cioè, la salvezza. Se l’osservanza dei precetti nell’antica alleanza garantiva una vita lunga e felice nel possesso della terra o in una numerosa discendenza (cfr. Deuteronomio 6,3), ora l’osservanza del precetto dell’amore di Dio e del prossimo garantisce la “vita” (cfr. Luca 10,28) ossia la partecipazione personale irrevocabile alla vita divina.

Occorre però precisare che, tra i contemporanei di Gesù, il termine prossimo si riferiva sostanzialmente ai membri del popolo di Dio, dal quale erano certamente esclusi i popoli pagani, ma anche i Samaritani a motivo della loro contaminazione con popolazioni idolatriche e della osservanza religiosa intrisa di usanze ritenute eretiche.

Risulta perciò scandaloso l’aver concretizzato in un Samaritano l’unico che si ferma a soccorrere il malcapitato (vv. 33-35), capace di superare ogni confine culturale, razziale, politico, religioso, la risposta alla domanda: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29).  In tal modo il Maestro impartisce ai suoi discepoli una lezione valida sempre e ovunque: ogni uomo è il mio prossimo, verso il quale sono legato dal vincolo di carità a cui mi avvince il precetto divino. Nel rinnovato impegno di predicazione del Vangelo e di testimonianza di fede a cui è sollecitata la Chiesa e, dunque, ogni fedele, occorre tenere ben presente che il loro successo dipende dalla grazia di Dio ed è largamente propiziato dall’osservanza del precetto della carità a partire dalle nostre comunità. Non giova, infatti, allo sforzo missionario lo spettacolo di comunità ecclesiali divise al loro interno, vittime della mentalità di questo mondo che predica l’esclusione, la distinzione e rifiuta l’inclusione, la solidarietà, l’accoglienza. La lezione impartita dal nostro unico Maestro su “chi è il mio prossimo”, deve aiutarci a respingere istintivamente ogni insegnamento contrario, a fuggire da chi predica con sfrontatezza diabolica sulle nostre piazze, specialmente virtuali, discriminazione, avversione, disprezzo verso l’altro ritenuto diverso, quindi, nemico e a percorrere, invece, con la grazia del suo Spirito, la via della carità del tutto gratuita e incondizionata.

Una via di per sé impraticabile con l’ausilio delle sole forze umane, ma percorribile per grazia, come ha ben compreso la preghiera liturgica: «Infondi, o Dio, nei tuoi figli una grande e forte capacità di amare, perché sappiano serbarsi fedeli all’insegnamento del vangelo e possano vivere nella carità e nella pace» (Orazione Sui Doni). È così possibile superare l’innata nostra inclinazione all’individualismo egocentrico e all’amore esclusivo di sé ed assumere i sentimenti e gli atteggiamenti del Signore Gesù che è venuto dal Cielo come “buon samaritano” dell’intera umanità caduta in balia del potere del male e da esso sfigurata.

Sentimenti e atteggiamenti che ci è dato di rivestire nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore,  il quale ci abilita gradatamente a vivere nella disponibilità al dono di sé, sul suo esempio. Di tutto ciò, oggi più che mai, dobbiamo avere grande consapevolezza: chi mangia il Corpo del Signore e beve il suo Sangue assume di fatto la disponibilità e la capacità di fare di sé, al pari di Gesù, un dono per ogni uomo “suo prossimo”!

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23 settembre 2012

Celebra ed esalta la continua presenza del Signore Gesù nella Chiesa quale Pane di vita.

 

Il Lezionario

 

Prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: 1 Re 19,4-8; Salmo 33 (34); Epistola: 1 Corinzi 11,23-26; Vangelo: Giovanni 6,41-51. Giovanni 20,11-18 viene proclamato nella Messa vigiliare del Sabato come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del primo libro dei Re (19,4-8)

 

In quei giorni. 4Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». 5Si coricò e si addormentò sotto la ginestra. Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». 6Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò. 7Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». 8Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

 

Il v. 4 evoca la fuga precipitosa del profeta Elia per mettersi in salvo dal proposito di vendetta della regina Gezabele avvertita di quanto era avvenuto ai profeti di Baal sul monte Carmelo (cfr. 1Re 18,20-40). I vv. 5-7 riferiscono del cibo che viene offerto due volte al Profeta da un angelo per sostenere il suo cammino, ossia la sua attività profetica. Il v. 8 sottolinea l’energia eccezionale conferita da quel cibo al profeta capace di sostenerlo «per quaranta giorni e quaranta notti».

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (11,23-26)

 

Fratelli, 23io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me». 26Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

 

Il brano rappresenta il primo racconto scritto dell’istituzione dell’Eucaristia che l’Apostolo afferma di aver ricevuto dal Signore e che contempla le parole da lui pronunciate sul pane (v. 24) e sul calice (v. 25), dichiarati rispettivamente il «suo corpo» e «nuova alleanza» nel suo sangue, con l’ingiunzione di reiterare il gesto da lui compiuto «in memoria di me» ( v. 24. v. 25). Il v. 26, infine, afferma che il pasto eucaristico è, di fatto, attivazione della morte salvifica del Signore sino alla sua seconda e definitiva venuta.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (6,41,51)

In quel tempo. 41I Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.

48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

Il brano fa parte del discorso sul pane della vita (Giovanni 6,25-71) preparato dal segno prodigioso del pasto dato a cinquemila uomini (6,5-15). Qui ai vv. 41-42 viene riportata l’obiezione dei Giudei riguardante la precedente autoproclamazione di Gesù quale pane della vita (v. 35) e circa la sua origine celeste (v. 38). Nella sua risposta (v. 43) il Signore invita anzitutto i suoi interlocutori a non mormorare, con allusione a ciò che fecero i loro padri nel deserto (cfr. Esodo 16,2 ss.) e afferma che la fede in lui, indicata con l’espressione «venire a me» (v. 44), è frutto dell’«attrazione» che Dio accende nei cuori. Tale attrazione è attivata nei cuori con l’ascolto e la conseguente sequela della Parola di Dio (v.45; cfr. Isaia 54,13). La prima parte del discorso si conclude al v. 47 con l’affermazione riguardante il godimento già da questa vita della vita eterna da parte di quanti, attirati dal Padre, credono nel Signore Gesù.

Nella seconda parte torna l’autoaffermazione di Gesù: «Io sono il pane della vita» (v. 48. e v. 51) seguita dalla memoria di ciò che avvenne nel deserto con il dono della manna (cfr. Esodo, 16). Al contrario di essa, l’effetto prodotto in colui che mangia il pane dato da Gesù è la possibilità di sfuggire alla morte, da intendere anzitutto come rovina eterna (v. 50); affermazione poi ribadita al v. 51 con l’annuncio che egli morirà per dare la vita al mondo. Questa vita, che è eterna, perché partecipazione alla vita divina, è ricevuta con il «mangiare il pane» che Gesù afferma essere la sua «carne», ovvero la sua persona nella pienezza della natura divina e della natura umana che egli ha assunto una volta disceso dal cielo, vale a dire nel mistero della sua incarnazione.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa domenica l’ascolto delle divine Scritture illumina il nostro essere radunati per compiere ciò che ci è stato trasmesso dagli Apostoli: «spezzare il pane» e «bere al calice» in memoria di ciò che Gesù fece nella cena pasquale di addio consumata la vigilia della sua morte sulla Croce (cfr. Epistola: 1 Corinzi 11,23-25).

Croce che noi con fede piena annunciamo mentre mangiamo il pane e beviamo al calice del Sangue del Signore, nuova e definitiva alleanza che unisce in un vincolo indistruttibile e insuperabile Dio e l’uomo! 

Nell’ascolto che diviene accoglienza di fede e di amore delle celesti Parole, il Padre pone nei nostri cuori un’irresistibile attrazione nei confronti del suo unico Figlio, di Gesù, che egli ha mandato a noi come «pane disceso dal cielo» (Vangelo: Giovanni 6,41).

Egli, infatti, ci nutre anzitutto con la parola, che ci rivela il Padre invisibile e inaccessibile. Nessuno, infatti, può vedere il Padre eccetto «colui che viene dal Padre» (v. 46). Egli, dunque, ci parla della relazione filiale che viene proposta a quanti credono e accolgono la sua bella e, buona notizia. È proprio quella relazione che, a motivo della fede ci trasforma in figli, la vita eterna promessa dal Signore e che già ora è possibile sperimentare in tutta verità (v. 47).

Oltre che con la Parola Gesù ci nutre di sé stesso. Il pane che lui prese tra le sue mani nell’ultima cena è, in verità, il suo corpo, ossia la sua persona nella sua totalità, nell’atto di consegnarsi alla morte a favore nostro e al nostro posto (1Corinzi 11,23-24). Il calice che Gesù tenne nelle sue mani «dopo aver cenato» è la coppa che contiene il suo sangue nel quale viene sigillata l’alleanza, quella ultima tra Dio e l’uomo (v. 25). Perciò nulla noi possediamo di più sacro che il pane e il vino della mensa eucaristica ed è ciò che più di ogni altra cosa ci preme trasmettere (1Corinzi 11,23) agli uomini per farne dei credenti!

Nel pane e nel vino dell’altare è racchiuso infatti il tesoro della nostra salvezza e in esso alimentiamo quella vita eterna, che la fede ha già deposto nei nostri cuori, fino alla fine del cammino, vale a dire del nostro viaggio terreno verso il «monte di Dio» (Lettura: 1Re 19,8). Nessuno di noi, infatti, può sopravvivere in questo difficile viaggio senza mangiare e bere il pane e il vino della mensa preparataci da Dio stesso. Come per il profeta, anche per ogni uomo infatti «è troppo lungo il cammino» (v. 7). Tutto ciò deve sostenere ogni giorno e in ogni tempo l’incessante pellegrinare della Chiesa e di ogni singolo fedele verso la pienezza della vita. Una cosa è certa: non siamo abbandonati a noi stessi tra le difficoltà e le prove anche terribili che la vita può riservarci e tra i flutti impetuosi dei cambiamenti storici e culturali dai quali pare ad ogni istante di venire sommersi. Abbiamo, in verità, tutto ciò che serve per non cadere nello sconforto e nell’angoscia mortale già sperimentata dal profeta in marcia nel deserto (cfr. 1Re 19,4). Siamo infatti ben equipaggiati: la Parola del Dio vivente e il suo Pane! Non ci resta che “alzarci” dal nostro torpore spirituale e dalle nostre paure e deciderci a “mangiare”. La mensa della Parola e del Pane di vita eterna, infatti, è sempre imbandita per noi.

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16 settembre 2012


III Domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

Insiste sulla tematica riguardante il Signore Gesù Cristo, il Figlio Unigenito di Dio disceso dal cielo per portare al mondo la sua testimonianza su Dio,  ovvero la rivelazione del Padre.

 

Il Lezionario

 

Vengono oggi proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 32,15-20; Salmo 50 (51); Epistola: Romani 5,5b-11; Vangelo: Giovanni 3,1-13. Alla Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Matteo 28,8-10. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (32,15-20)

 

In quei giorni. Isaia parlò, dicendo: / «15In noi sarà infuso uno spirito dall’alto; / allora il deserto diventerà un giardino / e il giardino sarà considerato una selva. / 16Nel deserto prenderà dimora il   diritto / e la giustizia regnerà nel giardino. / 17Praticare la giustizia darà pace, / onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. / 18Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, / in luoghi sicuri, / 19anche se la selva cadrà / e la città sarà sprofondata. 20 Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli / e lascerete in libertà buoi e asini».

 

Il testo profetico annuncia l’arrivo di nuovi tempi contrassegnati dall’effusione dello spirito (v. 15). Essi sono presentati con l’immagine del deserto fiorito dove verrà praticata la giustizia e la pace (vv. 16-17) favorendo così l’avvio di un’era di serenità e prosperità per il popolo e per il creato, grazie anche alla caduta della città ribelle, simbolo del male (vv. 18-20).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5,5b-11)

 

Fratelli, 5bl’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.

6Infatti, quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi. 7Ora, a stento qualcuno è disposto a morire per un giusto; forse qualcuno oserebbe morire per una persona buona. 8Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. 9A maggior ragione ora, giustificati nel suo sangue, saremo salvati dall’ira per mezzo di lui. 10Se infatti, quand’eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo, molto più, ora che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. 11Non solo, ma ci gloriamo pure in Dio, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, grazie al quale ora abbiamo ricevuto la riconciliazione.

 

In questa seconda sezione della prima parte della sua lettera (5,1-8,39), l’Apostolo intende descrivere l’esperienza dell’uomo giustificato da Dio per grazia. Nei vv. 6-8 Paolo mostra la concretezza dell’amore di Dio nel fatto che Cristo è morto «mentre eravamo ancora peccatori» e, di conseguenza, meritevoli della sua “ira”, dalla quale ci scampa il sangue del Signore (v. 9). I vv. 10-11, infine, parlano della meravigliosa prospettiva che si apre per quanti sono già stati riconciliati, grazie al dono che Gesù fa della sua vita.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (3,1-13)

 

In quel tempo. 1Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. 2Costui andò dal Signore Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui».
3Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».

4Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. 7Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. 8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

9Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». 10Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro d’Israele e non conosci queste cose? 11In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo».

 

I vv. 1-2a introducono il racconto del colloquio notturno tra Gesù e Nicodemo, un fariseo evidentemente non pregiudizialmente contrario al Signore. Segue il resoconto del dialogo tra i due (vv. 2b-12)  che registra un primo vertice nella parola di rivelazione relativa alla nuova nascita «dall’alto» (vv. 3-7) e in quella in cui Gesù esorta il suo interlocutore ad accogliere la testimonianza che lui dà di ciò che sa e di ciò che ha visto presso il Padre (vv. 8-11). Nel v. 12 Gesù annuncia che non si limiterà a rivelare «cose della terra», ossia alla portata del suo interlocutore in quanto già presenti nelle Scritture, ma che rivelerà «cose del cielo» che il v. 13 ci fa capire trattarsi del destino del Figlio dell’uomo che è «disceso dal cielo».

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questi giorni del Tempo dopo Pentecoste, caratterizzati dal “martirio” del Precursore del Signore, richiamano ogni anno la comunità dei credenti al suo primo impegno: dare al mondo, sotto l’impulso dello Spirito Santo la  testimonianza al Signore Gesù Cristo annunziando il suo Vangelo reso al vivo nella vita dei fedeli.

Di conseguenza questo tempo liturgico esorta la Chiesa ad accogliere, con fede sempre più aperta, la testimonianza che Dio stesso, tramite le divine Scritture, offre al Signore Gesù, il suo Figlio Unigenito che è venuto a noi «dall’alto»: da lui !  

Egli è l’unico in grado di “parlare”, ossia di rivelare Dio in quanto, proprio come Figlio, “conosce” Dio e “vede” Dio così come egli è! Gesù, dunque, entrando nel mondo, “testimonia” con autorevolezza ciò che sa e ciò che ha visto “venendo da Dio” non solo “come maestro” (cfr. Vangelo: Giovanni 3,2), ma soprattutto nella sua qualità di Figlio!

Queste sono «le cose del cielo» (v. 12) a cui i credenti hanno prestato fede. Ciò è possibile perché essi, rinati «da acqua e da spirito» (v. 5), non sono più soltanto “carne”, ma sono diventati anch’essi “spirito” (v.6), in grado, perciò, di credere nelle «cose del cielo» (v. 12) e di riconoscere che colui che è «disceso dal cielo» divenendo uno di noi, è venuto a rivelare l’amore di Dio per l’uomo.

Una rivelazione sbalorditiva perché, come afferma l’Apostolo, Dio riversa il suo amore non tanto sui giusti, ma sugli empi e sui peccatori (Epistola: Romani 5,6-8), e il suo amore è visibile e tangibile nella Croce del suo Unico Figlio, sulla quale muore offrendo la sua vita per empi, peccatori e nemici, ossia l’intera umanità meritevole pertanto dell’ “ira” divina distruttiva del male e del peccato.

Nel suo Unigenito, perciò, Dio ha riconciliato a sé il mondo e ha «riversato il suo amore per mezzo dello Spirito» del suo Figlio, portando così a compimento quanto era stato annunziato dal Profeta: «In noi sarà infuso uno spirito dall’alto» (Lettura: Isaia 32,15).

È lo Spirito che trasforma gli uomini in figli destinati alla salvezza mediante l’offerta che il Figlio Crocifisso e Risorto fa della sua vita e che il profeta annuncia mediante l’immagine poetica della trasformazione del deserto in un giardino e una selva dove regnano il diritto e la giustizia (v. 16).

È questa la testimonianza che la Chiesa deve dare al mondo, facilmente assimilabile a un arido deserto a motivo dell’incredulità che genera indifferenza nei confronti di Dio e del prossimo, con conseguente ripiegamento del cuore umano nel suo io cattivo. Una simile testimonianza è resa possibile dal momento che i fedeli, avendo accolto con fede Gesù e la sua parola di rivelazione, sperimentano personalmente la condizione di gente giustificata, riconciliata e salvata mediante la vita del Signore Gesù a essi partecipata nella rigenerazione battesimale “dall’alto” e continuamente ravvivata e accresciuta nella comunione al suo Corpo e al suo Sangue. È questa la realtà misteriosa dalla quale la Chiesa trae di continuo la forza di testimoniare, specialmente nella vita dei suoi membri, l’amore di Dio che, nel suo Figlio, giustifica, riconcilia e salva trasformando peccatori  ed empi in figli la cui dimora di pace è il suo stesso Cuore di Padre.

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9 Settembre 2012


II Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

 

Pone in rilievo la rivelazione del “volto” di Dio nel suo Figlio, il Signore Gesù Cristo, al quale le Scritture danno testimonianza.

 

Il Lezionario

 

Propone i seguenti testi biblici: Lettura: Isaia 63,7-17; Salmo 79 (80); Epistola: Ebrei 3,1-6; Vangelo: Giovanni 5,37-47. Il Vangelo della Risurrezione per la Messa vigiliare del sabato è preso da: Giovanni 20,1-8. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (63,7-17)

 

In quei giorni. Isaia parlò, dicendo: / «7Voglio ricordare i benefici del Signore, / le glorie del Signore, / quanto egli ha fatto per noi. / Egli è grande in bontà per la casa d’Israele. / Egli ci trattò secondo la sua misericordia, / secondo la grandezza della sua grazia. / 8Disse: “Certo, essi sono il mio popolo, / figli che non deluderanno”, / e fu per loro un salvatore / 9in tutte le loro tribolazioni. / Non un inviato né un angelo, / ma egli stesso li ha salvati; / con amore e compassione li ha riscattati, / li ha sollevati e portati su di sé, / tutti i giorni del passato. / 10Ma essi si ribellarono
e contristarono il suo santo spirito. / Egli perciò divenne loro nemico / e mosse loro guerra. / 11Allora si ricordarono dei giorni antichi, / di Mosè suo servo. / Dov’è colui che lo fece salire dal mare / con il pastore del suo gregge? / Dov’è colui che gli pose nell’intimo / il suo santo spirito, /
12colui che fece camminare alla destra di Mosè / il suo braccio glorioso,/ che divise le acque davanti a loro / acquistandosi un nome eterno, / 13colui che li fece avanzare tra i flutti / come un cavallo nella steppa? / Non inciamparono, / 14come armento che scende per la valle: / lo spirito del Signore li guidava al riposo. / Così tu conducesti il tuo popolo, / per acquistarti un nome glorioso. / 15Guarda dal cielo e osserva / dalla tua dimora santa e gloriosa / Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, / il fremito delle tue viscere / e la tua misericordia? / Non forzarti all’insensibilità,
16perché tu sei nostro padre, / poiché Abramo non ci riconosce / e Israele non si ricorda di noi. /
Tu, Signore, sei nostro padre, / da sempre ti chiami nostro redentore. / 17Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie / e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? / Ritorna per amore dei tuoi servi, / per amore delle tribù, tua eredità».

 

Il brano fa parte della supplica che il popolo eleva a Dio prendendo coscienza del proprio peccato. Viene anzitutto fatta “memoria” delle grandi cose compiute da Dio in suo favore lungo il cammino della storia, in particolare della liberazione dall’Egitto, ma anche del peccato che ha contristato l’Altissimo (vv. 7-14). I vv. 15-17 riportano alcuni tratti finali della supplica rivolta a Dio, considerato come padre, perché torni ad amare e a proteggere il suo popolo.

 

Lettera agli Ebrei (3,1-6)

 

1Fratelli santi, voi che siete partecipi di una vocazione celeste, prestate attenzione a Gesù, l’apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo, 2il quale è degno di fede per colui che l’ha costituito tale, come lo fu anche Mosè in tutta la sua casa.3Ma, in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. 4Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. 5In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. 6Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.

Il brano intende mettere in luce la superiorità di Gesù rispetto a Mosè. Gesù viene qualificato come «apostolo e sommo sacerdote» (v. 1) ovvero come l’inviato da Dio per rivelare in pienezza la fede e come mediatore tra Dio e gli uomini e non per il solo Israele come avvenne con Mosè (vv. 1-2). La superiorità di Gesù, inoltre, si poggia sul fatto che, mentre Mosè fu considerato «degno di fede» tra il popolo in qualità di servitore di Dio, Egli lo fu «come figlio» posto a capo della «sua casa», che è la comunità dei credenti (vv. 3-6).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (5,37-47)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «37Anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. 40Ma voi non volete venire a me per avere vita.

41Io non ricevo gloria dagli uomini. 42Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. 43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. 44E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?

45Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. 46Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. 47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

 

Il testo è preso dalla seconda parte, quella conclusiva, del grande discorso di rivelazione contenuto nel quinto capitolo dell’evangelo di Giovanni. In particolare i vv. 37-38 parlano della testimonianza resa a Gesù dal Padre perché il popolo lo riconoscesse come suo inviato, ma invano. I vv. 39-47 introducono il tema della testimonianza che le stesse Scritture offrono a Gesù. Queste, oggetto di investigazione appassionata da parte di Israele, rimangono incapaci di comunicare la salvezza a causa del rifiuto di riconoscere che esse parlano di Cristo (vv. 39-40). Nei vv. 41-44 Gesù denuncia l’atteggiamento interiore con il quale Israele accosta le Scritture e che, di fatto, gli impedisce di cogliere il rimando a lui. Israele, in pratica, si fissa su una comprensione del tutto chiusa in sé stessa, che qui è resa con l’espressione: prendere «gloria gli uni dagli altri» (v. 44), e per niente pronta a ricercare la «gloria che proviene dal Dio unico» (v. 44). Nei vv. 45-47 Gesù mette in guardia dal rischio di essere accusati davanti a Dio proprio dalle Scritture qui impersonificate da Mosè.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Anche questa II Domenica dopo il martirio del Precursore intende mettere in primo piano la più completa identità di Gesù quale Figlio unigenito di Dio il quale, come abbiamo imparato dall’ascolto delle Scritture nelle scorse domeniche del Tempo “dopo Pentecoste”, porta a compimento nella sua Persona e nell’evento della sua Pasqua il graduale dispiegarsi della storia della salvezza con i personaggi e gli eventi che l’hanno segnata.

Sono proprio le Scritture a dare a Gesù la testimonianza della sua eminente superiorità su quanto e su chi lo ha preceduto, annunziando il suo invio nel mondo. Ed è Gesù in persona a offrire la chiave interpretativa delle Scritture affermando che Mosè, ritenuto autore della Legge (il Pentateuco), in realtà «ha scritto di me» (Vangelo: Giovanni 5,46).

Con ciò Gesù ci insegna a leggere e a intendere le Scritture alla luce di ciò che egli ha detto e ha fatto. Tutte le Scritture, in una parola, si riferiscono a lui e trovano il loro ultimo compimento in lui che è stato mandato dal Padre come “apostolo”, ossia inviato come rivelatore definitivo, e come “sommo sacerdote” (Epistola: Ebrei 3,1), ossia mediatore e intercessore tra la terra e il cielo. In una parola: le Scritture «danno testimonianza di me» (Vangelo: Giovanni 5,39).

Di più, egli a differenza di Mosè e dei Profeti, non è uno dei servi mandati da Dio al suo popolo Israele, ma è il “figlio” destinato a costruire la “casa”, ossia la comunità dei credenti formata da tutti coloro che credono in lui (Ebrei 3,6).

In Gesù che è il Figlio, al quale il Padre stesso dà testimonianza accreditandolo come tale fin dall’esordio della sua attività nella teofania del Battesimo al Giordano, nell’esaudire ogni sua preghiera, nelle opere da lui compiute e, soprattutto, nell’ora suprema della sua glorificazione, vale a dire della sua Pasqua, si può affermare che Dio stesso, e non un inviato né un angelo ha salvato, riscattato e portato su di sé l’intera umanità (Cfr. Lettura: Isaia, 63,9), rivelandosi in tal modo Padre e redentore di tutti.

In Gesù che, nella qualità di Figlio, rende accessibile il volto di Dio, Dio si mostra pieno di bontà e compassione per l’umanità sviata, dal cuore indurito e che vaga lontano dalle sue vie (Isaia 63,17). Nel suo Figlio, Dio esaudisce l’implorazione: «Fa’ splendere il tuo volto, Signore, e noi saremo salvi» (Salmo 79). Il “volto” di Dio è visibile nel Signore Gesù che accoglie i piccoli, i poveri, i malati, i peccatori e che a tutti fa udire la Parola che salva. Il volto di Dio lo vediamo svelato nel suo Figlio Crocifisso nel quale avvertiamo in tutta verità il fremito della sue “viscere” e la sua “misericordia” (Cfr. Isaia 63,15) che abbraccia il mondo intero che vaga lontano da lui e che invece è destinato a radunarsi nella “casa” dove il Capo è il Signore Gesù (cfr. Ebrei 3,6). Nella partecipazione all’Eucaristia impariamo anzitutto ad ascoltare le Scritture per accogliere la testimonianza che esse danno di Gesù il quale, solo, può farci vedere il volto di Dio (cfr. Giovanni 5,37) sul suo volto di Figlio. Da tale esperienza deve rinascere in tutti i fedeli un amore grande per le divine Scritture che vanno lette, studiate, ascoltate, interpretate, “scrutate” con la luce dello Spirito nel seno della Chiesa che è la casa di Dio. Sarà allora possibile riconoscere e toccare con mano, nei santi Segni eucaristici, le meraviglie dell’amore paterno di Dio per tutti gli uomini destinati ad essere trasformati «a immagine del suo unico Figlio» (Orazione Dopo la Comunione).

 

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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