27 novembre 2011 – III domenica di Avvento

Questa terza domenica di Avvento intende mettere in luce il fatto che nella “venuta” del Signore tutte le profezie e le antiche promesse si sono adempiute.

Il Lezionario

Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 51,1-6; Salmo 45(46); Epistola: 2Corinzi 2,14-16a; Vangelo: Giovanni 5,33-39. Il testo evangelico di Giovanni 20,1-8 viene letto come Vangelo della Risurrezione alla messa vigiliare del sabato.


Lettura del profeta Isaia (51,1-6)


Così dice il Signore Dio: «1Ascoltatemi, voi che siete in cerca di giustizia, voi che cercate il Signore; guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti. 2Guardate ad Abramo, vostro padre, a Sara che vi ha partorito; poiché io chiamai lui solo, lo benedissi e lo moltiplicai. 3Davvero il Signore ha pietà di Sion, ha pietà di tutte le sue rovine, rende il suo deserto come l’Eden, la sua steppa come il giardino del Signore. Giubilo e gioia saranno in essa, ringraziamenti e melodie di canto! 4Ascoltatemi attenti, o mio popolo; o mia nazione, porgetemi l’orecchio. Poiché da me uscirà la legge, porrò il mio diritto come luce dei popoli. 5La mia giustizia è vicina, si manifesterà la mia salvezza; le mie braccia governeranno i popoli. In me spereranno le isole, avranno fiducia nel mio braccio. 6Alzate al cielo i vostri occhi e guardate la terra di sotto, poiché i cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve. Ma la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta».

Il testo profetico oggi proclamato è preso dal “libro di consolazione”, come vengono comunemente chiamati i capitoli 40-55 del profeta Isaia.

La tematica di fondo è la salvezza che Dio darà al suo popolo dopo l’esperienza della deportazione e della schiavitù per rimanere fedele alle sue promesse ad Abramo e a Sara, progenitori di Israele, esemplari nella loro fedeltà a Dio (v.2).

Da qui la parola profetica si apre alla dimensione universale annunciando che le “braccia” di Dio «governeranno i popoli» (v. 5b). Il brano si chiude con l’invito ad alzare al cielo gli occhi perché solo la salvezza di Dio «durerà per sempre» (v. 6b) mentre questa non potrà avvenire dalle realtà terrene destinate a logorarsi come un vestito (v. 6a).


Seconda lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (2,14-16a)

Fratelli, 14siano rese grazie a Dio, il quale sempre ci fa partecipare al suo trionfo in Cristo e diffonde ovunque per mezzo nostro il profumo della sua conoscenza! 15Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; 16per gli uni odore di morte per la morte e per gli altri odore di vita per la vita.

Il breve brano riporta alcune considerazioni di Paolo sul ministero apostolico che vede come una partecipazione al “trionfo di Cristo” (v. 14), allusione questa della vittoria pasquale del Signore risorto riportata sulla morte.

Riferendosi forse a ciò che avveniva a Roma in occasione del “trionfo” riservato ai generali vittoriosi, Paolo descrive l’apostolo che annunzia l’evangelo come il “profumo di Cristo” (v. 15) che ha un duplice effetto: di “morte” per quanti “si perdono” a motivo della loro incredulità e di “vita per la vita”, ossia di partecipazione alla sua risurrezione, per quanti si aprono alla fede.


Lettura del vangelo secondo Giovanni (5,33-39)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «33Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. 34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. 35Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce. 36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, 38e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato. 39Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me».

Il brano è preso dal più ampio discorso di rivelazione (5,19-47) che fa seguito alla polemica con i Giudei (vv. 16-18), i quali contestano a Gesù la guarigione, fatta in giorno di sabato, di un paralitico presso la piscina Betzatà in Gerusalemme (vv. 1-15).

In particolare i presenti versetti parlano della “testimonianza” che Dio stesso, il Padre, dà nei riguardi di Gesù che è il Figlio. In tale contesto Gesù parla dapprima della “testimonianza” data da Giovanni Battista, definito «lampada che arde e risplende», alla verità, vale a dire alla presenza del Messia nel popolo. Ma invano (vv. 33-35).

Nel v. 36 viene detto che Gesù ha a suo favore una “testimonianza” superiore a quella del Battista, capace di accreditarlo come Messia inviato da Dio. Essa consiste nelle “opere” che il Padre “ha dato da compiere”, ben più grandi di quelle del Precursore. Esse infatti riguardano la rivelazione di Dio avvalorata dai miracoli come quello appena compiuto della guarigione del paralitico.

Come in un crescendo è ora messa in campo la diretta “testimonianza” del Padre (v. 37) già resa nelle Divine Scritture, che dunque parlano di lui, del Figlio inviato nel mondo (v. 39), e alle quali essi non hanno mai creduto (vv. 37-38).


Commento liturgico-pastorale

In questa terza domenica di Avvento le Scritture ci sollecitano ad accogliere in esse la “testimonianza” di Dio sul suo Figlio da lui mandato nel mondo a dare compimento alle “promesse” che le stesse Scritture contengono e trasmettono. Nella lettura profetica abbiamo ascoltato le parole di consolazione e di incoraggiamento di Dio al suo popolo in esilio e, dunque, sottomesso a un potere iniquo e ingiusto. Dio manifesta così la sua premurosa “pietà” impegnandosi a far ritornare gli esuli nella loro terra che, da desertica e stepposa, egli trasformerà in luogo splendido come l’Eden, il meraviglioso “giardino” delle origini. La promessa si allarga inaspettatamente ad abbracciare “ i popoli” sui quali Dio promette di far brillare la sua “legge” e il suo “diritto” riservati prima al solo Israele e, quindi, di governarli personalmente con il suo “braccio” potente. Alla luce della “testimonianza” evangelica comprendiamo che tali promesse sono portate a realizzazione nelle “opere” compiute da colui che il Padre ha “mandato”, ossia in Gesù di Nazaret.

Nella sua natività secondo la carne e segnatamente nella sua Pasqua il Signore Gesù ha effettivamente liberato l’umanità intera dalla sua condizione di oppressione sotto il potere del male e l’ha ricondotta sotto il “diritto” e la “legge” di Dio che egli ha promulgato nell’ora solenne della sua morte sulla Croce e che si riassume nella carità.

Davvero nel Signore Gesù la “giustizia” di Dio si è resa “vicina” a tutti i popoli e a ogni uomo. In Cristo crocifisso e risorto Dio ha infatti dichiarato “giusti” gli uomini del tutto “gratuitamente”, facendoli partecipi del suo “trionfo” in Cristo (Epistola: 2Corinzi 2,14), strappandoli al potere del male e della morte e restituendoli così al suo amore paterno in un’autentica relazione filiale. Per questo egli si attende che il cuore dell’uomo si apra all’adesione di fede in «colui che egli ha mandato» (Giovanni 5, 37).

Ed è questa l’opera che l’Avvento chiede ora anche a noi: credere che tutte le Scritture parlano di Cristo, danno “testimonianza” di lui come rivelatore e attuatore della “pietà” di Dio sull’intera umanità, che una volta sottratta alla condizione di oppressione, di abiezione e di morte nella quale viene trascinata dal potere fascinoso del male, è destinata a fiorire come un meraviglioso “giardino”.

Tutto ciò viene ricordato nel cuore della celebrazione eucaristica con il canto Allo Spezzare del Pane: «Popolo di Sion, ecco il Signore viene a salvare tutte le genti; il Signore manifesterà la sua gloria e avrete la gioia nel cuore». Nella sua “venuta” nel mistero liturgico il Signore, mentre apre la nostra intelligenza alla comprensione delle Scritture, ci fa sperimentare il risultato concreto dell’“opera” salvifica che il Padre gli ha affidato inviandolo nel mondo.

Tale “esperienza” motiva il «giubilo, la gioia, i ringraziamenti e le melodie di canto» (Isaia 51,3) che contraddistingue il nostro raduno eucaristico attorno al Signore che “è venuto” e che “verrà” e che ci spinge alla preghiera: «Accesi dal fuoco dello Spirito, o Dio, e saziati del dono divino, i nostri cuori siano pervasi dal desiderio di risplendere come luci festose davanti al Cristo, il Figlio tuo che viene» (Orazione Dopo la Comunione).

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20 Novembre 2011 – II domenica di Avvento

Questa seconda domenica sviluppa il senso più profondo della venuta del Signore concepita in vista dell’universale salvezza e per impiantare in questo mondo il Regno, del quale tutti gli uomini sono chiamati a diventare figli.

 

Il Lezionario

 

Sviluppa la peculiare tematica appena accennata proponendo i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 51,7-12a; Salmo 47 (48); Epistola: Romani 15,15-21; Vangelo: Matteo 3,1-12.

Alla messa vigiliare del sabato viene proclamato Luca 24,1-8, quale Vangelo della Risurrezione.

 

Lettura del profeta Isaia (51,7-12a)

 

Così dice il Signore Dio: «7Ascoltatemi, esperti della giustizia, popolo che porti nel cuore la mia legge. Non temete l’insulto degli uomini, non vi spaventate per i loro scherni; 8poiché le tarme li roderanno come una veste e la tignola li roderà come lana, ma la mia giustizia durerà per sempre, la mia salvezza di generazione in generazione. 9Svegliati, svegliati, rivestiti di forza, o braccio del Signore. Svegliati come nei giorni antichi, come tra le generazioni passate. Non sei tu che hai fatto a pezzi Raab, che hai trafitto il drago? 10Non sei tu che hai prosciugato il mare, le acque del grande abisso, e hai fatto delle profondità del mare una strada, perché vi passassero i redenti? 11Ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con esultanza; felicità perenne sarà sul loro capo, giubilo e felicità li seguiranno, svaniranno afflizioni e sospiri. 12Io, io sono il vostro consolatore».

 

Il brano fa parte di una serie di capitoli (40-55) che riflettono la situazione del popolo d’Israele deportato a Babilonia dopo la distruzione di Gerusalemme (587 a.C.) al quale Dio, per bocca dei profeti, annunzia il prossimo ritorno in patria, a Gerusalemme, che sarà riedificata ancora più splendida. In particolare nei vv. 7-8 il Popolo viene esortato a non temere nessun nemico perché Dio ha deciso di garantirgli «salvezza di generazione in generazione». Essa viene tradotta ai vv. 9-11 con la decisione divina di rinnovare le antiche gesta prodigiose per riportare in patria il suo popolo. Il v. 12, infine, contiene la mirabile autorivelazione di Dio come Dio di consolazione.

 

Epistola: Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (15,15-21)

 

Fratelli, 15su alcuni punti, vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete, a motivo della grazia che mi è stata data da Dio 16per essere ministro di Cristo Gesù tra le genti, adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo. 17Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. 18Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio per condurre le genti all’obbedienza, con parole e opere, 19con la potenza di segni e di prodigi, con la forza dello Spirito. Così da Gerusalemme e in tutte le direzioni fino all’Illiria, ho portato a termine la predicazione del vangelo di Cristo. 20Ma mi sono fatto un punto di onore di non annunciare il Vangelo dove era già conosciuto il nome di Cristo per non costruire su un fondamento altrui, 21ma, come sta scritto: «Coloro ai quali non era stato annunciato, lo vedranno, e coloro che non ne avevano udito parlare, comprenderanno».

 

Il brano è preso dall’epilogo dell’importante lettera ai Romani, nel quale l’Apostolo tiene a precisare lo specifico mandato missionario che lo contraddistingue dagli altri, che è la predicazione del Vangelo ai pagani perché anch’essi diventino «un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (v. 16). In ciò l’Apostolo si dichiara strumento di Cristo, che agisce in lui «con la potenza di segni e  di prodigi» (v. 19). Paolo tiene inoltre a precisare che ha scelto come campo di apostolato quello non evangelizzato da altri perché nessuno rimanga privo dell’annuncio del «nome di Cristo» (vv. 20-21).

 

Vangelo: Lettura del Vangelo secondo Matteo (3,1-12)

 

1In quei giorni venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea 2dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!».

3Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».

4E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico.

5Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui 6e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.

7Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? 8Fate dunque un frutto degno della conversione, 9e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. 10Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. 11Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

 

Il brano evangelico può essere così suddiviso: i vv. 1-2 presentano il Battista, il luogo della sua attività e il contenuto essenziale della sua predicazione riguardante l’avvicinarsi del regno dei cieli, che esige da parte dell’uomo la conversione, ossia un cambiamento profondo della mente e della prospettiva di fondo della vita. È lo stesso essenziale messaggio che troviamo sulla bocca di Gesù all’inizio della sua attività missionaria (Matteo 4,17).

Il v. 3 applica al Battista il testo profetico di Isaia 40,3 relativo al “precursore” che deve precedere l’arrivo del Messia.

I vv. 4-5 presentano rispettivamente la figura del Battista, il cui abbigliamento e la cui dieta corrispondono a quella dei profeti, e l’enorme ripercussione tra il popolo della sua predicazione che suscitava il pentimento dei peccati, significato esteriormente dall’immersione nell’acqua del Giordano.

I vv. 7-10 espongono la predicazione del Battista volta alla conversione dei cuori, che si caratterizza per la veemenza del dire, volta ad annullare ogni presunzione e per l’annunzio minaccioso dell’ira di Dio che incombe su ogni essere umano a causa del peccato. All’ira di Dio si sfugge con la conversione del cuore e con una condotta di vita contrassegnata da comportamenti paragonati ai buoni frutti di un albero.

I vv. 11-12 riguardano la predicazione del Messia che viene e di cui il Battista riconosce la precedente superiorità e l’irresistibile forza capace di immergere il popolo nello «Spirito Santo e nel fuoco» ossia di compiere la piena e definitiva “purificazione” degli spiriti, cosa che l’acqua non è certo in grado di fare.

Il Messia che viene, infine, è il giudice supremo, che compie il giudizio come separazione tra i buoni raffigurati nel frumento e i cattivi nella pagliaI primi sono destinati alla salvezza eterna (= granaio), i secondi alla rovina eterna significata nel fuoco inestinguibile.

 


Commento liturgico-pastorale

 

In questa seconda domenica di Avvento viene posta al centro dell’annunzio evangelico e della preghiera della Chiesa la parola di esordio del ministero profetico proprio del Precursore del Signore: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino».

L’avvento del Signore segna dunque l’introduzione nel mondo del Regno dei cieli. È questo l’annunzio formidabile che deve risuonare dalla comunità del Signore in tutti gli ambienti di vita in questi giorni di preparazione al Natale e così formulato nel canto Dopo il Vangelo: «Sta  per venire il tempo del Salvatore, e i suoi giorni non tarderanno. Ecco: il Signore avrà misericordia, disperderà le tenebre con la sua luce». Il Bambino che ci è donato nella notte di Betlemme porta dunque in questo nostro mondo il Regno. Anzi lui stesso è il Regno dei cieli piantato come germoglio di speranza e di vita in questa nostra terra dalla sapiente «bontà misericordiosa del nostro Dio». Nel Regno che viene in Cristo occorre vedere anzitutto un chiaro segno di fiducia, di speranza e di consolazione che Dio vuole dare a tutti gli uomini che sono suoi.

Nella pagina profetica di Isaia abbiamo sentito come egli prepara per il suo popolo schiavo in Babilonia un ritorno glorioso nella loro terra, nella città di Gerusalemme e una «felicità perenne sul loro capo» (Lettura: Isaia, 51,11). Per questo egli è disposto a rinnovare i prodigi meravigliosi dell’Esodo al fine di far sperimentare al suo popolo la sua «salvezza di generazione in generazione» (v. 8). Sappiamo che in queste parole profetiche si fa già strada una dimensione sopra-nazionale della salvezza che a partire da Israele deve interessare l’intera umanità e più volte ribadita nel ritornello al Salmo: «Il tuo nome, o Dio, si estende ai confini della terra». Nel suo avvento Gesù ha infatti realizzato l’oracolo profetico riguardante la vittoria sul “drago” trafitto da Dio (v. 9c) liberando così il mondo intero dal suo tenebroso potere e dall’insidia del male.

È dunque questo il messaggio di cui ha bisogno anche l’umanità del nostro tempo, che non è certo esclusa dalla salvezza posta da Dio nel Cristo suo Figlio. Questa umanità del nostro tempo così provata, percorsa e sottomessa da vangeli mortiferi, questa umanità sbandata, smarrita deve sentire risuonare dai figli della Chiesa la parola divina fatta carne in Cristo: «Io, Io sono il vostro consolatore» (v. 12a).

Ci spinge la parola apostolica e l’esempio di Paolo, convinto di dover annunciare alle “genti”, e soprattutto là dove ancora nessuno è arrivato, il Vangelo di Dio perché «le genti divengano un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Epistola: Romani 15,16).

La nostra partecipazione all’Eucaristia, mentre ci dona di sperimentare attiva la salvezza che è Cristo Signore, venuto nel mondo nell’umiltà della natura umana, morto e risorto, e ci offre la grazia di essere noi stessi, uniti a lui, trasformati in un’offerta gradita a Dio, ci fa capire che noi siamo il segno riconoscibile delle cose grandi che Dio, nel suo Figlio, primizia del Regno, vuole compiere nel mondo intero affidando a tutti noi «il sacro ministero di annunciare» questa bella e buona notizia.

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13 novembre 2011 – I domenica di Avvento

Con due settimane di anticipo su quella romana la nostra tradizione liturgica ambrosiana dà inizio, con l’Avvento, al nuovo anno liturgico destinato ad attualizzare il mistero dell’universale salvezza che è nel Figlio di Dio fatto uomo, nato dalla Vergine Maria, morto sulla Croce e risorto.

L’Avvento, che ha la durata di sei settimane, ha il compito di preparare la celebrazione dell’annuale memoria della Natività del Signore quale sua prima venuta nell’umiltà e di tenere desta nella Chiesa l’attesa della seconda e definitiva venuta del Signore con «grande potenza».

La celebrazione eucaristica, specialmente quella domenicale, è il luogo privilegiato dove è possibile, nella “venuta sacramentale”, fare esperienza viva dell’incontro con il Signore «nell’attesa della sua venuta». Veicolo primario di tale esperienza è la Parola divina proclamata nelle Scritture e la preghiera della Chiesa che ascolta e accoglie, nella Parola e nei santi segni eucaristici, il Verbo di Dio fatto uomo, il Crocifisso/Risorto.  


Il Lezionario

I testi biblici per questa prima domenica di Avvento sono rintracciabili nel primo dei tre volumi di cui si compone il Lezionario ambrosiano dal titolo: Mistero dell’Incarnazione del Signore. Esso accompagna il nostro cammino fino alle soglie della Quaresima. Per la presente domenica le lezioni bibliche sono prese dal ciclo dell’Anno B e sono: Lettura: Isaia 24,16b-23; Salmo 79(80); Epistola: 1 Corinzi 15,22-28; Vangelo: Marco 13,1-27. Nella messa vigiliare del sabato si legge: Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione

Lettura del profeta Isaia (24,16b-23)  

16bIo dico: «Guai a me! Guai a me! Ohimè!». I perfidi agiscono perfidamente, i perfidi operano con perfidia. 17Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante della terra.18Avverrà che chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso nel laccio, poiché cateratte dall’alto si aprono e si scuotono le fondamenta della terra. 19A pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra, rovinosamente crollerà la terra. 20La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una tenda; peserà su di essa la sua iniquità, cadrà e non si rialzerà. 21Avverrà che in quel giorno il Signore punirà in alto l’esercito di lassù e in terra i re della terra. 22Saranno senza scampo incarcerati, come un prigioniero in una prigione sotterranea, saranno rinchiusi in un carcere e dopo lungo tempo saranno puniti. 23Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e a Gerusalemme, e davanti ai suoi anziani risplende la sua gloria.  

Il brano fa parte di quella che viene chiamata la “grande apocalisse” di Isaia, nella quale viene annunziato il giudizio di Dio sull’intera umanità travolta dall’ingiustizia e dalla violenza. Il giudizio è descritto con il ricorso a immagini catastrofiche che riguardano le realtà terrene (vv. 18-20) e celesti (vv. 21-23). Esse intendono far capire che Dio non è indifferente a ciò che avviene nel mondo e che niente e nessuno può resistere e sottrarsi al suo giudizio.  

Epistola: Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (15,22-28)  

Fratelli, come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.

È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.
Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
 

Il brano fa parte della sezione della lettera nella quale l’Apostolo vuole rafforzare nella comunità di Corinto la certezza che la risurrezione del Signore Gesù dai morti offre ai credenti la garanzia della loro risurrezione «alla sua venuta» (v. 23) espressione questa del vocabolario cristiano delle origini che sta a indicare il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi o parusia. Essa segnerà il definitivo annientamento di tutti i nostri nemici, il più implacabile dei quali è la morte (v. 26) e la riconsegna a Dio Padre di ogni cosa, «perché Dio sia tutto in tutti» (v.28).  


Vangelo: Lettura del Vangelo secondo Marco (13,1-27)  

1In quel tempo. Mentre il Signore Gesù usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».
3Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».
5Gesù si mise a dire loro:«Badate che nessuno v’inganni! 6Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. 7E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. 8Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori.
9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. 10Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. 11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. 13Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
14Quando vedrete l’abominio della devastazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!
18Pregate che ciò non accada d’inverno; 19perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni. 
21Allora, se qualcuno vi dirà:”Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; 22perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti.
23Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.
24In quei giorni, dopo quella tribolazione, “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, 25le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. 26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo».


Il testo riporta quasi per intero il discorso escatologico, riguardante cioè gli avvenimenti finali della storia e della definitiva venuta del Figlio dell’uomo. Si può così suddividere: vv.1-4: scena d’introduzione che prende spunto dall’ammirazione del tempio di Gerusalemme del quale Gesù predice la distruzione come segnale che avvia la fine; vv. 5-8: Gesù invita i suoi a guardarsi nel frattempo dai seduttori e predice l’inizio delle sofferenze che preludono la fine; vv. 9-13: Gesù esorta i suoi discepoli a perseverare tra persecuzioni e tribolazioni fino alla fine; vv. 14-23: descrizione dell’ultima e più grande “tribolazione”, accompagnata da straordinari fenomeni celesti; vv. 24-27: descrivono la parusìa del Figlio dell’uomo per il giudizio con il conseguente raduno davanti a lui dei suoi eletti.  


Commento liturgico-pastorale
 

Questa prima domenica, con i testi biblici oggi proclamati, pone il tempo dell’Avvento, essenzialmente orientato al mistero salvifico dell’Incarnazione e della Natività del Signore, nel più ampio contesto degli ultimi eventi, della sua venuta cioè alla fine dei tempi (parusìa) che rappresenta il compimento ultimo e definitivo della salvezza che ha il suo esordio proprio nella sua Natività e il suo apice nella sua Pasqua.

I brani biblici ci dicono che la prima venuta del Figlio di Dio nel mondo ha effettivamente introdotto in esso la salvezza, che dovrà però compiersi definitivamente con il suo ritorno alla fine dei tempi. Le immagini a tinte forti della Lettura profetica dicono la condizione anche attuale della storia umana contrassegnata dall’iniquità, dalla violenza, dal peccato che provoca nell’uomo sofferenza e dolore di cui si fa interprete il Salmo 79(80): «Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza», e che lo spinge a implorare: «Dio degli eserciti, ritorna!».

La decisione da parte di Dio di intervenire con forza per porre fine a tanto sfacelo si concretizza nella “prima venuta” del suo Figlio fatto uomo. Egli si presenta come la mano tesa da Dio agli uomini invitati ad abbandonare ogni empietà e a ritornare a lui con decisa determinazione. L’Avvento ci stimola ogni anno ad accogliere in Cristo l’intervento salvifico di Dio nel mondo.

Rifiutarlo o misconoscerlo comporterebbe l’impossibilità a sopportare l’inevitabile crollo delle umane certezze delle quali, come ci avverte il Signore, non rimarrà «pietra su pietra che non venga distrutta» (Vangelo), e l’incapacità a resistere, come ci viene detto, saldi nella fede alle altrettanto inevitabili prove e persecuzioni così come alla “grande tribolazione” che attraversa normalmente la nostra storia e la nostra vita.

In essa, come ben sappiano per esperienza diretta e personale, la fanno da padroni quelli che l’Epistola paolina chiama i «nostri nemici», per noi invincibili, il più terribile dei quali è la morte! Rifiutare il dono di salvezza che viene dall’alto comporterebbe infine, cosa più grave e irrimediabile, l’esclusione dal gruppo degli eletti che il Signore radunerà «dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo» (Vangelo).

Di qui l’annuale invito dell’Avvento a volgere il nostro sguardo e il nostro cuore al Volto di Dio che brilla benevolo nel suo Figlio nato da Maria e mentre attendiamo la sua “seconda venuta” nella quale pronuncerà, come speriamo, il giudizio definitivo della nostra salvezza, impariamo a riconoscerlo e ad accoglierlo nella sua incessante “venuta” nell’assemblea liturgica radunata nel suo nome.

In essa è attualizzato ciò che egli ha compiuto con la sua prima venuta «nell’umiltà della carne», nella quale «portò a compimento l’antica speranza e aprì il passaggio all’eterna salvezza» e dove è tenuta desta la certezza che «quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio).

Illuminati dalle divine Scritture sperimentate alla mensa eucaristica dove annunciamo la morte e la risurrezione del Signore «nell’attesa della sua venuta» sale spontanea in noi la gioia e l’esultanza che, come ci suggerisce l’antifona Alla Comunione, coinvolge il cielo e la terra: «Gioite cieli, esulta o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».

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6/11/2011 – Nostro Signore Re dell’Universo


1. L’ultima domenica dell’anno liturgico: Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

La solennità odierna conclude il corrente anno liturgico dedicato alla ripresentazione nel tempo del mistero della nostra salvezza che è Cristo Signore Crocifisso e Risorto, Re dell’Universo. Il Lezionario prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: 2 Samuele 7,1-6.8.9.12-14a.16-17; Salmo 44; Epistola: Colossesi 1,9b-14; Vangelo: Giovanni 18,33c-37. Nella Messa vespertina del sabato viene letto: Luca 24,1-8 quale Vangelo della Risurrezione.


2. Vangelo secondo Giovanni 18,33c-37


In quel tempo. 33Pilato disse al Signore Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

               


3. Commento liturgico-pastorale

 

Il brano evangelico odierno fa parte del più ampio racconto della Passione che in Giovanni occupa i  capitoli 18-19 e 20. In particolare riferisce un passaggio dell’interrogatorio di Gesù condotto dal governatore romano Ponzio Pilato (18,28-19,16), al quale era stato “consegnato” dopo il processo subito presso il sommo sacerdote Caifa. La scena vede come protagonisti Gesù e Pilato che, una volta appresa l’accusa rivolta a Gesù dai maggiorenti d’Israele, gli rivolge la domanda: «Sei tu il re dei Giudei?» (v. 33).

La domanda allude alla trepida attesa presente in Israele del Messia, il quale doveva certamente restaurare il regno dando inizio a una nuova stagione esaltante per il popolo di Dio. Tale attesa era tenuta desta dagli oracoli profetici e in particolare dalla solenne promessa di Dio a Davide proclamata nella Lettura: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te...» (2 Samuele 7,12). Curiosamente Gesù prima di dare una risposta interroga a sua volta Pilato (v. 34) tentando di aprirgli gli occhi sulla sottile manovra ordita «da altri», ovvero dai capi dei Giudei che lo hanno consegnato a lui.

La risposta piccata di Pilato: «Sono forse io Giudeo?» dice che egli non ha compreso l’avvertimento di Gesù e che considera la cosa una vicenda tutta interna che oppone a Gesù alla sua gente e ai capi dei sacerdoti che lo hanno consegnato a lui (v. 35). A questo punto abbiamo la prima delle due solenni affermazioni con le quali il Signore dichiara la sua regalità (v. 36) e quindi il suo essere effettivamente re (v. 37b).

Dapprima spiega la provenienza della sua regalità, che egli esercita con il «venire in questo mondo». Tale provenienza distingue essenzialmente la regalità di Gesù da quella che è comunemente esercitata in terra da un regnante, tanto è vero che non si è verificato nessun combattimento tra i servitori di Gesù «perché non fossi consegnato ai Giudei» (v. 36b).

Perché fosse ancora più evidente l’origine non terrena della sua regalità Gesù ripete: «Il mio regno non è di quaggiù», anche se con la sua parola e le sue opere la esercita di fatto anche qui, tra gli uomini che egli invita ad ascoltare la sua voce e a porsi sulle sue orme. Ancora una volta Pilato non coglie il messaggio profondo veicolato nelle parole di Gesù e ripresenta la stessa domanda: «Dunque tu sei re?» (v. 37). Omettendo però la precisazione «dei Giudei» (v. 33), che limita l’estensione  della sua regalità, di fatto ne proclama la dimensione universale.

Dopo aver affermato la veridicità dell’affermazione del suo giudice: «Tu lo dici: io sono re», Gesù fornisce la spiegazione relativa alla modalità della sua regalità mettendo in luce come effettivamente essa viene esercitata: «Per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità» (v. 37). Tenendo conto di ciò che si legge in merito nel vangelo giovanneo, la testimonianza riguarda la missione di portare in questo mondo ciò che Gesù, che è il Verbo di Dio fatto uomo, ha visto e ha udito presso il Padre.

In una parola, si tratta della rivelazione di Dio portata nel mondo dal suo Figlio unigenito che è destinata ad ogni uomo invitato ad “ascoltare la voce” di Gesù e dunque ad impostare concretamente la vita secondo la proposta di entrare in comunione con Dio che è il cuore della verità ossia della rivelazione.

Pur con un linguaggio diverso, l’apostolo Paolo presenta la regalità del Signore con la categoria più nota della salvezza portata nel mondo e che, nel disegno di Dio, riguarda il mondo intero. È Dio, infatti, che nel suo Figlio «ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati» (Epistola: Colossesi 1,13-14).

Queste parole alludono alla croce sulla quale il Signore ha dato piena testimonianza alla verità contenuta nella sua regalità, che nel progetto divino è destinata a «portare a compimento il mistero della nostra salvezza» che comporta la liberazione dell’umanità dal potere alienante del male e la conseguente consegna al Padre di  «un regno universale ed eterno: regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» ( Prefazio).

L’apostolo Paolo esorta quanti sono stati assoggettati alla signoria del Signore Crocifisso a obbedire a lui in tutto e a comportarsi «in maniera degna del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio» (Colossesi 1,10) come autentici cittadini del Regno.

La partecipazione al «Pane della vita immortale» ci dona la grazia e la forza per obbedire «con gioia a Cristo, Signore dell’universo, per regnare anche noi un giorno nella gloria senza fine» (Orazione Dopo la Comunione ).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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