1 gennaio 2012 – Ottava del Natale

Questo giorno “ottavo della nascita del Salvatore” fa memoria della sua Circoncisione avvenuta in conformità alla Legge di Mosè e nella quale la Chiesa vede l’annunzio del compimento della salvezza che ha il suo fondamento nell’Incarnazione e nella Natività del Figlio unigenito di Dio.

 

Il Lezionario

 

Le lezioni bibliche proclamate sono: Lettura: Numeri 6,22-27; Salmo 66 (67); Epistola: Filippesi 2,5-11; Vangelo: Luca 2,18-21. Il Vangelo della Risurrezione per la messa vigiliare del sabato è preso da Giovanni 20,19-23.

 

Lettura del libro dei Numeri (6,22-27)

 

In quei giorni. 22Il Signore parlò a Mosè e disse: 23«Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: 24Ti benedica il Signore e ti custodisca. 25Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. 26Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. 27Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».

 

Si tratta della formula di benedizione che Dio stesso trasmette ai sacerdoti tramite Mosè e che è rivolta al popolo d’Israele liberato dall’Egitto e in marcia nel deserto verso la terra promessa. La benedizione è per tutti e per i singoli membri del popolo, sui quali viene invocato per tre volte il nome divino, assicurando così la benevolenza, la presenza e la protezione di Dio.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2,5-11)

 

Fratelli, 5abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.

 

Il brano paolino, noto come “inno cristologico”, è elaborato secondo lo schema biblico dell’umiliazione del giusto sofferente (vv. 2-8) che poi viene esaltato da Dio (vv. 9-11). In particolare l’umiliazione del Signore consiste nella sua spoliazione della connaturale gloria divina per assumere diventando uomo la condizione di servo!

Il v. 8 sottolinea che tale umiliazione ha avuto il suo culmine nella morte in Croce, segno supremo dell’obbedienza filiale di Gesù al Padre. È per questa obbedienza che il Padre ha esaltato il suo Figlio con la sua risurrezione e dandogli il suo stesso nome, quello di Signore; un nome che gli sarà riconosciuto da tutti gli esseri viventi «in cielo, sulla terra e sotto terra».

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (2,18-21)

 

In quel tempo. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

 

Il testo riporta nei vv. 18-20 la conclusione del racconto della natività del Signore sottolineando lo stupore provocato dalle parole dei pastori su ciò che avevano visto dopo essere andati a Betlemme dietro rivelazione dell’angelo del Signore (vv. 9-17).

Di Maria si dice invece che custodiva tutte le cose che erano accadute «meditandole nel suo cuore». Il v. 21 parla della circoncisione compiuta sul bambino e della concomitante «imposizione del nome», precisando che ciò viene fatto secondo la prescrizione della Legge di Mosè (cfr. Levitico 12,3). La circoncisione è segno di appartenenza al popolo di Israele , già adottata da Abramo come segno dell’Alleanza con Dio (Genesi 17,10-13; 21,4). Quanto al nome, viene eseguito ciò che era stato detto dall’angelo Gabriele a Maria (cfr. Luca 1,31).

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’odierna domenica conclusiva dell’Ottava del Natale pone in rilievo due eventi a esso legati ed entrambi fondati nelle divine scritture: la circoncisione e l’imposizione del nome, fissati come abbiamo appena detto dalla Legge di Mosè proprio l’ottavo giorno dalla nascita di un bambino. La circoncisione, in particolare, evidenzia l’appartenenza al popolo d’Israele e la sua alleanza con Dio significata dal sangue che viene versato.

Il rapido accenno che l’evangelista fa al rito al quale viene sottoposto il bambino Gesù porta con sé un contenuto teologico di straordinaria importanza da collegare a ciò che abbiamo letto nell’Epistola riguardante l’assunzione della «condizione di servo» di colui che che è nella stessa «condizione di Dio».

Tale condizione di servo rimanda all’obbedienza del Figlio che si consegna senza riserve al volere del Padre. Un volere che, inspiegabilmente per la nostra ragione, contempla lo svuotamento e l’umiliazione estrema del Figlio fino alla morte obbrobriosa «di croce» che, in qualche modo, è annunciata nel sangue e nei gemiti del bambino sottoposto alle prescrizioni della Legge. Nei piani e nei misteriosi disegni divini, dunque, la salvezza passa dall’umiliazione e dalla morte del Figlio che l’evento della circoncisione annunzia e anticipa. L’alto valore salvifico della circoncisione del Signore è messo in luce dalla preghiera liturgica ambrosiana per la quale egli, sottoponendosi a essa, «affermò così il valore dell’antico precetto, ma al tempo stesso rinnovò la natura dell’uomo liberandola da ogni impaccio e da ogni residuo del peccato. Senza disprezzo per il mondo antico diede principio al nuovo; nell’ossequio della legge divenne legislatore e, portando nella povertà della nostra natura umana la sua divina ricchezza, elargì nuova sostanza al mistero dei vecchi riti» (Prefazio). L’obbedienza del Figlio, la sua sottomissione al Padre è la nuova Legge del mondo nuovo che da lui prende principio, ed è causa e motivo della salvezza e della riconciliazione del mondo con Dio e insieme è la “via” obbligata per quanti credono in lui e intendono seguirlo.

La conformazione a Cristo nella via dell’obbedienza e dell’umiliazione è, di conseguenza, la testimonianza più credibile ed efficace che noi, discepoli del Signore, possiamo offrire a questo mondo perché «tutti gli uomini riconoscano, come unico nome che la nostra speranza può invocare» (Orazione A Conclusione Della Liturgia Della Parola) il nome di Gesù, dato da Maria al bambino su indicazione dell’angelo. Nome che ne proclama la missione: portare salvezza!

Ed è nel suo nome che invochiamo da Dio ogni grazia per il mondo intero all’inizio del nuovo anno e per noi quella di non rimanere avviluppati dal fascino perverso del male, «di perdere ogni gusto per i piaceri che danno la morte e di volgerci con animo puro al banchetto della vita senza fine» (Orazione Dopo La Comunione).

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30 dicembre 2012

 Domenica nell’Ottava del Natale del Signore

La sapienza “pedagogica” della Chiesa cerca di aiutare i fedeli a penetrare più in profondità nel sublime mistero del Verbo di Dio fatto uomo, nato da una Madre sempre Vergine, per potersi appropriare, con fede più consapevole, della grazia racchiusa nella Natività del Signore, rivelata nelle Divine Scritture, illustrata nelle preghiere del Messale e celebrata nell’adunanza eucaristica. Per questo prolunga per otto giorni la solennità natalizia e, di conseguenza, questa Domenica, che cade proprio in questi giorni, è denominata: nell’Ottava del Natale del Signore.

Il Lezionario

Si legge: Lettura: Proverbi 8,22-31; Salmo 2; Epistola: Colossesi 1,13b.15-20; Vangelo: Giovanni 1,1-14. Alla messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da: Giovanni 20,19-23. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della Domenica nell’Ottava del Natale del Signore del Messale Ambrosiano).

Lettura del libro dei Proverbi (8,22-31)

 

La Sapienza grida: 22«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività, / prima di ogni sua opera, all’origine. /23Dall’eternità sono stata formata, / fin dal principio, dagli inizi della terra. / 24Quando non esistevano gli abissi, io fui generata, / quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua; / 25prima che fossero fissate le basi dei monti, / prima delle colline, io fui generata,   / 26quando ancora non aveva fatto la terra e i campi / né le prime zolle del mondo.      

27Quando egli fissava i cieli, io ero là; / quando tracciava un cerchio sull’abisso, / 28quando condensava le nubi in alto, / quando fissava le sorgenti dell’abisso, / 29quando stabiliva al mare i suoi limiti, / così che le acque non ne oltrepassassero i confini, / quando disponeva le fondamenta della terra, / 30io ero con lui come artefice / ed ero la sua delizia ogni giorno: / giocavo davanti a lui in ogni istante, 31giocavo sul globo terrestre, ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».

 

I versetti oggi proclamati parlano del rapporto tra la Sapienza e Dio, di cui si riconosce creatura pur precedendo la stessa creazione essendo stata formata «dall’eternità» (vv. 22-26). Anzi la Sapienza, intesa come un’entità personale, si descrive come “assistente” di Dio nel momento della creazione alla quale collabora come artefice ed è presente accanto a lui come una figlia che si “diverte” nel creato e, in particolare, nell’instaurare uno speciale rapporto con i figli dell’uomo (vv. 27-31). L’interpretazione cristiana applica la figura vetero-testamentaria  della Sapienza alla persona del Signore Gesù.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,13b.15-20)

 

Fratelli, 13bil Figlio del suo amore 15è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, / 16perché in lui furono create tutte le cose / nei cieli e sulla terra, / quelle visibili e quelle invisibili: / Troni, Dominazioni, / Principati e Potenze.

Tutte le cose sono state create / per mezzo di lui e in vista di lui. / 17Egli è prima di tutte le cose / e tutte in lui sussistono. / 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, / primogenito di quelli che risorgono dai morti, / perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.

19È piaciuto infatti a Dio / che abiti in lui tutta la pienezza / 20e che per mezzo di lui e in vista di lui / siano riconciliate tutte le cose, / avendo pacificato con il sangue della sua croce / sia le cose che stanno sulla terra, / sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il brano riporta l’inno a Cristo, qualificato al v. 13b come «Figlio del suo amore», s’intende di Dio. Esso è composto da due strofe che intendono celebrare rispettivamente Cristo nella sua funzione di salvatore e di mediatore nella prima creazione comprensiva anche dell’ordinamento cosmico (vv. 15-17) e nella nuova creazione, ovvero nella dimensione storico-salvifica (vv. 18-20). In particolare, con la sua incarnazione Gesù è divenuto il capo non solo di tutte le cose create (vv. 16-17), ma dell’intera umanità e, dunque, con la sua risurrezione dai morti, della Chiesa composta da quanti al pari di lui, «risorgono dai morti» (v. 18) grazie alla riconciliazione e alla «pacificazione» operata pure per tutte le realtà create dal «sangue della sua croce» (vv. 19-20).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (1,1-14)

 

1In principio era il Verbo, / e il Verbo era presso Dio / e il Verbo era Dio. / 2Egli era, in principio, presso Dio: / 3tutto è stato fatto per mezzo di lui / e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. 4In lui era la vita / e la vita era la luce degli uomini; / 5la luce splende nelle tenebre / e le tenebre non l’hanno vinta. / 6Venne un uomo mandato da Dio: / il suo nome era Giovanni. / 7Egli venne come testimone / per dare testimonianza alla luce, / perché tutti credessero per mezzo di lui. / 8Non era lui la luce, / ma doveva dare testimonianza alla luce. / 9Veniva nel mondo la luce vera, / quella che illumina ogni uomo. / 10Era nel mondo / e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; / eppure il mondo non lo ha riconosciuto. / 11Venne fra i suoi, / e i suoi non lo hanno accolto. / 12A quanti però lo hanno accolto / ha dato potere di diventare figli di Dio: / a quelli che credono nel suo nome, / 13i quali, non da sangue / né da volere di carne / né da volere di uomo, / ma da Dio sono stati generati.

14E il Verbo si fece carne / e venne ad abitare in mezzo a noi; / e noi abbiamo contemplato la sua gloria, / gloria come del Figlio unigenito / che viene dal Padre, / pieno di grazia e di verità.

 

Il brano contiene alcuni versetti del Prologo del Vangelo secondo Giovanni (1,1-18). Ai vv. 1-2a viene subito detto che il Verbo (= Parola), equiparato a Dio, era presente fin dal principio della creazione. Egli è dunque posto come origine e principio della creazione stessa (v. 3) e risplende nell’universo e tra gli uomini come luce di vita che le tenebre non sono in grado di vincere. I vv. 6-8 riportano la testimonianza di Giovanni il Battista sul Verbo, considerato come luce perché porta nel mondo la rivelazione di Dio. I vv. 9-13 riferiscono che il Verbo viene incontro agli uomini anzitutto per illuminarli (v.9). Egli, però, riceve un rifiuto da parte del mondo e perfino da parte del suo popolo (vv. 10-11) mentre alcuni lo accolgono, ossia credono in lui. A costoro viene accordata la grazia di «diventare figli di Dio» poiché, a motivo della loro fede, «da Dio sono stati generati» (vv.12-13). Il v. 14, infine, contiene l’affermazione centrale dell’intero Prologo giovanneo: «E il Verbo si fece carne» , ossia è diventato uomo e questo uomo, che è il Figlio Unigenito di Dio, si chiama Gesù e viene tra gli uomini recando loro la pienezza dell’amore misericordioso e gratuito del Padre in cui consiste la pienezza della Verità!

 

Commento liturgico-pastorale

 

La domenica nell’Ottava del Natale ci offre la possibilità di prolungare, nella partecipazione ai divini misteri e nell’ascolto delle Sacre Scritture, la sosta gioiosa e piena di fede attorno al mistero dell’apparizione in questo mondo del Figlio Unigenito di Dio, del suo Verbo fatto uomo, in una parola, di Gesù, nato dalla Vergine Maria. Mistero mirabilmente sintetizzato nel canto All’Ingresso: «Nel Padre rimane l’eternità, la Madre conserva la verginità. L’invisibile non sdegnò assumere l’umana natura; è figlio dell’uomo e sempre Signore del mondo». A Lui, perciò, così ci rivolgiamo nella preghiera All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «L’universo non ti contiene, o Figlio di Dio, eppure il grembo di una vergine è diventato il tempio della tua dimora; per questo misterioso evento salvifico custodisci con vigile protezione il tuo popolo».

Una simile sosta, pertanto, non può che rincuorarci e spingerci a una fede limpida e gioiosa capace di divenire una testimonianza riconoscibile e contagiosa delle cose grandi che Dio, nel suo Figlio, ha fatto e fa per noi.

Nell’Incarnazione del Verbo veniamo a sapere che si realizza, in tutta verità, quanto era annunciato nella figura vetero-testamentaria della Sapienza personificata. Essa, che è presente accanto a Dio nella creazione del cosmo e degli uomini, tra i quali pone le sue delizie (Lettura: Proverbi 8,31), nella nostra comprensione di fede prepara la manifestazione del Verbo di Dio, una sola cosa con lui, e per mezzo del quale «tutto è stato fatto», «e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste» (Vangelo: Giovanni 1,3).

Non una creatura, dunque, ma il Verbo che è Dio partecipa attivamente alla creazione di tutte le cose come artefice del creato ed è il Verbo di Dio nel quale dimora la vita, quella divina, a intrattenere un rapporto del tutto speciale con gli uomini che sono in questo nostro mondo, avvolto nelle tenebre oscure dell’incredulità e del peccato, e quindi posto nell’ombra della morte.

In esso egli viene come luce per illuminare il mondo con il suo splendore di rivelatore unico di Dio, sollecitando gli uomini a credere in lui per poter rinascere come figli di Dio e avere parte, fin da ora, della sua stessa Vita!

Il Verbo fatto carne, nel suo rapporto con il mondo e con gli uomini va inspiegabilmente incontro, lui che è uno di noi, alla non accoglienza, al rifiuto e alla guerra che contro di lui muove il potere delle tenebre, che sembra dominare questo mondo che, pure, «è stato fatto per mezzo di lui» (Giovanni 1,3). Per questo egli, nella sua identità di Figlio uguale al Padre e di uomo come lo siamo noi, entra, nell’ora della Croce, nelle tenebre più fitte del male che grava sull’umanità e versando il suo sangue, donando cioè la sua stessa Vita, riconcilia e stabilisce una pace eterna tra Dio e l’uomo (cfr. Epistola: Colossesi 1,20).

Accogliendo la grazia dell’ascolto delle Scritture in questi giorni di gioia per la Natività del Signore, lasciamoci avvolgere dalla bellezza e dalla grandezza delle cose di Dio che, in Cristo suo Figlio, sono state fatte per noi e che orientano il peculiare rendimento di grazie che la Chiesa oggi celebra: «con immensa gioia» e adorando «con fervido cuore il disegno divino che ci ha rinnovato» (Prefazio).

Guardiamo pertanto a Gesù, il Figlio di Maria, come al «principio di tutte le cose», come al nostro principio, riconosciamo in lui il «primogenito di tutta la creazione». Da lui viene il nostro riscatto, la nostra redenzione e la nostra salvezza, per cui lo riconosciamo anche come il «capo del corpo, della Chiesa» (Colossesi 1,18), che è la comunità di quanti lo hanno accolto come luce che illumina con la sua presenza e la sua parola il mistero di per sé inaccessibile che è Dio.

Accoglierlo è ciò che Dio si attende per rigenerare gli uomini come veri suoi figli. Non più dunque soltanto nati «da sangue, né da volere di carne» (Giovanni 1,13), ma partecipi oramai della sua stessa Vita!

È questa la prospettiva stupenda che si è aperta ai nostri cuori di credenti e che vorremmo, con la nostra vita, anzitutto, annunziare e far desiderare agli uomini di questi nostri giorni.

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25 dicembre 2012


NATALE DEL SIGNORE

 

La solennità del Natale ha inizio con la Liturgia vigiliare vespertina, ovvero con la Messa della Vigilia, nelle ore pomeridiane e serali del 24 dicembre. Con quella celebrazione prende avvio anche il Tempo liturgico di Natale, che si conclude la sera della domenica del Battesimo del Signore. Nella tradizione liturgica ambrosiana la solennità natalizia, prevede, come è stato appena ricordato, la celebrazione della Messa della Vigilia da collocare, possibilmente, nel contesto della Liturgia vigiliare vespertina, strutturata sul modello della veglia pasquale, a partire da un prolungato ascolto delle Divine Scritture così distribuite: Letture: Genesi 15,1-7; 1 Samuele 1,7c-17; Isaia 7,10-16; Giudici 13,2-9a; Epistola: Ebrei 10-37-39; Vangelo: Matteo 1,18-25. A essa si devono aggiungere le tre celebrazioni con formulari completi di lezioni bibliche e testi eucologici, denominate rispettivamente: “nella notte” (Lettura: Isaia 2,1-15; Epistola: Galati 4,4-6; Vangelo: Luca 2,15-20); “all’aurora” (Lettura: Isaia 52,7-9; Epistola: 1Corinzi 9,19b-22a; Vangelo: Luca 2,15-20) e “nel giorno”, che nella nostra tradizione liturgica è la celebrazione caratterizzata da una maggiore solennità e della quale, qui di seguito, proponiamo un commento ai testi biblici ed eucologici in essa proclamati.

 Il Lezionario della Messa “nel giorno”

 

Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 8,23b-9,6a; Epistola: Ebrei 1,1-8a; Vangelo: Luca 2,1-14.

 

Lettura del profeta Isaia (8,23b-9,6a)

 

23bIn passato il Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. 1Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. 2Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando di miete e come si esulta quando si divide la preda. 3Perchè tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian. 4Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. 5Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. 6Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.

 

Il brano profetico è inserito nella sezione denominata “Il libro dell’Emmanuele”, di cui occupa i capitoli 6-12. In particolare il v. 23 parla di un futuro glorioso capace di riscattare le regioni del nord della Palestina (Zàbulon e Nèftali) da un’esperienza di oppressione e di umiliazione. Segue, con il capitolo 9, un oracolo con il quale tale riscatto è annunziato con l’apparizione di una grande luce che provoca gioia ed esultanza nel popolo (v. 2). Si tratta, in realtà, dell’intervento liberatore di Dio per porre fine all’oppressione che grava sul popolo (v. 3) e soprattutto alla violenza della guerra (v. 4). I vv. 5-6 proclamano, con accenti solenni, la nascita di un bambino al quale sarà dato ogni potere insieme al trono e al regno di Davide destinato, con lui, a durare per sempre.

 

Lettera agli Ebrei (1,1-8a)

 

Fratelli, 1Dio che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. 3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, 4divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. 5Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? 6Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio». 7Mentre degli angeli dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri come fiamma di fuoco», 8al Figlio invece dice: «Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli».

 

Il brano riporta, quasi per intero, il prologo della lettera e si apre con la solenne affermazione dei vv. 1-2 riguardante il fatto che Dio, dal momento della venuta nel mondo del suo Figlio, “parla”, ovvero, si rivela agli uomini per mezzo di lui. Il v. 3 contiene la solenne dichiarazione circa l’identità divina del Figlio: «Irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza», e dice, in sintesi, l’opera salvifica da lui compiuta a favore degli uomini e che si conclude con la sua intronizzazione «alla destra della Maestà nell’alto dei cieli». I vv. 5-8, infine, attraverso continui ricorsi a citazioni scritturistiche veterotestamentarie (Salmo 2,7; 2Samuele 7,14a; 1Cronache 17,13a; Deuteronomio 32,43b; Salmo 96,7; Salmo 103,4), evidenziano, rispetto agli angeli, l’unicità del Cristo che è il Figlio, il Primogenito. A Lui il Padre consegna il trono «nei secoli dei secoli» ovvero la sovranità sugli angeli e su ogni creatura.

Lettura del Vangelo secondo Luca (2,1-14)

1In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme; egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8 C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore ai presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che egli ama».

Nei vv.1-3 l’evangelista offre alcune coordinate storico-geografiche nelle quali colloca il racconto della natività del Signore. Il censimento deciso dall’imperatore romano obbliga Giuseppe a recarsi con Maria sua sposa a Betlemme, la città che ha dato i natali a Davide dal quale egli discende. In tal modo la nascita del Signore è collocata nell’alveo delle promesse fatte da Dio a Davide e alla sua “casa” (vv. 4-5) e delle quali è compimento. Il racconto vero e proprio della nascita del Signore, in verità assai stringato, occupa i vv. 6-7 e ne sottolinea l’estrema povertà. I vv. 8-12 riportano l’apparizione nella notte dell’angelo del Signore ai pastori, ai quali viene dato per primi l’annuncio del vangelo, vale a dire della buona e lieta notizia riguardante la nascita di un bambino (cfr. Lettura: Isaia 9,5-6), qualificato come Salvatore, Cristo, cioè Messia, e Signore. Il racconto si conclude ai vv. 13-14 con l’apparizione ai pastori di una «moltitudine dell’esercito celeste» che proclamano la glorificazione di Dio e la pace per gli uomini (cfr. Zaccaria 1,79) oggetto della benevolenza divina visibile e tangibile proprio nella natività del suo Unico Figlio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

La natività del Signore è, per noi credenti, anzitutto un mistero, ovvero un evento della storia della salvezza che procede dal disegno divino gradualmente rivelato nelle Scritture. Tale disegno, che un tempo veniva attuato nelle gesta mirabili di Dio a favore del suo popolo Israele (cfr. Lettura: Isaia 9,3), trova il suo compimento nel «bambino nato per noi», nel figlio che «ci è stato dato» (cfr. v. 5), ossia in Gesù, nato a Betlemme dalla Vergine Maria e da lei, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia (Vangelo: Luca 2,7). Egli, pertanto, stando alle parole che un angelo del Signore rivolge ai pastori, gli ultimi nella considerazione sociale del tempo, è il Salvatore, il Messia atteso e invocato e il Signore (v.11), ossia Dio, essendo egli «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza» (Epistola: Ebrei 1,3).

Proprio perché Figlio, egli ha sulle «sue spalle il potere» (Isaia 9,5), quello di spezzare finalmente il giogo, la sbarra e il bastone che grava su ogni uomo (cfr. v.3). È il giogo oppressivo del potere del male che trascina l’umanità sulle sue vie perverse, lontano da Dio e, perciò, votata alla rovina eterna.

Il «bambino che ci è nato», dunque, viene per vincere il sanguinario aguzzino dell’uomo e per compiere, nel suo sangue, «la purificazione dei peccati» (Ebrei 1,3b), riconciliando in tal modo in sé l’umanità intera con Dio, il Padre.

La preghiera liturgica, a partire dai testi della Scrittura nei quali ode la voce stessa del Figlio, parola vivente di Dio, ne amplia e ne approfondisce il senso più profondo. Nella preghiera Dopo la Comunione domandiamo a Dio di poter intuire con fede più penetrante la «bellezza salvifica» del mistero della natività del Signore «e di possederne la grazia con amore più vivo».

Sono proprio i testi del Messale, capaci di cogliere in maniera insuperabile il contenuto dei brani biblici oggi proclamati e a trasformarli in preghiera, a darci l’opportunità di intuire con l’intelligenza della fede il mistero salvifico oggi celebrato.

Dal momento della sua Incarnazione nel seno della Vergine, il Figlio di Dio accetta, infatti, di condividere con noi la condizione di uomo permettendo in tal modo all’uomo di diventare «partecipe della vita divina» (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola).

Tutto ciò va sperimentato «con amore più vivo» proprio a partire dall’esperienza liturgica del mistero. In essa, infatti, accostandoci al pane e al vino eucaristici, diveniamo sempre più «partecipi della vita divina» in Cristo, più conformi a lui nella relazione filiale con il Padre e, dunque, suoi familiari e «degni dell’eredità promessa» (cfr.Orazione All’Inizio Dell’Assemblea Liturgica).

Che cosa comporti tutto ciò nella vita concreta di ogni uomo è facile intuirlo. Il Natale è anzitutto fondamento della dignità dell’uomo, della sua sacralità e inviolabilità. Questo perché il Verbo divenendo “carne”, «ha innalzato l’uomo accanto a sé nella gloria» (Orazione Sui Doni). Il Natale, di conseguenza, è fondamento del nostro indistruttibile legame con il Figlio di Dio fatto uomo. Lui e noi: una cosa sola!

A lui, attraverso la Vergine santa, abbiamo dato la nostra umanità, lui ci ha dato la sua divinità! Il Natale è fondamento perciò della nostra condizione di figli su cui si poggia e cresce la convinzione di poter prendere parte un giorno alla comunione di vita con il Padre, con Dio! Il Natale, inoltre, è fondamento della fraternità umana. Tutti figli nel Figlio e, perciò, tutti fratelli in Cristo Signore.

Esemplare nell’intuizione di fede del mistero e nel vivere la grazia che da esso proviene è la Vergine Maria che «credette alla parola dell’angelo e concepì il Verbo in cui aveva creduto» (Prefazio). A lei, la Madre, diciamo con l’esultanza del cuore: «Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei l’esultanza degli angeli, sei la Vergine madre, la gioia dei profeti! Tu, per l’annuncio dell’angelo, generasti la gioia del mondo, il tuo Creatore e Signore. Gioisci perché fosti degna di essere madre di Cristo» (Canto Alla Comunione).

 

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23 dicembre 2012


Domenica dell’Incarnazione o della divina Maternità 

Nella sesta e ultima domenica di Avvento la tradizione liturgica della Chiesa Ambrosiana celebra la solennità dell’Incarnazione del Signore nel seno della Vergine Maria, acclamata, perciò, come Madre di Dio.

 

Il Lezionario

 

Propone, ogni anno, i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 62,10-63,3b; Salmo: 71 (72); Epistola: Filippesi 4,4-9; Vangelo: Luca 1,26-38a. Nella Messa vigiliare del sabato si legge Giovanni 20,11-18 quale Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della Solennità del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (62,10-63,3b)

 

In quei giorni. Isaia disse: 10«Passate, passate per le porte, / sgombrate la via al popolo, / spianate, spianate la strada, / liberatela dalle pietre, / innalzate un vessillo per i popoli».

11Ecco ciò che il Signore fa sentire / all’estremità della terra: / «Dite alla figlia di Sion: / “Ecco, arriva il tuo salvatore; / ecco, egli ha con sé il premio / e la sua ricompensa lo precede”. / 12Li chiameranno “Popolo santo”, / “Redenti del Signore”. / E tu sarai chiamata Ricercata, / “Città non abbandonata”».

1«Chi è costui che viene da Edom, / da Bosra con le vesti tinte di rosso, / splendido nella sua veste, / che avanza nella pienezza della sua forza?». / «Sono io, che parlo con giustizia, / e sono grande nel salvare». / 2«Perché rossa è la tua veste / e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». / 3«Nel tino ho pigiato da solo / e del mio popolo nessuno era con me».

 

I vv. 10-12 del capitolo 62 celebrano la città di Sion (= Gerusalemme) ritornata fedele al suo Signore e, perciò, divenuta polo di attrazione (= vessillo) per i popoli (v. 10). A essa il Profeta annuncia la venuta del salvatore per la redenzione del popolo e per darle un nome nuovo (cfr. Isaia 62,2) che esprima la sua nuova condizione di città amata da Dio. Seguono, a questi, i primi tre versetti che introducono anzitutto il misterioso personaggio «che viene da Edom», «con le vesti tinte di rosso» (v. 1), dotato di una forza irresistibile e che, in realtà, si rivela essere Dio stesso che rivendica di aver “da solo” schiacciato i nemici del suo popolo, simbolicamente racchiusi nel popolo di Edom (vv.2-3).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (4,4-9)

 

Fratelli, 4siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù.

8In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. 9Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!

 

Il brano è preso dal capitolo conclusivo della lettera, dove l’Apostolo rivolge ai fedeli di Filippi le ultime esortazioni insieme ai suoi ringraziamenti. Il v. 4 presenta ancora una volta l’invito alla gioia che è una nota tipica dell’esistenza del credente. Seguono alcune esortazioni rette dall’affermazione «Il Signore è vicino», che induce a essere amabili con tutti (v. 5), a confidare in Dio nelle angustie della vita (v. 6) e a vivere nella pace (v. 7). I vv. 8-9, a detta degli esperti, rappresentano il “manifesto dell’umanesimo cristiano”, che si apre ad accogliere tutto ciò che di buono, giusto, puro... viene anche dal mondo.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (1,26-38a)

 

In quel tempo. 26L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».

29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».

 

Il brano evangelico va letto alla luce dei racconti vetero-testamentari di annunciazione, di concepimenti e di nascite del tutto singolari come, ad esempio, quella di Sansone (Giudici 13,1-7) e, in parallelo, con l’annuncio a Zaccaria, padre del Battista (Luca 1,5-25). Nei versetti iniziali (26-27) l’evangelista, mentre ambienta il suo racconto a livello temporale e spaziale, è particolarmente interessato a mettere in evidenza la condizione di Maria a cui è inviato Gabriele: «una vergine», quasi a voler preparare  l’annunzio della sua singolare maternità fatta risalire direttamente all’intervento di Dio. I vv. 28-33 riportano il contenuto dell’annuncio. Maria viene salutata come «piena di grazia» (v. 28), a indicare il favore divino del tutto sorprendente e gratuito che guarda proprio a lei, una donna, una vergine non appartenente certo alle classi sociali più elevate. Il v. 29 registra il turbamento, anzi, il forte spavento avvertito inizialmente da Maria e che viene fugato dalle successive parole dell’angelo, finalmente rivelatrici dei disegni divini su di lei (vv. 30-33.35-37). Esse parlano della sua imminente maternità, quella di un figlio che dovrà essere chiamato Gesù (= Dio salva): nome indicativo della sua missione nel mondo quale «figlio dell’Altissimo» ed erede del trono di Davide secondo l’antica promessa: «Io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno... io renderò stabile il trono del suo regno per sempre» (2Samuele 7,12-13). Il v. 34 registra un secondo intervento di Maria riguardante la sua condizione di vergine, al quale fa seguito la nuova risposta dell’angelo (vv. 35-37), che rivela come l’annunciata maternità non sarà ascrivibile a un intervento umano, ma soltanto all’intervento divino mediante l’azione dello Spirito Santo. Le successive parole angeliche (v. 35b) segnano il culmine della rivelazione riguardante il figlio concepito dalla Vergine: non solo «figlio dell’Altissimo», non solo «figlio di Davide» e, dunque il re, il Messia, ma: «Sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio» in senso proprio ed esclusivo. Gesù, dunque, è il Figlio di Dio ed è il figlio di Maria, la vergine. Ciò è possibile solo a Dio per il quale «nulla è impossibile» come, ad esempio, rendere madre Elisabetta, una parente di Maria che, nella sua vecchiaia, ha concepito anch’essa un figlio (v. 36). Il racconto si conclude al v. 38 con il “sì” di Maria che la pone nel numero dei “servi del Signore”, vale a dire di coloro che si consegnano con decisione fedele e irrevocabile alla volontà di Dio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

La tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana dedica l’ultima domenica dell’Avvento alla celebrazione dell’Incarnazione del Signore nel seno della Vergine Maria.

Si vuole, in tal modo, condurre i fedeli a riconoscere, nel Bambino di Betlemme, il «Figlio dell’Altissimo», generato, come vero uomo, nel seno della Vergine, per opera dello Spirito Santo (cfr. Vangelo: Luca 1,31-35). La presente domenica, perciò, vuole aprire i nostri cuori alla grandezza e alla stupenda bellezza dei disegni di Dio che tutti ci riguardano e che comportano la venuta salvifica nel mondo del suo Figlio Unigenito che noi, con fede integra, confessiamo «vero Dio e vero Uomo».

Il canto Alla Comunione esprime liricamente il contenuto della nostra fede: «O scambio di doni mirabile! Il Creatore del genere umano, nascendo dalla Vergine intatta per opera di Spirito Santo, riceve una carne mortale e ci elargisce una vita divina».

In realtà i testi biblici e le preghiere del Messale non indugiano più di tanto nell’indagare il mistero insondabile, qual è l’Incarnazione del Verbo di Dio. Esso esige infatti di risalire e di penetrare nella vita trinitaria di Dio e reclama, in chi ascolta, la consegna libera e intelligente, sull’esempio della Vergine Santa, al volere divino al quale «nulla è impossibile» (cfr. vv. 37-38).

L’attenzione, pertanto, è rivolta maggiormente alla dimensione salvifica di tale mistero, considerato anzitutto come l’avverarsi delle promesse di Dio a Davide in ordine al ristabilimento del suo trono e del suo regno (vv. 32-33) e al riscatto del suo popolo così annunziato: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore» (Lettura: Isaia 62,11). Riscatto che trasforma un popolo umiliato e oppresso in «Popolo santo», un popolo di «Redenti del Signore» (v. 12).

Con ciò, a partire dal riscatto di Israele, si comprende come nell’Incarnazione del Figlio che assume in sé l’umanità intera, Dio in realtà dispone il riscatto e la redenzione dell’intera famiglia umana per farne il suo “Popolo santo”. È quanto viene profeticamente annunziato nella Lettura, dove si parla di un personaggio misterioso: «che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza» (Isaia 63,1) e nel quale riconosciamo il Signore Gesù che, con la sua Incarnazione, avvia quell’opera di salvezza e di liberazione dell’uomo che porterà a compimento nella sua Pasqua di morte e di risurrezione.

Dal mistero del Verbo Incarnato lo sguardo di fede e di stupore può ora rivolgersi al mistero della Vergine Madre che l’angelo saluta come «piena di grazia» e ricolma della presenza dello Spirito Santo (Luca 1,28.30.35) e così cantata All’Ingresso: «Elisabetta dice a Maria; “Perché a me sei venuta, Madre del mio Signore? Se l’avessi saputo, sarei uscita a te incontro. Tu porti in grembo il Re dell’universo, io solamente un profeta; tu colui che dà la legge, io colui che la osserva; tu la Parola che salva, io la voce che ne proclama l’avvento».

Il primo dei due Prefazi proposti per l’odierna solennità, cogliendo il senso pieno della pagina evangelica oggi proclamata, esprime così il mistero della Vergine-Madre Maria: «Accogliendo con fede illibata l’annunzio dell’angelo, concepì il tuo Verbo, rivestendolo di carne mortale; nell’esiguità del suo grembo racchiuse il Signore dei cieli e il Salvatore del mondo e per noi lo diede alla luce, serbando intatta l’integrità verginale».

Tutte le preghiere e i canti della Messa, in realtà, testimoniano la fede stupiuta e ammirata della Chiesa di fronte al mistero di questa «serva del Signore» (Luca 1,38) che la benevolenza e la potenza divina, non senza il suo sì, ha reso capace di ridonare «il Dio vivo onde il genere umano sorge libero dall’antica oppressione» (Prefazio II).

Possiamo a ragione affermare che da questa donna «comincia l’opera di salvezza» (Prefazio II) che il suo Figlio ha portato a termine nell’ora della Croce.

Tutto ciò fonda e stabilisce nella Chiesa, e in tutti noi, quella “gioia” del tutto diversa da quella effimera di questo mondo, perchè frutto della “ricchezza” ridonataci dal Figlio di Maria. A ragione, perciò, l’Apostolo ci esorta: «Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti» (Epistola: Filippesi 4,4).

Una gioia e una letizia che, nel raduno eucaristico, ci viene data per Maria dalla cui «fecondità è germinato colui che ci sazia con angelico pane» (Prefazio II).

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16 dicembre 2012 – V domenica di Avvento


Pone in rilievo la figura di Giovanni Battista quale precursore del Signore, di cui annunzia l’imminente venuta. Questa domenica, inoltre, inaugura la settimana di preparazione immediata al Natale i cui giorni sono tradizionalmente chiamati «dell’Accolto», in riferimento al Signore che viene.

 

Il Lezionario

 

Fa proclamare come Lettura: Isaia 30,18-26b e il Salmo 145 (146). L’Epistola è presa da 2 Corinzi 4,1-6 e il Vangelo da Giovanni 3,23-32a. Nella Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Giovanni 21,1-14. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della V Domenica di Avvento del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (30,18-26b)

 

In quei giorni. Isaia disse: «18Il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, / per questo sorge per avere pietà di voi, / perché un Dio giusto è il Signore; / beati coloro che sperano in lui. / 19Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, / tu non dovrai più piangere. / A un tuo grido di supplica ti farà grazia; / appena udrà, ti darà risposta. / 20Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione / e l’acqua della tribolazione, / non si terrà più nascosto il tuo maestro; / i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, / 21i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: / “Questa è la strada, percorretela”, / caso mai andiate a destra o a sinistra.

22Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; / i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. / «Fuori!», tu dirai loro. / 23Allora egli concederà la pioggia per il seme / che avrai seminato nel terreno, / e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso; / in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato.
24I buoi e gli asini che lavorano la terra / mangeranno biada saporita, / ventilata con la pala e con il vaglio. / 25Su ogni monte e su ogni colle elevato / scorreranno canali e torrenti d’acqua / nel giorno della grande strage, / quando cadranno le torri. / 26La luce della luna sarà come la luce del sole / e la luce del sole sarà sette volte di più, / come la luce di sette giorni, / quando il Signore curerà la piaga del suo popolo».

 

La Lettura riporta le parole di biasimo che il profeta rivolge a nome di Dio contro Israele che, di fronte alla minaccia costituita dalla potenza degli Assiri (702 a.C.), invece di confidare nel suo aiuto, si rivolge, invano, all’Egitto. Nei versetti qui riportati viene ribadita la fedele disponibilità di Dio a fare grazia e ad avere pietà del suo popolo (vv. 18-19) anche se, per sua salutare correzione, dovrà ricorrere, per un poco, al “pane dell’afflizione” e all’“acqua della tribolazione” (vv. 20-21). Segue un perentorio invito a disfarsi delle pratiche idolatriche (v. 22) per poter godere dei favori divini (vv. 23-26).

 

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (4,1-6)

 

Fratelli, 1avendo questo ministero, secondo la misericordia che ci è stata accordata, non ci perdiamo d’animo. 2Al contrario, abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio.

3E se il nostro Vangelo rimane velato, lo è in coloro che si perdono: 4in loro, increduli, il dio di questo mondo ha accecato la mente, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo, che è immagine di Dio. 5Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. 6E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo.

 

Nella sezione della Lettera di cui fa parte il brano odierno, l’Apostolo esalta la grandezza del ministero apostolico affidato anche a lui e che gli impedisce di perdersi d’animo di fronte alle difficoltà riscontrate nella comunità di Corinto (cfr. v. 1). Il v. 2 riporta le parole con cui Paolo proclama la fedeltà della sua predicazione apostolica alla verità del Vangelo la quale, però, rimane inaccessibile e oscura agli increduli posti in balia del “dio di questo mondo” ovvero del demonio (vv. 3-4). Paolo, infine, rivendica con forza di aver sempre annunciato Cristo Gesù Signore e di averlo fatto sapendosi servitore dei Corinzi «a causa di Gesù» (v. 5). Concetto ribadito al v. 6 dove la parola di Dio creatore che fa brillare «la luce dalle tenebre» (cfr. Genesi 1,3) è brillata anche nel cuore dell’apostolo mediante il Vangelo che rivela Dio in Cristo.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (3,23-32a)

 

In quel tempo. 23Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché là c’era molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare. 24Giovanni, infatti, non era ancora stato gettato in prigione.
25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo alla purificazione rituale. 26Andarono da Giovanni e gli dissero: «Rabbì, colui che era con te dall’altra parte del Giordano e al quale hai dato testimonianza, ecco, sta battezzando e tutti accorrono a lui». 27Giovanni rispose: «Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. 28Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. 29Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. 30Lui deve crescere; io, invece, diminuire».
31Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32Egli attesta ciò che ha visto e udito.

 

Il brano si riferisce all’attività svolta da Gesù in Giudea prima del suo ritorno in Galilea (3,22) e riporta l’ultima testimonianza a lui offerta da Giovanni qui colto nella sua attività di battezzatore (v. 23). I vv. 25-26 parlano di una disputa sorta sul valore del battesimo dato da Gesù e quello dato dato da Giovanni, che viene interessato al caso. Segue ai vv. 27-30 la risposta del Battista il quale riconosce, anzitutto, che il successo dell’attività di Gesù viene da Dio (v. 27) e ribadisce ai suoi discepoli di essere stato mandato a preparare la venuta del Messia (v. 28), dichiarando, inoltre, di essere semplicemente l’«amico dello sposo», ossia di Gesù. La sua presenza riempie di gioia il Battista (v. 29) che, in tal modo, esaurisce la sua missione espressa con la lapidaria affermazione: «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (v. 30). I vv. 31-32a insistono nell’affermare la superiorità di Gesù sul Battista insinuando la sua origine divina.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Nell’imminenza della festa natalizia la tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana pone in rilievo la figura di Giovanni il Battista nella sua missione di immediato precursore e di testimone del Signore che viene.

Si noti, a tale riguardo, come la pagina evangelica riporta la lucida testimonianza offerta a parole dal Battista prima di essere gettato in prigione da Erode, dove avrebbe reso la testimonianza a Cristo con il suo sangue.

In questa domenica è indispensabile accogliere e fare nostro il suo insegnamento, che ci dispone a celebrare convenientemente il mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore. Tale mistero va anzitutto celebrato riconoscendo con fede la provenienza “dall’alto”, “dal cielo” (Vangelo: Giovanni 3,31), ossia da Dio, del bambino di Betlemme. Per questa sua origine divina, Gesù «è al di sopra di tutti» (v. 31) ed è perciò in grado di rivelare «ciò che ha visto e udito» (v. 32) presso Dio dal quale egli viene.

La fede nell’origine divina del Signore Gesù e, di conseguenza, nel suo essere il rivelatore unico e definitivo di Dio, è la disposizione essenziale per una degna celebrazione del suo Natale.

Nella sua testimonianza il Battista esclude anzitutto di essere lui il Cristo (v. 28) e parla di Gesù come dello sposo a cui appartiene la sposa e la cui voce riempie di gioia i suoi amici, tra i quali si pone lui stesso. Assumendo, come tutti noi, la condizione umana, Gesù ha unito inseparabilmente a sé, alla sua condizione divina, l’umanità, alla maniera dello sposo che si unisce alla sua sposa e con lei forma «una sola carne» (cfr. Genesi 2,24).

Si tratta di un’immagine biblica di rara bellezza che ci aiuta a penetrare e a ricercare in profondità il significato del Natale: manifestare al mondo la divina Carità! Quella del Padre, anzitutto, e quella del suo Figlio nato da Maria per opera dello Spirito Santo.

Di un intervento benevolo di Dio hanno parlato anche i profeti con i tipici accenti legati alla prosperità della terra, alla fecondità del bestiame, all’abbondanza di acqua e al sereno alternarsi dei giorni e delle stagioni che però, a ben guardare, segnalano l’agire misericordioso di Dio verso il suo popolo di cui cura la “piaga” (Lettura: Isaia 30,26). Si prospetta, così, l’opera salvifica a cui Dio ha dato principio negli eventi vetero-testamentari a favore del suo popolo Israele e che ora, nella natività del suo Figlio, conduce “ a compimento” a beneficio del mondo intero (cfr. Orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica). In particolare, nella “piaga” che Dio risana, è facile riconoscere quella “ferita” che porta ogni uomo che viene in questo mondo e dalla quale deriva ogni sorta di male e di peccato, primo fra tutti l’incredulità e l’idolatria di sé che lo tiene sotto il potere umiliante delle tenebre. Quella piaga Dio l’ha effettivamente curata con il dono d’amore del suo Figlio testimoniato dalle “piaghe” che hanno segnato il suo corpo mortale. Perciò, nell’imminenza del Natale, riconosciamo con sempre nuovo e più grande stupore che «la nostra redenzione è vicina, l’antica speranza è compiuta; appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi» (Prefazio)

La grandezza e la bellezza di questa testimonianza, come un tempo toccò proclamarla al Battista, ora spetta alla Chiesa e a ogni fedele. Nell’adempiere a questa missione essa impara da Giovanni a “diminuire” davanti a Gesù perché lui solo deve “crescere” (v. 30) e sfolgorare con lo splendore del suo Vangelo nel cuore della storia e in quello di ogni uomo.

Di tale atteggiamento devono rivestirsi soprattutto quanti nella Chiesa hanno un compito di guida, ma anche ogni fedele, a cui incombe il dovere di dare testimonianza a Gesù sempre e dovunque. Nessuno pensi di mettersi al posto di Cristo, di oscurare il Signore o di servirsi di lui per cercare di attirare a sé!

Ci conforta in tutto ciò l’insegnamento di Paolo che in tutta verità può dire: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore» (Epistola: 2 Corinzi 4,5). E se il Battista è ben consapevole di essere stato «mandato avanti a lui» (Giovanni 3,28) come immediato precursore del Messia promesso, l’Apostolo Paolo si dichiara servitore dei cristiani di Corinto «a causa di Gesù» (2 Corinzi 4,5).

È questa la strada che hanno percorso i profeti, il Battista, gli Apostoli e che la Chiesa deve percorrere, senza sbandare «a destra o a sinistra» (Isaia 30,21), per essere in grado di annunciare in tutta verità che, in Gesù, Dio ha davvero fatto grazia e ha avuto pietà di tutti (v. 18).

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9 dicembre 2012 – IV domenica di Avvento


Concentra l’attenzione della Chiesa sulla prossima solennità natalizia considerata come “ingresso” nel mondo del Messia e perciò contemplata, dalla tradizione liturgica ambrosiana, alla luce della proclamazione evangelica riguardante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione della Lettura: Isaia 4,2-5; Salmo 23 (24); Epistola: Ebrei 2,5-15 e il Vangelo: Luca 19,28-38. Viene letto Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della IV Domenica di Avvento).

 

Lettura del profeta Isaia (4,2-5)

 

In quel tempo. Isaia disse: «2In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele. 3Chi sarà rimasto in Sion e chi sarà superstite in Gerusalemme sarà chiamato santo: quanti saranno iscritti per restare in vita in Gerusalemme.

4Quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato, con il soffio del giudizio e con il soffio dello sterminio, 5allora creerà il Signore su ogni punto del monte Sion e su tutti i luoghi delle sue assemblee una nube di fumo durante il giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte, perché la gloria del Signore sarà sopra ogni cosa come protezione».

 

Nei primi cinque capitoli del libro, è evidente la preoccupazione del profeta per la corruzione dilagante tra il popolo in un periodo di apparente prosperità. In particolare nei vv. 2-4, con le parole relative al “germoglio del Signore”, viene annunziato l’intervento purificatore di Dio (v. 4) e il suo ritorno a protezione di Gerusalemme. Esso è significato da fenomeni quali la “nube” e il “fuoco fiammeggiante” rivelatori della gloria (= potenza) divina e dispiegati dal Signore a favore del suo popolo nell’epopea dell’Esodo (v. 5).

 

Lettera agli Ebrei (2,5-15)

 

Fratelli, 5non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. 6Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: «Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi
o il figlio dell’uomo perché te ne curi? / 7Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, / di gloria e di onore l’hai coronato / 8e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi».

Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. 9Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.

10Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. 11Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, / in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; / 13e ancora: «Io metterò la mia fiducia in lui»; e inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato».

14Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 

Il testo riprende il tema già precedentemente accennato (1,1-14) e relativo alla superiorità di Cristo uomo-Dio sugli “angeli” (v. 5) benché nella sua vita terrena sia apparso ad essi inferiore. Tale superiorità è motivata dalla morte che egli ha sofferto per la salvezza di tutti (vv. 6-9; cfr. Salmo 8,5-7), ovvero a vantaggio di tutti gli uomini. Il v. 10 iscrive la passione e la morte di Gesù, considerato come il capo dell’umanità, nel disegno di Dio che, per mezzo della sua obbedienza filiale, porta il proprio Figlio alla perfezione e, perciò, diventa guida alla salvezza per quanti lo seguono. I vv. 11-12 sottolineano la comune origine umana degli uomini e di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo e, di conseguenza, nostro fratello (cfr. Salmo 22,23 e Isaia 8,17-18). Ed è proprio la condizione umana a consentire al Signore Gesù di affrontare vittoriosamente, con la sua morte, il potere del diavolo e liberare così dalla tenebrosa sua schiavitù l’intera umanità (cfr. vv. 14-15).

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (19,28-38)

 

In quel tempo. Il Signore 28Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo:
«Benedetto colui che viene, / il re, nel nome del Signore. / Pace in cielo / e gloria nel più alto dei cieli!».

 

Il brano è incorniciato dalla salita del Signore verso Gerusalemme per dare compimento alla sua Pasqua. In questa salita Gesù precede i suoi discepoli (v. 28) che, ed è da notare, sono i protagonisti, insieme a lui, dell’intera scena. Nella prima parte (vv. 29-34) registriamo l’ambientazione dell’evento, l’invio di due discepoli in cerca di un puledro legato e le istruzioni a essi impartite e poggiate unicamente sull’autorevolezza della parola di Gesù (vv. 29b-30). La seconda parte (vv. 35-38) riguarda l’ingresso del Signore in Gerusalemme e pone in rilievo, con i gesti compiuti dalla folla dei discepoli (vv. 35-36), l’acclamazione riportata al v.38 (cfr. Salmo 118,26 e Luca 2,14), con la quale riconoscono in Gesù il re-messia promesso da Dio e annunziato dai profeti.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa quarta domenica di Avvento, l’ascolto delle divine Scritture apre il nostro cuore a colui che viene come il consacrato da Dio per la salvezza e ci presenta la specifica “modalità” del suo ingresso nel mondo.

Modalità che è evidenziata, in fedele continuità con la tradizione liturgica ambrosiana, nella proclamazione evangelica dell’ingresso del Signore in Gerusalemme per dare compimento all’opera dell’universale salvezza e al suo esodo pasquale verso il Padre dal quale è stato inviato nel mondo.

Le Scritture ci dicono anzitutto chi è, in realtà, colui che viene. La Lettura annunzia l’apparizione del «germoglio del Signore» il cui frutto «sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele» (Isaia 4,2). L’Epistola parla di Lui come dell’uomo a cui Dio ha sottomesso «ogni cosa sotto i suoi piedi» (v. 8), mentre al v. 10 lo dichiara come il capo dell’intera umanità alla quale appartiene e con la quale ha in comune «il sangue e la carne» (v. 14) a motivo della sua incarnazione nel seno di Maria.

Egli, pertanto, viene nel mondo per rinnovare i prodigi e le meraviglie della salvezza di Israele (cfr. Isaia 4,5) e che ora riguardano la santificazione dell’intera umanità (Ebrei 2,11) e la sua liberazione dal potere del diavolo e della morte (v. 14). Le Scritture, dunque, testimoniano che Gesù è venuto nel mondo dotato di un potere invincibile «per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare quelli che per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Epistola: Ebrei 2,14-15). La preghiera liturgica, dal canto suo, offre una sintesi insuperabile sull’identità e sulla missione di colui che viene per attuare i disegni del Padre al quale così si rivolge: «Con la tua promessa di redenzione hai risollevato dopo la colpa a nuova speranza di grazia il genere umano, creato in santità e giustizia nel tuo Verbo divino, e nella pienezza dei tempi hai mandato lo stesso tuo Verbo nel mondo perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo» (Prefazio).

L’ascolto delle Scritture ci spinge, inoltre, a riflettere sulla peculiare modalità scelta dal Signore per il suo ingresso in Gerusalemme quale inviato per la salvezza, ovvero come il Messia-Re d’Israele. Modalità che illumina il mistero della sua Natività, del suo ingresso nel mondo e dell’assunzione del «sangue e della carne» (cfr. Ebrei 2, 14) che lo accomuna a ogni uomo. Egli infatti, avanza cavalcando un puledro (Luca 19,30.33), che Matteo precisa essere d’asina (21,2.7), mentre Giovanni parla di un asinello (12,14). Si tratta, comunque, di una cavalcatura di certo non adatta per l’intronizzazione di un re e tantomeno per andare in battaglia. Sicché l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, mentre dichiara realizzata l’antica promessa circa l’invio del Messia salvatore, fa comprendere che egli avrebbe compiuto la sua missione in una condizione di mitezza e di umiltà, in aperto contrasto con gli atteggiamenti mondani dei tanti Messia che si sono avvicendati e tuttora si avvicendano nella storia degli uomini e del mondo.

L’umile puledro che Gesù sceglie come sua “trionfale” cavalcatura, perciò, sta a indicare che egli intende compiere la missione affidatagli nella sottomissione e nella consegna di sé al Padre, il quale ha posto nell’umiliazione e nelle sofferenze del Figlio (cfr. Ebrei 2,10), annunziate e già evidenti nella sua natività, l’universale salvezza e liberazione.

L’umile venuta di Gesù nel mondo nella notte di Betlemme e il suo ingresso messianico in Gerusalemme a dorso di un puledro, eventi attuativi della salvezza, sono pertanto consegnati per sempre alla memoria della Chiesa e di ogni discepolo. Essi ci insegnano a rifuggire, come da una malattia mortale, ogni atteggiamento di autoaffermazione, di autocelebrazione, di autonomia dal volere divino, per apprendere dal suo Figlio la via che conduce alla perfezione e alla gloria, vale a dire la via dell’abbandono filiale al volere di Dio.

Questi eventi che, in definitiva, annunciano la sua morte, accettata e vissuta in spirito di obbedienza al volere del Padre, rappresentano il “vantaggio” a favore di tutti gli uomini e sono titolo di gloria e di onore che coronano per sempre il Signore Gesù (cfr. Ebrei 2,7).

Questa modalità salvifica, presente in tutti i misteri della vita terrena del Figlio di Dio, a partire dalla sua Natività dalla Vergine, è attualizzata nella celebrazione eucaristica nella quale la nostra santificazione, la nostra liberazione, l’anticipo della gloria è significata negli umili segni del pane e del vino, memoriale perenne ed efficace della morte sofferta dal Signore a «vantaggio di tutti», «a magnificenza e ornamento» non più per i soli «superstiti d’Israele» (Isaia 4,2), ma per l’intera famiglia umana alla quale lui stesso appartiene!

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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