9 dicembre 2012 – IV domenica di Avvento


Concentra l’attenzione della Chiesa sulla prossima solennità natalizia considerata come “ingresso” nel mondo del Messia e perciò contemplata, dalla tradizione liturgica ambrosiana, alla luce della proclamazione evangelica riguardante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione della Lettura: Isaia 4,2-5; Salmo 23 (24); Epistola: Ebrei 2,5-15 e il Vangelo: Luca 19,28-38. Viene letto Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della IV Domenica di Avvento).

 

Lettura del profeta Isaia (4,2-5)

 

In quel tempo. Isaia disse: «2In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria e il frutto della terra sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele. 3Chi sarà rimasto in Sion e chi sarà superstite in Gerusalemme sarà chiamato santo: quanti saranno iscritti per restare in vita in Gerusalemme.

4Quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato, con il soffio del giudizio e con il soffio dello sterminio, 5allora creerà il Signore su ogni punto del monte Sion e su tutti i luoghi delle sue assemblee una nube di fumo durante il giorno e un bagliore di fuoco fiammeggiante durante la notte, perché la gloria del Signore sarà sopra ogni cosa come protezione».

 

Nei primi cinque capitoli del libro, è evidente la preoccupazione del profeta per la corruzione dilagante tra il popolo in un periodo di apparente prosperità. In particolare nei vv. 2-4, con le parole relative al “germoglio del Signore”, viene annunziato l’intervento purificatore di Dio (v. 4) e il suo ritorno a protezione di Gerusalemme. Esso è significato da fenomeni quali la “nube” e il “fuoco fiammeggiante” rivelatori della gloria (= potenza) divina e dispiegati dal Signore a favore del suo popolo nell’epopea dell’Esodo (v. 5).

 

Lettera agli Ebrei (2,5-15)

 

Fratelli, 5non certo a degli angeli Dio ha sottomesso il mondo futuro, del quale parliamo. 6Anzi, in un passo della Scrittura qualcuno ha dichiarato: «Che cos’è l’uomo perché di lui ti ricordi
o il figlio dell’uomo perché te ne curi? / 7Di poco l’hai fatto inferiore agli angeli, / di gloria e di onore l’hai coronato / 8e hai messo ogni cosa sotto i suoi piedi».

Avendo sottomesso a lui tutte le cose, nulla ha lasciato che non gli fosse sottomesso. Al momento presente però non vediamo ancora che ogni cosa sia a lui sottomessa. 9Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti.

10Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. 11Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli, 12dicendo: «Annuncerò il tuo nome ai miei fratelli, / in mezzo all’assemblea canterò le tue lodi»; / 13e ancora: «Io metterò la mia fiducia in lui»; e inoltre: «Eccomi, io e i figli che Dio mi ha dato».

14Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, 15e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. 

Il testo riprende il tema già precedentemente accennato (1,1-14) e relativo alla superiorità di Cristo uomo-Dio sugli “angeli” (v. 5) benché nella sua vita terrena sia apparso ad essi inferiore. Tale superiorità è motivata dalla morte che egli ha sofferto per la salvezza di tutti (vv. 6-9; cfr. Salmo 8,5-7), ovvero a vantaggio di tutti gli uomini. Il v. 10 iscrive la passione e la morte di Gesù, considerato come il capo dell’umanità, nel disegno di Dio che, per mezzo della sua obbedienza filiale, porta il proprio Figlio alla perfezione e, perciò, diventa guida alla salvezza per quanti lo seguono. I vv. 11-12 sottolineano la comune origine umana degli uomini e di Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo e, di conseguenza, nostro fratello (cfr. Salmo 22,23 e Isaia 8,17-18). Ed è proprio la condizione umana a consentire al Signore Gesù di affrontare vittoriosamente, con la sua morte, il potere del diavolo e liberare così dalla tenebrosa sua schiavitù l’intera umanità (cfr. vv. 14-15).

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (19,28-38)

 

In quel tempo. Il Signore 28Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.
37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo:
«Benedetto colui che viene, / il re, nel nome del Signore. / Pace in cielo / e gloria nel più alto dei cieli!».

 

Il brano è incorniciato dalla salita del Signore verso Gerusalemme per dare compimento alla sua Pasqua. In questa salita Gesù precede i suoi discepoli (v. 28) che, ed è da notare, sono i protagonisti, insieme a lui, dell’intera scena. Nella prima parte (vv. 29-34) registriamo l’ambientazione dell’evento, l’invio di due discepoli in cerca di un puledro legato e le istruzioni a essi impartite e poggiate unicamente sull’autorevolezza della parola di Gesù (vv. 29b-30). La seconda parte (vv. 35-38) riguarda l’ingresso del Signore in Gerusalemme e pone in rilievo, con i gesti compiuti dalla folla dei discepoli (vv. 35-36), l’acclamazione riportata al v.38 (cfr. Salmo 118,26 e Luca 2,14), con la quale riconoscono in Gesù il re-messia promesso da Dio e annunziato dai profeti.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa quarta domenica di Avvento, l’ascolto delle divine Scritture apre il nostro cuore a colui che viene come il consacrato da Dio per la salvezza e ci presenta la specifica “modalità” del suo ingresso nel mondo.

Modalità che è evidenziata, in fedele continuità con la tradizione liturgica ambrosiana, nella proclamazione evangelica dell’ingresso del Signore in Gerusalemme per dare compimento all’opera dell’universale salvezza e al suo esodo pasquale verso il Padre dal quale è stato inviato nel mondo.

Le Scritture ci dicono anzitutto chi è, in realtà, colui che viene. La Lettura annunzia l’apparizione del «germoglio del Signore» il cui frutto «sarà a magnificenza e ornamento per i superstiti d’Israele» (Isaia 4,2). L’Epistola parla di Lui come dell’uomo a cui Dio ha sottomesso «ogni cosa sotto i suoi piedi» (v. 8), mentre al v. 10 lo dichiara come il capo dell’intera umanità alla quale appartiene e con la quale ha in comune «il sangue e la carne» (v. 14) a motivo della sua incarnazione nel seno di Maria.

Egli, pertanto, viene nel mondo per rinnovare i prodigi e le meraviglie della salvezza di Israele (cfr. Isaia 4,5) e che ora riguardano la santificazione dell’intera umanità (Ebrei 2,11) e la sua liberazione dal potere del diavolo e della morte (v. 14). Le Scritture, dunque, testimoniano che Gesù è venuto nel mondo dotato di un potere invincibile «per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare quelli che per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Epistola: Ebrei 2,14-15). La preghiera liturgica, dal canto suo, offre una sintesi insuperabile sull’identità e sulla missione di colui che viene per attuare i disegni del Padre al quale così si rivolge: «Con la tua promessa di redenzione hai risollevato dopo la colpa a nuova speranza di grazia il genere umano, creato in santità e giustizia nel tuo Verbo divino, e nella pienezza dei tempi hai mandato lo stesso tuo Verbo nel mondo perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo» (Prefazio).

L’ascolto delle Scritture ci spinge, inoltre, a riflettere sulla peculiare modalità scelta dal Signore per il suo ingresso in Gerusalemme quale inviato per la salvezza, ovvero come il Messia-Re d’Israele. Modalità che illumina il mistero della sua Natività, del suo ingresso nel mondo e dell’assunzione del «sangue e della carne» (cfr. Ebrei 2, 14) che lo accomuna a ogni uomo. Egli infatti, avanza cavalcando un puledro (Luca 19,30.33), che Matteo precisa essere d’asina (21,2.7), mentre Giovanni parla di un asinello (12,14). Si tratta, comunque, di una cavalcatura di certo non adatta per l’intronizzazione di un re e tantomeno per andare in battaglia. Sicché l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, mentre dichiara realizzata l’antica promessa circa l’invio del Messia salvatore, fa comprendere che egli avrebbe compiuto la sua missione in una condizione di mitezza e di umiltà, in aperto contrasto con gli atteggiamenti mondani dei tanti Messia che si sono avvicendati e tuttora si avvicendano nella storia degli uomini e del mondo.

L’umile puledro che Gesù sceglie come sua “trionfale” cavalcatura, perciò, sta a indicare che egli intende compiere la missione affidatagli nella sottomissione e nella consegna di sé al Padre, il quale ha posto nell’umiliazione e nelle sofferenze del Figlio (cfr. Ebrei 2,10), annunziate e già evidenti nella sua natività, l’universale salvezza e liberazione.

L’umile venuta di Gesù nel mondo nella notte di Betlemme e il suo ingresso messianico in Gerusalemme a dorso di un puledro, eventi attuativi della salvezza, sono pertanto consegnati per sempre alla memoria della Chiesa e di ogni discepolo. Essi ci insegnano a rifuggire, come da una malattia mortale, ogni atteggiamento di autoaffermazione, di autocelebrazione, di autonomia dal volere divino, per apprendere dal suo Figlio la via che conduce alla perfezione e alla gloria, vale a dire la via dell’abbandono filiale al volere di Dio.

Questi eventi che, in definitiva, annunciano la sua morte, accettata e vissuta in spirito di obbedienza al volere del Padre, rappresentano il “vantaggio” a favore di tutti gli uomini e sono titolo di gloria e di onore che coronano per sempre il Signore Gesù (cfr. Ebrei 2,7).

Questa modalità salvifica, presente in tutti i misteri della vita terrena del Figlio di Dio, a partire dalla sua Natività dalla Vergine, è attualizzata nella celebrazione eucaristica nella quale la nostra santificazione, la nostra liberazione, l’anticipo della gloria è significata negli umili segni del pane e del vino, memoriale perenne ed efficace della morte sofferta dal Signore a «vantaggio di tutti», «a magnificenza e ornamento» non più per i soli «superstiti d’Israele» (Isaia 4,2), ma per l’intera famiglia umana alla quale lui stesso appartiene!

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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