27 marzo 2011 – III domenica di Quaresima


1. La domenica “di Abramo”
     

E' così denominata perché nel brano evangelico viene presentato Abramo come padre e prototipo dei “credenti” in Cristo. Il Lezionario propone: Lettura: Esodo 34,1-10; Salmo 105; Epistola: Galati 3,6-14; Vangelo: Giovanni 8,31-59.  All’inizio della Messa vespertina del sabato viene letto: Luca 9,28b-36 quale Lettura vigiliare che, in Quaresima, sostituisce il Vangelo della risurrezione.  


2. Vangelo secondo Giovanni 8,31-59      

In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora:  «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».    
48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei un indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “è nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno;  lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.    


3. Commento liturgico-pastorale      

Il brano evangelico è preso dal capitolo 8 che riporta l’insegnamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme e destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione dei Farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di “molti” che lo seguivano e lo ascoltavano. Occorre, inoltre, ricordare che tutto il capitolo è come contrassegnato dal continuo riferimento ad Abramo come “padre” del popolo d'Israele.

Il testo, per comodità di lettura, lo dividiamo in due sezioni. La prima vv. 31-45 è incentrata sulla necessità di “credere” e la seconda sezione (vv. 46-59) sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole di Gesù «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione “libertà/schiavitù”, s’intende, del peccato. La “libertà” è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù.

I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come Padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano “figli”, non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede  propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi addirittura “figli” di Dio rifiutando di credere in colui che è “uscito” da Dio ed è stato da lui “inviato”, ma, con tale rifiuto, dimostrano, in verità, di essere figli del diavolo (vv. 41-45).     Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù “dice la verità”, reca cioè  con la sua Parola l’autentica e piena rivelazione di Dio al contrario dei suoi interlocutori che rifiutando la sua parola di “verità” preferiscono seguire la menzogna.

Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di sfuggire alla “morte”. Modello di un simile ascolto obbediente è Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).

Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che Gesù pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò il Signore afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione “anelava” Abramo che, a motivo della sua fede, poté “vedere” e gioire del Figlio rivelatore di Dio Padre!

Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei giudei che chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo “nascondersi” ai loro occhi e la sua “uscita” dal tempio.

Tenendo conto del contesto liturgico quaresimale e, letto, simultaneamente con le altre lezioni bibliche oggi proclamate, il brano evangelico ha come fulcro la figura di Abramo che Gesù stesso presenta come prototipo e padre di tutti coloro che accolgono la sua Parola e, perciò, compiono anch’essi l’ “opera” propria di Abramo: la fede!

L’Epistola al riguardo afferma che «figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede» ed ereditano così quella “benedizione” con la quale fu “benedetto” da Dio (cfr. Galati, 3,7-9) e che fluisce su coloro che credono attraverso Cristo crocifisso.

È lui, infatti, che con la sua croce ci libera dalla “maledizione” dovuta all’incredulità e al peccato. Nell’ora della croce il Signore Gesù ha offerto sé stesso a Dio come intercessore a favore degli uomini sui quali, come già su Israele pur liberato dall’Egitto, grava l’“ira” di Dio (Lettura: Esodo 32,10). La sua intercessione, però, diversamente da quella di Mosè in favore del solo popolo d’Israele (Esodo 32,11-13) riguarda l’intera umanità che ieri, come oggi, purtroppo, non tarda “ad allontanarsi dalla via” indicata da Dio (Esodo 32,8).

La Quaresima, pertanto, chiede a tutti noi di riattivare il dono battesimale della “fede” che si poggia esclusivamente su ciò che il Signore Gesù ha compiuto, perché su tutti noi passasse la “benedizione di Abramo” e ricevessimo la promessa dello Spirito, che ci fa “figli” di Dio e ci raduna in quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca come sua discendenza» che noi chiamiamo Chiesa (Prefazio I).

Per questo veniamo esortati a fare le “opere” di Abramo che consistono in un reale “ascolto” della Parola, in una sua cordiale “accoglienza” capace di tradursi in una fedele “osservanza” e obbedienza. L’Eucaristia domenicale è il luogo privilegiato per una simile esperienza che, attende, però, di essere prolungata concretamente nella vita di ogni giorno.

È quanto umilmente e fiduciosamente  chiediamo: «O Dio,che per la forza dello Spirito Santo iscrivi indelebilmente nel cuore dei credenti la santità della tua legge, donaci di crescere nella fede, nella speranza e nell’amore perché, conformandoci sempre al tuo volere, ci sia dato di conseguire un giorno la terra della tua promessa» (All’inizio dell’Assemblea Liturgica 2).

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20 marzo 2011 – II domenica di Quaresima


1. La domenica “della Samaritana”  
   

E' così chiamata perché in essa, forse fin dai tempi di sant’Ambrogio, si legge sempre il Vangelo dell’incontro di Gesù con una donna samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Il Lezionario prevede: Lettura: Esodo 20,2-24; Salmo 18; Epistola: Efesini 1,15-23; Vangelo: Giovanni 4,5-42. Alla Messa vespertina del sabato, a partire da questa domenica, il Vangelo della risurrezione viene sostituito per tutta la Quaresima dalla Lettura vigiliare. In questa domenica viene letto: Marco 9,2b-10.    


2. Vangelo secondo Giovanni 4,5-42      

In quel tempo. 5Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio; 6qui c'era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi.    
9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva».    
11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 
16Le dice Gesù: «Va' a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». 19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».      21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».    
27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse:  «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.    
31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».     
39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».    


3. Commento liturgico-pastorale      

Diamo anzitutto uno sguardo al brano evangelico così come si presenta a una prima osservazione per poi inquadrarlo nel peculiare contesto liturgico quaresimale. Il testo è chiaramente diviso in due grandi sezioni. La prima: vv. 5-26 riporta il dialogo di Gesù con “una donna samaritana” mentre la seconda: vv. 27-42 è incentrata sulla rivelazione dell’“opera” per la quale il Padre ha inviato Gesù nel mondo.

In particolare i vv. 5-7 ambientano la scena in Samaria, una regione considerata “deviata” dalla vera fede di Israele e precisamente presso il pozzo che Giacobbe, il grande patriarca, aveva fatto scavare presso la cittadina di Sicar. L’evangelista sottolinea che Gesù vi arrivò “affaticato per il viaggio” e nell’ora più calda del “mezzogiorno”.

Non meraviglia, perciò, che lui richiedesse da bere alla donna samaritana che, nel frattempo, era giunta al pozzo. I vv. 8-15 riportano, con la risposta della donna, le parole di rivelazione sul dono “dell’acqua viva” capace di togliere la “sete” e diventare, in chi la beve, «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna».

Se per Israele “l’acqua viva” simboleggia la divina rivelazione che si riassume nella Legge come ci ricorda la Lettura odierna che riporta il Decalogo dato da Dio a Mosé sul monte Sinai (Esodo 20,2-24), possiamo dire che per noi “l’acqua viva” è la rivelazione fatta da Gesù, superiore a quella della Legge, in grado di spegnere la “sete” più profonda che c’è nel cuore di ogni uomo, la sete di Dio, di aver parte per sempre alla sua vita. è quanto viene autorevolmente detto nella preghiera del Prefazio: «Cristo Signore nostro,... chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede; desiderando con ardente amore portarla a salvezza, le accendeva nel cuore la sete di Dio».

La prima sezione si chiude ai vv. 16-26 con una svolta nel dialogo tra Gesù e la donna, alla quale viene rivelata la sua vita disordinata e traviata rispetto alla Legge di Dio (v. 18), inducendola, così, a muovere i suoi primi passi nella fede in Gesù riconosciuto come “un profeta” (v. 19). A Lui, uomo ispirato da Dio, pone la questione riguardante il “luogo” dove è possibile incontrare Dio: per i Samaritani era il monte Garizim mentre per i Giudei era il Tempio di Gerusalemme (vv. 20-21).

A questa domanda Gesù risponde con parole di rivelazione di grande permanente attualità e valore (vv. 23-24), con le quali elimina le diatribe legate al “luogo” in cui si deve rendere culto a Dio. Con la sua venuta nel mondo, è “venuta l’ora” in cui il culto divino è sganciato da luoghi e da templi materiali e viene invece compiuto “in spirito e verità” (vv. 23-24) ossia da quanti sono rinati dallo Spirito e si lasciano da lui guidare all’accoglienza di fede della rivelazione portata da Gesù il Messia che, con la sua venuta svelerà ogni cosa (vv. 25-26). La solenne dichiarazione messianica: «Sono io, che parlo con te» chiude il dialogo con la samaritana.

Prende così avvio la seconda sezione (vv. 27-42) inaugurata dall’accorrere a Gesù degli abitanti di Sicar e del dialogo con i discepoli riguardante il suo vero “cibo” che consiste nel compiere la volontà del Padre (vv. 31-34) che lo ha inviato nel mondo per “salvare” il mondo. è questa l’“opera” che il Padre ha affidato a Gesù e alla quale egli ora associa i suoi discepoli con l’invito: «alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» e con l’esplicito mandato a “mietere” cioè a raccogliere l’umanità nella “comunione” con Dio qui indicata con l’espressione “vita eterna” (vv. 35-38).

La conclusione (vv. 39-42) fa capire che i Samaritani che credono nel Signore “per la parola della donna” e ancora di più “per la sua parola”, professando la fede in Gesù quale “salvatore del mondo”, sono, in verità, primizie dell’“opera” salvifica commessa da Dio al suo Figlio e da questi ai suoi discepoli e, dunque, ai discepoli di tutti i tempi.

Il contesto quaresimale in cui viene proclamato il brano evangelico induce a porre l’accento sul dono “dell’acqua viva” promessa da Gesù alla samaritana e che rappresenta la rivelazione di Dio che solo il Figlio è in grado di portare in pienezza.

La Scrittura, come sappiamo, indica nella Legge, consegnata da Dio nella sua manifestazione a Mosè sul monte Sinai, l’“acqua viva”. Si tratta certamente di un grande “dono” di Dio al suo popolo, che però impallidisce di fronte alla “profonda conoscenza” di lui recata a noi dal suo Figlio, grazie alla quale ci è possibile «comprendere  quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza» verso di noi (cfr. Epistola: Efesini 1,18).

Una simile più profonda “conoscenza” di Dio, e del disegno di salvezza e di amore che egli serba nel suo cuore per ogni uomo, realizza la promessa del dono dell’”acqua viva” fatta da Gesù alla samaritana. Questa nel suo continuo andirivieni al “pozzo” rappresenta l’incessante ricerca del cuore umano che desidera la felicità, la vita, che desidera Dio il quale ha già manifestato la sua potenza di amore verso di noi “quando risuscitò dai morti” il suo Figlio, facendolo «sedere alla sua destra nei cieli» ( Efesini 1,20).

Partecipando all’Eucaristia anche noi ritorniamo ogni domenica al “pozzo” che è il Signore crocifisso e con fede riconosciamo: «Dal tuo cuore, Signore Gesù, fiumi d’acqua viva scorreranno. Ascolta pietoso il grido di questo popolo e aprici il tesoro della tua grazia che santifica il cuore dei credenti»(Canto Alla Comunione), grazia che accende il desiderio di Dio, che permette di penetrare sempre di più nel suo mistero ed è per noi fonte di vita “eterna”. Per questo non ci stanchiamo di domandare ogni giorno: «O Gesù, hai detto alla samaritana: “Chi berrà dell’acqua che io darò, non avrà più sete in eterno”. Donaci di quell’acqua, Signore, così berremo e non avremo più sete» (Canto Allo Spezzare del Pane).

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13 marzo 2011 – Prima domenica di Quaresima


1. La domenica all’inizio di Quaresima
     

E' caratterizzata, nella nostra tradizione liturgica ambrosiana, dalla proclamazione evangelica delle tentazioni di Gesù nel deserto secondo il racconto di Matteo. Le lezioni bibliche prese dal Libro II del Lezionario ambrosiano: Mistero della Pasqua del Signore sono: Lettura: Isaia 58,4b-12b; Salmo 102; Epistola: 2Corinzi 4,16b-5,9; Vangelo: Matteo 4,1-11. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,9-16 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Matteo 4,1-11      

In quel tempo. 1Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, dì che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto:
Non di solo pane vivrà l’uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».     5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio. Gettati giù; sta scritto infatti:
Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo
ed essi ti porteranno sulle loro mani
perché il tuo piede non inciampi in una pietra».    
7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche:
Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».    
8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora  Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».    
11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.      


3. Commento liturgico-pastorale      

Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo al Giordano: Mt 3,13-17 e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l'azione dello Spirito nel “condurre” Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del “diavolo”, una parola greca che significa: “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1).

Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1Re 19,8), riferisce che Gesù: «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4) che potremmo chiamare quella del “pane”. Essa riguarda il “nutrimento” di cui l’uomo ha davvero bisogno per “vivere” e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, presa da Deuteronomio 8,3, consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e che è per noi custodita e trasmessa nelle Scritture.

La seconda è la tentazione del «punto più alto del tempio» (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù, presa da Deuteronomio 6,16, esclude la pretesa di attendere da Dio un segno prodigioso per credere e obbedirgli.

La terza tentazione è quella del “monte altissimo” (vv. 8-10), dal quale il satana mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui a una condizione: che Gesù volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui! Con la sua decisa risposta, presa da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio.

Il racconto si chiude al v. 11 con il satana che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli “angeli” che si prendono cura di Gesù.

Proclamato all’inizio della Quaresima, il tempo liturgico orientato all’annuale solenne celebrazione della Pasqua, il brano evangelico odierno intende presentare Gesù, il figlio obbediente del Padre, quale modello ed esemplare a cui guardare e da riprodurre nella vita di chi, grazie all’immersione battesimale nella morte del Signore, è rinato alla vita nuova di “figlio” e incorporato nell’unico corpo del Signore che è la Chiesa.

La “tentazione” a cui Gesù si sottopose nel deserto è avvenuta perché tutti trovassimo in lui l’ispiratore delle parole, dei sentimenti e delle azioni da mettere in campo lungo il cammino della nostra vita durante il quale il “nemico” farà di tutto per distrarci dalla “bocca” di Dio, per insinuare il dubbio lacerante sulla sua effettiva bontà e paternità nei nostri riguardi e per indurci a  voltargli le spalle, rifiutando di “adorarlo” e di “servirlo” ossia di prestargli filiale ascolto e obbedienza per adorare e servire gli “idoli” inconsistenti di questo mondo effimero.

Per questo la Quaresima ci propone alcuni “esercizi” spirituali come, ad esempio, il “digiuno” ben conosciuto nella Scrittura e, come abbiamo visto, praticato dal Signore stesso. Esso, per essere “gradito” a Dio non deve limitarsi a una semplice privazione del cibo materiale fine a sé stessa. Il digiuno, in realtà, deve dare l’opportunità di capire fino in fondo le parole del Signore: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

Al digiuno, inoltre, deve essere data un’anima che, come apprendiamo dalle parole profetiche della Lettura, è la carità così concretamente esemplificata: «sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi… nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo» (Isaia 58,6-7).

Del resto è proprio la carità di Dio a operare “in Cristo” suo Figlio la “riconciliazione” dell’umanità immiserita e umiliata dal peccato, che Dio decide di “non imputare” agli uomini perché di esso, con indicibile amore, si è caricato Gesù (cfr. Epistola: 2Corinzi 5,19b). Il cammino quaresimale verso la Pasqua, diviene così esemplare del cammino dell’intera nostra esistenza.

Per non venir meno e non soccombere alle insidie del “tentatore”. la preghiera liturgica ci esorta a tenere fisso lo sguardo su Gesù nel quale, come diciamo nel Prefazio: «riconosciamo o Padre la tua Parola che ha creato ogni cosa, e in lui ritroviamo il pane vivo e vero che, quaggiù ci sostenta nel faticoso cammino del bene e, lassù, ci sazierà della sua sostanza nell’eternità beata del cielo».

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6 marzo 2011 – Ultima dopo l’Epifania


1. La domenica detta «del perdono»
     

Conclude il tempo liturgico “dopo l'Epifania” e, di fatto, prepara alla Quaresima che avrà come punto focale il mistero pasquale del Signore considerato nel suo primo versante riguardante la sua morte in croce nella quale il “perdono” da lui portato nel mondo è dato per tutti gli uomini che si convertono e credono.    
Il Lezionario propone: Lettura: Osea 1,9a; 2,7a.b-10. 16-18. 21-22; Salmo: 102; Epistola: Romani 8,1-4; Vangelo: Luca 15,11-32.    
Nella Messa vespertina viene proclamato quale Vangelo della risurrezione:  Luca 24,13a.36-48. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della IX Domenica Per annum nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Luca 15,11-32      

In quel tempo. Il Signore Gesù 11disse ancora: «Un uomo aveva due figli. 12Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. 13Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 14Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. 15Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. 16Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 17Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! 18Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; 19non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei salariati”. 20Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. 21Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. 22Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l'anello al dito e i sandali ai piedi. 23Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.     25Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; 26chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. 27Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. 28Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. 29Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. 30Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale  ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. 31Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; 32ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».    


3. Commento liturgico-pastorale      

E' la terza delle parabole narrate da Gesù per rispondere ai farisei e agli scribi che lo rimproverano per la sua accoglienza e disponibilità verso “i peccatori” con i quali addirittura siede a mensa (Matteo 15,1-2). Le prime due sono rispettivamente quella della “pecora perduta e ritrovata” (vv. 4-7) e della “moneta perduta e ritrovata” (vv. 8-10).

La parabola oggi proclamata, che ha il Padre come protagonista principale, è divisa in due parti. La prima riguarda il “figlio più giovane” prima “perduto” e poi “ritrovato” (vv. 11-24) e la seconda parla del “figlio maggiore” che non si è mai mosso da casa e che, in verità, non si è mai sentito e comportato come vero “figlio” (vv. 25-30). I vv. 31-32, infine, riportano la risposta del Padre, al figlio maggiore, nella quale abbiamo la rivelazione della bontà di Dio nei confronti di tutti gli uomini e, con la quale, Gesù l’inviato di Dio, giustifica il suo atteggiamento misericordioso specialmente verso i “perduti” ossia “i peccatori”.

La parabola prende avvio con la richiesta del figlio minore di avere la parte del patrimonio a lui spettante sulla base delle prescrizioni della Legge (vedi Levitico 27,8-11; e Numeri 36,7-9) e la sua partenza da casa verso “un paese lontano” dove rapidamente esaurisce le sue sostanze conducendo una vita disordinata (vv. 12-13).

I vv. 14-16 segnano il repentino mutamento delle condizioni di vita del giovane che si trova per necessità a doversi occupare di una mandria di porci. Cosa, questa, proibita dalla Legge e segno dell’abiezione più profonda per un giudeo.

L’osservazione riportata al v. 17 è determinante per il profondo cambiamento del cuore del ragazzo.  Finalmente “rientrò” in sé stesso compiendo idealmente il percorso di ritorno alla casa del Padre e  preparandosi convenientemente all’incontro con lui riconoscendo il suo “peccato” (vv. 17-19).

Di qui la decisione di ritornare effettivamente dal Padre (v. 20) il quale addirittura preso da una grande commozione gli va incontro e compie gesti di “riconoscimento” del prodigo come suo “figlio” (lo abbraccia e lo bacia). L’amore straripante del Padre non gli permette neppure di aprire bocca, anzi si manifesta con segni di generosa accoglienza:  il vestito più bello, l’anello, i calzari, il vitello grasso che viene imbandito perché la festa sia piena (vv. 22-23).

Il v. 24 riporta la motivazione di tutto ciò: il figlio che era come “morto” è “tornato in vita”, il figlio che si era “perduto” è stato “ritrovato” e riconsegnato all'amore del Padre.

Nella seconda parte viene descritta la reazione del “figlio maggiore” una volta appreso, si badi non dal Padre, ma da un servo, il motivo della festa (vv. 26-27). Stavolta è lui ad allontanarsi da casa senza curarsi di provocare dolore nel cuore del Padre costretto a uscire incontro a lui e addirittura “a pregarlo” (v. 28). Le sue parole dicono in verità che lui non si è mai veramente considerato “figlio” ponendosi in un rapporto di “servizio” formalmente obbediente non certo dunque filiale con il Padre. Rapporto che, come avviene, dovrebbe essere ricompensato almeno da un “capretto”.

La risposta del Padre vuole rassicurare il figlio maggiore che i suoi sentimenti per lui non sono da meno di quelli riservati al figlio scapestrato e lo invita a far festa, a gioire cioè con lui che ha recuperato un “figlio” al suo amore e lui stesso un “fratello”.

Proclamata in questa domenica che fa da ponte tra il Tempo dopo l’Epifania del Signore e quello di Quaresima, la parabola del Padre buono e dei due figli entrambi “perduti” intende esortare tutti a intraprendere nel prossimo tempo quaresimale, un deciso cammino di conversione e di ritorno a Dio.

Con le sue parole e con i suoi gesti Gesù ci ha con evidente chiarezza fatto comprendere che Dio, il Padre «è buono e grande nell'amore» (Ritornello al Salmo responsoriale) verso tutti, senza eccezione. Non ci sono uomini o donne per quanto lontani e addirittura “perduti” che Dio non tenga sempre nel suo cuore, spiando l’occasione propizia per attirarli nuovamente a sé, per parlare al loro cuore (cfr. Lettura: Osea 2,16) al fine di poterli finalmente annoverare tra i suoi figli.

Del resto, come insegna l’Apostolo, Dio ha già perdonato i nostri peccati, anzi ha fatto sì che «la giustizia della Legge fosse compiuta in noi» perché il nostro e il peccato di tutti egli li ha perdonati una volta «condannato il peccato nella carne» ossia nella persona del suo Figlio fatto uomo in Gesù (cfr. Epistola: Romani, 8,3).

Un simile potente annuncio dell’amore davvero sorprendente di Dio deve essere capace di muovere anche nel nostro cuore quella decisione che ha rappresentato la salvezza per il figlio che era perduto: «Mi alzerò, andrò da mio padre» (Luca 15,18). Egli ci attende attorno alla mensa eucaristica dove: «Gli angeli stanno intorno all’altare e Cristo porge il pane dei santi e il calice di vita a remissione dei peccati» (antifona Alla Comunione) per «purificarci dalle colpe, per infondere vigore nella nostra debolezza e per guidarci verso la gioia del regno eterno» (Orazione Dopo la Comunione) nella sua Casa.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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