Questo giorno “ottavo della nascita del Salvatore” fa memoria della sua Circoncisione, avvenuta in conformità alla Legge di Mosè e nella quale la Chiesa vede l’annunzio del compimento della salvezza che ha il suo fondamento nell’Incarnazione e nella Natività del Figlio unigenito di Dio.
Il Lezionario
Le lezioni bibliche proclamate sono: Lettura: Numeri 6,22-27; Salmo 66 (67); Epistola: Filippesi 2,5-11; Vangelo: Luca 2,18-21. Il Vangelo della Risurrezione per la messa vigiliare del sabato è preso da Giovanni 20,19-23.
Lettura del libro dei Numeri (6,22-27)
In quei giorni. 22Il Signore parlò a Mosè e disse: 23«Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: 24Ti benedica il Signore e ti custodisca. 25Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. 26Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. 27Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò».
Si tratta della formula di benedizione che Dio stesso trasmette ai sacerdoti tramite Mosè e che è rivolta al popolo d’Israele liberato dall’Egitto e in marcia nel deserto verso la terra promessa. La benedizione è per tutti e per i singoli membri del popolo, sui quali viene invocato per tre volte il nome divino assicurando così la benevolenza, la presenza e la protezione di Dio.
Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (2,5-11)
Fratelli, 5abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: 6egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, 7ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, 8umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce. 9Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome, 10perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, 11e ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre.
Il brano paolino, noto come “inno cristologico”, è elaborato secondo lo schema biblico dell’umiliazione del giusto sofferente (vv. 2-8) che poi viene esaltato da Dio (vv. 9-11). In particolare l’umiliazione del Signore consiste nella sua spoliazione della connaturale gloria divina per assumere, diventando uomo, la condizione di servo!
Il v. 8 sottolinea che tale umiliazione ha avuto il suo culmine nella morte in croce, segno supremo dell’obbedienza filiale di Gesù al Padre. È per questa obbedienza che il Padre ha esaltato il suo Figlio con la sua risurrezione e dandogli il suo stesso nome, quello di Signore; un nome che gli sarà riconosciuto da tutti gli esseri viventi «in cielo, sulla terra e sotto terra».
Lettura del Vangelo secondo Luca (2,18-21)
In quel tempo. 18Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. 19Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. 20I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. 21Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.
Il testo riporta nei vv. 18-20 la conclusione del racconto della natività del Signore sottolineando lo stupore provocato dalle parole dei pastori su ciò che avevano visto dopo essere andati a Betlemme dietro rivelazione dell’angelo del Signore (vv. 9-17).
Di Maria si dice invece che custodiva tutte le cose che erano accadute «meditandole nel suo cuore». Il v. 21 parla della circoncisione compiuta sul bambino e della concomitante “imposizione del nome”, precisando che ciò viene fatto secondo la prescrizione della Legge di Mosè (cfr. Levitico 12,3). La circoncisione è segno di appartenenza al popolo di Israele , già adottata da Abramo come segno dell’Alleanza con Dio (Genesi 17,10-13; 21,4). Quanto al nome, viene eseguito ciò che era stato detto dall’angelo Gabriele a Maria (cfr. Luca 1,31).
Commento liturgico-pastorale
L’odierna domenica conclusiva dell’Ottava del Natale pone in rilievo due eventi a esso legati ed entrambi fondati nelle divine scritture: la circoncisione e l’imposizione del nome, fissati come abbiamo appena detto dalla Legge di Mosè proprio l’ottavo giorno della nascita di un bambino. La circoncisione, in particolare, evidenzia l’appartenenza al popolo d’Israele e la sua alleanza con Dio significata dal sangue che viene versato.
Il rapido accenno che l’evangelista fa al rito al quale viene sottoposto il bambino Gesù porta con sé un contenuto teologico di straordinaria importanza, da collegare a ciò che abbiamo letto nell’Epistola riguardante l’assunzione della «condizione di servo» di colui che è nella stessa «condizione di Dio».
Tale condizione di servo rimanda all’obbedienza del Figlio che si consegna senza riserve al volere del Padre. Un volere che, inspiegabilmente per la nostra ragione, contempla lo svuotamento e l’umiliazione estrema del Figlio fino alla morte obbrobriosa «di croce» che, in qualche modo, è annunciata nel sangue e nei gemiti del bambino sottoposto alle prescrizioni della Legge. Nei piani e nei misteriosi disegni divini, dunque, la salvezza passa dall’umiliazione e dalla morte del Figlio che l’evento della circoncisione annunzia e anticipa.
L’alto valore salvifico della circoncisione del Signore è messo in luce dalla preghiera liturgica ambrosiana per la quale egli, sottoponendosi a essa, «affermò così il valore dell’antico precetto, ma al tempo stesso rinnovò la natura dell’uomo liberandola da ogni impaccio e da ogni residuo del peccato. Senza disprezzo per il mondo antico diede principio al nuovo; nell’ossequio della legge divenne legislatore e, portando nella povertà della nostra natura umana la sua divina ricchezza, elargì nuova sostanza al mistero dei vecchi riti» (Prefazio).
L’obbedienza del Figlio, la sua sottomissione al Padre è la nuova Legge del mondo nuovo che da lui prende principio ed è causa e motivo della salvezza e della riconciliazione del mondo con Dio e insieme è la “via” obbligata per quanti credono in lui e intendono seguirlo.
La conformazione a Cristo nella via dell’obbedienza e dell’umiliazione è, di conseguenza, la testimonianza più credibile ed efficace che noi, discepoli del Signore, possiamo offrire a questo mondo perché «tutti gli uomini riconoscano, come unico nome che la nostra speranza può invocare» (Orazione A Conclusione Della Liturgia Della Parola) il nome di Gesù dato da Maria al bambino su indicazione dell’angelo. Nome che ne proclama la missione: portare salvezza!
Ed è nel suo nome che invochiamo da Dio ogni grazia per il mondo intero all’inizio del nuovo anno e per noi quella di non rimanere avviluppati dal fascino perverso del male, «di perdere ogni gusto per i piaceri che danno la morte e di volgerci con animo puro al banchetto della vita senza fine» (Orazione Dopo La Comunione).
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Viene celebrato a partire dalla solenne Liturgia vigiliare nel pomeriggio del 24 dicembre, nella Messa “nella notte” , “all’aurora” e in quella “nel giorno” che qui proponiamo.
Il Lezionario
Per la Messa “nel giorno” di Natale che, nella tradizione liturgica della nostra Chiesa ambrosiana è quella caratterizzata da una maggiore solennità, sono prescritti i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 8,23b-9,6a; Salmo 95 (96); Epistola: Ebrei 1,1-8a; Vangelo: Luca 2,1-14.
Lettura del profeta Isaia (8,23b-9,6a)
23bIn passato il Signore Dio umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti. 1Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. 2Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si esulta quando si divide la preda. 3Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino, come nel giorno di Madian. 4Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. 5Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. 6Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre.
Il brano profetico è inserito nella sezione denominata “Il Libro dell’Emmanuele”, che occupa i capitoli dal 6 al 12. In particolare il v. 23 annunzia un futuro glorioso capace di riscattare le regioni del nord della Palestina (Zàbulon e Nèftali) da un’esperienza di oppressione e di umiliazione.
Segue, con il capitolo 9 un oracolo con il quale tale riscatto è annunziato come l’apparizione di una “grande luce” che provoca gioia ed esultanza nel popolo (v. 2). Si tratta, in realtà, dell’intervento liberatore di Dio per porre fine all’oppressione che grava sul popolo (v. 3) e soprattutto alla violenza della guerra (v. 4).
I vv. 5-6 annunciano la nascita di un bambino, al quale sarà dato ogni potere insieme al trono e al regno di Davide destinato, con lui, a durare per sempre.
Lettera agli Ebrei (1-1-8a)
Fratelli, 1Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, 2ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. 3Egli è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, sedette alla destra della maestà nell’alto dei cieli, 4divenuto tanto superiore agli angeli quanto più eccellente del loro è il nome che ha ereditato. 5Infatti, a quale degli angeli Dio ha mai detto: «Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato»? E ancora: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio»? 6Quando invece introduce il primogenito nel mondo, dice: «Lo adorino tutti gli angeli di Dio». 7Mentre degli angeli dice: «Egli fa i suoi angeli simili al vento, e i suoi ministri come fiamma di fuoco», 8al Figlio invece dice: «Il tuo trono, Dio, sta nei secoli dei secoli».
Il brano riporta quasi per intero il prologo della Lettera e si apre con la solenne affermazione dei vv. 1-2 riguardante il fatto che Dio non “parla” più tramite suoi portavoce quali sono stati i profeti ma tramite il Figlio incarnato.
Il v. 3 esprime l’identità della natura divina pur nella distinzione delle Persone tra il Padre e il Figlio descritto come «irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza». Del Figlio viene detta in sintesi l’opera salvifica da lui compiuta venendo al mondo e che si conclude con la sua intronizzazione «alla destra della Maestà nell’alto dei cieli».
I vv. 5-8, infine, attraverso continui ricorsi a citazioni scritturistiche veterotestamentarie, evidenziano l’unicità del Cristo che è il Figlio, il Primogenito, al quale il Padre consegna il trono «nei secoli dei secoli», e dunque la sua superiorità sugli angeli e su ogni creatura.
Lettura del Vangelo secondo Luca (2,1-14)
1In quei giorni. Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme; egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini che gli ama».
Nei vv. 1-3 l’evangelista offre alcune coordinate storico-geografiche nelle quali colloca il racconto della natività del Signore. Il censimento deciso dall’imperatore romano obbliga Giuseppe a recarsi con Maria sua sposa a Betlemme, la città che ha dato i natali a Davide dal quale egli discende. In tal modo la nascita del Signore è collocata nell’alveo delle promesse fatte da Dio a Davide e alla sua “casa” (vv. 4-5) e delle quali è compimento.
Il racconto vero e proprio della nascita del Signore, in verità assai stringato, occupa i vv. 6-7 e ne sottolinea l’estrema povertà. I vv. 8-12 riportano l’apparizione nella notte dell’angelo del Signore ai pastori, ai quali viene dato per primi l’annunzio del “vangelo”, vale a dire della bella e buona notizia riguardante la nascita di un bambino qualificato come “salvatore”, “Cristo” ossia Messia e “Signore”.
Il racconto si conclude ai vv. 13-14 con l’apparizione ai pastori di «una moltitudine dell’esercito celeste» che con riferimenti biblici proclamano la “glorificazione” di Dio e la pace per gli uomini (cfr. Zaccaria 1,79) oggetto della benevolenza divina resa visibile e tangibile proprio nella natività del suo unico Figlio.
Commento liturgico-pastorale
Nella preghiera Dopo la Comunione domandiamo a Dio di «intuire con fede più penetrante la bellezza salvifica» del mistero della natività del Signore «e di possederne la grazia con amore più vivo». Più in generale sono proprio i testi del Messale che sintetizzano in maniera insuperabile il contenuto dei brani biblici oggi proclamati a darci l’opportunità di intuire con l’intelligenza della fede il mistero salvifico oggi celebrato.
La natività del Signore è dunque anzitutto un mistero, ovvero un evento centrale della storia della salvezza che procede dal disegno divino gradualmente rivelato nelle Scritture. Esso rappresenta qualcosa di inimmaginabile per noi uomini. Dal momento della sua incarnazione nel seno della Vergine il Figlio di Dio accetta di condividere con noi la condizione di uomo permettendo in tal modo all’uomo di diventare «partecipe della vita divina» (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola).
Tale partecipazione produce in noi una più intima conformazione a Cristo, che proprio con la sua nascita «ha innalzato l’uomo accanto a sé nella gloria» (Orazione Sui Doni), ossia all’esperienza del rapporto filiale con il Padre (Orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica).
Tutto ciò va sperimentato «con amore più vivo» proprio a partire dall’esperienza liturgica del mistero. In essa, infatti, partecipando al pane e al vino eucaristici, diveniamo sempre più partecipi della vita divina in Cristo, sempre più conformi a lui nella relazione filiale con il Padre e, dunque, suoi familiari ed eredi.
Che cosa comporti tutto ciò nella vita concreta di ogni uomo è facile intuirlo. Il Natale è anzitutto fondamento della dignità dell’uomo, della sua sacralità e inviolabilità.
Questo perché il Verbo è diventato uomo! Il Natale è fondamento del nostro indistruttibile legame con il Figlio fatto uomo. Lui e noi una sola cosa. A lui abbiamo dato la nostra umanità, lui ci ha dato la sua divinità. Il Natale è fondamento della nostra condizione di figli, su cui si poggia e cresce la convinzione di prendere parte un giorno alla comunione di vita perenne con il Padre, con Dio.
Il Natale è fondamento della fraternità umana. Tutti figli nel Figlio e, perciò, tutti fratelli in Cristo Signore.
Esemplare nell’intuizione di fede del mistero e nel vivere la grazia che da esso proviene è la Vergine Maria che «credette alla parola dell’angelo e concepì il Verbo in cui aveva creduto» (Prefazio). A lei, la Madre, diciamo con l’esultanza del cuore: «Gioisci, piena di grazia, il Signore è con te. Tu sei l’esultanza degli angeli, sei la Vergine madre, la gioia dei profeti! Tu, per l’annuncio dell’angelo, generasti la gioia del mondo, il tuo Creatore e Signore. Gioisci perché fosti degna di essere madre di Cristo» ( Canto Alla Comunione)
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Questa domenica riveste una grande importanza nella nostra tradizione liturgica, che nell’imminenza del Natale celebra il mistero dell’Incarnazione e della Divina Maternità della Beata Vergine Maria.
Il Lezionario
Propone ogni anno i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 62,10-63,3b; Salmo: 71 (72); Epistola: Filippesi 4,4-9; Vangelo: Luca 1,26-38a.
Il vangelo della Risurrezione, da leggere nella messa vigiliare del sabato, è preso da Giovanni 20,11-18.
Lettura del profeta Isaia (62,10-63,3b)
In quei giorni. Isaia disse: 10«Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli». 11Ecco ciò che il Signore fa sentire all’estremità della terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede”. 12Li chiameranno “Popolo santo”, “Redenti del Signore”. E tu sarai chiamata Ricercata, “Città non abbandonata”». 1«Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza?». «Sono io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare». 2«Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». 3«Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me».
Il testo profetico è composto da una prima parte (vv. 62,10-12) che fa da conclusione ai capitoli 60-62 dove vengono riprese le tematiche proprie del cosiddetto Libro della consolazione (Isaia capitoli 40-55), destinato a rianimare negli esuli la speranza di fare ritorno in patria. Nei vv. 1-3b del cap. 63 nell’immagine del misterioso personaggio «che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso» è raffigurato Dio stesso che libera il popolo dai suoi nemici.
Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi (4,4-9)
Fratelli, 4siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. 5La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! 6Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche e ringraziamenti. 7E la pace di Dio, che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù. 8In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri. 9Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica. E il Dio della pace sarà con voi!
Il brano si apre al v. 4 con l’invito di Paolo alla gioia.
Un invito riscontrato in tutti i capitoli di questa lettera e che secondo l’Apostolo rappresenta un aspetto proprio dell’esistenza del cristiano. Motivo essenziale della gioia è la vicinanza del Signore. I vv. 8-9 sono da alcuni definiti il “manifesto” dell’umanesimo cristiano. L’Apostolo ci insegna ad apprezzare tutto ciò che è vero, nobile, giusto, puro, amabile... da qualunque uomo ciò provenga.
Lettura del Vangelo secondo Luca (1,26-38a)
In quel tempo. 26L’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
29A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. 30L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». 34Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». 35Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. 36Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: 37nulla è impossibile a Dio». 38Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola».
Il testo, che fa parte del cosiddetto “vangelo dell’infanzia” (Luca capitoli 1 e 2), presenta anzitutto i protagonisti del racconto: l’angelo Gabriele «mandato da Dio», una «vergine», Maria, prossima alle nozze con Giuseppe, discendente del casato del re Davide portatore delle promesse messianiche, e la precisazione del luogo dove è ambientato: Nazaret, una città della Galilea, regione settentrionale della Palestina.
I vv. 28-33 riportano il saluto dell’Angelo a Maria che crea in lei in un primo momento del turbamento (v. 29), a cui fanno seguito le parole di rivelazione che la riguardano (v. 30) e quelle che le annunciano la maternità e il parto di «un figlio», Gesù (v.31). Queste rimandano a quanto si legge in Isaia 7,14, a proposito del concepimento e del parto della «vergine» predetto al re Acaz.
I vv. 32-33 riportano quanto viene detto a Maria a proposito del figlio che nascerà da lei e che sarà riconosciuto come «Figlio dell’Altissimo».
Sarà lui a realizzare finalmente la promessa fatta da Dio al re Davide: sarà un suo discendente a inaugurare un regno che «non avrà fine». I vv. 34-38, infine, registrano il dialogo tra Maria e l’Angelo. Questi ascrive all’azione dello Spirito Santo il concepimento in lei di colui che è in tutta verità figlio suo e figlio di Dio (v. 35) e le parla della sorprendente maternità della sua cugina Elisabetta, molto avanti nell’età e considerata sterile (Luca 1,8-25).
Il brano si chiude al v.38 con la consegna senza riserve di Maria ai disegni mirabili di Dio.
Commento liturgico-pastorale
In questa ultima domenica di Avvento le Scritture ci invitano a scrutare con occhio di fede l’avverarsi del disegno divino che riguarda la nostra salvezza. Disegno che si concretizza nell’evento per noi inimmaginabile dell’incarnazione del figlio unico del Dio invisibile e tre volte Santo nel seno della Vergine Maria. Disegno reso possibile dal sì che Maria ha detto all’Angelo portatore del messaggio divino.
Un sì che ha aperto la via all’effettivo dispiegarsi nella storia degli uomini della volontà salvifica di Dio e che i testi profetici hanno annunciato in un primo tempo come riservata al popolo dell’Antica Alleanza.
Qui, invece, nell’assunzione da parte del Figlio di Dio della nostra natura e condizione umana, è evidente che la salvezza annunciata è per l’uomo. Ogni uomo. L’umanità intera che da Adamo si è succeduta fino ad oggi e da oggi si succederà sulla faccia della terra fino alla consumazione del tempo.
I disegni di Dio, cosa davvero straordinaria, sono posti nelle mani della Vergine che è totalmente riempita della grazia, del favore e della benevolenza dell’Altissimo.
Si comprende perciò come l’espressione della preghiera liturgica ambrosiana nel dire infallibilmente la fede cattolica nei riguardi di Maria, vera Madre di Dio e sempre Vergine, si abbandoni a un insuperabile lirismo riscontrabile specialmente nei due Prefazi proposti a scelta.
Con l’annunzio dell’Incarnazione, il testo evangelico rivela, mediante il nome che Maria dovrà dare al Figlio, Gesù, la missione propria del Signore: recare salvezza al mondo intero e instaurare così il Regno «che non avrà fine».
Per questo dovrà anzitutto salvare l’uomo dai suoi peccati esemplarmente condensati nel peccato dei nostri Progenitori Adamo ed Eva e dal quale è venuta per tutto il genere umano la rovina e «ogni miseria». (cfr. Prefazio II).
Il peccato, da intendere come un voler sottrarsi alla mano creatrice di Dio per affermarsi orgogliosamente davanti a lui, spalanca la voragine dei peccati che sprofondano l’uomo nell’abisso tenebroso di sofferenza dove regnano i suoi mortali nemici, satana e la morte!
Gesù dunque salverà il mondo dai suoi peccati e da questi implacabili nemici che lui stesso dovrà affrontare, combattere e vincere nell’ora della Croce fino a macchiare di rosso la veste immacolata con la quale la Vergine ha rivestito la sua divinità (Lettura: Isaia 63,1-3).
In tal modo egli potrà sedersi sul trono e regnare «per sempre» non solo «sulla casa di Giacobbe» (Luca,33), ma sull’intera umanità.
Posti davanti a tanta grandezza ci viene spontaneo fare nostra l’esortazione apostolica: «Siate lieti, ve lo ripeto, siate lieti» (cfr. Epistola: Filippesi 4,4).
La rivelazione dei disegni divini che tutti ci riguarda diventa necessariamente motivo di gioia. Una gioia diversa da quella comunemente sperimentata nella nostra vita. Una gioia e una letizia interiori che sono lì nonostante l’esperienza della sofferenza, della morte e del potere del male!
Il Signore, il Figlio di Dio, il Figlio della Vergine Madre è uno di noi ed è con noi!
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Nell’approssimarsi della solennità Natalizia questa domenica intende porre in rilievo la figura di Giovanni Battista, il Precursore del Signore.
Il Lezionario
Vengono proclamati i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia 11,1-10; Salmo 97; Epistola: Lettera agli Ebrei 7,14-17.22.25; Vangelo: Giovanni 1,19-27a. 15c. 27b-28. Alla messa vespertina del sabato si legge Giovanni 21,1-14 come Vangelo della Risurrezione.
Lettura del profeta Isaia (11,1-10)
In quei giorni. Isaia disse: «1Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. 2Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. 3Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; 4ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli umili della terra. Percuoterà il violento con la verga della sua bocca, con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio. 5La giustizia sarà fascia dei suoi lombi e la fedeltà cintura dei suoi fianchi. 6Il lupo dimorerà insieme con l'agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un piccolo fanciullo li guiderà. 7La mucca e l'orsa pascoleranno insieme; i loro piccoli si sdraieranno insieme. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. 8Il lattante si trastullerà sulla buca della vipera; il bambino metterà la mano nel covo del serpente velenoso. 9Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare. 10In quel giorno avverrà che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa».
Il brano profetico oggi proclamato è noto come “poema messianico” in cui vengono descritti alcuni tratti distintivi ed essenziali del Messia promesso da Dio ed atteso dal suo popolo.
Viene anzitutto indicata la stirpe “davidica” del Messia tramite la menzione di Iesse, padre del re Davide (v. 1). Si afferma che su di Lui si poserà lo Spirito profetico nella sua totalità (v. 2) e che egli porterà nel mondo la “giustizia” (vv. 3-5) e ristabilirà la condizione di pace e di armonia che regnava alle origini della creazione (vv. 6-9).
Lettera agli Ebrei (7,14-17.22.25)
Fratelli, 14è noto che il Signore nostro è germogliato dalla tribù di Giuda, e di essa Mosè non disse nulla riguardo al sacerdozio. 15Ciò risulta ancora più evidente dal momento che sorge, a somiglianza di Melchisedek, un sacerdote differente, 16il quale non è diventato tale secondo una legge prescritta dagli uomini, ma per la potenza di una vita indistruttibile. 17Gli è resa infatti questa testimonianza: «Tu sei sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchisedek». 22Per questo Gesù è diventato garante di un'alleanza migliore. 25Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.
Il brano è preso dal capitolo 7 in cui l'Autore sviluppa il tema di Cristo “sacerdote”. Un sacerdozio che viene a Lui conferito pur non appartenendo alla tribù sacerdotale di Levi ma a quella di Giuda (v. 14) e la cui origine, come per il misterioso personaggio vetero-testamentario Melchisedek (cfr. Gen 14,18-20), va ricercata in Dio stesso (vv. 15-17). Si tratta di un sacerdote “eterno” e perciò Gesù è nella sua stessa persona mediatore di una “alleanza” tra Dio e l'uomo che non avrà fine, capace perciò di operare “salvezza” in ogni tempo (vv. 22.25).
Lettura del Vangelo secondo Giovanni (1,19-27a. 15c. 27b-28)
In quel tempo.19Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». 20Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». 21Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. 22Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». 23Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaia». 24Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. 25Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». 26Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell'acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, 27acolui che viene dopo di me, 15ced era prima di me: 27ba lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». 28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
Il brano segue il “prologo” del Vangelo secondo Giovanni e riporta la “testimonianza” offerta da Giovanni il Battista al Verbo di Dio fatto uomo, a Gesù di Nazaret. Il brano è articolato in due parti: vv. 19-23 riportano l'interrogatorio del Battista da parte di “sacerdoti e leviti” volto ad investigare sulla sua persona in prospettiva messianica. La risposta del Battista in cui si autodefinisce “voce” è presa dal profeta Isaia 40,3 dove si parla di un personaggio inviato da Dio a preparare il popolo all'imminente venuta del Messia. Nella seconda parte: vv. 24-27 Giovanni viene ulteriormente interrogato sulla sua opera di battezzatore. La risposta (vv. 26-27) distingue nettamente il battesimo “con acqua” dato da Giovanni all'opera di Colui che deve venire, ossia il Messia del quale viene confessata da Giovanni la superiorità su di lui. Il v. 28 infine colloca geograficamente il luogo dove avviene l'interrogatorio.
Commento liturgico-pastorale
Nella storia d’Israele i Profeti si sono succeduti nel tener viva nel popolo l'attesa del Messia promesso da Dio. E’ un annuncio che sentiamo risuonare anche oggi nella nostra assemblea liturgica : “Non temere,Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente, per te esulterà di gioia” (Canto Dopo il Vangelo). L’ultimo dei Profeti, Giovanni il Battista ha il compito non solo di preparare il popolo ad accogliere il Cristo ma di additarlo oramai presente. Giovanni adempie la missione ricevuta in tutta verità e fedeltà. Egli sa di non essere lui l’Inviato del quale invece riconosce la superiorità:” a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo” (Giovanni,1,27b) e ne confessa la divinità dichiarando che :”colui che viene dopo di me” (v.27a), in verità “era prima di me”(cfr.Prologo 1,15c) Il Cristo inoltre non ha a disposizione come Giovanni un battesimo “nell’acqua”ma la capacità di immergere l'umanità nella salvezza che viene a portare nella potenza dello Spirito che Egli ha ricevuto in pienezza (cfr.Lettura: Isaia 11,2). Il Battista sa di essere “voce di uno che grida” non certo la Parola e perciò non intende attirare si di sé l’aspettativa del popolo.
Il suo compito è quello di sollecitare ogni uomo a preparare “la via del Signore” ossia a smettere di camminare sulla strada dell’incredulità e della malvagità e ad aprire il cuore a Colui che viene per condurre il mondo intero sulla “via del Signore” che è la via che conduce alla pace, alla gioia, alla comunione con Dio e, quindi, alla felicità.
La missione del Precursore continua oggi attraverso la Chiesa, la Comunità dei Credenti che deve dire al mondo la “verità”: il Messia atteso è Gesù e non ve né un altro! Egli è il Figlio di Dio venuto nel mondo rivestito della potenza dello Spirito per ristabilire un'era di riconciliazione e di pace tra Dio e l'uomo, tra l'uomo e il creato.
Un'era intravista dal Profeta (cfr. Isaia 11, 6-9) e che è già riscontrabile in quanti accolgono il Signore Gesù e camminano sulla sua “via”. Un'era che non tramonterà più perché inaugurata da Gesù come “sacerdote eterno” che nella sua persona umano-divina, ha stretto Dio e l'uomo in un'alleanza “migliore”. Per questo Egli “può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio; egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore” ( Epistola: Ebrei,7,25). E’ quanto sperimentiamo con fede nella celebrazione eucaristica nella quale “ l’antica speranza è compiuta; appare la liberazione promessa e spunta la luce e la gioia dei santi” (Prefazio).
A noi dunque il compito e la responsabilità di “testimoniare” al mondo che tutto ciò non è un sogno e un'utopia ma, davvero, con la sua venuta il Signore ha reso possibile l’impossibile vale a dire che il lupo dimori finalmente in pace con l'agnello (Cfr. Isaia 11,6-8) in un mondo che comincia a sperimentare quella riconciliazione e quella pacificazione frutto dell’alleanza stipulata nel sangue dell’Agnello.
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La quarta domenica di Avvento è incentrata su “l’ingresso del Messia”, a motivo della proclamazione evangelica dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme che la caratterizza, secondo l’antica e costante tradizione liturgica ambrosiana.
Il Lezionario
Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 16,1-5; Salmo 149; Epistola: 1Tessalonicesi 3,11-4,2; Vangelo: Marco 11,1-11. Nella messa vigiliare del sabato si legge: Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione.
Lettura del profeta Isaia (16,1-5)
In quei giorni. Isaia disse: «1Mandate l’agnello al signore della regione, da Sela del deserto al monte della figlia di Sion. 2Come un uccello fuggitivo, come una nidiata dispersa saranno le figlie di Moab ai guadi dell’Arnon. 3Dacci un consiglio, prendi una decisione! Rendi come la notte la tua ombra in pieno mezzogiorno; nascondi i dispersi, non tradire i fuggiaschi. 4Siano tuoi ospiti i dispersi di Moab; sii loro rifugio di fronte al devastatore. Quando sarà estinto il tiranno e finita la devastazione, scomparso il distruttore della regione, 5allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia».
Il testo profetico fa parte della sezione che raccoglie gli “oracoli” di Isaia contro le nazioni nemiche di Israele (capitoli 13-23), in questo caso di Moab. Si tratta di popolazioni confinanti sovente in competizione con Israele. Qui sembra che Moab chieda invece l’aiuto al re di Giuda per ricevere protezione da potenziali nemici.
Il v. 1 nell’invio dell’agnello a Gerusalemme pare significare la sottomissione di Moab al re di Giuda. La tradizione della Chiesa ha dato all’agnello un’interpretazione “messianica” fatta propria dalla lettura liturgica del testo profetico. I vv. 2-4 riportano le suppliche dei Moabiti, che si concludono al v. 5 con una dichiarazione di fiducia sull’avvenire del popolo d’Israele a motivo delle divine promesse riguardanti la stabilità del trono di Davide qui indicato come «stabilito sulla misericordia».
Prima lettera di San Paolo apostolo ai Tessalonicesi (3,11-4,2)
Fratelli, 11voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù guidare il nostro cammino verso di voi! 12Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, 13per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi. 1Per il resto, fratelli, vi preghiamo e vi supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. 2Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.
Il brano si inserisce in un contesto di rallegramenti dell’Apostolo alla comunità di Tessalonica (oggi Salonicco) per le belle notizie ricevute da Timoteo, inviato da Paolo in quella città nella quale egli stesso esprime il vivo desiderio di recarsi di persona (3,1-11). Ai membri della comunità Paolo augura di crescere nell’amore «fra voi e verso tutti» (v. 12) e di vivere la vita cristiana in maniera irreprensibile in vista della venuta finale del Signore (v. 13) sulla quale ritorna nei primi due versetti del cap. 4.
Lettura del Vangelo secondo Marco (11,1-11)
In quel tempo. 1Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, il Signore Gesù mandò due dei suoi discepoli 2e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». 4Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5Alcuni dei presenti dissero loro: «Perché slegate questo puledro?». 6Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». 11Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l’ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània.
Il racconto dell’ingresso in Gerusalemme (vv. 8-11a) è avviato al v. 1a con l’ambientazione geografica riferita all’avvicinamento di Gesù a Gerusalemme, a cui fanno seguito le disposizioni date a due discepoli in vista del reperimento e della preparazione della cavalcatura (vv. 1b-7) . Il v. 11b serve a concludere con il riferimento all’uscita di Gesù dalla città nella quale tornerà per dare inizio alla sua Passione.
In particolare le disposizioni impartite ai due discepoli vanno lette alla luce del profeta Zaccaria 9,9, non esplicitamente citato: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina».
Anche la scena dell’ingresso in città (vv. 8-11) ricorda quelle dell’intronizzazione del re d’Israele (cfr. 1Re 1,38-40; 2Re 9,13). Le acclamazioni che le folle indirizzano a Gesù rimandano alle parole del Salmo 117 (118) 25-26 da cui viene anche il termine osanna, che letteralmente significa: il Signore «dà salvezza». Va anche evidenziato il riferimento al Regno «del nostro padre Davide» che qui viene visto realizzato in Gesù!
Commento liturgico-pastorale
È evidente che il brano evangelico dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, proclamato nel tempo di Avvento, vuole mettere in primo piano la natura messianica della venuta del Signore in questo nostro mondo. È certo che nell’epoca storica in cui egli è vissuto era vivissima nel popolo l’attesa che Dio compisse le sue promesse inviando il Messia, ovvero il Cristo, per riscattare il suo popolo dall’oppressione straniera e per avviare il Regno che non avrà mai fine secondo la promessa fatta al re Davide.
I riferimenti biblici scelti dall’evangelista Marco per tracciare i lineamenti di Gesù quale Messia non vanno nella direzione sopra esposta, ma lo descrivono nella linea di un Messia “umile” già annunziato nella Lettura profetica: «Allora sarà stabilito un trono sulla mansuetudine, vi siederà con tutta fedeltà, nella tenda di Davide, un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia» (Isaia 16,5).
Mentre ci avviciniamo al Natale impariamo a riconoscere con fede che tutte le aspirazioni dell’umanità alla pace, alla giustizia, alla fraternità e, più in profondità, alla salvezza come liberazione dall’oppressione del potere maligno che grava sui cuori e sulla storia, sono realizzate in colui che è venuto in questo mondo non con potenza e forza, ma nell’umiltà e nella debolezza del Bambino di Betlemme, nell’uomo della Croce che è il vero agnello dell’alleanza prefigurato dalla Lettura profetica.
La preghiera liturgica, in perfetta sintonia con la Parola proclamata, nel rendere grazie al Padre per aver mandato nel mondo il suo Verbo, ne indica così le motivazioni essenziali: «Perché, vivendo come uomo tra noi, ci aprisse il mistero del tuo amore paterno e, sciolti i legami mortali del male, ci infondesse di nuovo la vita eterna del cielo» (Prefazio).
Con il suo ingresso messianico nella storia degli uomini il Signore Gesù ha in realtà stabilito il suo trono «sulla mansuetudine» e ha inaugurato quel Regno che nulla e nessuno potranno mai abbattere.
Tutto ciò deve rappresentare per noi, suoi discepoli in questo mondo e in questo tempo, la via da percorrere senza indugio, la via della mansuetudine e dell’umiltà che rende testimonianza autentica al Signore Gesù che per primo l’ha percorsa venendo per noi dal Cielo.
Concretamente siamo esortati a mettere in pratica ciò che l’apostolo Paolo dice ai fedeli della comunità di Tessalonica i quali, in attesa della «venuta del Signore con tutti i suoi santi», devono rendere saldi i loro cuori ed essere «irreprensibili nella santità» della vita che consiste nel crescere e sovrabbondare «nell’amore fra voi e verso tutti» (Epistola). Non a caso, nel canto Allo spezzare del Pane così preghiamo: «O Dio con noi, nostro sovrano, che ci hai dato la legge dell’amore, tu che le genti attendono, tu che le puoi redimere, vieni a salvarci».
Il mite re che fa il suo ingresso su un’umile cavalcatura, il Bambino nato a Betlemme, l’Agnello immolato sull’altare della Croce, Cristo Signore, è lui il Messia, l’unico, e non ve ne sarà un altro. A lui possiamo gridare con l’intera umanità: «Osanna», tu che sei “in alto”, vieni ad aiutarci e a salvarci
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