Nel suo cammino verso Cristo, vertice dell’universale salvezza, la storia degli uomini, luogo della progressiva rivelazione divina, fa l’esperienza drammatica del peccato, dal quale solo la fede è in grado di liberarla.
Il Lezionario
Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 4,1-16; Salmo: 49 (50); Epistola: Ebrei 11,1-6; Vangelo: Matteo 5,21-24. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare alla Messa vigiliare del sabato, è preso da Luca 24,9-12. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri dell’XI Domenica del Tempo «per annum» nel Messale Ambrosiano).
Lettura del libro della Genesi (4,1-16)
In quei giorni. 1Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». 2Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.
3 Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, 4mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai».
8 Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». 10Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. 12Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». 13Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. 14Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». 15Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. 16Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden.
Il brano riferisce in primo luogo il concepimento e la nascita dei due figli di Adamo ed Eva, ossia della coppia delle origini. Si tratta di Caino, il primogenito, occupato nell’agricoltura, e di Abele, dedito alla pastorizia (vv. 1-2). In occasione dell’offerta cultuale a Dio dei prodotti della terra, da parte di Caino, e di animali del gregge, da parte di Abele, Dio inspiegabilmente gradisce l’offerta di Abele e non quella di Caino, suscitando il suo risentimento (vv. 3-5). A lui Dio raccomanda di non lasciarsi dominare dagli istinti cattivi e, dunque, dal peccato (vv. 6-7). Segue il racconto dell’uccisione di Abele (v. 8) e dell’interrogatorio e dell’accusa rivolta da Dio a Caino su cui si abbatte la maledizione e la condanna a vagare senza meta sulla terra (vv. 9-12). Caino, quindi, riconosce la colpa e manifesta il suo timore di andare incontro alla morte violenta da cui Dio, però, intende proteggerlo tramite un segno misterioso posto su di lui (vv. 13-16).
Lettera agli Ebrei (11,1-6)
1La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. 2Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
3Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile.
4Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
5Per fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. 6Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.
Vengono oggi proclamati alcuni versetti del capitolo undicesimo, interamente dedicato alla presentazione di alcuni personaggi veterotestamentari ritenuti modelli di fede, sulla quale essi hanno fondato la loro speranza e, sono stati perciò «graditi a Dio» (vv. 1-2). Il v. 3 è una dichiarazione di fede in Dio la cui parola ha creato tutto ciò che esiste. Vengono, quindi, presentati Abele (v. 4) ed Enoc, misterioso personaggio che compare in Genesi 5,24 e del quale non si ha notizia circa la sua morte. Il brano si conclude al v. 6 con il ribadire che la fede è necessaria per essere graditi a Dio.
Lettura del Vangelo secondo Matteo (5,21-24)
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 21«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.
23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».
Il brano fa parte del più ampio “discorso del monte” (Matteo 5,1-7,29), di cui si legge qui la prima delle antitesi tra la giustizia che Gesù è venuto a offrire al mondo e la legge di Mosè (v. 21). Si tratta del comandamento «Non uccidere» (cfr. Esodo 20,13), la cui trasgressione è debitamente sanzionata, a cui Gesù oppone la sua legge che amplia il comando antico fino ad abbracciare i sentimenti di ira, le parole ingiuriose e offensive verso il prossimo. Tali comportamenti sono censurati come in un crescendo di punizioni (v. 22). Segue, quindi, il comando di provvedere all’eventuale riconciliazione prima di rendere culto a Dio con l’offerta di sacrifici (vv. 23-24).
Commento liturgico-pastorale
Alla luce dello Spirito Santo, dono plenario della Pasqua, ripercorriamo, in questa domenica, un momento della storia della salvezza che ha il suo senso ultimo e il suo compimento proprio nella Pasqua del Signore.
Si tratta dell’esperienza del peccato a cui l’uomo va incontro fin dalle origini come documenta la Lettura incentrata sull’uccisione di Abele da parte del fratello Caino, figli della coppia dei nostri Progenitori, essi stessi caduti presso l’albero del giardino.
È come se la Scrittura volesse dirci con autorevolezza che il peccato, origine di ogni umana tristezza e sciagura, è una misteriosa potenza «accovacciata alla tua porta» (Genesi 4,7), ossia perennemente in agguato presso la mente e il cuore di ogni uomo. Di qui l’invito a dominare l’istinto malvagio che dimora in ognuno di noi e ci induce a concepire pensieri malvagi e odi mortali verso il nostro stesso sangue al pari di Caino che, avvertendo la predilezione di Dio nei confronti di suo fratello Abele, concepisce e fa crescere in sé un tale risentimento fino a che «alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (v. 8).
La rivelazione portata a compimento dal Figlio di Dio, da Gesù, oltrepassa di gran lunga ciò che la rivelazione iniziale aveva detto a proposito dell’esperienza del peccato nell’uomo qual è da ritenere, ad esempio, la trasgressione del divino comando: «Non ucciderai» (Vangelo: Matteo 5,21). Trasgressione che viene adeguatamente condannata e punita. Sulla bocca del Signore, invece, ogni manifestazione scomposta dell’ira, le parole ingiuriose e umilianti rivolte al fratello, ossia al nostro prossimo, sono equiparate all’omicidio e, quindi, ricevono la pena riservata agli omicidi qui in terra e, nell’eternità, la rovina significata nell’immagine del fuoco della Geènna (v. 22). Come diventa, perciò, più impegnativo per i discepoli del Signore il comando divino a dominare l’istinto malvagio del cuore (Genesi 4,7)!
Siamo, dunque, di fronte a un nuovo modo di intendere e mettere in pratica la disposizione della Legge. Nella Legge che Gesù dà ai suoi discepoli si esige, infatti, una giustizia superiore a quella richiesta dalla Legge antica. A noi, discepoli di colui che è morto per liberarci dal peccato, è chiesta un’assunzione, nella nostra condotta, di quegli atteggiamenti di carità e di misericordia propri del Signore che lo hanno spinto a dare la vita per i suoi stessi uccisori...
Di conseguenza il rapporto con il fratello supera di gran lunga l’aspetto comando/trasgressione/pena, fino a diventare un caso così serio al punto da determinare il giudizio finale di Dio sulla nostra vita. Un caso così serio, da rendere agli occhi di Dio sgradito il nostro stesso culto, così come non gradì l’offerta di Caino perché proveniva da un cuore infestato dalla malvagità, dall’odio, dal risentimento (v.5).
Per questo il Signore ci dice che l’esercizio del culto divino è reso vano agli occhi di Dio se, in presenza di contrasti con il nostro prossimo, non provvediamo, prima, a riconciliarci con chi ha «qualche cosa contro di te» (Matteo 5, 23-24). Comprendiamo, perciò, che il culto a Dio gradito consiste nella nostra obbedienza ai suoi comandi che sono tutti racchiusi in quello della carità come abbiamo più volte ripetuto nel Salmo: «Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello». L’Epistola, però, ci avverte che non ci sarà possibile dominare l’istinto del peccato che ci assedia e tanto meno essere a Dio graditi come lo furono Abele ed Enoc (Cfr. Ebrei 11, 4.5) e soprattutto il suo amato Figlio, se non avremo in noi il dono della fede in lui, su cui fondare ogni nostra certezza e ogni nostra attesa (cfr. v. 1). A Dio che dimostra «ogni giorno il suo amore di padre» donandoci «l’esistenza, la forza di agire e la grazia di vivere» (Prefazio), ci rivolgiamo con filiale fiducia dicendo: «Verso le tue creature, o Dio, tu preferisci la misericordia allo sdegno; vedi quanto siamo deboli ed incerti e fa’ prevalere sulla nostra povertà la luce e la forza della tua grazia» (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola).
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Il dono dello Spirito, frutto della Pasqua, ci guida in ogni tempo nel ripercorrere la storia della nostra salvezza di cui, questa domenica, ci propone il momento gravido di conseguenze qual è la caduta dell’umanità in Adamo e la promessa divina del suo riscatto in Cristo.
Il Lezionario
Prevede la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 3,1-20; Salmo 129 (130); Epistola: Romani 5,18-21; Vangelo: Matteo 1,20b-24b. Alla Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Marco 16,1-8a. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della X Domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano).
Lettura del libro della Genesi (3,1-20)
In quei giorni. 1Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». 2Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». 4Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.
8 Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”.
14 Allora il Signore Dio disse al serpente: /«Poiché hai fatto questo, / maledetto tu fra tutto il bestiame / e fra tutti gli animali selvatici! /Sul tuo ventre camminerai / e polvere mangerai / per tutti i giorni della tua vita. / 15Io porrò inimicizia fra te e la donna, / fra la tua stirpe e la sua stirpe: / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno».16Alla donna disse: / «Moltiplicherò i tuoi dolori / e le tue gravidanze, / con dolore partorirai figli. / Verso tuo marito sarà il tuo istinto, / ed egli ti dominerà»./ 17All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, / maledetto il suolo per causa tua! / Con dolore ne trarrai il cibo / per tutti i giorni della tua vita. / 18Spine e cardi produrrà per te / e mangerai l’erba dei campi. / 19Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, / finché non ritornerai alla terra, / perché da essa sei stato tratto: / polvere tu sei e in polvere ritornerai!». / L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.
Il racconto del peccato dell’uomo (=Adamo ed Eva) intende rispondere alla difficile domanda: da dove ha origine il male che c’è nel mondo? La risposta la si intravede a partire dalla figura del serpente, designato come la creatura «più astuta» (v. 1) e dal dialogo che egli intrattiene con la donna (vv. 1-5), nel quale insinua che la proibizione divina riguardante l’albero «che sta in mezzo al giardino» (v. 3) è dovuta al fatto che Dio non vuole che l’uomo diventi uguale a lui (v. 5). Il v. 6 narra la trasgressione da parte della donna e quindi del marito, che si cibano dell’albero proibito i cui frutti sono desiderabili «per acquistare saggezza», ottenere cioè di poter «conoscere il bene e il male» (v. 5), prerogativa esclusiva di Dio. In realtà, la trasgressione porta sì all’uomo la conoscenza, ma quella di «essere nudi», ossia la sua nativa condizione di creatura e, quindi, di fragilità. La percezione della nudità produce, nell’uomo caduto in peccato, la vergogna davanti a Dio, per cui cerca di nascondersi al suo sguardo (vv.8-10). Alle domande di Dio l’uomo risponde scaricando la responsabilità sulla donna (v. 12) e, questa, sul serpente (v. 13). Il v. 14 riporta il giudizio di Dio sul serpente al quale predice la totale sconfitta da parte della stirpe della donna (v. 15). Predizione, questa, chiamata il proto-vangelo, nel quale si annunzia la venuta del Figlio di Dio fatto uomo e nato da Maria, il quale è destinato a schiacciare la testa al serpente (v. 15). Il v. 16 indica nei dolori del parto e nel predominio dell’uomo sulla donna, il frutto del suo peccato, mentre per l’uomo (vv.17-19) la ricompensa per il peccato consisterà nella fatica per procurarsi cibo da un suolo divenuto arido e ostile e, infine, il suo dissolversi nella polvere da cui Dio lo aveva tratto. Il brano si conclude con l’imposizione del nome, da parte di Adamo, a sua moglie, che egli chiama Eva (v. 20).
Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5, 18-21)
Fratelli, 18come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. 19Infatti come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.
20La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. 21Di modo che come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
Nella prima parte del brano (vv. 18-19) l’Apostolo lega l’umanità intera alle conseguenze amare dovute alla caduta e alla disobbedienza di «uno solo» (= Adamo) come rappresentante dell’intera umanità condannata, quindi lega l’umanità intera alle conseguenze positive dovute all’«opera giusta» e alla «obbedienza di uno solo» (= Gesù Cristo) come rappresentante dell’intera umanità giustificata. Nei vv. 20-21, l’Apostolo, in modo paradossale, assegna alla Legge il compito della moltiplicazione delle cadute poiché l’uomo non è in grado di osservarla. La conseguenza è il dominio mortale del peccato sull’uomo il quale però, «per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» viene come inondato dalla sovrabbondanza della grazia che lo libera e lo salva.
Lettura del Vangelo secondo Matteo (1,20b-24b)
In quel tempo. 20bApparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: / a lui sarà dato il nome di Emmanuele, / che significa Dio con noi». 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Il brano fa seguito a quanto era stato detto ai vv. 18-20a a proposito della scoperta, da parte di Giuseppe, che Maria, sua «promessa sposa si trovò incinta», come precisa l’evangelista, «per opera dello Spirito Santo». Cosa, questa, che viene rivelata a Giuseppe in sogno, con la precisazione che al bambino che nascerà egli dovrà imporre il nome di Gesù il quale, come indica il suo nome (= Dio salva), dovrà «salvare il suo popolo dai suoi peccati» (vv. 20b-21). Segue il commento riguardante la gravidanza di Maria interpretata come compimento della parola divina rivolta dal profeta Isaia al re Acaz (cfr. Isaia 7,14). Il brano si chiude con la constatazione della pronta obbedienza di Giuseppe alle parole dell’angelo (v. 24).
Commento liturgico-pastorale
Lo Spirito Santo, dono supremo e plenario della Pasqua, illumina le nostre intelligenze e le abilita a penetrare in profondità nella Parola che il Signore ha predicato rivelando i disegni divini a favore degli uomini.
In particolare, in questa domenica, le Scritture ci conducono a riflettere con fede su un momento cruciale e fondativo dell’intera storia della salvezza, che ha come suo culmine e chiave interpretativa la croce e la risurrezione del Signore. Mi riferisco agli eventi che coinvolgono misteriosamente, dalle origini e fino alla fine dei tempi, ogni uomo che viene in questo mondo.
Eventi che si sono verificati presso «l’albero che sta in mezzo al giardino» (Lettura: Genesi, 3,3) e che hanno avuto come protagonista l’«uomo», indicato nel testo sacro con il nome di Adamo e di Eva.
Essi, stando all’insegnamento dell’Apostolo, rappresentano ogni uomo (cfr. Epistola: Romani 5,18.19) preda dell’insano desiderio di sfuggire alla realtà della nostra condizione di creature, e dunque, dipendenti dalle mani di Dio creatore, per diventare «come Dio» (v. 5), autonomi nel decretare «ciò che è bene e ciò che è male» (cfr. v. 5).
L’albero a cui la donna e l’uomo tendono la mano per impossessarsene rappresenta Dio stesso che svela all’uomo la sua condizione di nudità (v. 11), ossia la sua nativa totale indigenza e fragilità. Una condizione divenuta drammatica a causa del suo peccato, che lo fa fuggire davanti al suo Creatore, che lo divide in sé stesso opponendo l’uomo e la donna, che lo rende nemico della creazione, essa stessa condannata con lui e a causa sua, al punto da perdere la nativa esuberanza e divenire un suolo arido e ostile (v. 18). Condizione, quella dell’uomo peccatore, incamminato inesorabilmente verso il suo disfacimento nell’inconsistenza della polvere da cui le dita di Dio lo avevano tratto con sapienza e amore.
Su un tale desolante scenario, sempre sperimentabile ogni volta che l’uomo crede di essere come Dio, brilla, però, una parola di speranza che rivela che in lui l’amore per l’uomo ha la meglio sulla pur giusta condanna, come ci ricorda il ritornello al Salmo: «Il Signore è bontà e misericordia».
Sarà infatti proprio un uomo, della stirpe cioè della donna a schiacciare la testa del serpente (v. 15), che presso l’albero delle origini, così come presso ogni uomo e ogni donna, insinua il veleno che inclina a dubitare di Dio, del suo amore, sollecitandolo a sganciarsi da lui, a gridare la sua conoscenza, l’orgogliosa rivendicazione della propria autonomia.
Questa parola che risuona agli inizi della storia, si concretizza nel momento in cui «la vergine concepirà e darà alla luce un figlio» (Isaia 7,14), ovvero allorché Maria «darà alla luce un figlio», che verrà chiamato Gesù poiché egli «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Vangelo: Matteo 1, 21).
Il figlio della Vergine, Gesù di Nazaret, riversa sull’umanità intera di cui egli è il nuovo inizio, la sovrabbondanza della grazia, frutto della sua opera giusta ovvero della sua obbedienza che ribalta la disobbedienza di Adamo e, dunque, toglie di mezzo, la condanna che, da uno solo (Adamo) si è riversato su tutti, divenuti in lui peccatori(cfr. Romani 5,18-19).
L’obbedienza che da peccatori fa di tutti noi giusti agli occhi di Dio, come ben sappiamo, è l’opera giusta che il Figlio di Dio e della Vergine ha compiuto presso l’“albero” della Croce (cfr. vv. 20-21). Al contrario di Adamo, Gesù non ha steso la sua mano su Dio, ma nell’atto di dare l’ultimo respiro, si è definitivamente e totalmente rimesso nelle sue mani operando, in tal modo, la nostra salvezza, che ora celebriamo intatta nel mistero eucaristico e che ci fa esclamare: «Abbiamo accolto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio» (Canto Al Vangelo).
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