16 giugno 2013 - IV Domenica dopo Pentecoste

 

Nel suo cammino verso Cristo, vertice dell’universale salvezza, la storia degli uomini, luogo della progressiva rivelazione divina, fa l’esperienza drammatica del peccato, dal quale solo la fede è in grado di liberarla.

 

Il Lezionario

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 4,1-16; Salmo: 49 (50); Epistola: Ebrei 11,1-6; Vangelo: Matteo 5,21-24. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare alla Messa vigiliare del sabato, è preso da Luca 24,9-12. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri dell’XI Domenica del Tempo «per annum» nel Messale Ambrosiano).

Lettura del libro della Genesi (4,1-16)

                                                           

In quei giorni. 1Adamo conobbe Eva sua moglie, che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo grazie al Signore». 2Poi partorì ancora Abele, suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi, mentre Caino era lavoratore del suolo.

3 Trascorso del tempo, Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore, 4mentre Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abbattuto il tuo volto? 7Se agisci bene, non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e tu lo dominerai».

8 Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». 10Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! 11Ora sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. 12Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». 13Disse Caino al Signore: «Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono. 14Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nascondermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi ucciderà». 15Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». Il Signore impose a Caino un segno, perché nessuno, incontrandolo, lo colpisse. 16Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regione di Nod, a oriente di Eden.

Il brano riferisce in primo luogo il concepimento e la nascita dei due figli di Adamo ed Eva, ossia della coppia delle origini. Si tratta di Caino, il primogenito, occupato nell’agricoltura, e di Abele, dedito alla pastorizia (vv. 1-2). In occasione dell’offerta cultuale a Dio dei prodotti della terra, da parte di Caino, e di animali del gregge, da parte di Abele, Dio inspiegabilmente gradisce l’offerta di Abele e non quella di Caino, suscitando il suo risentimento (vv. 3-5). A lui Dio raccomanda di non lasciarsi dominare dagli istinti cattivi e, dunque, dal peccato (vv. 6-7). Segue il racconto dell’uccisione di Abele (v. 8) e dell’interrogatorio e dell’accusa rivolta da Dio a Caino su cui si abbatte la maledizione e la condanna a vagare senza meta sulla terra (vv. 9-12). Caino, quindi, riconosce la colpa e manifesta il suo timore di andare incontro alla morte violenta da cui Dio, però, intende proteggerlo tramite un segno misterioso posto su di lui (vv. 13-16).

 

Lettera agli Ebrei (11,1-6)

1La fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. 2Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.

3Per fede, noi sappiamo che i mondi furono formati dalla parola di Dio, sicché dall’invisibile ha preso origine il mondo visibile.

4Per fede, Abele offrì a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino e in base ad essa fu dichiarato giusto, avendo Dio attestato di gradire i suoi doni; per essa, benché morto, parla ancora.
5Per fede, Enoc fu portato via, in modo da non vedere la morte; e non lo si trovò più, perché Dio lo aveva portato via. Infatti, prima di essere portato altrove, egli fu dichiarato persona gradita a Dio. 6Senza la fede è impossibile essergli graditi; chi infatti si avvicina a Dio, deve credere che egli esiste e che ricompensa coloro che lo cercano.

 

Vengono oggi proclamati alcuni versetti del capitolo undicesimo, interamente dedicato alla presentazione di alcuni personaggi veterotestamentari ritenuti modelli di fede, sulla quale essi hanno fondato la loro speranza e, sono stati perciò «graditi a Dio» (vv. 1-2). Il v. 3 è una dichiarazione di fede in Dio la cui parola ha creato tutto ciò che esiste. Vengono, quindi, presentati Abele (v. 4) ed Enoc, misterioso personaggio che compare in Genesi 5,24 e del quale non si ha notizia circa la sua morte. Il brano si conclude al v. 6 con il ribadire che la fede è necessaria per essere graditi a Dio.

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (5,21-24)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 21«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non ucciderai”; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. 22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna.

23Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono».

Il brano fa parte del più ampio “discorso del monte” (Matteo 5,1-7,29), di cui si legge qui la prima delle antitesi tra la giustizia che Gesù è venuto a offrire al mondo e la legge di Mosè (v. 21).  Si tratta del comandamento «Non uccidere» (cfr. Esodo 20,13), la cui trasgressione è debitamente sanzionata, a cui Gesù oppone la sua legge che amplia il comando antico fino ad abbracciare i sentimenti di ira, le parole ingiuriose e offensive verso il prossimo. Tali comportamenti sono censurati come in un crescendo di punizioni (v. 22). Segue, quindi, il comando di provvedere all’eventuale riconciliazione prima di rendere culto a Dio con l’offerta di sacrifici (vv. 23-24).

 

Commento liturgico-pastorale

Alla luce dello Spirito Santo, dono plenario della Pasqua, ripercorriamo, in questa domenica, un momento della storia della salvezza che ha il suo senso ultimo e il suo compimento proprio nella Pasqua del Signore.

Si tratta dell’esperienza del peccato a cui l’uomo va incontro fin dalle origini come documenta la Lettura incentrata sull’uccisione di Abele da parte del fratello Caino, figli della coppia dei nostri Progenitori, essi stessi caduti presso l’albero del giardino.

È come se la Scrittura volesse dirci con autorevolezza che il peccato, origine di ogni umana tristezza e sciagura, è una misteriosa potenza «accovacciata alla tua porta» (Genesi 4,7), ossia perennemente in agguato presso la mente e il cuore di ogni uomo. Di qui l’invito a dominare l’istinto malvagio che dimora in ognuno di noi e ci induce a concepire pensieri malvagi e odi mortali verso il nostro stesso sangue al pari di Caino che, avvertendo la predilezione di Dio nei confronti di suo fratello Abele, concepisce e fa crescere in sé un tale risentimento fino a che «alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (v. 8).  

La rivelazione portata a compimento dal Figlio di Dio, da Gesù, oltrepassa di gran lunga ciò che la rivelazione iniziale aveva detto a proposito dell’esperienza del peccato nell’uomo qual è da ritenere, ad esempio, la trasgressione del divino comando: «Non ucciderai» (Vangelo: Matteo 5,21). Trasgressione che viene adeguatamente condannata e punita. Sulla bocca del Signore, invece, ogni manifestazione scomposta dell’ira, le parole ingiuriose e umilianti rivolte al fratello, ossia al nostro prossimo, sono equiparate all’omicidio e, quindi, ricevono la pena riservata agli omicidi qui in terra e, nell’eternità, la rovina significata nell’immagine del fuoco della Geènna (v. 22). Come diventa, perciò, più impegnativo per i discepoli del Signore il comando divino a dominare l’istinto malvagio del cuore (Genesi 4,7)!

Siamo, dunque, di fronte a un nuovo modo di intendere e mettere in pratica la disposizione della Legge. Nella Legge che Gesù dà ai suoi discepoli si esige, infatti, una giustizia superiore a quella richiesta dalla Legge antica. A noi, discepoli di colui che è morto per liberarci dal peccato, è chiesta un’assunzione, nella nostra condotta, di quegli atteggiamenti di carità e di misericordia propri del Signore che lo hanno spinto a dare la vita per i suoi stessi uccisori...

Di conseguenza il rapporto con il fratello supera di gran lunga l’aspetto comando/trasgressione/pena, fino a diventare un caso così serio al punto da determinare il giudizio finale di Dio sulla nostra vita. Un caso così serio, da rendere agli occhi di Dio sgradito il nostro stesso culto, così come non gradì l’offerta di Caino perché proveniva da un cuore infestato dalla malvagità, dall’odio, dal risentimento (v.5).

Per questo il Signore ci dice che l’esercizio del culto divino è reso vano agli occhi di Dio se, in presenza di contrasti con il nostro prossimo, non provvediamo, prima, a riconciliarci con chi ha «qualche cosa contro di te» (Matteo 5, 23-24). Comprendiamo, perciò, che il culto a Dio gradito consiste nella nostra obbedienza ai suoi comandi che sono tutti racchiusi in quello della carità come abbiamo più volte ripetuto nel Salmo: «Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello». L’Epistola, però, ci avverte che non ci sarà possibile dominare l’istinto del peccato che ci assedia e tanto meno essere a Dio graditi come lo furono Abele ed Enoc (Cfr. Ebrei 11, 4.5) e soprattutto il suo amato Figlio, se non avremo in noi il dono della fede in lui, su cui fondare ogni nostra certezza e ogni nostra attesa (cfr. v. 1). A Dio che dimostra «ogni giorno il suo amore di padre» donandoci «l’esistenza, la forza di agire e la grazia di vivere» (Prefazio), ci rivolgiamo con filiale fiducia dicendo: «Verso le tue creature, o Dio, tu preferisci la misericordia allo sdegno; vedi quanto siamo deboli ed incerti e fa’ prevalere sulla nostra povertà la luce e la forza della tua grazia» (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola).

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