29 luglio 2012 – IX domenica dopo Pentecoste


Presenta il re Davide come figura profetica che, nel suo abbassarsi davanti a Dio, annunzia ciò che il Signore Gesù ha fatto nella sua Pasqua procurando per tutti salvezza e redenzione.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti testi biblici: Lettura: 2Samuele 6,12b-22; Salmo: 131 (132); Epistola: 1Corinzi 1,25-31; Vangelo: Marco 8,34-38. Alla Messa vespertina del sabato viene letto: Luca 24,13b.36-48 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del secondo libro di Samuele (6,12b-22)

 

In quei giorni. 12bDavide andò e fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom alla Città di Davide, con gioia. 13Quando quelli che portavano l’arca del Signore ebbero fatto sei passi, egli immolò un giovenco e un ariete grasso. 14Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore. Davide era cinto di un efod di lino. 15Così Davide e tutta la casa d’Israele facevano salire l’arca del Signore con grida e al suono del corno.

16Quando l’arca del Signore entrò nella Città di Davide, Mical, figlia di Saul, guardando dalla finestra vide il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore e lo disprezzò in cuor suo. 17Introdussero dunque l’arca del Signore e la collocarono al suo posto, al centro della tenda che Davide aveva piantato per essa; Davide offrì olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore. 18Quando ebbe finito di offrire gli olocausti e i sacrifici di comunione, Davide benedisse il popolo nel nome del Signore degli eserciti 19e distribuì a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane per ognuno, una porzione di carne arrostita e una schiacciata di uva passa. Poi tutto il popolo se ne andò, ciascuno a casa sua.20Davide tornò per benedire la sua famiglia; gli uscì incontro Mical, figlia di Saul, e gli disse: «Bell’onore si è fatto oggi il re d’Israele scoprendosi davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si scoprirebbe davvero un uomo da nulla!». 21Davide rispose a Mical: «L’ho fatto dinanzi al Signore, che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi capo sul popolo del Signore, su Israele; ho danzato davanti al Signore. 22Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò vile ai tuoi occhi, ma presso quelle serve di cui tu parli, proprio presso di loro, io sarò onorato!».

 

Il brano riporta il racconto del trasporto e definitivo collocamento in Gerusalemme, a opera del re Davide, dell’arca dell’alleanza fatta costruire da Mosè e che accompagnò il popolo nell’esodo dall’Egitto e nel suo insediamento nella terra promessa. Essa era considerata come il segno visibile della presenza di Dio tra il suo popolo. Il brano riferisce in particolare i gesti di culto resi da Davide come l’offerta di sacrifici di animali e della sua danza in onore del Signore che attirò il disprezzo di Mical, figlia di Saul, sua moglie (vv. 14-16). Il v. 20 riporta le parole di riprovazione di Mical dell’atteggiamento tenuto in pubblico da Davide e giudicato sconveniente per un re. I vv. 21-22 registrano la reazione di Davide dalla quale traspare il suo grande amore per Dio davanti al quale si dichiara pronto ad abbassarsi ancora di più .

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (1,25-31)

 

Fratelli, 25ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. 27Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; 28quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, 29perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio. 30Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione, 31perché, come sta scritto, «chi si vanta, si vanti nel Signore».

 

Nell’avvio della lettera l’Apostolo avanza la differenza tra la sapienza umana e la sapienza divina che si manifesta in Cristo crocifisso. Per la sapienza umana la Croce è stoltezza e debolezza. Al contrario in essa brilla una sapienza più sapiente di quella umana e una debolezza «più forte degli uomini» (v. 25). Il v. 26 fa capire che i primi credenti di Corinto provenivano dalle classi più povere e deboli proprio perché si manifestasse con più evidenza la sapienza e la potenza di Dio che sceglie «quello che è nulla» per ridurre al nulla la presunzione umana (vv. 27-28). I credenti, pertanto, non possano vantarsi di nulla perché il loro essere stati scelti e chiamati alla fede in Cristo e, dunque, alla salvezza, è opera esclusiva di Dio (vv. 29-31).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (8,34-38)

 

In quel tempo. 34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, il Signore Gesù disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà. 36Infatti quale vantaggio c’è che un uomo guadagni il mondo intero e perda la propria vita? 37Che cosa potrebbe dare un uomo in cambio della propria vita? 38Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi».

 

Il testo riporta alcuni insegnamenti rivolti da Gesù alla folla e ai suoi discepoli riguardanti essenzialmente l’esigenza della fedeltà nella sequela. Il v. 34 elenca tre condizioni quali il rinnegare se stesso; il prendere la croce ossia essere pronto ad accettare le conseguenze più dure della fedeltà e, infine, la perseveranza nel seguire e nello stare con lui. Segue al v. 35 l’importante detto relativo al salvare e al perdere la propria vita, che comporta non solo la fine dell’esistenza, ma anche la fine della realtà più autentica dell’uomo. Questa potrà sopravvivere al di là della morte grazie alla fedeltà a Gesù e al suo Vangelo. I vv. 36-37 rappresentano quasi un commento al versetto precedente ponendo al di sopra dell’interesse dell’uomo la salvezza della propria vita! Il brano si conclude al v. 38 con la prospettiva del giudizio finale di riprovazione per coloro che, nella loro esistenza, hanno rifiutato Gesù e si sono vergognati di lui e del suo Vangelo.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Un posto privilegiato tra i personaggi dell’Antico Testamento che preparano la venuta e la missione del Signore Gesù va certamente assegnato a Davide, successore di Saul nella guida di Israele quale re, e depositario delle divine promesse riguardanti il suo regno destinato a durare per sempre e la sua discendenza da cui Dio avrebbe suscitato il Messia.

Il passo della Lettura presenta Davide oramai saldo sul suo trono e desideroso di introdurre a Gerusalemme, la capitale del regno, l’Arca dell’alleanza, segno della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. Il testo biblico coglie il re tutto intento a onorare Dio esprimendo con la danza la sua fede, il suo amore e tutta la gioia per la certezza della sua presenza e benefica vicinanza.

Egli, perciò, non trova disdicevole né umiliante per la sua funzione regale «danzare con tutte le sue forze davanti al Signore... cinto di un efod di lino» (Lettura: 2Samuele 6,14), cosa questa che gli attira il «disprezzo in cuor suo» di sua moglie (v. 16).

In tutto ciò Davide, pronto ad abbassarsi ancora di più (v. 22) per manifestare la sua fede e obbedienza a Dio, è figura profetica del Signore Gesù che, venendo a noi dal Cielo, si è “abbassato” assumendo la nostra stessa realtà umana fino alla morte obbrobriosa sulla Croce.

In essa, come dichiara l’Apostolo, che concentra e ricapitola in sé tutto ciò che è stolto, debole e ignobile e nulla per il mondo, si manifesta la superiore sapienza e potenza divina capace di «ridurre al nulla le cose che sono» (Epistola, 1Corinzi 1,28) e di recare invece «giustizia, santificazione e redenzione».

Coerentemente a ciò che Gesù ha fatto e poi ha insegnato, egli chiede espressamente a chi intende farsi suo discepolo di seguirlo sulla via dell’abbassamento ossia della disponibilità a «prendere la propria croce» condividendo il destino del Signore fino al rinnegamento di sé e, dunque, ad andare incontro alla morte così come alla scarsa considerazione di quanti, accogliendo la mentalità di questo mondo fondata sul potere, il successo, il dominio e l’orgogliosa autoaffermazione, seguono Mical, moglie di Davide, nell’atteggiamento di repulsione e di vergogna che li chiude, però, in una sterilità improduttiva (2Samuele 6,23).

Accogliendo le parole del Signore che, proprio nella celebrazione della sua passione e morte, ha voluto rendere perenne il suo abbassamento fino a «perdere la sua vita» per noi, ci sentiamo trafiggere intimamente in quanto colpiscono al cuore ciò che abbiamo di più caro: la nostra vita ossia l’amore esclusivo e smodato di sé che ci porta a vantarci, a ergerci, cioè, persino davanti a Dio e a cercare in tutti i modi di crescere nell’affermazione del nostro io, costi quel che costi.

Il rimedio contro questa pretesa e questo vanto che si fonda davvero sul “nulla” ci è dato nell’ascolto umile e sincero della Parola e soprattutto nel ricevere con piena consapevolezza il pane eucaristico che è il Corpo esanime del Signore nel quale è posta la potenza divina che da peccatori ci fa giusti, da estranei a Dio ci fa santi, da prigionieri e schiavi del potere delle tenebre ci fa liberi.

Perseveriamo, pertanto, nella sequela del Signore e nella progressiva spogliazione del nostro io perverso consapevoli che, dall’accettazione del nostro abbassamento, dipende il fiorire in noi della vita senza tramonto. Questa, peraltro, è la concreta testimonianza di vita che ogni fedele deve dare agli uomini del nostro tempo irretiti da una sapienza e da una forza mondane che, perciò, portano e riducono tutto al nulla (cfr. 1Corinzi 1,28) chi a esse si affida. Ci accompagni in questo cammino la preghiera che insieme abbiamo innalzato al Cielo Allo Spezzare del Pane:«Buono è il Signore con chi a lui si affida, si dona al cuore che lo ricerca. Chi si crede ricco è misero e patisce la fame, chi cerca il Signore non manca di nulla».

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22 luglio 2012 – VIII domenica dopo Pentecoste


Esalta la bontà misericordiosa di Dio che, come una volta con Israele, non abbandona il mondo nella deriva del male, ma lo libera e lo riscatta nel suo Figlio Crocifisso.

 

Lezionario

 

Prescrive le seguenti lezioni della Scrittura: Lettura: Giudici 2,6-17; Salmo 105 (106); Epistola: 1Tessalonicesi 2,1-2.4-12; Vangelo: Marco 10,35-45. Alla Messa vespertina del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Luca 24,13-35. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVI domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro dei Giudici (2,6-17)

 

In quei giorni. 6Quando Giosuè ebbe congedato il popolo, gli Israeliti se ne andarono, ciascuno nella sua eredità, a prendere in possesso la terra. 7Il popolo servì il Signore durante tutta la vita di Giosuè e degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano visto tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto in favore d’Israele. 8Poi Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni 9e fu sepolto nel territorio della sua eredità, a Timnat-Cheres, sulle montagne di Èfraim, a settentrione del monte Gaas. 10Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; dopo di essa ne sorse un’altra, che non aveva conosciuto il Signore, né l’opera che aveva compiuto in favore d’Israele. 11Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal; 12abbandonarono il Signore, Dio dei loro padri, che li aveva fatti uscire dalla terra d’Egitto, e seguirono altri dèi tra quelli dei popoli circostanti: si prostrarono davanti a loro e provocarono il Signore, 13abbandonarono il Signore e servirono Baal e le Astarti. 14Allora si accese l’ira del Signore contro Israele e li mise in mano a predatori che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno, ed essi non potevano più tener testa ai nemici. 15In tutte le loro spedizioni la mano del Signore era per il male, contro di loro, come il Signore aveva detto, come il Signore aveva loro giurato: furono ridotti all’estremo. 16Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li salvavano dalle mani di quelli che li depredavano. 17Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dèi e si prostravano davanti a loro. Abbandonarono ben presto la via seguita dai loro padri, i quali avevano obbedito ai comandi del Signore: essi non fecero così.

 

Il brano rappresenta il prologo del Libro che prende il nome dai dodici personaggi che, dalla morte di Giosuè fino all’istituzione della monarchia, si sono succeduti nella guida del popolo d’Israele oramai stabilito nella terra promessa (v. 6). I vv. 7-10 descrivono la condizione di fedeltà a Dio del popolo fino alla morte di Giosuè, dopo la quale esso si pervertì adottando i culti idolatrici dei popoli confinanti (vv. 11-13). La conseguenza fu il momentaneo venir meno della protezione divina (vv. 14-15) che, ben presto, scelse alcuni tra il popolo (i Giudici) per liberarlo dai nemici (v. 16). Il brano si conclude con l’amara constatazione che il popolo continuò ostinatamente a tradire l’alleanza con Dio osservata dai loro padri (v. 17).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2,1-2.4-12)

 

1Voi stessi, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata inutile. 2Ma dopo aver sofferto e subito oltraggi a Filippi, come sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.

4Come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. 5Mai infatti abbiamo usato parole di adulazione, come sapete, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone. 6E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, 7pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. 8Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.

9Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. 10Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro comportamento verso di voi, che credete, è stato santo, giusto e irreprensibile. 11Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, 12vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

 

L’Apostolo descrive l’arrivo a Tessalonica (oggi Salonicco), dopo la tribolata esperienza di Filippi e l’avvio della sua predicazione, pure qui contrastata (vv. 1-2). I vv. 4-6 forniscono un prezioso resoconto della modalità seguita da Paolo nella sua attività missionaria fino quasi a sorprenderci con le dichiarazioni di affetto e di premura materna e paterna nei confronti di quanti accoglievano il Vangelo, non senza sottolineare l’irreprensibilità del suo comportamento che contemplava anche il lavoro duro e faticoso per non essere di peso a nessuno (vv. 7-12).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (10,35-45)

 

In quel tempo. 35Si avvicinarono al Signore Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Il brano fa seguito al terzo annunzio della passione (vv. 32-34), evidentemente non accolto dagli Apostoli se due di essi, i fratelli Giacomo e Giovanni, si premurano di ottenere i posti d’onore accanto a Gesù nel giorno della sua manifestazione come Messia, da essi ritenuto glorioso e potente (vv. 35-37). Nella sua risposta (v. 38) Gesù li riporta a quanto aveva prima detto a proposito della sua passione e morte, considerata come un calice pieno di una bevanda amara (cfr. Salmo 74,9; Isaia 51,17-22); e come un battesimo ovvero come un’immersione nella sofferenza e nei dolori (cfr. Salmo 42,7; 69,2.15; Isaia 53,2).

Ai suoi due incauti interlocutori Gesù predice la loro partecipazione alle sue sofferenze, ma ribadisce che assegnare i posti d’onore spetta a Dio (vv. 39-40). La seconda parte del brano (vv. 41-45), allacciata alla prima dall’osservazione sulla reazione dei Dieci alle richieste dei due fratelli (v. 41), è composta da alcuni detti del Signore circa i ruoli di rango nella sua comunità occupati incredibilmente, per la normale prassi umana, da chi è pronto a essere «schiavo di tutti» (vv. 42-44). Affermazioni che trovano il loro fondamento nel comportamento del Signore che è venuto nel mondo «per servire» e il suo servizio è di andare alla morte al posto e a favore di tutti gli uomini (v. 45).

 

 

Commento liturgico-pastorale

 

Le divine Scritture proclamate documentano e testimoniano la fedeltà di Dio alle sue promesse e alla sua alleanza con Israele, da intendere come annunzio della sua fedeltà amorevole nei confronti dell’intera umanità liberata e riscattata nella Croce del suo Figlio. Una fedeltà, quella di Dio, che non viene meno neppure in presenza di ripetuti clamorosi voltafaccia di Israele che, non tenendo viva tra le nuove generazioni la «memoria» di «tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto in favore d’Israele» (Letttura: Giudici 2,7), arriva al punto di adottare i culti idolatrici dei popoli viciniori cosa, questa, che la Scrittura non esita ad assimilare alla prostituzione (v. 17; Salmo 105).

Un simile abbandono non poté che portare sciagure e lutti a Israele, che veniva regolarmente vinto e depredato dai suoi nemici. Eppure il Signore continuò a proteggere e a prendersi con pazienza cura del suo popolo eleggendo dodici uomini chiamati “Giudici”, che si sono succeduti dall’ingresso di Israele nella terra promessa fino alla fondazione della monarchia, per «salvarli dalle mani di quelli che li depredavano» (v. 16).

Nell’esperienza d’Israele che volta le spalle a Dio abbandonando colui che lo aveva reso un popolo con una propria terra e con una legislazione straordinaria per quei tempi, non è difficile vedere l’esperienza dell’intera umanità. Essa, mentre si consegna al servizio degli idoli che si succedono nei secoli: personaggi storici, sistemi ideologici, politici, economici, scientifici, tecnologici, appare restia ad accogliere la predicazione del «vangelo di Dio» (cfr. Epistola: 1 Tessalonicesi 2,2.8.9) che, unico, le può assicurare un’autentica duratura libertà affrancandola dalla triste condizione di violenza, di ingiustizia e di immani tragedie a cui va regolarmente incontro.

Dio, però, come per Israele, non smette di amare l’umanità pervertita dietro l’idolatria delle cose di questo mondo e giunge al punto estremo di inviare come liberatore e salvatore il suo Figlio. Egli, e questo è il dato sorprendente e inedito, compie la missione ricevuta dal Padre non nella potenza e nella gloria così come la intende il mondo, compresi i suoi apostoli (cfr. Vangelo: Marco 10,37), ma accettando di bere lui, e fino in fondo, il calice amarissimo del castigo divino che inevitabilmente si abbatte sul peccato e che, di conseguenza, toccherebbe all’umanità e di immergersi nelle acque oscure dei dolori e delle sofferenze pure ad essa destinate (cfr. v.38). Mentre adoriamo i divini disegni riguardanti la nostra salvezza in Cristo Crocifisso, riconosciamo che essa è tutta racchiusa nel “calice di benedizione” posto sull’altare.

Assumendo il Corpo e il Sangue del Signore e, dunque, il nostro “riscatto” (cfr. v.45), impariamo, con la sua Grazia, a mettere a morte l’inclinazione pestifera presente nei nostri cuori e che ci induce a ricercare la gloria mondana del potere, del dominio, del primeggiare su gli altri. La comunione al Corpo del Signore immolato per noi deve necessariamente condurci a bramare, sul suo esempio, il servizio e l’ultimo posto. È questo il comportamento degno di Dio di cui ci parla l’Apostolo (cfr. 1Tessalonicesi 2,12) e che, specialmente ai nostri giorni, è l’unico capace di far nascere nel cuore degli uomini e delle donne un interesse e un autentico ascolto del Vangelo di Dio che è il suo Figlio Crocifisso.

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15 luglio 2012 - VII Domenica dopo Pentecoste

Propone la figura di Giosuè condottiero vittorioso del popolo d’Israele in cammino verso la terra promessa, come annunzio di Gesù che nella sua Pasqua ha sconfitto il “mondo” e ha introdotto il popolo dei credenti nella vita eterna.

 

Il Lezionario

 

Presenta i seguenti brani biblici: Lettura: Giosuè 10,6-15; Salmo 19 (20); Epistola: Romani 8,31b-39; Vangelo: Giovanni 16,33-17,3. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da Giovanni 20,11-18. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro di Giosuè (10,6-15)

 

In quei giorni. 6Gli uomini di Gàbaon inviarono allora questa richiesta a Giosuè, all’accampamento di Gàlgala: «Da’ una mano ai tuoi servi! Vieni presto da noi a salvarci e aiutaci, perché si sono alleati contro di noi tutti i re degli Amorrei, che abitano le montagne».

7Allora Giosuè salì da Gàlgala con tutto l’esercito e i prodi guerrieri, 8e il Signore gli disse: «Non aver paura di loro, perché li consegno in mano tua: nessuno di loro resisterà davanti a te».
9Giosuè piombò su di loro all’improvviso, avendo marciato tutta la notte da Gàlgala.10Il Signore li disperse davanti a Israele e inflisse loro una grande sconfitta a Gàbaon, li inseguì sulla via della salita di Bet-Oron e li batté fino ad Azekà e a Makkedà. 11Mentre essi fuggivano dinanzi a Israele ed erano alla discesa di Bet-Oron, il Signore lanciò dal cielo su di loro come grosse pietre fino ad Azekà e molti morirono. Morirono per le pietre della grandine più di quanti ne avessero uccisi gli Israeliti con la spada.

12Quando il Signore consegnò gli Amorrei in mano agli Israeliti, Giosuè parlò al Signore e disse alla presenza d’Israele: / «Férmati, sole, su Gàbaon, / luna, sulla valle di Àialon». / 13Si fermò il sole / e la luna rimase immobile / finchè il popolo non si vendicò dei nemici.

Non è forse scritto nel libro del Giusto? Stette fermo il sole nel mezzo del cielo, non corse al tramonto un giorno intero. 14Né prima né poi vi fu giorno come quello, in cui il Signore ascoltò la voce d’un uomo, perché il Signore combatteva per Israele. 15Giosuè e tutto Israele ritornarono verso l’accampamento di Gàlgala.

 

Il brano riguarda una delle battaglie condotte da Giosuè fedelissimo collaboratore e quindi successore di Mosè alla guida del popolo d’Israele per la conquista della terra promessa da Dio. I vv. 6-8 riferiscono dell’ambasciata inviata a Giosuè dalla città di Gabaon, sua alleata, posta sotto assedio dai cinque re degli Amorrei e dell’assicurazione della protezione divina. I vv. 9-13 contengono il resoconto della battaglia vinta da Giosuè con l’assistenza divina e la celebre sua richiesta: «Fermati, sole, su Gabaon, luna, sulla valle ai Aialon» commentata nei vv. 13b-15.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (8,31bb-39)

 

Fratelli, 31bse Dio è per noi, chi sarà contro di noi? 32Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? 33Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! 34Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!

35Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? 36Come sta scritto: «Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello».

37Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. 38Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, 39né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

 

L’Apostolo intende porre nel cuore dei credenti la ferma convinzione che l’amore di Dio, giunto al punto da “consegnare” il proprio Figlio alla morte di Croce «per tutti noi», è il fondamento incrollabile della loro fede e della loro speranza (vv. 31b-32) Cade, perciò, ogni tentativo di accusa e, quindi, di condanna nei confronti dei credenti, una volta peccatori e, ora, resi giusti proprio dalla morte e dalla risurrezione del Signore Gesù (vv. 33-34). Segue ai vv. 35-39 quello che possiamo a ragione descrivere come un canto d’amore di Dio per noi «che è in Cristo Gesù» e dal quale niente e nessuno potrà mai separarci.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (16,33-17,3)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 33«Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo».

 

Il brano evangelico riporta il versetto conclusivo dei discorsi di addio pronunciati da Gesù ai suoi discepoli nel cenacolo e i primi tre versetti del colloquio con il Padre riportato nel cap. 17. In particolare nel suo ultimo discorso Gesù vuole incoraggiare i discepoli che dovranno affrontare l’opposizione molto dura da parte del mondo che sappiamo essere posto sotto il potere del maligno e che lui, però, ha sconfitto con la sua morte sulla Croce. Avviando il suo colloquio filiale con il Padre, Gesù, che sta per affrontare l’“ora” per la quale è venuto nel mondo, gli chiede di glorificarlo nella sua piena identità di Figlio innalzato sulla Croce e Risorto, dandogli di esercitare il potere salvifico proprio di Dio e che ha il suo culmine nel dono della “vita eterna”, la partecipazione, cioè, alla vita stessa di Dio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

In questa domenica viene presentata la figura di Giosuè, successore e continuatore di Mosè come capo e condottiero del popolo. Il compito di Giosuè è quello di introdurre Israele nella terra promessa da Dio e nella quale scorre latte e miele.

In realtà la Lettura parla di una delle tante battaglie vittoriose intraprese da Giosuè contro le popolazioni residenti nella terra che Israele intende occupare. Il testo sacro tiene a evidenziare l’intervento di Dio stesso che lotta a fianco del suo popolo fino alla vittoria finale per la quale esaudisce addirittura la preghiera di Giosuè di fermare il corso naturale della luce e delle tenebre segnate dal sole e dalla luna (cfr. Giosuè 10,12-13).

In realtà Giosuè annunzia e prefigura Gesù il quale è stato mandato nel mondo per donare agli uomini la “vita eterna” ovvero per introdurli in un rapporto d’amore con Dio, riconosciuto come Padre, e con lo stesso suo Figlio, il Signore Gesù.

Per compiere la sua missione Gesù ha dovuto lottare non tanto contro uomini potenti come erano i cinque re degli Amorrei (v.6), ma contro il “maligno”, ovvero il principe di questo mondo che ha assoggettato al suo potere l’intera umanità. La sua lotta, pertanto, Gesù l’ha combattuta accettando la sua “ora” vale a dire la Croce nella quale egli è stato consegnato per giustificare e liberare dal potere del male quanti credono in lui (cfr. Epistola: Romani 8,32-33).

Su questa consegna nella quale si manifesta l’amore davvero incomprensibile di Dio per noi che è tutto nel suo Figlio, si poggia la nostra fede che non ci fa disperare di fronte alle inevitabili prove e avversità che ci vengono dal “mondo” e che Gesù ci ha preannunziato (cfr. Vangelo: Giovanni 16,33). Proprio ai nostri giorni, infatti, si registra in alcuni Paesi un accanimento immotivato contro la comunità dei credenti fino alla violenza fisica contro i suoi membri. Nel nostro ambiente culturale la guerra contro la Chiesa viene combattuta con le armi fascinose e pervasive della sofisticata propaganda che, specialmente attraverso i media, inocula nell’animo dei credenti quella mentalità materialistica e relativistica che tende a svuotare l’adesione di fede al Signore. In tutto ciò egli continua a guidare la Chiesa, suo popolo, verso la “terra promessa” che è la “vita eterna” donata fin da ora a quanti acquisiscono, mediante la fede, la superiore “conoscenza” dell’unico vero Dio e del Figlio da lui “consegnato” per la nostra salvezza. Una simile “conoscenza” che consiste nella partecipazione alla vita di comunione del Padre e del Figlio, è in verità, la “vita eterna”, la nostra “terra promessa”, il nostro paradiso. Nella nostra partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore viene anticipata realmente e ci è dato di sperimentare concretamente la “vita eterna” quale effettiva comunione alla vita divina. Tale esperienza fa crescere in noi la certezza che «né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Romani 8, 38-39).

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8 Luglio 2012 – VI domenica dopo Pentecoste

8 Luglio 2012 – VI domenica dopo Pentecoste

 

Da questa domenica, alle tappe più significative della storia della salvezza, subentrano alcuni tra i personaggi biblici più noti e che hanno scandito il dispiegarsi di quella storia. Lo Spirito Santo, autore delle divine Scritture, ci fa comprendere che essi sono un annunzio profetico del Signore Gesù che quella salvezza porta a effettivo e definitivo compimento nel mistero della sua Pasqua.

 

Il Lezionario

 

Riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Esodo 3,1-15; Salmo 67 (68); Epistola: 1Corinzi 2,1-7; Vangelo: Matteo 11,27-30. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato Matteo 28,8-10 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIV domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano.

 

Lettura del libro dell’Esodo (3,1-15)

 

In quei giorni. 1Mentre Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. 2L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. 3Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». 4Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!». 5Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva paura di guardare verso Dio.

7Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. 8Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo. 9Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto come gli Egiziani li opprimono. 10Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli Israeliti!». 11Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». 12Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte».

13Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». 14Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a voi”». 15Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione».

 

Il brano si riferisce alla vocazione di Mosè nel contesto della visione del roveto avvolto dalle fiamme e che, però, non si consuma (v. 2) e dal quale Dio gli si rivela come il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe (vv. 3-6). I vv. 7-10 svelano il volto di Dio attento al grido del suo popolo, la sua intenzione di liberarlo dal «potere d’Egitto» e di donargli una terra servendosi di Mosè. I vv. 11-15, infine, riportano il dialogo tra Mosè investito della missione di liberare il popolo e Dio che ancora una volta si rivela come il Dio dei padri, ai quali egli si è fatto conoscere e con i quali ha stabilito la sua alleanza.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2,1-7)

 

1Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

6Tra coloro che sono perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla. 7Parliamo invece della sapienza di Dio, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria.

 

Ammonendo i fedeli di Corinto, divisi tra loro e litigiosi, l’Apostolo dichiara che il cuore della sua predicazione è «Gesù Cristo e Cristo Crocifisso» (vv. 1-2). Di conseguenza la sua attività missionaria si distingue per il fatto che poggia unicamente sull’attività di rivelazione dello Spirito e non, dunque, sulla sapienza mondana (vv. 4-5). Al contrario, la sapienza del credente rifiuta quella inutile dei «dominatori di questo mondo» ed è in grado, così, di penetrare nel “mistero”, ossia nei disegni divini e di comprenderne le modalità e i tempi di attuazione (vv. 6-7).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (11,27-30)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
28Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. 29Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, “e troverete ristoro per la vostra vita”. 30Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

I versetti oggi proclamati fanno parte di un contesto di benedizione rivolta da Gesù al Padre per il dono dei «piccoli», ovvero dei discepoli che lo accolgono e che lo seguono (11,25-30). Essi riportano il secondo momento della benedizione riguardante essenzialmente il rapporto di Gesù con il Padre dal quale tutto gli è stato dato e che solo conosce Gesù che è il Figlio così come egli, come Figlio, possiede una conoscenza esclusiva del Padre e del quale, di conseguenza, è il rivelatore unico (v. 27). Nel terzo momento della preghiera Gesù invita a sé quanti sono stanchi e oppressi da una legislazione opprimente e a prendere il suo giogo, vale a dire i suoi precetti tutti riassunti in quello della carità e che lui rende visibili nella sua mitezza e umiltà di cuore (vv. 28-30).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Tra le figure che hanno fortemente segnato il cammino della storia della salvezza, un posto del tutto speciale va assegnato a Mosè, al quale Dio stesso si rivela in modo misterioso dalla fiamma del roveto che arde e non brucia (Lettura: Esodo 3,2) come un Dio particolarmente attento alle sorti del suo popolo di cui ode il grido di dolore a causa dell’oppressione del Faraone d’Egitto.

Un Dio che, essendo legato a Israele da un patto sancito con i suoi Padri, a cominciare da Abramo, ha deciso di intervenire non solo per liberare il suo popolo ma per dargli una terra «bella e spaziosa… dove scorre latte e miele» (v. 8) e, per questo, invia Mosè come suo rappresentante e mediatore.

Illuminati dallo Spirito che ci rivela il mistero nascosto, ovvero il significato profondo di questi avvenimenti, comprendiamo che Mosè, la sua vocazione e la sua missione, non solo annunziano e preparano quella del Signore Gesù, ma trovano la loro spiegazione proprio dal suo invio nel mondo come rivelatore unico ed esclusivo di Dio e dei suoi disegni di salvezza.

A differenza però di Mosè, Gesù non è semplicemente un inviato, un mediatore tra Dio e il suo popolo ma, in quanto Figlio, egli è una sola cosa con il Padre, da lui “conosciuto” nella sua identità più piena, vale a dire quella di Figlio Unico e che, a sua volta, è l’unico a “conoscere” Dio nella sua indicibile paternità e, dunque, è l’unico in grado di “rivelare” chi è Dio! (Vangelo: Matteo, 11,27)

Questo Gesù ha fatto, mentre dimorava in questo mondo, con i suoi insegnamenti e i suoi gesti e, segnatamente, nell’ora della Croce nella quale la sapienza di Dio «che è rimasta nascosta» pienamente si disvela (cfr: Epistola: 1Corinzi 2,7). Nella Croce del Signore si palesa in modo del tutto inatteso e paradossale il mistero di Dio che si prende a cuore il destino dell’intera umanità di cui vede le sofferenze e di cui sente il grido e per la quale prepara «una terra bella e spaziosa» (Esodo 3,8), ovvero il suo Regno. Ha pertanto ragione l’Apostolo a non volere sapere altro «se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Corinzi 2, 2), epifania dell’amore inesauribile e incandescente di Dio, capace di attirare a sé quanti «sono stanchi e oppressi» (Matteo 11,28) non tanto da un “giogo” disumano emblematicamente raffigurato nell’oppressione dell’Egitto su Israele (cfr. Lettura), quanto dal giogo opprimente della legge del male e del peccato che grava sull’uomo e sulla storia. La preghiera liturgica, perciò, invita a lodare il Signore per l’amore con il quale ci ha amato «oltre ogni nostro pensiero e ogni attesa»: egli, infatti, per amore, ha inviato nel mondo il suo Figlio unigenito «perché nell’umiliazione della morte in croce riconducesse alla gloria l’uomo che dalla sua bontà era stato creato e per la propria superbia si era perduto» (Prefazio) La nostra partecipazione all’Eucaristia, memoriale perenne del sacrificio pasquale del Signore, ci pone a contatto con la fiamma viva del suo amore per noi che libera e salva e ci induce ad assumere il suo giogo dolce e leggero (Matteo 11,30) che è la carità e a portarlo concretamente nella mitezza e nell’umiltà del cuore.

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1° luglio 2012 – V domenica dopo Pentecoste


In questa domenica viene posta in luce un’ulteriore decisiva tappa del progressivo svolgersi dell’opera divina di salvezza rappresentata dall’alleanza con Abramo, annunzio della nuova e definitiva alleanza sigillata nella Pasqua del Signore.

 

Il Lezionario

 

Vengono lette le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Genesi 17,1b-16; Salmo 104 (105); Epistola: Romani 4,3-12; Vangelo: Giovanni 12,35-50. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare alla Messa vespertina del sabato è preso da Giovanni 20,1-8. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XII domenica del Tempo “per annum” del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro della Genesi (17,1b-16)

 

In quei giorni. 1Il Signore gli apparve e gli disse:

«Io sono Dio l’Onnipotente: / cammina davanti a me e sii integro. / 2Porrò la mia alleanza tra me e te / e ti renderò molto, molto numeroso». / 3Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: / 4«Quanto a me, ecco, la mia alleanza è con te: / diventerai padre di una moltitudine di nazioni. / 5Non ti chiamerai più Abram, / ma ti chiamerai Abramo, / perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò.

6E ti renderò molto, molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. 7Stabilirò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione, come alleanza perenne, per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. 8La terra dove sei forestiero, tutta la terra di Canaan, la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio».

9Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. 10Questa è la mia alleanza che dovete osservare, alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni maschio. 11Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. 12Quando avrà otto giorni, sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione, sia quello nato in casa sia quello comprato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. 13Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comprato con denaro; così la mia alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. 14Il maschio non circonciso, di cui cioè non sarà stata circoncisa la carne del prepuzio, sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza».
15Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie, non la chiamerai più Sarài, ma Sara. 16Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni, e re di popoli nasceranno da lei».

 

Il testo riporta il secondo racconto dell’alleanza con Abramo introdotto dall’auto-rivelazione di Dio che dichiara la sua intenzione di stabilire l’alleanza con lui (vv. 1b-2), di renderlo «padre di una moltitudine di nazioni» (vv. 3-6), di mantenere con la sua discendenza un’«alleanza perenne» (v. 7) e di dargli in possesso perpetuo una «terra» dove stabilirsi (v. 8). Ad Abramo chiede la fedeltà all’alleanza prescrivendo la circoncisione di ogni maschio come segno visibile e perenne di essa (vv. 9-14). Con l’annunzio della nascita di un suo figlio Dio dimostra concretamente la fedeltà alla parola data ad Abramo e alla promessa di una discendenza numerosa.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (4, 3-12)

 

Fratelli, 3che cosa dice la Scrittura? «Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia». 4A chi lavora, il salario non viene calcolato come dono, ma come debito; 5a chi invece non lavora, ma crede in Colui che giustifica l’empio, la sua fede gli viene accreditata come giustizia. 6Così anche Davide proclama beato l’uomo a cui Dio accredita la giustizia indipendentemente dalle opere:

7«Beati quelli le cui iniquità sono state perdonate / e i peccati sono stati ricoperti; / 8beato l’uomo al quale il Signore non mette in conto il peccato!».

9Ora, questa beatitudine riguarda chi è circonciso o anche chi non è circonciso? Noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. 10Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso o quando non lo era? Non dopo la circoncisione, ma prima. 11Infatti egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia, derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso. In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia 12ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anche sulle orme della fede del nostro padre Abramo prima della sua circoncisione.

 

Il brano fa parte di un articolato ragionamento che porta l’Apostolo a ribadire che è la fede nella promessa divina a produrre la santificazione dell’uomo e il suo essere giusto davanti a Dio. Per dare forza al suo pensiero si rifà ad Abramo, considerato il prototipo di ogni uomo che viene dichiarato giusto a motivo della sua fede in Dio (vv. 3-7). Per questo Paolo tiene a precisare che Abramo piacque a Dio ben prima della circoncisione, la quale diviene così «sigillo di giustizia» ottenuta però per la fede ( vv 10-11). In tal modo divenne padre di tutti gli uomini: ebrei (i circoncisi) e pagani che si aprono alla fede sul suo esempio (vv. 9-12).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (12, 35-50)

 

35In quel tempo. Allora Gesù disse alla folla: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro. 37Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia:

«Signore, chi ha creduto alla nostra parola? / E la forza del Signore, a chi è stata rivelata?» / 39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse:

 40«Ha reso ciechi i loro occhi / e duro il loro cuore, / perché non vedano con gli occhi / e non comprendano con il cuore / e non si convertano, e io li guarisca».

41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio. 44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me.


Il brano riporta la parte conclusiva dell’ultimo discorso di rivelazione pronunziato da Gesù prima di affrontare l’ora del suo passaggio da questo mondo al Padre. Esso rappresenta l’estremo appello rivolto ai Giudei, irriducibili nell’avversione al Signore, a credere in lui come luce (v. 35-36). Potremmo dire che i vv. 37-43 rappresentano quasi un bilancio della sua attività di rivelatore del Padre, avvalorata da «segni così grandi compiuti davanti a loro», il primo dei quali è quello dell’«acqua mutata in vino alle nozze di Cana» e l’ultimo è quello della risurrezione di Lazzaro. Eppure Gesù deve registrare il perdurare di molti suoi interlocutori nell’ostinata incredulità e lo fa alla luce della Scrittura e in particolare di un passo del profeta Isaia 6,9-10 (cfr. vv. 38-40). Per questo egli compie un estremo tentativo di far aprire i loro occhi e il loro cuore indurito (cfr. v.40), quasi sintetizzando il contenuto della sua opera, che consiste nel portare a compimento la rivelazione di Dio proprio nella sua persona. Egli, infatti, dice le parole che Dio «gli ha ordinato di dire» perché gli uomini, credendo, sfuggano alla condanna e partecipino alla vita eterna ovvero alla comunione filiale con lui ( vv49-50).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Nell’alleanza di Dio con Abramo, destinato a diventare «padre di una moltitudine di nazioni» (Lettura: Genesi 17,4-5), si manifesta anzitutto la grandezza di Dio che si rivela come l’Onnipotente. È sua imperscrutabile libera iniziativa la decisione di stabilire un rapporto di alleanza con Abramo. Alleanza che costituisce come una pietra miliare nel cammino della storia della salvezza nella quale si dispiega il mirabile disegno divino.

Di Dio sorprende la grandezza e la magnanimità delle sue promesse ad Abramo, alle quali rimarrà per sempre fedele. In Abramo colpisce la decisa immediata intima adesione a quanto Dio gli comunica, significata esteriormente nel gesto della prostrazione «con il viso a terra» (v. 3) davanti a lui e, quindi, dalla disponibilità a portare, con la circoncisione, il segno esterno e indelebile della consegna di tutto sé stesso alla Parola divina.

Ha dunque ragione l’Apostolo Paolo a sostenere che Abramo fu reso giusto, e dunque gradito agli occhi di Dio, non tanto per il segno della circoncisione che portava sul suo corpo, ma per la fede con la quale ha prontamente aderito alla Parola di Dio ben prima di compiere su di sé la circoncisione (cfr. Epistola: Romani 4,10-11). Con ciò Abramo è davvero il «padre di tutti i credenti», vale a dire di quegli uomini, sia provenienti dall’antico popolo dell’Alleanza (i circoncisi) che dalle “genti” (cfr. vv. 11-12), i quali accolgono e custodiscono con fede ogni parola che esce dalla bocca di Dio e rimangono ad essa fedeli.

Parola che noi riconosciamo nella persona storica di Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio che è stato mandato nel mondo per “dire” tutto ciò che il Padre gli ha ordinato di dire per la nostra salvezza (cfr. Vangelo: Giovanni 12,49). Chi lo ascolta, ascolta Dio, chi lo vede, vede Dio e viene chiamato a partecipare alla vita eterna, a condividere cioè la comunione della stessa vita divina.

In questa domenica siamo dunque esortati a seguire l’esempio di Abramo aprendo prontamente e con fede il nostro cuore al Signore Gesù che è la luce che illumina il mondo e offre a ogni uomo la possibilità di salvarsi dalle tenebre dell’incredulità che conducono inevitabilmente alle tenebre eterne.

Non ci accada, perciò, di indurirci nell’incredulità e nella vana presunzione, ma con animo umile accostiamoci alla mensa eucaristica per ricevere i doni che da essa promanano, tra i quali la grazia di perseverare nella fedeltà al volere di Dio rivelato a noi nel suo Unico Figlio. In tal modo la magnanimità del nostro Dio ci darà di diventare, a nostra volta, capaci di generare alla fede quanti incontriamo sul nostro quotidiano cammino. Uomini e donne di questi nostri giorni segnati da indifferenza e da incredulità e agli occhi dei quali occorre far brillare la luce del Vangelo del Signore che deve necessariamente risplendere sul volto della Chiesa e di ogni singolo fedele.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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