22 luglio 2012 – VIII domenica dopo Pentecoste


Esalta la bontà misericordiosa di Dio che, come una volta con Israele, non abbandona il mondo nella deriva del male, ma lo libera e lo riscatta nel suo Figlio Crocifisso.

 

Lezionario

 

Prescrive le seguenti lezioni della Scrittura: Lettura: Giudici 2,6-17; Salmo 105 (106); Epistola: 1Tessalonicesi 2,1-2.4-12; Vangelo: Marco 10,35-45. Alla Messa vespertina del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Luca 24,13-35. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVI domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro dei Giudici (2,6-17)

 

In quei giorni. 6Quando Giosuè ebbe congedato il popolo, gli Israeliti se ne andarono, ciascuno nella sua eredità, a prendere in possesso la terra. 7Il popolo servì il Signore durante tutta la vita di Giosuè e degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano visto tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto in favore d’Israele. 8Poi Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni 9e fu sepolto nel territorio della sua eredità, a Timnat-Cheres, sulle montagne di Èfraim, a settentrione del monte Gaas. 10Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; dopo di essa ne sorse un’altra, che non aveva conosciuto il Signore, né l’opera che aveva compiuto in favore d’Israele. 11Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal; 12abbandonarono il Signore, Dio dei loro padri, che li aveva fatti uscire dalla terra d’Egitto, e seguirono altri dèi tra quelli dei popoli circostanti: si prostrarono davanti a loro e provocarono il Signore, 13abbandonarono il Signore e servirono Baal e le Astarti. 14Allora si accese l’ira del Signore contro Israele e li mise in mano a predatori che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno, ed essi non potevano più tener testa ai nemici. 15In tutte le loro spedizioni la mano del Signore era per il male, contro di loro, come il Signore aveva detto, come il Signore aveva loro giurato: furono ridotti all’estremo. 16Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li salvavano dalle mani di quelli che li depredavano. 17Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dèi e si prostravano davanti a loro. Abbandonarono ben presto la via seguita dai loro padri, i quali avevano obbedito ai comandi del Signore: essi non fecero così.

 

Il brano rappresenta il prologo del Libro che prende il nome dai dodici personaggi che, dalla morte di Giosuè fino all’istituzione della monarchia, si sono succeduti nella guida del popolo d’Israele oramai stabilito nella terra promessa (v. 6). I vv. 7-10 descrivono la condizione di fedeltà a Dio del popolo fino alla morte di Giosuè, dopo la quale esso si pervertì adottando i culti idolatrici dei popoli confinanti (vv. 11-13). La conseguenza fu il momentaneo venir meno della protezione divina (vv. 14-15) che, ben presto, scelse alcuni tra il popolo (i Giudici) per liberarlo dai nemici (v. 16). Il brano si conclude con l’amara constatazione che il popolo continuò ostinatamente a tradire l’alleanza con Dio osservata dai loro padri (v. 17).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (2,1-2.4-12)

 

1Voi stessi, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata inutile. 2Ma dopo aver sofferto e subito oltraggi a Filippi, come sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.

4Come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. 5Mai infatti abbiamo usato parole di adulazione, come sapete, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone. 6E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, 7pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. 8Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.

9Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. 10Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro comportamento verso di voi, che credete, è stato santo, giusto e irreprensibile. 11Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, 12vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

 

L’Apostolo descrive l’arrivo a Tessalonica (oggi Salonicco), dopo la tribolata esperienza di Filippi e l’avvio della sua predicazione, pure qui contrastata (vv. 1-2). I vv. 4-6 forniscono un prezioso resoconto della modalità seguita da Paolo nella sua attività missionaria fino quasi a sorprenderci con le dichiarazioni di affetto e di premura materna e paterna nei confronti di quanti accoglievano il Vangelo, non senza sottolineare l’irreprensibilità del suo comportamento che contemplava anche il lavoro duro e faticoso per non essere di peso a nessuno (vv. 7-12).

 

Lettura del Vangelo secondo Marco (10,35-45)

 

In quel tempo. 35Si avvicinarono al Signore Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

 

Il brano fa seguito al terzo annunzio della passione (vv. 32-34), evidentemente non accolto dagli Apostoli se due di essi, i fratelli Giacomo e Giovanni, si premurano di ottenere i posti d’onore accanto a Gesù nel giorno della sua manifestazione come Messia, da essi ritenuto glorioso e potente (vv. 35-37). Nella sua risposta (v. 38) Gesù li riporta a quanto aveva prima detto a proposito della sua passione e morte, considerata come un calice pieno di una bevanda amara (cfr. Salmo 74,9; Isaia 51,17-22); e come un battesimo ovvero come un’immersione nella sofferenza e nei dolori (cfr. Salmo 42,7; 69,2.15; Isaia 53,2).

Ai suoi due incauti interlocutori Gesù predice la loro partecipazione alle sue sofferenze, ma ribadisce che assegnare i posti d’onore spetta a Dio (vv. 39-40). La seconda parte del brano (vv. 41-45), allacciata alla prima dall’osservazione sulla reazione dei Dieci alle richieste dei due fratelli (v. 41), è composta da alcuni detti del Signore circa i ruoli di rango nella sua comunità occupati incredibilmente, per la normale prassi umana, da chi è pronto a essere «schiavo di tutti» (vv. 42-44). Affermazioni che trovano il loro fondamento nel comportamento del Signore che è venuto nel mondo «per servire» e il suo servizio è di andare alla morte al posto e a favore di tutti gli uomini (v. 45).

 

 

Commento liturgico-pastorale

 

Le divine Scritture proclamate documentano e testimoniano la fedeltà di Dio alle sue promesse e alla sua alleanza con Israele, da intendere come annunzio della sua fedeltà amorevole nei confronti dell’intera umanità liberata e riscattata nella Croce del suo Figlio. Una fedeltà, quella di Dio, che non viene meno neppure in presenza di ripetuti clamorosi voltafaccia di Israele che, non tenendo viva tra le nuove generazioni la «memoria» di «tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto in favore d’Israele» (Letttura: Giudici 2,7), arriva al punto di adottare i culti idolatrici dei popoli viciniori cosa, questa, che la Scrittura non esita ad assimilare alla prostituzione (v. 17; Salmo 105).

Un simile abbandono non poté che portare sciagure e lutti a Israele, che veniva regolarmente vinto e depredato dai suoi nemici. Eppure il Signore continuò a proteggere e a prendersi con pazienza cura del suo popolo eleggendo dodici uomini chiamati “Giudici”, che si sono succeduti dall’ingresso di Israele nella terra promessa fino alla fondazione della monarchia, per «salvarli dalle mani di quelli che li depredavano» (v. 16).

Nell’esperienza d’Israele che volta le spalle a Dio abbandonando colui che lo aveva reso un popolo con una propria terra e con una legislazione straordinaria per quei tempi, non è difficile vedere l’esperienza dell’intera umanità. Essa, mentre si consegna al servizio degli idoli che si succedono nei secoli: personaggi storici, sistemi ideologici, politici, economici, scientifici, tecnologici, appare restia ad accogliere la predicazione del «vangelo di Dio» (cfr. Epistola: 1 Tessalonicesi 2,2.8.9) che, unico, le può assicurare un’autentica duratura libertà affrancandola dalla triste condizione di violenza, di ingiustizia e di immani tragedie a cui va regolarmente incontro.

Dio, però, come per Israele, non smette di amare l’umanità pervertita dietro l’idolatria delle cose di questo mondo e giunge al punto estremo di inviare come liberatore e salvatore il suo Figlio. Egli, e questo è il dato sorprendente e inedito, compie la missione ricevuta dal Padre non nella potenza e nella gloria così come la intende il mondo, compresi i suoi apostoli (cfr. Vangelo: Marco 10,37), ma accettando di bere lui, e fino in fondo, il calice amarissimo del castigo divino che inevitabilmente si abbatte sul peccato e che, di conseguenza, toccherebbe all’umanità e di immergersi nelle acque oscure dei dolori e delle sofferenze pure ad essa destinate (cfr. v.38). Mentre adoriamo i divini disegni riguardanti la nostra salvezza in Cristo Crocifisso, riconosciamo che essa è tutta racchiusa nel “calice di benedizione” posto sull’altare.

Assumendo il Corpo e il Sangue del Signore e, dunque, il nostro “riscatto” (cfr. v.45), impariamo, con la sua Grazia, a mettere a morte l’inclinazione pestifera presente nei nostri cuori e che ci induce a ricercare la gloria mondana del potere, del dominio, del primeggiare su gli altri. La comunione al Corpo del Signore immolato per noi deve necessariamente condurci a bramare, sul suo esempio, il servizio e l’ultimo posto. È questo il comportamento degno di Dio di cui ci parla l’Apostolo (cfr. 1Tessalonicesi 2,12) e che, specialmente ai nostri giorni, è l’unico capace di far nascere nel cuore degli uomini e delle donne un interesse e un autentico ascolto del Vangelo di Dio che è il suo Figlio Crocifisso.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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