24 febbraio 2013 - Domenica della samaritana


È la seconda domenica di Quaresima, caratterizzata, nella tradizione liturgica ambrosiana, dalla proclamazione del brano evangelico della samaritana.


Il Lezionario

Prevede la proclamazione di: Lettura: Deuteronomio 6,4a;11,18-28; Salmo 18 (19); Epistola: Galati 6,1-10; Vangelo: Giovanni 4,5-42. Da questa domenica fino alla domenica delle Palme, il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è sostituito da una Lettura vigiliare, presa, in questo caso, da Marco 9,2b-10. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della II domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

Lettura del libro del Deuteronomio (6,4a;11,18-28)

In quei giorni. Mosè disse: 6,4a«Ascolta, Israele: 11,18Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; 19le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai; 20le scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte, 21perché siano numerosi i vostri giorni e i giorni dei vostri figli, come i giorni del cielo sopra la terra, nel paese che il Signore ha giurato ai vostri padri di dare loro.

22Certamente, se osserverete con impegno tutti questi comandi che vi do e li metterete in pratica, amando il Signore, vostro Dio, camminando in tutte le sue vie e tenendovi uniti a lui, 23il Signore scaccerà dinanzi a voi tutte quelle nazioni e voi v’impadronirete di nazioni più grandi e più potenti di voi. 24Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro: i vostri confini si estenderanno dal deserto al Libano, dal fiume, il fiume Eufrate, al mare occidentale. 25Nessuno potrà resistere a voi; il Signore, vostro Dio, come vi ha detto, diffonderà la paura e il terrore di voi su tutta la terra che voi calpesterete.

26 Vedete, io pongo oggi davanti a voi benedizione e maledizione: 27la benedizione, se obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, che oggi vi do; 28la maledizione, se non obbedirete ai comandi del Signore, vostro Dio, e se vi allontanerete dalla via che oggi vi prescrivo, per seguire dèi stranieri, che voi non avete conosciuto».

Il brano fa parte della seconda sezione del libro del Deuteronomio, occupata dal lungo discorso di Mosè al popolo (4,44-28,68), qui incitato essenzialmente a tenere presente, sempre e in ogni circostanza, la legge del Signore, da osservare senza riserve (11,18-21). Tale osservanza non solo garantirà la sopravvivenza del popolo nella regione, ma gli darò modo di impadronirsi di territori che ne amplieranno di molto l’estensione (vv. 22-25). L’osservanza della Legge attirerà sul popolo la benedizione del Signore (vv. 26-27), mentre l’infedeltà alla legge divina causerà la sua maledizione.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Galati (6,1-10)

1Fratelli, se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. 2Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo.3Se infatti uno pensa di essere qualcosa, mentre non è nulla, inganna se stesso.4Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora troverà motivo di vanto solo in se stesso e non in rapporto agli altri. 5Ciascuno infatti porterà il proprio fardello.
6Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i suoi beni con chi lo istruisce. 7Non fatevi illusioni: Dio non si lascia ingannare. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato. 8Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna. 9E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo. 10Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.

Il brano è preso dalla parte esortativa della Lettera. Qui l’Apostolo impartisce alcune istruzioni ai fedeli della Galazia sul comportamento da tenere con il fratello che pecca (v. 1), sulla necessità di esaminare la propria condotta e soprattutto sulla disponibilità a portare «i pesi gli uni degli altri» adempiendo così la legge di Cristo (vv. 2-4). In un secondo momento l’Apostolo avverte che ciò che si compie nella vita presente, prepara il “raccolto” che si avrà davanti a Dio e, pertanto, incita a operare «il bene verso tutti» per “mietere”, a suo tempo, la vita eterna (vv. 6-10).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (4,5-42)

In quel tempo. 5Il Signore Gesù giunse a una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio; 6qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 7Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». 8I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. 9Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. 10Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». 11Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? 12Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». 13Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; 14ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». 15Signore – gli dice la donna  –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 16Le dice Gesù: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». 17Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. 18Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».19Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! 20I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 21Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. 22Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 23Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. 24Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 25Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà ci annuncerà ogni cosa». 26Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».

27In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 28La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: 29«Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». 30Uscirono dalla città e andavano da lui.

31Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». 32Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». 33E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 34Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. 35Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. 36Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. 37In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. 38Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 39Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». 40E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. 41Molti di più credettero per la sua parola 42e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Il testo evangelico è diviso in due grandi sezioni. La prima, vv. 5-26, riporta il dialogo di Gesù con una donna samaritana mentre la seconda, vv. 27-42, è incentrata sulla rivelazione dell’“opera” per la quale il Padre ha inviato Gesù nel mondo. In particolare i vv. 5-7 ambientano la scena in Samaria e precisamente accanto al pozzo che Giacobbe, il grande patriarca, aveva fatto scavare presso la cittadina di Sicar. L’evangelista sottolinea che Gesù vi arrivò «affaticato per il viaggio» e nell’ora più calda del «mezzogiorno» (v. 6). Di qui la sua richiesta alla donna samaritana che entra in scena al v. 7. I vv. 8-15 riportano, con la risposta della donna alla richiesta di Gesù, le importanti parole del Signore sul dono dell’acqua viva capace di togliere la sete e diventare, in chi la beve, «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». La prima sezione si chiude ai vv. 16-26 con una svolta nel dialogo tra Gesù e la donna alla quale viene rivelata la sua vita disordinata e traviata rispetto alla Legge di Dio (v. 18) inducendola, così, a muovere i suoi primi passi nella fede in Gesù riconosciuto dapprima come un profeta (v. 19). A lui, uomo ispirato da Dio, pone la questione riguardante il luogo dove è possibile incontrare Dio: per i Samaritani era il monte Garazim mentre per i Giudei era il Tempio di Gerusalemme (vv. 20-21). A questa domanda Gesù risponde con parole di rivelazione di grande e permanente attualità e valore (vv. 23-24), con le quali elimina le diatribe legate al luogo in cui si deve rendere culto a Dio. Con il suo ingresso nel mondo, è «venuta l’ora» in cui il culto divino viene sganciato da luoghi e da templi materiali e viene invece compiuto «in spirito e verità» (vv. 23-24) da quanti, rinati dallo Spirito, si lasciano guidare nell’accogliere con fede la pienezza della divina Rivelazione portata da Gesù che, in tal modo, colma l’attesa del Messia (cfr. vv. 25-26). Con la solenne dichiarazione messianica di Gesù: «Sono io, che parlo con te» si chiude il dialogo con la samaritana.

Prende così avvio la seconda sezione (vv. 27-42) inaugurata dall’accorrere a Gesù degli abitanti di Sicar e dell’importante dialogo di Gesù con i suoi discepoli e riguardante il “cibo” con il quale egli si nutre: il compimento della volontà del Padre che lo ha inviato nel mondo per salvare il mondo (vv. 31-34). È questa l’“opera” che il Padre ha affidato a Gesù e alla quale egli ora associa i suoi discepoli con l’invito: «alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» e con l’esplicito mandato missionario espresso con il verbo mietere. Essi, infatti, dovranno raccogliere l’umanità nella comunione con Dio, qui indicata con l’espressione “vita eterna” (vv. 35-38).

La conclusione (vv. 39-42) fa capire che i Samaritani che credono nel Signore «per la parola della donna» e ancora di più «per la sua parola», professando la fede in Gesù quale «salvatore del mondo», sono, in verità, primizie dell’“opera” salvifica commessa da Dio al suo Figlio e da questi ai suoi discepoli e, dunque, ai discepoli di tutti i tempi.

 

 

Commento liturgico-pastorale

 

Questa seconda domenica di Quaresima, contrassegnata dal Vangelo della samaritana, fa intendere a quanti si preparano a ricevere il sacramenti pasquali nella prossime solennità e a tutti i fedeli, che è indispensabile ottenere dal Signore l’apertura della mente per arrivare ad aver fede, così come ha fatto con essa al pozzo di Giacobbe. È infatti necessario che l’animo umano si apra alla fede per avvertire con forza la sete di Dio che viene, fin da ora, appagata nella partecipazione ai divini misteri. Ciò è detto efficacemente nella parte centrale del primo dei due Prefazi presenti nel Messale Ambrosiano: «Cristo Signore nostro, a rivelarci il mistero della sua condiscendenza verso di noi, stanco e assetato, volle sedere a un pozzo e, chiedendo da bere a una donna samaritana, le apriva la mente alla fede; desiderando con ardente amore portarla a salvezza, le accendeva nel cuore la sete di Dio».

L’apertura della mente della Samaritana è significata nel dialogo con il Signore che, partendo da premesse molto concrete, qual è la richiesta di acqua nel meriggio infuocato del medioriente: «Dammi da bere», passa a interrogativi che costringono ad andare oltre il puro dato materiale: non più l’acqua semplicemente, ma l’«acqua viva» (Vangelo: Giovanni 4,6-7)!

Con questa espressione si evoca, nell’Antico Testamento, il dono inestimabile della Legge divina che il popolo d’Israele è invitato a porre «nel cuore e nell’anima» (cfr. Lettura: Deuteronomio 11,18ss.) e la cui osservanza attirerà la benedizione di Dio, così come la non osservanza la maledizione (cfr. vv. 26-28). Nel Nuovo Testamento indica la rivelazione di Dio e del suo mistero recata in pienezza dal suo Verbo fatto uomo. Può anche indicare lo Spirito Santo che è donato agli uomini proprio da Gesù, il Figlio di Dio. L’«acqua viva», capace di estinguere la sete in eterno, ovvero i più profondi e autentici bisogni dell’uomo, è la Parola vivente di Dio, vale a dire il suo Figlio venuto nel mondo e che ora possiamo attingere dal “pozzo” delle divine Scritture affidate, dal Signore, alla sua Chiesa. Pertanto, la Parola che il popolo nato dalla Pasqua del Signore è invitato a «porre nel cuore e nell’anima», a tenere costantemente davanti agli occhi, a  «insegnare» e a praticare dando a tutti riconoscibile testimonianza, è il Signore Gesù e il suo Vangelo.

Davvero il popolo dei battezzati può dire in tutta verità: «Signore, tu solo hai parole di vita eterna» (Salmo 18).  Per l’Apostolo, la Parola da osservare e praticare è quella della carità, intesa come una disponibilità a portare «i pesi gli uni degli altri», a «operare il bene verso tutti» e a «seminare nello Spirito» (cfr. Epistola: Galati 6,8) compiendo, cioè, le opere dello Spirito: la carità, la pace e il perdono, nelle quali consiste il «culto in spirito e verità» a Dio gradito (cfr. Giovanni 4,23-24).

Si comprende, perciò, come la prima delle opere dell’osservanza quaresimale sia autorevolmente indicata nel testo sacro: «Ascolta, Israele» (Deuteronomio 6,4). Si tratta cioè, di imparare a sostare frequentemente e a lungo, sia in privato come nell’assemblea liturgica, al pozzo dell’«acqua viva» qual è la Parola del Vangelo, supplicando il Signore di aprire la nostra mente e di accendere in noi, come già nella Samaritana, la sete di Dio, che moderi le tante e spesso fuorvianti brame che ci spingono a cercare l’acqua viva presso pozzi avvelenati. Così infatti abbiamo chiesto nel Prefazio secondo: «Con la tua grazia ci liberi da ogni affetto disordinato e ci insegni a operare tra le cose che passano, come chi è radicato in te, bene eterno».

È la sete che il Signore Gesù, attraverso la sua Chiesa, vuole tenere viva negli uomini del nostro tempo sempre alla ricerca di pozzi a cui attingere l’acqua della felicità. Spetta a noi, suoi discepoli, che nell’ascolto della Parola beviamo ogni giorno l’«acqua viva» e ci nutriamo del suo dono d’amore che è l’Eucaristia, tener vivo nel cuore di chi ci sta accanto il desiderio di Dio e accompagnarlo fino al pozzo che è Cristo Signore. Lui solo, infatti, è capace di soddisfare il più profondo dei bisogni del cuore umano: avere parte alla vita, quella eterna, quella di Dio.

Dal fianco di Gesù Crocifisso, infatti, aperto dalla lancia del soldato, è uscito, nel segno del «sangue e acqua» il fiume inarrestabile dell’«acqua viva» che opera, in quanti credono, la rigenerazione alla grazia di figli di Dio, incorporati nella Chiesa abitata dallo Spirito Santo e nella partecipazione al suo Corpo e al suo Sangue nel banchetto eucaristico, sperimentano la bellezza e la sovrabbondanza del dono divino che in essi diventa «una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Giovanni 4,14), Per questo così preghiamo: «Dal tuo cuore, Signore Gesù, fiumi d’acqua viva scorreranno. Ascolta pietoso il grido di questo popolo e aprici il tesoro della tua grazia che santifica il cuore dei credenti» (Canto Alla Comunione).

 

 

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17 febbraio 2013

È la prima domenica di Quaresima, ovvero la “sesta domenica prima di Pasqua”, dalla quale prendono avvio i quaranta giorni di preparazione alle solennità pasquali che si concluderanno con l’inizio del Triduo Pasquale avviato dalla Messa «nella Cena del Signore» il Giovedì della Settimana Autentica o Santa.

Il Lezionario

Le lezioni bibliche, a partire da questa domenica, sono reperibili nel II Libro del Lezionario Ambrosiano: “Mistero della Pasqua del Signore”. Oggi sono previste: Lettura: Gioele 2,12b-18; Salmo 50 (51); Epistola: 1Corinzi 9,24-27; Vangelo: Matteo 4,1-11, vale a dire il Vangelo delle tentazioni che caratterizza questa domenica. Si deve osservare che mentre la Lettura e l’Epistola variano nel ciclo triennale, il brano evangelico rimane immutato, secondo la costante tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana.

Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Marco 16,9-16. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della I Domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Gioele (2,12b-18)

 

Così dice il Signore Dio: / 12b«Ritornate a me con tutto il cuore, / con digiuni, con pianti e lamenti. / 13Laceratevi il cuore e non le vesti, / ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, / lento all’ira, di grande amore, / pronto a ravvedersi riguardo al male». /  14Chi sa che non cambi e si ravveda / e lasci dietro a sé una benedizione? / Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. / 15Suonate il corno in Sion, / proclamate un solenne digiuno, / convocate una riunione sacra. / 16Radunate il popolo, / indite un’assemblea solenne, / chiamate i vecchi, / riunite i fanciulli, i bambini lattanti; / esca lo sposo dalla sua camera / e la sposa dal suo talamo. / 17Tra il vestibolo e l’altare piangano / i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: / «Perdona, Signore, al tuo popolo / e non esporre la tua eredità al ludibrio / e alla derisione delle genti». / Perché si dovrebbe dire fra i popoli: / «Dov’è il loro Dio?». / 18Il Signore si mostra geloso per la sua terra / e si muove a compassione del suo popolo.

 

Il brano segue la descrizione dell’invasione delle cavallette, paragonate a un esercito che, al suo passaggio, distrugge ogni cosa (2,1-9). In quella sciagura il profeta vede l’annunzio del “giorno del Signore”, vale a dire del suo inesorabile giudizio sul peccato del suo popolo (vv. 10-11). Di qui l’invito alla penitenza e alla conversione del cuore messa in moto dalla certezza della misericordia divina (vv. 12-13) e quindi dalla fiducia che Dio muti il giudizio in una benedizione (v. 14). I vv. 15-17, infine, descrivono la convocazione di una riunione sacra a cui deve partecipare il popolo intero e nella quale i sacerdoti sono incaricati di presentare a Dio le suppliche dell’assemblea.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (9,24-27)

 

Fratelli, 24non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 25Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. 26Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; 27anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. 

 

Il brano è inserito in un contesto nel quale l’Apostolo rivendica, nell’esercizio del suo ministero, la libertà da tutto e da tutti sentendosi legato unicamente al Signore Gesù (9,1-23). Proprio il suo legame e la sua fedeltà al Signore esige numerose privazioni e sacrifici, che Paolo paragona a quelli compiuti dagli atleti per guadagnare la corona ossia la vittoria (vv. 24-25). Di conseguenza l’Apostolo si dichiara pronto a ogni genere di disciplina e di sacrifici pur di arrivare alla fine della sua corsa, ossia del suo servizio al Vangelo, ed essere trovato degno della corona «che dura per sempre» (vv. 26-27).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (4,1-11)

 

In quel tempo. 1Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: / “Non di solo pane vivrà l’uomo, / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: / “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani / perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: / “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora  Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: / “Il Signore, Dio tuo, adorerai: / a lui solo renderai culto”».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo di Gesù al Giordano (Mt 3,13-17) e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l’azione dello Spirito nel “condurre” Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del diavolo, una parola greca che significa “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1). Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1 Re 19,8), riferisce che Gesù «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4), che potremmo chiamare quella del pane. Essa riguarda il vero nutrimento di cui l’uomo ha davvero bisogno per vivere e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, data con la citazione del libro del Deuteronomio (8,3), consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e ora rintracciabile nelle Scritture. La seconda è la tentazione del «punto più alto del tempio» (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù (cfr. Deuteronomio 6,16), esclude la pretesa di un segno prodigioso da parte di Dio per potergli credere e obbedirgli in tutto. La terza tentazione è quella del “monte altissimo” (vv. 8-10) dal quale il diavolo mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui a una condizione: che egli volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui! Con la sua decisa risposta, presa ancora da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio. Il racconto si chiude al v. 11 con il diavolo che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli angeli che si prendono cura di Gesù.

 

Commento liturgico-pastorale

La Quaresima ha il compito di preparare tutti i fedeli alle solennità pasquali comprensive del Triduo, culminante nella solenne Veglia della Risurrezione, che è da considerare il cuore e il centro di tutto l’anno liturgico.

Come sappiamo e crediamo il Signore Gesù, nella sua Pasqua di morte e di risurrezione, ha portato a compimento l’opera della salvezza per la quale è stato inviato da Dio nel mondo. La salvezza pasquale viene a sua volta dispensata a quanti credono, per la via sacramentale che ha al suo culmine l’Eucaristia, memoriale perenne della Pasqua.

Di essa noi tutti facciamo personale, misteriosa, prima esperienza nell’acqua del Battesimo. In essa discendiamo, in verità, nella morte e nella sepoltura del Signore, distruttive dell’uomo dominato dal peccato e dal male e, da essa, rinasciamo alla grazia di una vita nuova, una vita già partecipe della risurrezione, la vita di figli adottivi di Dio, e veniamo inseriti nel suo unico Corpo che è la Chiesa.

La Quaresima, pertanto, torna ogni anno come provvidenziale memoria del Battesimo e degli eccezionali doni di grazia in esso ricevuti perché risplendano nitidi nella nostra vita. Non di rado, infatti,  essa non si presenta del tutto conforme al dono ricevuto e, al contrario, appare come soggiogata dal fascino del peccato che sfigura, anche gravemente, l’immagine di figlio scolpita in noi dallo Spirito rigeneratore.

Ciò è dovuto al fatto che, sottoposti al pari di Gesù alla tentazione e alla prova, non pochi di noi, diversamente da lui, soccombono vittime del tentatore. Di qui il carattere penitenziale della Quaresima, tesa a recuperare la grazia del Battesimo in vista delle solennità pasquali. Per questo essa ci propone un programma di vita che, a ben guardare, deve caratterizzare l’intera comunità ecclesiale e, di conseguenza, ogni singolo fedele. Vale anche per noi, infatti, l’esortazione profetica: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardi al male» (Lettura: Gioele 2, 12-13). Tale esortazione, rivolta un tempo al popolo dell’Antica Alleanza, la sentiamo risuonare nelle nostre assemblee liturgiche e, pertanto, chiama con forza la Chiesa, nel momento massimo della sua manifestazione, a ritornare pienamente ed esclusivamente a colui che, nel suo Figlio Crocifisso, ha lasciato «dietro a sé una benedizione» (v. 14), ovvero, il dono gratuito della salvezza. Si comprende, perciò, come il programma quaresimale abbia come suo irrinunciabile fondamento l’ascolto della Parola di Dio, inteso come assimilazione di essa, capace, dunque, di orientare in ogni momento e in ogni situazione la nostra vita e le scelte che essa ci presenta. È evidente che un simile ascolto è un dono dello Spirito che accende nei nostri cuori un vivo e insopprimibile desiderio di nutrirci di «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Vangelo: Matteo 4,4), moderando ogni altro, pur lecito, ma mondano desiderio. È ciò che il Prefazio dice esemplarmente di Mosè al quale, bastando «la parola di Dio e la luce dello Spirito che in lui discendeva», non avvertì «la fame del corpo o di altri «nutrimenti terreni», al punto di rimanere digiuno «quaranta giorni e quaranta notti» in attesa del dono divino della Legge. Forti della Parola, è possibile anche a noi resistere agli assalti subdoli o violenti del tentatore, a non cedere alla tentazione suadente del male o alla prova che compare improvvisa nella nostra esistenza e rimanere fermi, sull’esempio del Signore Gesù, nella fede e nell’abbandono filiale alla volontà divina rivelata nella sua Parola. Ed è la Parola del Signore a sostenere i nostri personali sforzi e la severa disciplina a cui, a volte, occorre sottoporci pur di non venire “squalificati” nella “gara” che è questa nostra vita e poter, così, ricevere la «corona… che dura per sempre» (1Corinzi 9,25), ossia la salvezza eterna.

Iniziamo, perciò, questi giorni di grande valore per tutta la Chiesa e per ogni fedele. Non scoraggiamoci davanti all’enormità dell’impresa qual è il nostro ritorno a Dio, alla grazia di essere e di dirci realmente suoi figli.

La sua Parola, infatti, ci dice che quell’impresa dipende sì da noi, dalla nostra penitenza, dai nostri digiuni, lacrime e preghiere, ma in definitiva la compie Dio stesso donandoci il Pane che è Cristo sua vivente Parola e che, come leggiamo nel Prefazio, «tu ora ci doni alla tua mensa, o Padre, e ci induci a bramarlo senza fine».

Ci sia di guida e di conforto, nel non facile cammino quaresimale verso la gioia della Pasqua, ciò che all’unisono diciamo con la nostra bocca e con il nostro cuore: «Camminiamo nell’amore perché Cristo ci ha amato; e godiamo di questo cibo davanti al nostro Dio. Regni nei nostri cuori la pace di Cristo, che ci ha chiamati a formare un corpo solo» (Canto Alla Comunione).

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10 febbraio 2013

Domenica ultima dopo l’Epifania

 

È la domenica detta “del perdono” che, nell’imminenza della Quaresima, incoraggia i fedeli a intraprendere il cammino di conversione e di penitenza, proprio di quel tempo liturgico, nella consapevolezza che Dio è sempre pronto e generoso nel concedere il suo perdono.

Il Lezionario

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Siracide 18,9-14; Salmo 102 (103); Epistola: 2Corinzi 2,5-11; Vangelo: Luca 9,1-10. Alla messa vigiliare del sabato, il Vangelo della Risurrezione è preso da Luca 24,13b.36-48. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della V Domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

Lettura del libro del Siracide (18,11-14)

11Il Signore è paziente verso di loro / ed effonde su di loro la sua misericordia. / 12Vede e sa che la loro sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono.

13La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, / la misericordia del Signore ogni essere vivente. / Egli rimprovera, corregge , ammaestra / e guida come un pastore il suo gregge. / 14Ha pietà di chi si lascia istruire / e di quanti sono zelanti per le sue decisioni.

 

Il brano riporta alcuni versetti di un canto a Dio Creatore (18,1-14) intonato dall’autore del libro. Qui, in particolare, viene esaltata la misericordia di Dio verso «ogni essere vivente» (v. 11.13b) messa a confronto con quella dell’uomo che si rivolge soltanto a pochi (v. 13a).

 

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2,5-11)

 

Fratelli, 5se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma, in parte almeno, senza esagerare, tutti voi. 6Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dalla maggior parte di voi, 7cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte.

8Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; 9e anche per questo vi ho scritto, per mettere alla prova il vostro comportamento, se siete obbedienti in tutto. 10A chi voi perdonate, perdono anch’io; perché ciò che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l’ho fatto per voi, davanti a Cristo, 11per non cadere sotto il potere di Satana, di cui non ignoriamo le intenzioni.

 

Il brano si riferisce probabilmente a una visita dell’Apostolo alla comunità di Corinto in occasione della quale deve aver ricevuto una grave offesa da uno dei suoi membri. Il fatto ha creato in essa un notevole disagio. Dai vv. 5-8 deduciamo che il colpevole era stato in qualche modo “castigato” dalla comunità (v. 6), esortata ora da Paolo a perdonarlo e a riammetterlo tra i fedeli (vv. 7-8). Segue l’insegnamento apostolico sul perdono da accordare sempre per non cadere «sotto il potere di satana» ossia dell’avversario, del nemico, il cui intento è dividere la comunità (vv. 9-11).

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (19,1-10)

In quel tempo. Il Signore Gesù 1entrò nella città di Gerico e la stava attraversando, 2quand’ecco un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, 3cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. 4Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.

5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». 6Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. 7Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!». 8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». 9Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. 10Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

La scena è ambientata nella città di Gerico che Gesù stava attraversando. In una prima parte (vv. 2-4) viene presentato Zaccheo quale capo dei pubblicani e per di più ricco, dunque, un pubblico peccatore, desideroso tuttavia «di vedere chi era Gesù» al punto da salire su un sicomoro a motivo della sua bassa statura. La scena riceve una svolta ai vv. 5-6 allorché Gesù «alzò lo sguardo» su Zaccheo dichiarando l’intenzione di recarsi a casa sua suscitando, con ciò, la gioiosa reazione di questi. Il v. 7 registra, con il verbo mormorare, la reazione negativa e ostile della gente sul comportamento di Gesù che non esita a stare in compagnia di un peccatore e, pertanto, di un escluso, di un impuro. Le parole di Zaccheo (v. 8) dicono però che in lui è intervenuto un cambiamento profondo immediatamente riscontrabile nei suoi gesti di riparazione e di carità. I due versetti conclusivi, 9-10, infine, ci consegnano una prima dichiarazione del Signore riguardante la salvezza alla quale, con Zaccheo, sono chiamati i «figli di Abramo» (v. 9). Ad essa fa seguito quella di rivelazione sulla sua missione nel mondo: «cercare e salvare ciò che era perduto» (v. 10).

Commento liturgico-pastorale

L’ultima domenica “dopo l’Epifania” intende disporre il cuore dei fedeli alla celebrazione della Quaresima, che ha lo scopo di ripristinare la grazia della prima partecipazione, nell’acqua del Battesimo, all’evento pasquale della nostra salvezza che viene solennemente ripresentato, ogni anno, nella celebrazione del Triduo Pasquale di Gesù Cristo crocifisso-morto-sepolto-risorto.

La nostra vita, infatti, pur segnata in radice dalla rigenerazione battesimale alla grazia della figliolanza divina, conosce e sperimenta la perdurante debolezza della nostra natura umana che ci inclina a cedere alla “legge del peccato” che ci abita ancora. Di qui la necessità e l’urgenza di superare una simile triste situazione, di certo impossibile alle sole nostre forze, ma grazie alla misericordia di Dio che ci raggiunge, in Cristo, con la grazia del perdono e del rinnovamento della vita.

La disponibilità di Dio all’indulgenza e al perdono è già mirabilmente proclamata nella prima rivelazione a Israele che la celebra nelle sue Scritture. In esse, e specialmente nei libri sapienziali, è testimoniata una volta per tutte la consapevolezza che Dio comprende e compatisce le miserie e il peccato dell’uomo la cui «sorte è penosa» (Lettura: Siracide 18,12) effondendo «su di loro la sua misericordia» (v. 11), intervenendo anche con il rimprovero, la correzione, l’ammaestramento e guidando come un buon pastore l’umanità come suo gregge (cfr. v. 13).

Una consapevolezza esaltata dalla preghiera d’Israele: «Misericordioso e pietoso è il Signore… Non ci tratta secondo i nostri peccati e non ci ripaga secondo le nostre colpe» (Salmo 102 (103) vv. 8.10).

Questa iniziale autentica rivelazione di Dio e del suo mistero trova il suo momento più alto e conclusivo nella persona di Gesù di Nazaret, il suo Figlio venuto in questo mondo. Nella sua parola e nei suoi gesti verso gli esclusi, i reprobi, i peccatori ritenuti oramai perduti, brilla la grandezza del perdono di Dio, capace di ricreare un’esistenza votata alla rovina eterna. Il brano evangelico, a tale riguardo, è una concreta manifestazione di tutto ciò. Il gesto di Gesù che “alza il suo sguardo” su Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco (Vangelo: Luca 19,2),  e gli dichiara la sua volontà di  entrare in comunione con lui andando a casa sua, è un gesto divino, capace cioè, di modificare in radice la vita di quell’uomo che, chiuso in sé stesso e prigioniero del denaro, il più terribile dei tiranni, si apre ora al dono di una nuova esistenza contrassegnata dalla carità verso i poveri, per lui, prima, inesistenti!

Prigioniero del male Zaccheo è, ora, in grado di mettere in moto, «pieno di gioia»  (v. 6), un cambiamento radicale della sua vita dopo aver sperimentato il perdono e la misericordia divina in Cristo il quale può solennemente dichiarare: «Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (v. 10).

Gesù, però, è venuto a cercare non solo «i figli di Abramo», ma ogni uomo e, nell’ora della Croce, ha donato effettivamente a tutti la salvezza e la grazia di vivere in comunione con Dio stesso. Zaccheo, pertanto, rappresenta tutti  e ci rassicura: Gesù è sulle tracce di ciascuno di noi! Egli vuole «alzare il suo sguardo» pieno di amore su quanti, al pari di Zaccheo, hanno bisogno di essere chiamati fuori dal potere del male per una nuova vita. Da Gesù la Chiesa ha imparato l’attitudine al perdono e a «far prevalere in tutto la carità» (cfr. Epistola: 2Corinzi 2,8) come possibilità di ridare vita a chi è perduto. Ne fanno fede le istruzioni date dall’Apostolo alla comunità di Corinto a proposito del trattamento da riservare a chi era caduto in un crimine così grave al punto da “rattristare” non solo Paolo ma l’intera comunità (v. 5). L’Apostolo prescrive che nei suoi confronti occorre «usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte» (v. 7).

Attenendosi a ciò, la Chiesa continuerà a portare il perdono divino fino alla fine dei tempi a chi è perduto e a restituirlo all’amore di Dio e dei fratelli in una vita fruttuosa e gioiosa.

 

 

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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