17 febbraio 2013

È la prima domenica di Quaresima, ovvero la “sesta domenica prima di Pasqua”, dalla quale prendono avvio i quaranta giorni di preparazione alle solennità pasquali che si concluderanno con l’inizio del Triduo Pasquale avviato dalla Messa «nella Cena del Signore» il Giovedì della Settimana Autentica o Santa.

Il Lezionario

Le lezioni bibliche, a partire da questa domenica, sono reperibili nel II Libro del Lezionario Ambrosiano: “Mistero della Pasqua del Signore”. Oggi sono previste: Lettura: Gioele 2,12b-18; Salmo 50 (51); Epistola: 1Corinzi 9,24-27; Vangelo: Matteo 4,1-11, vale a dire il Vangelo delle tentazioni che caratterizza questa domenica. Si deve osservare che mentre la Lettura e l’Epistola variano nel ciclo triennale, il brano evangelico rimane immutato, secondo la costante tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana.

Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Marco 16,9-16. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della I Domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Gioele (2,12b-18)

 

Così dice il Signore Dio: / 12b«Ritornate a me con tutto il cuore, / con digiuni, con pianti e lamenti. / 13Laceratevi il cuore e non le vesti, / ritornate al Signore, vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, / lento all’ira, di grande amore, / pronto a ravvedersi riguardo al male». /  14Chi sa che non cambi e si ravveda / e lasci dietro a sé una benedizione? / Offerta e libagione per il Signore, vostro Dio. / 15Suonate il corno in Sion, / proclamate un solenne digiuno, / convocate una riunione sacra. / 16Radunate il popolo, / indite un’assemblea solenne, / chiamate i vecchi, / riunite i fanciulli, i bambini lattanti; / esca lo sposo dalla sua camera / e la sposa dal suo talamo. / 17Tra il vestibolo e l’altare piangano / i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: / «Perdona, Signore, al tuo popolo / e non esporre la tua eredità al ludibrio / e alla derisione delle genti». / Perché si dovrebbe dire fra i popoli: / «Dov’è il loro Dio?». / 18Il Signore si mostra geloso per la sua terra / e si muove a compassione del suo popolo.

 

Il brano segue la descrizione dell’invasione delle cavallette, paragonate a un esercito che, al suo passaggio, distrugge ogni cosa (2,1-9). In quella sciagura il profeta vede l’annunzio del “giorno del Signore”, vale a dire del suo inesorabile giudizio sul peccato del suo popolo (vv. 10-11). Di qui l’invito alla penitenza e alla conversione del cuore messa in moto dalla certezza della misericordia divina (vv. 12-13) e quindi dalla fiducia che Dio muti il giudizio in una benedizione (v. 14). I vv. 15-17, infine, descrivono la convocazione di una riunione sacra a cui deve partecipare il popolo intero e nella quale i sacerdoti sono incaricati di presentare a Dio le suppliche dell’assemblea.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (9,24-27)

 

Fratelli, 24non sapete che, nelle corse allo stadio, tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! 25Però ogni atleta è disciplinato in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona che appassisce, noi invece una che dura per sempre. 26Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria; 27anzi tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo avere predicato agli altri, io stesso venga squalificato. 

 

Il brano è inserito in un contesto nel quale l’Apostolo rivendica, nell’esercizio del suo ministero, la libertà da tutto e da tutti sentendosi legato unicamente al Signore Gesù (9,1-23). Proprio il suo legame e la sua fedeltà al Signore esige numerose privazioni e sacrifici, che Paolo paragona a quelli compiuti dagli atleti per guadagnare la corona ossia la vittoria (vv. 24-25). Di conseguenza l’Apostolo si dichiara pronto a ogni genere di disciplina e di sacrifici pur di arrivare alla fine della sua corsa, ossia del suo servizio al Vangelo, ed essere trovato degno della corona «che dura per sempre» (vv. 26-27).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (4,1-11)

 

In quel tempo. 1Il Signore Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. 2Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. 3Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». 4Ma egli rispose: «Sta scritto: / “Non di solo pane vivrà l’uomo, / ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».

5Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio 6e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: / “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo / ed essi ti porteranno sulle loro mani / perché il tuo piede non inciampi in una pietra”».

7Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: / “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”».

8Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». 10Allora  Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti: / “Il Signore, Dio tuo, adorerai: / a lui solo renderai culto”».

11Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.

Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo di Gesù al Giordano (Mt 3,13-17) e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l’azione dello Spirito nel “condurre” Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del diavolo, una parola greca che significa “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1). Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1 Re 19,8), riferisce che Gesù «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4), che potremmo chiamare quella del pane. Essa riguarda il vero nutrimento di cui l’uomo ha davvero bisogno per vivere e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, data con la citazione del libro del Deuteronomio (8,3), consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e ora rintracciabile nelle Scritture. La seconda è la tentazione del «punto più alto del tempio» (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù (cfr. Deuteronomio 6,16), esclude la pretesa di un segno prodigioso da parte di Dio per potergli credere e obbedirgli in tutto. La terza tentazione è quella del “monte altissimo” (vv. 8-10) dal quale il diavolo mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui a una condizione: che egli volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui! Con la sua decisa risposta, presa ancora da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio. Il racconto si chiude al v. 11 con il diavolo che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli angeli che si prendono cura di Gesù.

 

Commento liturgico-pastorale

La Quaresima ha il compito di preparare tutti i fedeli alle solennità pasquali comprensive del Triduo, culminante nella solenne Veglia della Risurrezione, che è da considerare il cuore e il centro di tutto l’anno liturgico.

Come sappiamo e crediamo il Signore Gesù, nella sua Pasqua di morte e di risurrezione, ha portato a compimento l’opera della salvezza per la quale è stato inviato da Dio nel mondo. La salvezza pasquale viene a sua volta dispensata a quanti credono, per la via sacramentale che ha al suo culmine l’Eucaristia, memoriale perenne della Pasqua.

Di essa noi tutti facciamo personale, misteriosa, prima esperienza nell’acqua del Battesimo. In essa discendiamo, in verità, nella morte e nella sepoltura del Signore, distruttive dell’uomo dominato dal peccato e dal male e, da essa, rinasciamo alla grazia di una vita nuova, una vita già partecipe della risurrezione, la vita di figli adottivi di Dio, e veniamo inseriti nel suo unico Corpo che è la Chiesa.

La Quaresima, pertanto, torna ogni anno come provvidenziale memoria del Battesimo e degli eccezionali doni di grazia in esso ricevuti perché risplendano nitidi nella nostra vita. Non di rado, infatti,  essa non si presenta del tutto conforme al dono ricevuto e, al contrario, appare come soggiogata dal fascino del peccato che sfigura, anche gravemente, l’immagine di figlio scolpita in noi dallo Spirito rigeneratore.

Ciò è dovuto al fatto che, sottoposti al pari di Gesù alla tentazione e alla prova, non pochi di noi, diversamente da lui, soccombono vittime del tentatore. Di qui il carattere penitenziale della Quaresima, tesa a recuperare la grazia del Battesimo in vista delle solennità pasquali. Per questo essa ci propone un programma di vita che, a ben guardare, deve caratterizzare l’intera comunità ecclesiale e, di conseguenza, ogni singolo fedele. Vale anche per noi, infatti, l’esortazione profetica: «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore vostro Dio, perché egli è misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore, pronto a ravvedersi riguardi al male» (Lettura: Gioele 2, 12-13). Tale esortazione, rivolta un tempo al popolo dell’Antica Alleanza, la sentiamo risuonare nelle nostre assemblee liturgiche e, pertanto, chiama con forza la Chiesa, nel momento massimo della sua manifestazione, a ritornare pienamente ed esclusivamente a colui che, nel suo Figlio Crocifisso, ha lasciato «dietro a sé una benedizione» (v. 14), ovvero, il dono gratuito della salvezza. Si comprende, perciò, come il programma quaresimale abbia come suo irrinunciabile fondamento l’ascolto della Parola di Dio, inteso come assimilazione di essa, capace, dunque, di orientare in ogni momento e in ogni situazione la nostra vita e le scelte che essa ci presenta. È evidente che un simile ascolto è un dono dello Spirito che accende nei nostri cuori un vivo e insopprimibile desiderio di nutrirci di «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Vangelo: Matteo 4,4), moderando ogni altro, pur lecito, ma mondano desiderio. È ciò che il Prefazio dice esemplarmente di Mosè al quale, bastando «la parola di Dio e la luce dello Spirito che in lui discendeva», non avvertì «la fame del corpo o di altri «nutrimenti terreni», al punto di rimanere digiuno «quaranta giorni e quaranta notti» in attesa del dono divino della Legge. Forti della Parola, è possibile anche a noi resistere agli assalti subdoli o violenti del tentatore, a non cedere alla tentazione suadente del male o alla prova che compare improvvisa nella nostra esistenza e rimanere fermi, sull’esempio del Signore Gesù, nella fede e nell’abbandono filiale alla volontà divina rivelata nella sua Parola. Ed è la Parola del Signore a sostenere i nostri personali sforzi e la severa disciplina a cui, a volte, occorre sottoporci pur di non venire “squalificati” nella “gara” che è questa nostra vita e poter, così, ricevere la «corona… che dura per sempre» (1Corinzi 9,25), ossia la salvezza eterna.

Iniziamo, perciò, questi giorni di grande valore per tutta la Chiesa e per ogni fedele. Non scoraggiamoci davanti all’enormità dell’impresa qual è il nostro ritorno a Dio, alla grazia di essere e di dirci realmente suoi figli.

La sua Parola, infatti, ci dice che quell’impresa dipende sì da noi, dalla nostra penitenza, dai nostri digiuni, lacrime e preghiere, ma in definitiva la compie Dio stesso donandoci il Pane che è Cristo sua vivente Parola e che, come leggiamo nel Prefazio, «tu ora ci doni alla tua mensa, o Padre, e ci induci a bramarlo senza fine».

Ci sia di guida e di conforto, nel non facile cammino quaresimale verso la gioia della Pasqua, ciò che all’unisono diciamo con la nostra bocca e con il nostro cuore: «Camminiamo nell’amore perché Cristo ci ha amato; e godiamo di questo cibo davanti al nostro Dio. Regni nei nostri cuori la pace di Cristo, che ci ha chiamati a formare un corpo solo» (Canto Alla Comunione).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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