31 luglio 2011 – VII domenica dopo Pentecoste


1. La settima domenica “dopo Pentecoste”
   

La tappa nella storia della salvezza rappresentata dall’ingresso nella terra promessa del popolo d’Israele sotto la guida di Giosuè annunzia e prelude l’ingresso nel regno di Dio sotto la guida del Signore Gesù. Il Lezionario ambrosiano propone: Lettura: Giosuè 4,1-9; Salmo: 77; Epistola: Romani 3,29-31; Vangelo: Luca 13,22-30. Nella Messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 20,11-18, quale Vangelo della risurrezione. Le orazioni e i canti sono quelli della XVIII domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano. 


2. Vangelo secondo Luca 13,22-30    

In quel tempo. Il Signore Gesù 22passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. 23Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. 30Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».     


Commento liturgico-pastorale    

Il brano evangelico odierno è sapientemente inquadrato nel “cammino” di Gesù verso Gerusalemme dove si deve compiere il suo destino di Messia e di predicatore del Regno. L’evangelista tiene a sottolineare che l’attività principale di Gesù in marcia verso Gerusalemme è l’“insegnamento” di cui ci viene fornito un saggio nei versetti oggi proclamati dalla tonalità tipicamente “profetica”.

L’occasione gli è presentata nella domanda postagli da “un tale” (v. 23) riguardante il problema della “salvezza”: «sono pochi quelli che si salvano?». Essa riflette il dibattito, presente nel giudaismo del tempo di Gesù, che si poneva con serietà il problema della “salvezza” di tutti i membri del popolo di Israele. Sono davvero tutti membri del popolo “eletto” e dunque del popolo dei salvati?

La risposta di Gesù indica al suo interlocutore e, dunque, anche a noi che ascoltiamo, l’urgenza di “sforzarsi”, vale a dire di mettere ogni impegno per entrare nella “salvezza” immaginata come una grande aula a cui si accede, però, attraverso un’unica “porta stretta” (v. 24). Un’immagine questa che richiama con forza l’esigenza della “conversione” essenziale per la “salvezza”.

La forza del richiamo del Signore è ulteriormente indicata nella sottolineatura che: «molti cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» e soprattutto dal gesto del “padrone di casa” che chiude l’unica “porta” e misconosce quanti sono rimasti fuori (v. 25). A nulla varrà vantarsi di essersi intrattenuti con il Signore e di aver ascoltato i suoi insegnamenti.

La realtà è questa: nella sala è allestito un grande “banchetto” che è un’immagine cara ai Profeti per indicare la realizzazione definitiva della salvezza nel regno di Dio. Ciò che deve essere tenuto presente è che coloro che si credono i naturali “commensali” al banchetto della salvezza ne rimangono esclusi a differenza di altri ritenuti “esclusi” per principio che invece sono contemplati seduti «a mensa nel regno di Dio» (v 29).

Ne viene che bisogna fare di tutto, mettendosi continuamente in gioco davanti al Signore e al suo Vangelo, al fine di poter accedere, per la “porta stretta” alla mensa del Regno, alla “salvezza”. Occorre, inoltre, tenere presente che a nulla gioverà rivendicare l’appartenenza alla comunità ecclesiale qualora la nostra condotta pratica di vita risulti in dissonanza con gli “insegnamenti” del Signore.

Egli offre la “salvezza” a ogni uomo che si apre con sincerità e verità al suo Vangelo e, per questo, fa di tutto perché la propria vita sia sempre in sintonia con la sua Parola.

Questa domenica, nel presentare una tappa singolare della storia della salvezza qual è l’ingresso del popolo d’Israele nella terra promessa con il passaggio del fiume Giordano sotto la guida di Giosuè (Lettura: Giosuè 4,1-9) successore di Mosè, mette in luce come quella ”terra“ è annunzio profetico anticipatore del regno di Dio, nel quale si accede seguendo Gesù nel passaggio “stretto” vale a dire nella sua croce che per noi comporta la conversione del cuore e della vita.

Al Regno sono in verità chiamati e destinati, nel mirabile disegno di colui che non  è Dio solo dei “Giudei” ma di tutte “le genti” (Epistola: Romani  3,29), tutti gli uomini che seguono il vero Giosuè, ossia il Signore Gesù nel suo “passaggio” attraverso la croce da questo mondo al Padre e così sedersi «a mensa nel regno di Dio» temporaneamente ma efficacemente anticipata nella nostra assemblea eucaristica.

In essa  così preghiamo: «Sostieni, o Dio, il popolo dei credenti con la molteplice azione della tua grazia e preservaci da ogni inciampo del male; non lasciarci mancare mai gli aiuti necessari alla quotidiana esistenza e guidaci  alla gioia della dimora eterna» (A Conclusione della Liturgia della Parola).

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24 luglio 2011 – VI domenica dopo Pentecoste


1. La sesta domenica “dopo Pentecoste”
   

Tra i personaggi di spicco che hanno scandito la storia della salvezza un posto importante va riconosciuto a Mosè guida del suo popolo. Egli, in verità, preannunzia nella sua persona e nella sua opera quella del vero e definitivo capo, profeta e guida dell’intera umanità, vale a dire di Cristo Signore. Il Lezionario riporta le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Esodo 33,18-34,10; Salmo 76; Epistola: 1Corinzi 3,5-11; Vangelo: Luca 6,20-31. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da Matteo 28,8-10. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVII domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.  


2. Vangelo secondo Luca 6,20-31    

In quel tempo. 20Il Signore Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.
27Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, 28benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro chevi trattano male.
29A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. 30Da’  a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
31E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
   


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano odierno è preso da quella che possiamo chiamare la predicazione “pubblica” di Gesù che l’evangelista Luca ambienta, a differenza di Matteo, «in un luogo pianeggiante» (6,17-49) e si presenta diviso in due parti: vv. 20-26 e vv. 27-31.

La prima parte è composta da una serie di quattro “beatitudini” (vv. 20-22) a cui fanno riscontro quattro “guai” (vv. 24-26). In particolare le “beatitudini” riguardano coloro che nell’ambiente sociale e anche nella comunità ecclesiale sono gli ultimi, i disprezzati i respinti, gli isolati. La loro situazione descrive quella del Signore stesso il quale, pur essendo Figlio di Dio, si è “umiliato” ed è stato relegato tra gli ostracizzati, addirittura i “maledetti” da Dio! La loro condizione di vita, quaggiù, fatta di povertà, di sofferenza, di lacrime, di disprezzo e di odio è la garanzia di un radicale mutamento che si prepara per essi davanti a Dio, ovvero nel Regno.

E' quanto si è esemplarmente verificato in colui che è il prototipo di quanti sono “odiati”, messi al bando e “disprezzati” nella loro persona perché si sono a lui identificati. Dio, il Padre, ha totalmente ribaltato il giudizio degli uomini esaltando e facendo “sedere alla sua destra” il suo Figlio.

Al contrario le minacce espresse con i quattro “guai”, che ricordano da vicino le invettive dei Profeti, colpiscono in primo luogo i “ricchi” i quali, a motivo della sicurezza che deriva loro dai beni, si considerano al riparo da tutto e assumono sovente un atteggiamento di arroganza e di prepotenza nei confronti degli altri e di “indifferenza” nei confronti di Dio e dei suoi precetti. Anche per costoro si prepara un radicale mutamento nel regno di Dio.

Nell’ultima parte (vv. 27-31) sono racchiuse alcune esortazioni «a voi che mi ascoltate» ossia a coloro che hanno udito la Parola, l’hanno accolta nel loro cuore, facendosi così “discepoli”. A essi, nei quali speriamo di poter essere anche noi annoverati, Gesù dà una serie di comandi che hanno al centro quello della carità vale a dire dell’amore del tutto gratuito, disinteressato e che non si attende il contraccambio.

L’amore, che è proprio di Dio, si manifesta come avviene in lui nella benevolenza verso  tutti, compresi i nemici e i malvagi. Questa misura alta della carità è la norma data dal Signore stesso ai suoi discepoli, i quali “devono” letteralmente «amare i nemici, fare del bene a coloro che li odiano, benedire chi li maledice, pregare per chi li maltratta» (cfr. vv. 27-28). Si tratta di una “norma” alla quale ogni discepolo dovrà tendere, domandando a Dio incessantemente la grazia di poterla vivere concretamente nell’esistenza quotidiana.

Occorre inoltre comprendere che nessun’altra regola o norma di vita può precedere o mettere in ombra questa uscita dal cuore del Signore, il primo ad averla osservata fino a porgere non soltanto la “guancia” ma tutto sé stesso a chi lo percuote e lo umilia fino alla morte.

Letto nel contesto liturgico del Tempo “dopo Pentecoste” incaricato di ripercorrere le più importanti tappe della storia della salvezza così come di presentarne i personaggi più significativi, il brano evangelico evidenzia come Gesù abbia portato a pieno compimento ciò che era annunziato nella figura di Mosè.

La Lettura, infatti, sottolinea il ruolo di guida, di maestro, di profeta e di intercessore proprio di Mosè che sul monte Sinai poté vedere la gloria di Dio che consiste di fatto nella sua grande bontà (cfr. Esodo 33,18-23) e dal quale ha ricevuto la promessa: «Ecco, io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione» (Esodo 34,10).

Noi crediamo che la “gloria di Dio” ovvero la rivelazione di lui come bontà e amore verso tutti è stata manifestata in pienezza dal Signore Gesù nelle sue parole e nelle sue opere, segnatamente nella sua croce.

Così è dell’“alleanza”, della comunione indissolubile cioè che lega Dio stesso all’uomo. Quella stabilita con Mosè sul Sinai scritta su “due tavole di pietra” (Esodo 34,1) fu un vero “patto” tra Dio e il suo popolo Israele, stipulato, però, come annunzio profetico dell’alleanza “nuova ed eterna” nel suo Figlio Gesù il cui Spirito la incide per sempre nel cuore dei fedeli.

Essa ha come unica norma e clausola l’osservanza della carità, quella di Dio, usata da lui nei riguardi di tutti anche degli empi e dei malvagi. Per questo l’Orazione all’Inizio dell’Assemblea Liturgica così prega: «O Dio, che nell’amore verso di te e verso il  prossimo hai posto il fondamento di tutta la legge, fa che, osservando i tuoi comandamenti, meritiamo di entrare nella vita eterna».

E' la carità, dunque, il “fondamento” sul quale viene costruito l’“edificio di Dio” (Epistola: 1Corinzi 3,9) vale a dire la Chiesa quale comunità dei credenti e su di esso devono continuare a costruire coloro che nella Chiesa si succedono come “servitori” (v. 5) nel compito di guida dei fratelli. Ed è quanto ci esorta a fare l’antifona Alla Comunione: «Camminiamo nella carità, come anche Cristo ci ha amato e ha dato sé stesso per noi, offrendosi in sacrificio di soave profumo».

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17 luglio 2011 – V domenica dopo Pentecoste


1. La quinta domenica “dopo Pentecoste”   
 

Presenta, nella graduale riproposizione della storia della salvezza propria di questo tempo liturgico, la figura di Abramo come esemplare per i credenti e i discepoli di tutti i tempi. Il Lezionario riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 11,31.32b-12,5b; Salmo: 104; Epistola: Ebrei 11,1-2.8-16b; Vangelo: Luca 9,57-62. Alla Messa vespertina del sabato si legge Giovanni 20,1-8 come Vangelo della risurrezione. Le orazioni e i canti sono quelli della XVI domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Luca 9,57-62    

In quel tempo. 57Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». 59A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». 60Gli replicò:«Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». 61Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». 62Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno di Dio».    


3. Commento liturgico.pastorale      

Il brano odierno è preso dal racconto del viaggio di Gesù verso Gerusalemme avviato dalla solenne affermazione del v. 51: «Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme». In tale racconto l’Evangelista incornicia la vicenda storica del Signore come un deciso andare incontro alla passione e morte nella città santa di Gerusalemme.

In particolare il brano si apre con la dichiarazione entusiastica di un anonimo accompagnatore di Gesù: «Ti seguirò dovunque tu vada» (v. 57). è degno di nota il fatto che egli si senta spinto a seguire Gesù senza porre alcuna condizione. Con la sua risposta (v. 58) Gesù fa capire che la sequela esige una dedizione senza riserve e senza umane aspettative.

Nella seconda parte del nostro brano (vv. 59-61) è Gesù stavolta a chiamare alla sua sequela, ottenendo una risposta positiva accompagnata da una richiesta: «permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Questa, oltre a indicare l’amore filiale verso il proprio genitore, è un’esigenza precisa che discende dalla Legge la quale, com’è noto, prescrive di “onorare il padre e la madre”.

La sorprendente risposta di Gesù sottolinea che, con la chiamata, si riceve una “nuova vita” per cui chi non lo “segue” è come “morto”! La nuova “vita” è contraddistinta dalla dedizione esclusiva all’annunzio del regno di Dio collaborando, in questo, alla missione stessa di Gesù. Per questo non è consentito attardarsi e indugiare in altro.

I vv. 61-62 infine registrano un’adesione spontanea alla “sequela” anch’essa, però, subordinata in qualche modo a pur legittime umane esigenze come quella di prendere congedo “da quelli di casa mia”. La risposta del Signore si rifà da una parte alla chiamata di Eliseo al quale il profeta Elia permette di andare a salutare i suoi genitori (cfr. 1Re 19,20), ma dall’altra la supera con l’esigenza ancora più forte posta da Gesù in ordine alla dedizione totale di sé per il regno di Dio.

La Scrittura  offre al riguardo una testimonianza esemplare valida per tutti i tempi: quella di Abramo. Egli diventa il modello e il prototipo di quanti ricevono una chiamata divina e a essa rispondono con una disponibilità piena, senza condizioni o riserve. è ciò che abbiamo ascoltato a proposito della prima chiamata di Dio ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò» (Lettura: Genesi 12,1) e l’immediata reazione di questi: «Allora Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore» (v. 4).    
L’autore della Lettera agli Ebrei indica nella “fede” descritta come «fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede» (Epistola: Ebrei 11,1) la motivazione interiore che muove Abramo a rispondere con risoluzione pronta e decisa alla chiamata che viene dall’alto. Dobbiamo, al riguardo, confessare che siamo come spiazzati dalle forti esigenze della “sequela” che  spesso ci chiede di “ partire senza sapere dove andare“, ossia di consegnarci senza comprensibili umane “garanzie” alla volontà di Dio che ha grandi progetti su ognuno di noi, chiamati a collaborare per l’annunzio e la diffusione del suo Regno.

Nella celebrazione eucaristica teniamo davanti agli occhi il Signore Gesù che per primo si consegnò prontamente e senza condizioni al volere del Padre, anche quando tale volere gli additava la croce. Da lui, perciò, accogliamo l’invito a fare altrettanto e la grazia necessaria per “andare” effettivamente sulle vie misteriose e grandi della volontà divina.  

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10 luglio 2011 – IV domenica dopo Pentecoste


1. La quarta domenica “dopo Pentecoste”   
 

Presenta il “mistero” del male e del peccato che sembrano dominare la storia e il cuore dell’uomo e che il Signore Gesù ha vinto con la sua Pasqua di morte e di risurrezione. I brani biblici proposti nel Lezionario ambrosiano sono: Lettura: Genesi 6,1-22; Salmo: 13; Epistola: Galati 5,16-25; Vangelo: Luca 17,26-30.33. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da: Luca 24,9-12. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XV domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.    


2. Vangelo secondo Luca 17,26-30.33    

In quel tempo. 26Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: 27mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. 28Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; 29ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. 30Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. 33Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva».      


3. Commento liturgico-pastorale    

I versetti oggi proclamati sono presi dal brano che riporta gli insegnamenti di Gesù relativi al regno di Dio e alla fine dei tempi (17,20-37) e occasionati dalla domanda a lui rivolta dai farisei: «Quando verrà il regno di Dio?» (v. 20).

In particolare il brano odierno riferisce alcuni di quegli “insegnamenti” destinati da Gesù ai suoi “discepoli” (v. 22) a quanti, cioè, hanno deciso di seguirlo. Va anche evidenziato come egli tiene a precisare che la sua “manifestazione” gloriosa alla fine dei tempi è preceduta dalla «necessità che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione» (v. 25).

Si comprende così come Gesù, citando gli eventi drammatici della storia di Noè riportata nella odierna Lettura, esorti i suoi discepoli a non mettersi nell’atteggiamento di “questa generazione” che è identico a quello degli uomini del tempo di Noè. I quali, tutti intenti e occupati esclusivamente nelle realtà proprie di questo mondo provvisorio, «prendevano moglie, prendevano marito», dimostravano di essere in nulla preoccupati della subitaneità della manifestazione ultima del Signore continuando, perciò, come nulla fosse, a “mangiare e a bere” (v. 27). In questo caso la venuta del Signore sarà distruttiva così come alla venuta del diluvio che «li fece morire tutti» (v. 27).

La stessa esortazione è ripresa con forza ai vv. 28-29 dove si fa memoria del tempo di Lot contrassegnata, stando a quanto leggiamo nel libro della Genesi cap. 19, da una impressionante degenerazione morale degli abitanti di Sodoma e Gomorra, tutti intenti alle cose materiali (v. 28) e incuranti del giudizio di Dio evocato da Gesù con l’immagine della «pioggia di fuoco e zolfo dal cielo» che «li fece morire tutti» (v. 29).

La conclusione del v. 30: «Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà» appare un’ulteriore esortazione del Signore rivolta ai suoi discepoli perché si guardino da quella “noncuranza” del giudizio divino che ha decretato la rovina degli uomini al tempo di Noè e di Lot e che si manifesterà in pienezza con la manifestazione gloriosa del Signore.

Non facciamo difficoltà a sentire diretta anche a noi, discepoli del Signore, in questo nostro momento storico l’esortazione a guardarci dal concepire l’esistenza terrena sganciata dalla superiore necessità di essere anche disposti a “perdere la vita” per poterla in verità “salvare” (v. 33).

In questo caso significa non solo e non tanto essere pronti a “dare” la nostra vita per il Signore, ma soprattutto non cadere nell’errore che essa dipenda e si regga sulle cose e sulle realtà di questo mondo così esemplificate ai vv. 27 e 28: «mangiavano, bevevano, compravano, vendevano,  costruivano, prendevano moglie e marito», il cui possesso sembra garantirci la “vita”.

Proprio un simile modo di pensare e di vivere non soltanto espone l’uomo al pericolo di “perdere la vita” e per sempre nella rovina eterna, ma introduce fatalmente nel tessuto sociale la corruzione, la perversione e la violenza (Lettura: Genesi 6,5.11-12) causa del rigetto di Dio stesso così espresso: «Cancellerò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e, con l’uomo, anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito di averli fatti» (v. 7).

L’alternativa proposta dalla parola di Dio al fine di sfuggire al potere distruttivo del male è quella espressa così dall’Apostolo: «camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne» (Epistola: Galati 5,16). La partecipazione all’Eucaristia celebrata «finché il Signore venga» tiene desta nella Chiesa e in tutti noi credenti la convinta disponibilità a “perdere” la nostra vita, ovvero a non anteporre nulla al Signore Gesù. Egli nel dono incessante dello Spirito ci dona anche di «camminare secondo lo Spirito» rifuggendo dalle “opere” mortifere della “carne” che ci escludono dall’eredità del regno di Dio unica nostra vera e definitiva prospettiva di salvezza.

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