2 giugno 2013 – II Domenica dopo Pentecoste

Con le successive tre domeniche rappresenta un primo momento nel tempo “dopo Pentecoste”, dedicato alla riproposizione della storia della salvezza che ha il suo culmine nella Pasqua del Signore attualizzata nella celebrazione eucaristica. In particolare, questa domenica sviluppa il primo momento della storia della salvezza, vale a dire la creazione del mondo, considerata autentica prima autorivelazione di Dio.

 

Il Lezionario

 

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici rintracciabili nel Libro III del Lezionario ambrosiano intitolato: “Mistero della Pentecoste”: Lettura: Siracide 18,1-12; Salmo 135 (136); Epistola: Romani 8,18-25; Vangelo: Matteo 6,25-33. Luca 24,1-8 viene letto nella Messa vigiliare del sabato come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della IX domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano).

 

Lettura del libro del Siracide (18,1-2.4-9a.10-13)

 

1Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo. / 2Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. / 4A nessuno è possibile svelare le sue opere / e chi può esplorare le sue grandezze? / 5La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? / chi riuscirà a narrare le sue misericordie? / 6Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, / non è possibile scoprire le  meraviglie del Signore. /7Quando l’uomo ha finito, allora comincia, / quando si ferma, allora rimane perplesso. / 8Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? / Qual è il suo bene e il suo male? / 9aQuanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti. / 10Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, / così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. / 11Per questo il Signore è paziente verso di loro / ed effonde su di loro la sua misericordia. / 12Vede e sa che la loro sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono. / 13La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, / la misericordia del Signore ogni essere vivente.

 

Il brano riporta, quasi per intero, un canto di lode alla grandezza di Dio (vv. 1-7) che «ha creato l’intero universo» (v. 1); che tutto regge con la sua potenza (v. 3) e che rimane inaccessibile alla mente umana (vv. 4-7). I vv. 8-10 descrivono, al contrario, la piccolezza dell’uomo verso il quale Dio usa pazienza, misericordia e perdono (vv. 11-12).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (8,18-25)

 

Fratelli, 18ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. 19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

 

Il presente brano paolino, intende mettere in luce come la creazione, nel bene e nel male, partecipa alla sorte dell’uomo. Qui in particolare viene descritta in attesa spasmodica della manifestazione del felice destino che attende i figli di Dio, al quale anch’essa potrà prenderà parte (v. 19), essendo stata, suo malgrado, coinvolta nella disgrazia dell’uomo a causa del suo peccato (v. 20). Essa, paragonata a una partoriente, aspetta di essere liberata «dalla schiavitù della corruzione» tra gemiti e sofferenze (vv. 21- 22). Lo stesso gemito dell’uomo che attende la redenzione del corpo, ossia la sua partecipazione piena alla grazia dell’adozione filiale di cui possiede la primizia mediante il dono dello Spirito (v. 23), attesa vissuta nella speranza e nella perseveranza della fede (vv. 24-25).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (6,25-33)

 

In quel tempo. Il signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «25Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

 

Il brano evangelico fa parte della sezione che riguarda il discorso del monte (5,1-7,29), ovvero del discorso programmatico del regno rivolto da Gesù alla folla e ai discepoli. Il brano, in particolare, è in qualche modo legato dal detto relativo al non preoccuparsi, al non affannarsi per le necessità materiali (v. 25, v. 27, v. 28, v. 31). Notiamo una prima esortazione del Signore (v. 25) a non affannarsi per le realtà materiali relative alla conservazione della vita (= mangiare e bere) e alla salvaguardia del corpo (= vestito). Esortazione conclusa da un interrogativo retorico sulla preminenza della vita e del corpo rispetto al cibo e al vestito. Seguono due paragoni riguardanti rispettivamente la preoccupazione per la vita con il richiamo agli «uccelli del cielo» nutriti da Dio stesso (v. 26) e la salvaguardia del corpo con il richiamo ai «gigli del campo» splendidamente “vestiti” da Dio stesso (v. 28-30). Con una seconda esortazione a guardarsi dall’affanno (v. 31) viene detto come un simile atteggiamento è proprio dei pagani, di quanti, cioè, non conoscono e, quindi, non credono nella provvidente paternità di Dio per ogni sua creatura (v. 32). Il brano culmina nell’esortazione finale del v. 33 a cercare invece «il regno di Dio e la sua giustizia».

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, culmine della Pasqua del Signore, anima la comunità dei credenti, la guida nella comprensione più profonda e nell’accoglienza più veritiera della Parola portata a noi dal Cielo dal Signore Gesù, il cui insegnamento è prolungato proprio dal suo Spirito.

Comprendiamo perciò che il mistero del Signore Gesù, a partire dalla sua venuta nel mondo, fino alla sua immolazione sulla croce, la sua risurrezione, il suo ritorno al Padre come Figlio obbediente, è il centro di una più ampia storia, quella della salvezza. Essa ha il suo esordio, a partire dalla creazione del mondo, nell’elezione e nell’alleanza con Israele e il suo  culmine nella Pasqua del Signore che la sua Chiesa  annunzia e attualizza Signore fino alla fine dei tempi.

La sapiente organizzazione della lettura liturgica della Scrittura, per il “Tempo dopo Pentecoste”, che prende avvio dal lunedì dopo la citata solennità e si conclude con il sabato che precede la prima domenica di Avvento, distribuisce in un così prolungato spazio temporale le più importanti tappe della storia della salvezza che ha la sua chiave interpretativa nella Pasqua del Signore perennemente attualizzata nella sua celebrazione sacramentale, ossia nella celebrazione eucaristica.

In questa seconda domenica del Tempo dopo Pentecoste, le Sacre Scritture ci illuminano sull’esordio della storia della salvezza, qual è considerata la creazione, ritenuta autentica “autorivelazione” di Dio.

I testi biblici, oggi proclamati, affermano con decisione che tutto ciò che esiste: il cosmo, la terra popolata di piante e di animali e, specialmente, l’uomo, in una parola, l’intero universo, è stato creato da «Colui che vive in eterno», da Dio (Lettura: Siracide 18,1).

A tale incrollabile certezza la Scrittura aggiunge un’ulteriore, decisiva precisazione: Dio non abbandona l’opera delle sue mani, ma si prende cura di ogni sua creatura: gli uccelli del cielo il cui nutrimento è preparato da Dio stesso, i gigli del campo ai quali Dio dona un “vestito” così magnifico al punto che «neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Vangelo: Matteo 6,29).

Su tale precisazione si innesta la cura del tutto speciale di Dio verso l’uomo, che è senza dubbio creatura e, dunque, limitato nella consistenza del suo stesso essere: intelligente, ma non certo onnisciente, capace di valutare tra il bene e il male ma non autore e legislatore del bene e del male. L’uomo, infine, è per natura sua mortale. «Cento anni», infatti, per l’uomo «sono già molti» ovvero: «Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità» (Siracide 18, 10).

È proprio questa innata fragilità a far battere di amore il cuore di Dio per l’uomo sua creatura, indubbiamente il capolavoro dell’intero universo perché reliquia autentica di lui! Un amore che il suo unico Figlio è venuto a predicare e a diffondere su questa terra rivelando che Dio, incommensurabile nella sua potenza e nella sua inviolabile e inaccessibile maestà (cfr. Siracide 18,5) è un Padre!

Un Padre che sa di che cosa ha davvero bisogno l’uomo oltre il pur necessario cibo e vestito (cfr. Matteo 6,32). L’uomo ha bisogno di perseguire quella giustizia che non è di questo mondo, ma che appartiene al mondo di Dio, ovvero al suo regno introdotto sulla terra nella persona del suo Figlio (v. 33).

Si intravede qui qualcosa di ben più grande del limite proprio dell’uomo in quanto creatura e che muove Dio alla pazienza, al perdono e alla misericordia verso la «sorte penosa dell’uomo» e, di conseguenza, di «ogni essere vivente» (Siracide 18, 11-13). Si tratta della caduta nel peccato. Una caduta che coinvolge il resto della creazione strettamente legata all’uomo per volere divino. Questa, infatti, «è stata sottoposta alla caducità» non certo per sua colpa, ma a causa del peccato che l’uomo ha commesso e continua a commettere nella sua fragilità (Epistola: Romani 8, 20). Sicché la speranza del riscatto della creazione da questa triste situazione di corruzione e di degrado dipende dall’attuazione di quella speranza data all’uomo dallo Spirito che parla al suo cuore. 

Egli lo assicura non solo della «redenzione del suo corpo», frutto della Pasqua del Signore, ma gli fa intravedere una meta impensabile alla sua piccolezza. Una meta che segna «l’ardente aspettativa della creazione… protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (v. 19), ossia l’«adozione a figli» (v. 23).

Non ci resta perciò che rimanere attoniti di fronte alla sapienza e alla grandezza di Dio, confidare nella sua premurosa bontà paterna, nella sua misericordia e indulgenza verso la nostra pochezza, credere con perseveranza che Dio può fare questo e molto di più elevandoci alla gloria futura che grazie al Signore Gesù, «sarà rivelata in noi» (v. 18).

La gloria di divenire e di essere in verità figli di Dio. Gloria che l’intera creazione attende tra gemiti e sofferenze per entrare anch’essa «nella libertà della gloria dei figli di Dio» (v. 21) e di cui si fa interprete la preghiera liturgica: «O Dio, che a quanti ti amano hai preparato la ricchezza di un mondo ancora invisibile, infondi nei nostri cuori un affetto più puro per te; donaci di ricercarti in ogni creatura e in ogni evento, di desiderarti sopra tutte le cose e di conseguire l’adempimento delle tue promesse» (orazione  A Conclusione della Liturgia della Parola).

Pubblicato il - Commenti ()

30 maggio 2013 – SS. Corpo e Sangue di Cristo

Il Calendario liturgico proprio della nostra Chiesa ambrosiana fa celebrare l’odierna solennità nel suo giorno tradizionale, vale a dire il giovedì successivo a quella della Santissima Trinità. Essa ci invita a ravvivare la fede nella presenza del Signore Gesù nel pane e nel vino dell’Eucaristia. Una presenza da intendersi come “vera”, “reale” e “sostanziale”.

 

Il Lezionario

 

Registriamo le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Genesi 14,18-20; Salmo 109 (110); Epistola: 1Corinzi 11,23-26; Vangelo: Luca 9,11b-17. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della solennità nel Messale ambrosiano).

 

Lettura del libro della Genesi (14,18-20)

 

In quei giorni. 18Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo 19e benedisse Abram con queste parole:

«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, / creatore del cielo e della terra, / 20e benedetto sia il Dio altissimo, / che ti ha messo in mano i tuoi nemici». / Ed egli diede a lui la decima di tutto.

 

I due versetti introducono il misterioso personaggio di Melchisedek (= il mio re è giustizia), re di Salem (= Gerusalemme) , del quale si dice che era «sacerdote del Dio altissimo», lo stesso Dio di Abram. Qui si parla dell’offerta di pane e vino da lui fatta ad Abram, su cui invoca la benedizione divina.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (11,23-26)

 

Fratelli, 23io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane 24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me». 25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».26 Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.

 

I versetti, qui riportati, fanno parte di un più ampio contesto nel quale l’Apostolo dà particolareggiate disposizioni su come celebrare la «cena del Signore» (vv. 17-34). In particolare Paolo afferma che quanto sta per “trasmettere” è ciò che egli stesso ha “ricevuto” (v. 23). Segue il racconto della “cena”, nella quale il Signore pronunzia sul pane (v. 24) e quindi sul calice (v. 25) la benedizione con le parole che ne fanno rispettivamente il «suo corpo» e il «suo sangue» e l’ingiunzione di fare ciò in sua memoria. Il v. 26, infine, chiarisce che mangiando il pane e bevendo al calice i credenti ripresenteranno la morte redentrice del Signore.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (9,11b-17)

 

In quel tempo. Il Signore 11bprese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo, qui siamo in una zona deserta». 13Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». 14C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». 15Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. 16Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

 

Il racconto è inserito nel più ampio insegnamento di Gesù sul regno di Dio e nel racconto della  sua opera di guarigione dei malati (v. 11b). Intervengono per primi i Dodici che chiedono a Gesù di congedare la folla che lo segue (v. 12). A essi, in modo sorprendente, Gesù risponde ordinando di sfamare loro stessi la folla, cosa ritenuta impossibile dagli Apostoli (vv. 13-14). I vv. 14-16 riportano il comando di Gesù circa la composizione ordinata della folla, i suoi gesti sul pane e sui pesci accompagnati dalla preghiera di benedizione e la loro distribuzione alla moltitudine. Il v. 17, infine, sottolinea l’abbondanza del cibo procurato da Gesù e capace di sfamare fin oltre la sazietà: sono infatti dodici le ceste di avanzi.

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’odierna solennità del Signore, istituita nel Medioevo per rafforzare tra i fedeli la convinzione di fede nella presenza reale del Signore Gesù nel pane e nel vino della Messa, è un’ulteriore occasione per penetrare con sguardo pieno di amore e di ammirato stupore nel grande mistero dell’Eucaristia.

Ci guida la Parola divina che ancora una volta ci consegna ciò che il Signore ha fatto nell’ultima Cena consumata con i suoi discepoli prima di consegnarsi alla morte di Croce.

La consegna ci arriva per bocca dell’apostolo Paolo il quale ha «ricevuto dal Signore» stesso quanto ha poi incessantemente trasmesso alle generazioni dei credenti fino ad oggi (Epistola: 1Corinzi 11,23). La consegna riguarda le parole e i gesti compiuti dal Signore sul pane e sul calice rispettivamente designati come il suo corpo e come il suo sangue, quello dell’Alleanza nuova ed eterna tra Dio e l’uomo (v. 25) e l’ingiunzione: «Fate questo in memoria di me» (v. 25). 

L’ordine, si badi, è quello di ripetere i suoi stessi gesti e le sue stesse parole sul pane e sul calice «in memoria di me», al fine di ripresentare nel pane e nel vino, la sua morte, ossia l’evento fondativo della salvezza.

Nella sua morte evocata nel pane e nel vino, segni sacramentali del suo corpo offerto e del suo sangue versato, il mondo è redento, riscattato dalla condizione di totale sottomissione al potere delle tenebre, le colpe cancellate e rimesse, l’uomo è restituito alla comunione con Dio distrutta dal peccato in un vincolo indistruttibile perché sigillato nel sangue del suo Figlio.

Il testo evangelico, incentrato sull’evento prodigioso della moltiplicazione dei pani e dei pesci, mette in luce come il Signore, sfamando la folla con un cibo materiale, intende annunciare il dono di un cibo spirituale che egli darà e che è il suo Corpo e il suo Sangue significati nel pane e nel vino profeticamente offerti da Melchisedek, misterioso re di Salem, ad Abramo e accompagnati da una preghiera di benedizione al Dio Altissimo (cfr. Lettura: Genesi 14).

Nell’Eucaristia è lo stesso Signore Gesù a procurare agli uomini che lo seguono e lo cercano tra le asperità della vita, un cibo che dà forza e una bevanda che lava ogni colpa (cfr. Prefazio II). Un cibo inesauribile, dato in sovrabbondanza e senza misura perché «una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra» (Prefazio I).

Questo è ciò che noi fedeli abbiamo ricevuto e che noi dobbiamo a nostra volta trasmettere: nel Corpo e nel Sangue del Signore Gesù c’è pace, vita, salvezza, riconciliazione, nutrimento per una vita senza tramonto.

Notiamo, infine, come Gesù, alla dichiarazione di impotenza dei Dodici a dare da mangiare alla folla che lo seguiva (Luca 9,13), reagisce procurando lui stesso il cibo necessario ma lo affida ad essi perché lo distribuissero alla moltitudine (v. 16).

La Chiesa, raffigurata nei Dodici, ha sempre a disposizione il “cibo celeste” e lo distribuisce con totale generosità perché tutti assaporino la bontà del Signore e vivano nella riconciliazione e nella sua pace.

Al Signore Gesù che riconosciamo nel pane e nel vino dell’altare diciamo con fede: «Ti lodiamo, Signore onnipotente, glorioso  re di tutto l’universo. Ti benedicono gli angeli e gli arcangeli, ti lodano i profeti con gli apostoli. Noi ti lodiamo, o Cristo, a te prostrati, che venisti a redimere i peccati. Noi ti invochiamo, o grande Redentore, che il Padre ci mandò come pastore. Tu sei il Figlio di Dio, tu il Messia che nacque dalla Vergine Maria. Dal tuo prezioso sangue inebriati, fa’ che siam da ogni colpa liberati» (canto Alla Comunione).

Pubblicato il - Commenti ()

26 maggio 2013 – Santissima Trinità

Tiene il posto della prima domenica dopo Pentecoste e ci invita ad adorare con fede il mistero della Trinità Santissima, Trinità d’amore dalla quale discende il disegno divino di salvezza per il mondo e per l’umanità.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 18,1-10a; Salmo 104 (105); Epistola: 1 Corinzi 12,2-6; Vangelo: Giovanni 14,21-26. Alla Messa vigiliare del sabato viene letto Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della solennità nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro della Genesi (18,1-10a)

 

In quei giorni.1Il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. 2Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, 3dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. 4Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. 5Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
6Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». 7All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. 8Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.

9 Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». 10Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».

 

Il brano riporta il racconto della visita di Dio fatta ad Abramo presso le querce di Mamre. Egli appare sotto le sembianze di “tre uomini” che Abramo si affretta ad accogliere secondo i criteri dell’ospitalità orientale ma rivolgendosi ad essi al singolare, come se i tre fossero uno (vv. 1-5). I vv. 6-8 riferiscono dei preparativi messi in atto da Abramo e da sua moglie Sara per accogliere degnamente i tre misteriosi personaggi, i quali accettano di consumare il pasto ad essi imbandito. Il brano si conclude ai vv. 9-10 con l’annunzio della prossima maternità di Sara.

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (12,2-6)

 

Fratelli,2voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. 3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo.

4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.

 

Il brano illustra l’attività dello Spirito Santo nel condurre i fedeli, strappati agli «idoli muti» (v.2), alla professione di fede in Gesù riconosciuto come «Signore!», ossia come colui che ha potere su ogni cosa (v. 3). Ed è lo Spirito Santo a elargire ai fedeli doni e carismi i quali, pur diversi, provengono tutti da lui. Essi sono anche chiamati ministeri in quanto sono utili all’edificazione della comunità (vv.4-6).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (14,21-26)

 

In quel tempo. Il Signore disse ai suoi discepoli: «21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».

22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.

25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che io Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Il brano riporta alcune promesse fatte da Gesù ai suoi, nel Cenacolo, prima di consegnarsi volontariamente alla morte. Al v. 21 promette, a chi lo ama, ossia a chi accoglie e osserva i suoi comandamenti, di essere, a sua volta, amato da Dio, il Padre, e da lui stesso, da Gesù che si rivelerà nella sua più piena identità di Figlio. A Giuda, quello di Giacomo, che gli chiede perché non intende manifestarsi al mondo (v. 22), egli risponde ritornando sulla necessità di osservare la sua parola per essere amati dal Padre e godere della simultanea presenza del Padre e del Figlio (v. 23). Al contrario, chi non ama Gesù, non è in grado di mettere in pratica la parola che egli trasmette e che è del Padre (v. 24). I vv. 25-26, infine, riportano la promessa dell’invio dello Spirito Santo da parte del Padre sui discepoli una volta che Gesù, compiuta la sua pasqua, ritorna a Dio da cui è venuto. Il compito dello Spirito sarà quello di insegnare ossia di interiorizzare nell’animo dei credenti la parola del Signore e di farla rivivere nella comunità dei credenti.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il Tempo “dopo Pentecoste” che accompagna il cammino della Chiesa fino alla ripresa di un nuovo anno liturgico, è destinato a far comprendere alla Chiesa come nello Spirito, effuso quale dono supremo della Pasqua, le è dato accedere alla persona del suo Signore e Salvatore Crocifisso e Risorto e, quindi, alla salvezza.

Una salvezza, quella offerta e data in Cristo, che procede da un disegno per noi inaccessibile, ideato nel seno della Trinità d’amore e che consiste nella redenzione del mondo dal suo terribile naufragio dovuto al peccato e dal conseguente suo assoggettamento al potere delle tenebre. Di questo disegno è venuto a parlarci lo stesso Verbo di Dio divenuto uno di noi nel seno di Maria, nato come uomo a Betlemme e che ha realizzato quel disegno morendo per i nostri peccati e risorgendo dai morti per aprire anche a noi la via verso la Vita, quella stessa di Dio!

In questa domenica, pertanto, le Scritture che ci permettono di udire la Parola vivente di Dio, guidano i nostri animi a penetrare nell’insondabile mistero della Vita divina che si rivelò, per la prima volta ad Abramo, nei tre misteriosi personaggi che si presentano alla sua tenda «nell’ora più calda del giorno» (Lettura: Genesi 18,1) e ai quali, per impulso divino, si rivolge come ad una sola persona: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo» (v. 3). Cosa, questa, riscontrabile anche nella promessa dei tre uomini fatta, però, in prima persona: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio» (v. 10).

Toccherà però al Verbo di Dio divenuto uomo portarci la pienezza della rivelazione: parlandoci di Dio come del Padre e dicendo di essere il suo Unico Figlio che è stato mandato nel mondo perché gli uomini che crederanno in lui diventino a loro volta figli!

È ciò che Gesù afferma a proposito di colui che, avendo accolto la sua Parola, la osserva, ossia la vive come segno concreto del suo amore per lui. Questi «sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Vangelo: Giovanni 14,21) ovvero, con parole ancora più esplicite: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (v. 23).

L’incredibile esperienza che il Signore prospetta a quanti lo amano è dunque quella di sperimentare, fin da ora, la comunione di vita con il Padre e il Figlio e, dunque, con la “vita divina”. Chi può comprendere tutte queste cose umanamente impensabili e di per sé inaccessibili alla nostra mente?

Del resto l’Apostolo avverte che non siamo in grado nemmeno di dire: «Gesù è Signore!» (Epistola: 1 Corinzi 12,3), ossia di avere nel cuore e, dunque, sulle labbra la professione di fede in Gesù, «se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (v. 3) ovvero se non viene raggiunti da un’illuminazione dall’Alto.

Sarà perciò l’irrompere dello Spirito Santo che il Padre manda come guida, consolatore e difensore dei credenti a “insegnare” le cose grandi che ci riguardano e che Gesù, in persona, ci ha rivelato (cfr. Giovanni 14,26). È lo Spirito Santo, perciò, a guidarci nell’adesione di fede e di amore a Gesù e dunque a immetterci nella comunione con la Vita divina, la vita delle Tre Divine Persone, un solo Dio!

È ciò che ci fa autorevolmente dire l’orazione All’Inizio dell’assemblea Liturgica: «Dio Padre, che mandando agli uomini la Parola di Verità e lo Spirito di santificazione ci hai rivelato il tuo mistero mirabile, donaci di confessare la vera fede e di riconoscere la gloria della trinità eterna, adorando l’unità nella maestà divina».

Pubblicato il - Commenti ()

19 maggio 2013 – Domenica di Pentecoste

 

Celebra il mistero dell’effusione dello Spirito Santo sugli apostoli, al compimento dei cinquanta giorni di Pasqua, secondo la promessa del Signore.

Per l’odierna solennità la tradizione liturgica della nostra Chiesa Ambrosiana presenta due schemi di brani biblici e di testi ecologici, rispettivamente per la Messa “della Vigilia” da celebrare nel contesto della Liturgia vigiliare vespertina e per la Messa “nel giorno”. È anche prevista, qualora si celebri il Battesimo, la Messa “per i battezzati” con un proprio formulario eucologico e le rispettive lezioni bibliche.

 

La Messa della Vigilia

 

Normalmente deve essere celebrata nel contesto della Liturgia vigiliare del sabato sera organizzata sul modello della Veglia Pasquale.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione di quattro Letture vetero-testamentarie: Genesi 11,1-9; Esodo 19,3-8.16-19; Ezechiele 37,1-14; Gioele 3,1-5; dell’Epistola: 1 Corinzi 2,9-15a e del Vangelo: Giovanni 16,5-14.

 

Lettura del libro della Genesi (11,1-9)

 

In quei giorni. 1Tutta la terra aveva un’unica lingua e uniche parole. 2Emigrando dall’oriente, gli uomini capitarono in una pianura nella regione di Sinar e vi si stabilirono. 3Si dissero l’un l’altro: «Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. 4Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra». 5Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavano costruendo. 6Il Signore disse: «Ecco, essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; questo è l’inizio della loro opera, e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. 7Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». 8Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. 9Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.

 

Il brano racconta la storia della torre di Babele, ambientata nella Mesopotamia e la cui costruzione è attribuita agli uomini delle origini uniti da «un’unica lingua e uniche parole» desiderosi di «farsi un nome» (vv. 1-4). Dio, perciò, interviene facendo sì che l’unica lingua, finora parlata dagli uomini, si confonda in una molteplicità di linguaggi incapaci di comprendersi fra di essi (vv.5-8). Il v. 9 mette in luce la successiva dispersione dell’umanità prima raggruppata in un unico luogo e unita da un’unica lingua.

 

Lettura del libro dell’Esodo (19,3-8.16-19)

 

In quei giorni. 3Mosè salì verso Dio, e il Signore lo chiamò dal monte, dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: 4“Voi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fatto venire fino a me. 5Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! 6Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti». 7Mosè andò, convocò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole, come gli aveva ordinato il Signore. 8Tutto il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. 

16Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi, una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. 17Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. 18Il monte Sinai era tutto fumante, perché su di esso era sceso il Signore nel fuoco e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. 19Il suono del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce.

Il brano si riferisce all’Alleanza stipulata da Dio, con il suo popolo liberato dall’Egitto, nel deserto del Sinai, con la mediazione di Mosè. Egli è incaricato di riferire le parole divine che evocano le cose grandi e meravigliose compiute da Dio (vv. 3-4) che giustificano l’ingiunzione di ascoltare la sua voce e di custodire l’alleanza (vv. 5-6). Viene quindi detto che il popolo accetta l’alleanza con Dio e si impegna a custodirla fedelmente (vv. 7-8). Segue la narrazione della teofania alla quale il popolo partecipa stando «in piedi sulle falde del monte» mentre è il solo Mosè a interloquire con Dio (vv. 16-19).

Lettura del profeta Ezechiele (37,1-14)

In quei giorni. 1La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa; 2mi fece passare accanto a esse da ogni parte. Vidi che erano in grandissima quantità nella distesa della valle e tutte inaridite. 3Mi disse: «Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?». Io risposi: «Signore Dio, tu lo sai». 4Egli mi replicò: «Profetizza su queste ossa e annuncia loro: “Ossa inaridite, udite la parola del Signore. 5Così dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete. 6Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete. Saprete che io sono il Signore”». 7Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l’uno all’altro, ciascuno al suo corrispondente. 8Guardai, ed ecco apparire sopra di esse i nervi; la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c’era spirito in loro. 9Egli aggiunse: «Profetizza allo spirito, profetizza, figlio dell’uomo, e annuncia allo spirito: “Così dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano”». 10Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
11Mi disse: «Figlio dell’uomo, queste ossa sono tutta la casa d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: “Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti”. 12Perciò profetizza e annuncia loro: “Così dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele. 13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi farò uscire dai vostri sepolcri, o popolo mio. 14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò”». Oracolo del Signore Dio.

 

Il testo profetico, con l’immagine di un’intera pianura colma di «ossa… tutte inaridite», descrive la condizione di Israele condotto in esilio a Babilonia dopo la distruzione di Gerusalemme ( vv.1-3). Su di esse viene proclamata «la parola del Signore» che annunzia una vita nuova (vv 4-6) grazie al soffio dello Spirito che irrompe su di esse «dai quattro venti» ossia da ogni dove ( vv 7-10). I vv 11-14, infine, svelano che «queste ossa sono tutta la casa d’Israele», priva di ogni speranza e che Dio, invece, si impegna a far rivivere con il dono del suo Spirito.

 

Lettura del profeta Gioele (3,1-5)

 

Così dice il Signore Dio:

«1Dopo questo,

io effonderò il mio spirito

sopra ogni uomo

e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;

i vostri anziani faranno sogni,

i vostri giovani avranno visioni.

2Anche sopra gli schiavi e sulle schiave

in quei giorni effonderò il mio spirito.

3Farò prodigi nel cielo e sulla terra,

sangue e fuoco e colonne di fumo.

4Il sole si cambierà in tenebre

e la luna in sangue,

prima che venga il giorno del Signore,

grande e terribile.

5Chiunque invocherà il nome del Signore,

sarà salvato,

poiché sul monte Sion e in Gerusalemme

vi sarà la salvezza,come ha detto il Signore,

anche per i superstiti

che il Signore avrà chiamato.

 

Il brano si riferisce all’intervento di Dio a favore del suo popolo oppresso dalle popolazioni nemiche paragonate ad un esercito di cavallette (cfr. cap. 1). Dio promette di effondere il suo spirito in modo da far diventare profeti tutti gli appartenenti del suo popolo, compresi gli schiavi (vv. 1-2). I vv. 3-5, con allusione alla teofania del Sinai di cui abbiamo letto nella seconda lettura, riferiscono i fatti prodigiosi che accompagnano l’intervento di Dio il quale si dichiara pronto a dare salvezza a chiunque «invocherà il suo nome», a quanti, cioè, aderiranno a lui (v.6).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (2,9-15a)

 

Fratelli, 9sta scritto:

«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì,

né mai entrarono in cuore di uomo,

Dio le ha preparate per coloro che lo amano».

10Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio. 11Chi infatti conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? Così anche i segreti di Dio nessuno li ha mai conosciuti se non lo Spirito di Dio. 12Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito di Dio per conoscere ciò che Dio ci ha donato. 13Di queste cose noi parliamo, con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali. 14Ma l’uomo lasciato alle sue forze non comprende le cose dello Spirito di Dio: esse sono follia per lui e non è capace di intenderle, perché di esse si può giudicare per mezzo dello Spirito. 15L’uomo mosso dallo Spirito, invece, giudica ogni cosa.

 

Nel contesto del presente brano, l’Apostolo sta parlando della sapienza di Dio, che si oppone a quella del mondo incapace di conoscerla al contrario di quanti lo amano (v. 9). Ad essi, grazie al dono dello Spirito, vengono rivelati anche i «segreti di Dio» (vv. 10-12). La predicazione dell’Apostolo, di conseguenza, si poggia sulla rivelazione dei disegni divini da parte dello Spirito Santo senza del quale nessuno è in grado di intendere le cose di Dio (vv. 13-15a).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (16,5-14)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «5Ora  vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. 6Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. 8E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Riguardo al peccato, perché non credono in me; 10riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. 12 Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

 

Il brano riporta alcuni versetti del sedicesimo capitolo che contiene un nuovo discorso pronunciato da Gesù nel contesto dell’ultima cena e riguardante l’annunzio del suo «ritorno al Padre» (cfr. Giovanni 16,4b-33). Qui, dopo aver constatato che tale discorso ingenera tristezza nel cuore dei discepoli (v. 6), Gesù parla di una conseguenza positiva del suo ritorno al Padre: è l’invio del Paraclito, ovvero dello Spirito Santo (v. 7). Viene quindi chiarito il ruolo dello Spirito nei riguardi del mondo che verrà giudicato a motivo dell’incredulità (vv. 8-11), e viene illustrata l’azione del medesimo Spirito verso i discepoli, di per sé incapaci di comprendere «tutta la verità» ossia  la pienezza della rivelazione divina in Cristo (vv. 12-15).

 

La  Messa “nel giorno”

 

Vengono in essa proclamati: Lettura: Atti degli Apostoli 2,1-11; Salmo 103 (104); Epistola: 1 Corinzi 12,1-11; Vangelo: Giovanni 14,15-20.

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (2,1-11)

 

1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».

 

Il brano riporta l’evento del dono dello Spirito promesso dal Signore ai suoi con i caratteri di una teofania, ovvero di una manifestazione divina, segnata, come avviene in quella del Sinai (Es 9,16-19), da «fragore», «vento impetuoso» e «lingue di fuoco» segni della trascendenza divina (vv.1-4). Le lingue di fuoco, in particolare, dicono l’effusione dello Spirito Santo su tutti i presenti e significano la loro consacrazione a essere missionari del Vangelo presso i popoli della terra. Vengono di conseguenza elencate le varie nazionalità a cui apparteneva la moltitudine che assiste all’evento e che sente gli Apostoli «parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio» (vv. 5-11).

 

Prima lettera di san Paolo ai Corinzi (12,1-11)

 

1Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio lasciarvi nell’ignoranza. 2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare senza alcun controllo verso gli idoli muti. 3Perciò io vi dichiaro: nessuno che parli sotto l’azione dello Spirito di Dio può dire: «Gesù è anàtema!»; e nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo. 4Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; 5vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; 6vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. 7A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune: 8a uno infatti, per mezzo dello Spirito, viene dato il linguaggio di sapienza; a un altro invece, dallo stesso Spirito, il linguaggio di conoscenza; 9a uno, nello stesso Spirito, la fede; a un altro, nell’unico Spirito, il dono delle guarigioni; 10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue. 11Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, distribuendole a ciascuno come vuole.

 

Il brano fa seguito alle istruzioni dell’Apostolo riguardanti la «cena del Signore» (1 Corinzi 11,17-34). Qui l’intento di Paolo è quello di non lasciare nell’ignoranza la giovane comunità di Corinto riguardo «ai doni dello Spirito» (v. 1), ben diversi dai fenomeni presenti anche nel paganesimo (v. 2). Tra i credenti si ha certezza di agire «sotto l’azione dello Spirito Santo» se ciò che si afferma è in sintonia con la fede in Gesù che è «il Signore»! L’ Apostolo, inoltre, dichiara che i carismi, i vari ministeri e l’attività nella Chiesa procedono e dipendono dallo Spirito, che è «uno solo» ( vv. 4-6) e quindi elenca le diverse manifestazioni dell’unico Spirito nei singoli credenti al fine, però, di perseguire «il bene comune», vale a dire per la vita e l’espansione della Chiesa (vv. 7-11).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (14,15-20)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi».

 

I versetti oggi proclamati e che riportano le parole pronunciate da Gesù nel Cenacolo, legano all’amore dei discepoli, concretizzato nell’osservanza dei suoi comandamenti, la sua promessa, una volta tornato al Padre, di ottenere da lui  l’invio di «un altro Paraclito», ovvero dello Spirito Santo, quale loro guida e perenne assistenza (vv.15-16). Lo Spirito, mentre rimane sconosciuto al mondo a motivo dell’incredulità, è, al contrario, conosciuto ovvero sperimentato e presente nei discepoli (v.17). Segue la promessa di Gesù di far ritorno, dopo gli eventi pasquali  della sua morte e risurrezione, tra i suoi discepoli come il vivente che dona a essi la vita (vv.18-19) e che consiste nel credere che Gesù e “nel” Padre così come i discepoli sono “in” Gesù e Gesù “in” essi (v.20). 

 

Commento liturgico-pastorale

 

La preghiera liturgica raccolta nel formulario della Messa “della Vigilia” e in quello della Messa “nel giorno”, ci svela la grandezza dell’evento salvifico celebrato nell’odierna solennità «che, nel suo numero sacro e profetico (cioè il cinquantesimo giorno di Pasqua), ricorda arcanamente la raggiunta pienezza del mistero pasquale» (Prefazio, Messa “nel giorno”) ossia contiene, esprime e rende attiva l’inesauribile ricchezza dell’opera salvifica realizzata dal Signore con la sua morte in Croce, la sua Risurrezione e Ascensione alla destra di Dio. È ciò che leggiamo nel Prefazio della Messa “della Vigilia” che vede, nell’effusione dello Spirito Santo, la distribuzione dei doni della grazia divina e nei quali si può anzitutto riconoscere l’economia sacramentale con al vertice i sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia. Doni che, anticipando ai fedeli «le primizie dell’eredità eterna che sono chiamati a condividere con Cristo redentore», li  rende certi di «incontrarsi con lui nella gloria» in quanto, in tali doni di grazia, «l’esperienza dello Spirito è più inebriante e più viva». Il Prefazio della Messa “nel giorno”, dal canto suo, intende magnificare l’estensione all’intera umanità della grazia propria della Pentecoste vedendo in essa, alla luce del racconto biblico della torre di Babele (Genesi 11,1-9), proclamato nella Messa “della Vigilia”, la ricomposizione in unità della stessa umanità dalla «confusione che la superbia aveva portato agli uomini». Ricomposizione che, con allusione al racconto degli Atti degli apostoli (2,1-11), letto nella Messa “nel giorno”, è segnata dall’irruzione dello Spirito  significato dal «fragore improvviso» e grazie al quale gli Apostoli «accolgono la professione di un’unica fede e, con diversi linguaggi, a tutte le genti annunziano la gloria del vangelo di salvezza». Annunzio destinato a far sì che «i popoli dispersi si raccolgano e le diverse lingue si uniscano a proclamare la gloria del nome di Dio Padre» formando l’unico suo popolo santo (Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola. Messa “nel giorno”).

Nel raduno eucaristico, specialmente domenicale, la Chiesa sulla quale aleggia in permanenza lo Spirito Santo promesso dal Signore prima di lasciare questo mondo, è invitata a un’esperienza sempre più profonda dello Spirito e a riconoscerne la misteriosa presenza e la multiforme attività. È lui, infatti, ad attivare la presenza reale del Signore e del suo universale mistero di salvezza trasformando il pane e il vino nel suo Corpo offerto e nel suo Sangue versato come segno ultimo del suo amore al Padre e del suo amore per l’intera umanità. È sempre lo Spirito Santo a rendere concreto nei fedeli ciò che Gesù ha detto a proposito del suo essere “nel” Padre e, dunque, della nostra partecipazione “in” lui alla comunione con Dio (cfr. Giovanni 14,20, Messa “nel giorno”). Ed è ancora lo Spirito a fare dei molti che mangiano dello stesso pane e bevono allo stesso calice, «un solo Corpo»; la Chiesa, come segno dell’unità di tutte le Genti nell’unico Corpo di Cristo. È lo Spirito Santo a donarci la grazia di udire, nelle Scritture, la viva voce del Signore e a porre in noi doni e carismi i più diversi perché concorriamo a rendere più bella la Chiesa e a edificarla da tutte le genti (cfr. 1 Corinzi 12,4ss., Messa “nel giorno”). È lo Spirito Santo ad aprire il nostro cuore e la nostra umana intelligenza al dono della fede che ci fa esclamare «Gesù è il Signore» (v.3), consegnando ogni nostra attesa, ogni nostra speranza e l’intera nostra vita a lui solo.

Pubblicato il - Commenti ()

12 maggio 2013 – Domenica dopo l’Ascensione


È la VII Domenica di Pasqua, incaricata di porre in evidenza che, con l’Ascensione, cessa la presenza fisica del Signore nella sua Chiesa. Presenza che, pertanto, andrà cercata e contemplata nei divini misteri.

 

Il Lezionario

 

Presenta i seguenti brani biblici: Lettura: Atti 7,48-57; Salmo 26 (27); Epistola: Efesini 1,17-23; Vangelo: Giovanni 17,1b.20-26. Il Vangelo della Risurrezione da leggere nella Messa vigiliare è preso da Giovanni 20,1-8. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli del giovedì della VI settimana di Pasqua nel Messale ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (7,48-57)

 

In quei giorni. Stefano disse: «48L’Altissimo tuttavia non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il profeta: / 49 “Il cielo è il mio trono / e la terra sgabello dei miei piedi. /
Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, / o quale sarà il luogo del mio riposo?/
50Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose?”.

51 Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. 52 Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, 53voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata».

54 All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano.
55Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio 56e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio.»57Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui.»

 

Il brano riporta i versetti conclusivi del discorso di Stefano davanti al Sinedrio (vv. 48-53), concernenti la presenza di Dio tra il suo popolo che egli, mediante il ricorso a Isaia 66,1-2a, cerca di svincolare da una concezione materiale e localistica a favore di una concezione spirituale e universale (vv. 49-50). Segue un’invettiva contro la durezza di cuore e la persecuzione scatenata contro i profeti annunziatori del “giusto”, ovvero  di Gesù, anch’egli perseguitato e ucciso (vv. 51-53). Il v. 54 annota la reazione furibonda dei presenti contro Stefano già in contemplazione delle realtà celesti e, in particolare della gloria di Gesù «che sta alla destra di Dio» (vv. 55-56). Il v. 57 , infine, introduce il racconto del martirio di Stefano (vv. 58-60).

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (1,17-23)

 

Fratelli, 17il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; 18illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi 19e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi, che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore.20Egli la manifestò in Cristo, /   quando lo risuscitò dai morti /  e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, / 21al di sopra di ogni Principato e Potenza, / al di sopra di ogni Forza e Dominazione / e di ogni nome che viene nominato / non solo nel tempo presente ma anche in quello futuro. / 22«Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi» / e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: / 23essa è il corpo di lui, / la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose.

 

Il brano riporta alcuni passi della preghiera di ringraziamento e di lode per la comunità di Efeso. In essa, l’Apostolo, chiede a Dio per i fedeli «una profonda conoscenza» di ciò che egli ha operato in Cristo in loro favore, dispiegando la sua potenza salvifica (vv. 17-19). Potenza riscontrabile  nella risurrezione e nella esaltazione di Cristo alla destra di Dio, costituito Signore su ogni realtà creata, comprese quelle celesti (vv. 20-21). Nei vv. 22-23, infine, l’Apostolo precisa che il Signore Risorto è il «capo della Chiesa» la quale, pertanto, è il «corpo di lui».

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (17,1b.20-26)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù, 1balzati gli occhi al cielo, disse: «20Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.

22E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.

24Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.

25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. 26E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

 

Il brano evangelico riporta il versetto iniziale (1b) e la parte finale (20-26) di quello che viene identificato come l’ultimo dialogo tra Gesù, il Figlio, e il Padre. Qui il Signore Gesù chiede al Padre di custodire «in unità» quanti, a seguito della predicazione del Vangelo, crederanno in lui (vv. 20-23). Costoro devono formare «una sola cosa» esattamente come lui, il Figlio, e il Padre, sono «una sola cosa» (vv. 21; 22; 23). Il permanere dei discepoli nell’unità che, procedendo da quella tra le Persone Divine non è una semplice unione morale, è decisiva nella propagazione al mondo della fede in Gesù come l’Inviato di Dio per estendere ai credenti l’amore stesso con il quale il Padre ama lui, il Figlio (v. 23)! Il v. 24 contiene quella che possiamo chiamare l’ultima volontà di Gesù, che chiede al Padre di far partecipi i suoi discepoli, giunti definitivamente presso di lui, di quella condizione gloriosa propria del Figlio amato. I versetti conclusivi (25-26), riportano la constatazione del Signore circa la fede profonda dei discepoli in lui, come «mandato dal Padre» e la sua promessa di far loro conoscere il nome del Padre, vale a dire di portarli a sperimentare il suo amore che è lo stesso sperimentato dal Figlio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

Il testo evangelico ci trasporta nel cenacolo di Gerusalemme dove il Signore Gesù, consapevole che è giunta la sua “ora”, si rivolge al Padre con un dialogo filiale che è allo stesso tempo una preghiera nella quale coinvolge i suoi discepoli di allora e quelli di tutti i tempi.

Dialogo e preghiera nella quale, come dicono i versetti evangelici oggi proclamati, Egli porta tutti coloro che, credendo in lui, diventeranno i “suoi” e che, in vista della conversione del mondo, devono aspirare a vivere in quella unità che fa di essi «una sola cosa» come il Padre e il Figlio (Cfr. Vangelo: Giovanni, 17, 20-21). Si tratta di una prima formidabile “consegna” del Signore ai discepoli del cenacolo e ai discepoli di tutti i tempi tra i quali, a seguito del suo ritorno al Padre, egli non sarà più fisicamente presente.

Tale consegna è legata alla missione dei discepoli, quella di condurre l’intera umanità a credere che Gesù è l’Inviato dal Padre per rivelare a tutti la sua misericordiosa bontà nella quale è possibile trovare salvezza. E sarà proprio l’unità di fede e di amore tra i discepoli qui in terra, riproduzione dell’indicibile unità delle divine Persone, il segreto dell’efficacia della loro missione nel mondo (v.21).

È una consegna, quella della “perfezione nell’unità” (v. 23), sulla quale occorre fondare la nostra vita e soprattutto la vita delle nostre comunità ecclesiali, certi che la preghiera del Signore Gesù è infallibilmente esaudita dal Padre. Occorre, pertanto, guardarsi dal ricadere sotto la schiavitù del peccato che spezza il vincolo d’amore con il Padre e il Figlio e, di conseguenza, porta la “divisione” tra i credenti e nelle comunità ecclesiali.

A tale proposito conviene riflettere sul perché tante nostre comunità non sono più in grado di testimoniare la fede nel Signore Gesù e di contagiare in essa gli altri? Il motivo è che, queste, sono attraversate dal demone della divisione e della discordia che non rende credibile l’annuncio evangelico del disegno d’amore al quale il Padre convoca, per mezzo del suo Figlio, quanti ascoltano la sua parola.

Occorre pertanto attivare continuamente in noi il dono della “perfetta unità” che riceviamo nei divini misteri dalla grazia dello Spirito Santo domandando senza sosta a Dio di continuare a prendersi cura dei suoi fedeli , di sostenerli e di rianimarli «con la certezza del suo affetto di Padre» (Orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica). L’unità tra i suoi discepoli, così ricercata, implorata, donata e vissuta, è l’indispensabile premessa per la seconda richiesta di Gesù al Padre: «Voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io» (v. 24).

È la richiesta tesa alla partecipazione dei discepoli a quella “gloria”, ossia a quella condizione in cui contempliamo il Signore Risorto che il Padre «fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni Principato e Potenza, al di sopra di ogni Forza e Dominazione» (Epistola: Efesini 1,20).

A tale riguardo l’Apostolo domanda a Dio di far comprendere ai fedeli di Efeso e, in essi, anche a noi «a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (v.18). Si tratta, se ben comprendiamo, della partecipazione della nostra persona, già da questa vita terrena, a quella condizione che, ora, possiamo contemplare nel solo suo Figlio asceso al cielo.

È la visione che meritò di avere il primo martire santo Stefano che, dopo aver reso testimonianza al Signore con la sua parola, gli rese testimonianza con il suo sangue: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (Lettura: Atti degli Apostoli 7,56). In Stefano viene così esaudita la volontà del Signore (cfr. Giovanni 17,24), così come è continuamente esaudita nell’infinita schiera di martiri, di testimoni e di discepoli che si succedono, lungo i secoli.

A noi che viviamo in questa condizione di vita fugace, ci doni il Signore di cominciare a sperimentare con fede certa la nostra partecipazione alla sua “gloria” di Figlio che contempliamo “faccia a faccia” nella celebrazione del mistero del suo amore che è l’Eucaristia. In essa deve brillare in tutta verità la perfezione di quella unità che ci lega in unum con il Padre per mezzo del Figlio perché il mondo creda. È ciò che ci ricorda il canto Al Vangelo: «Tutti siano una sola cosa, dice il Signore, e il mondo creda che tu mi hai mandato» (cfr. Giovanni 17,21).




9 Maggio 2013 – Ascensione del Signore

 

 

La recente riforma del Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana (2008) ha  sapientemente riportato questa grande solennità nel “quarantesimo giorno”,  segnato dalla gioia della presenza del Risorto tra i suoi ai quali promette, una volta tornato al Padre, di mandare lo Spirito Santo per tener viva la sua Parola e l’efficacia della sua Pasqua fino alla consumazione dei tempi.

L’importanza dell’odierna solennità, nella nostra tradizione liturgica, è riscontrabile nella proposta di una Lettura vigiliare per la Messa vespertina della Vigilia e dai due formulari eucologici per la stessa Messa “della Vigilia” e per la Messa “nel giorno”.

 

Il Lezionario

 

Presenta il seguente ordinamento di lezioni bibliche: Lettura: Atti degli Apostoli 1, 1-11, alla Messa “della vigilia” e Atti degli Apostoli 1,6-13a alla Messa “nel giorno”; Salmo 46(47); Epistola: Efesini 4,7-13; Vangelo: Luca 24, 36b-53. (Le orazioni e i canti della Messa “della vigilia” e “nel giorno”, sono quelli propri della solennità nel Messale ambrosiano).

 

Messa “della Vigilia”: Lettura degli Atti degli Apostoli (1,1-11)

 

1Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. 3Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». 6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro 11e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

 

Il brano si apre con la presentazione da parte di Luca del suo nuovo libro che fa seguito al «primo racconto», ossia al Vangelo riguardante ciò che Gesù «fece e insegnò» nella sua vita terrena culminata, dopo la sua passione e risurrezione, nel giorno «in cui fu assunto in cielo» (vv. 1-5). I vv. 6-8 riportano l’ultimo dialogo tra Gesù e i suoi discepoli nel quale viene loro annunciato il dono dello Spirito Santo che li trasformerà in suoi testimoni «fino ai confini della terra». Il brano si conclude con il racconto dell’ascensione e con l’annunzio ai discepoli fatto da «due uomini in bianche vesti» riguardante il ritorno del Signore dal cielo nel giorno della Parusia, alla fine dei tempi (vv. 9-11).

 

Messa “nel giorno”: Lettura degli Atti degli Apostoli (1,6-13)

 

In quei giorni. 6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra». 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro 11e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo». 12Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. 13Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi.

 

Riporta parte della Lettura vigiliare (vv. 6-11) che completa dicendo che gli Apostoli, testimoni dell’elevazione «in alto» del loro Maestro e Signore, una volta tornati a Gerusalemme, «salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi» (v. 13). Si tratta di un particolare di grande importanza perché il loro essere riuniti insieme forma visibilmente la Chiesa, quella del Signore, sulla quale egli ha promesso di far scendere «la forza dello Spirito Santo» (v. 8)  che la abilita a dare testimonianza a Gesù ovunque e fino al suo ritorno glorioso dal Cielo.

 

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini (4,7-13)

 

Fratelli, 7a ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo. 8Per questo è detto: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini.

9Ma cosa significa che ascese, se non che prima era disceso quaggiù sulla terra? 10Colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose.

11Ed egli ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri, 12per preparare i fratelli a compiere il ministero, allo scopo di edificare il corpo di Cristo, 13finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo».

 

L’Apostolo riflettendo sul mistero dell’Ascensione al Cielo del Signore afferma, con riferimento al Salmo 68,19, citato al v. 8, che egli «asceso in alto ha portato con sé prigionieri». Si tratta dell’intera umanità da lui liberata, nel mistero della sua Pasqua, dalla schiavitù del male, del peccato e della morte. In pari tempo, il Signore una volta asceso al Cielo «ha distribuito doni agli uomini», allusione, forse, ai doni carismatici con i quali lo Spirito Santo abilita alcuni a svolgere quei ministeri idonei a «edificare il corpo di Cristo» (v.12), ossia la Chiesa, e a far sì che tutti gli uomini arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio» (v.13).

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (24,36b-53)

 

In quel tempo. 36BIl Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma . 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». 40  Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione  di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nel Profeti e nei Salmi».45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».

50Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo. 52Ed essi di prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

 

Il brano segue immediatamente quello dei due discepoli di Emmaus. Esso appare diviso in tre parti: nella prima: vv. 36-43 viene narrata l’apparizione del Signore agli Undici e ai discepoli radunati insieme e con la quale si dà a conoscere nella verità di Crocifisso/Risorto, il Vivente. Nella seconda parte (vv. 44-49), rifacendosi a quanto aveva già fatto con i discepoli di Emmaus, Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» mostrando come esse concordano nell’annunziare che il Cristo, ossia il Messia, «patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» secondo l’ineffabile disegno di Dio di universale salvezza. Questo dovrà essere «predicato a tutti i popoli» e «testimoniato» dai discepoli sui quali promette l’invio dello Spirito Santo. Nei versetti finali (50-53), l’evangelista riferisce l’evento dell’Ascensione del Signore che produce nel cuore dei discepoli grande gioia e lode a Dio.

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’evento salvifico dell’Ascensione si colloca al “quarantesimo giorno” della presenza del Signore Risorto tra i suoi discepoli. In questi giorni, con le sue apparizioni, Gesù ha inteso irrobustire la fede dei suoi nella veridicità della sua risurrezione addirittura mangiando con loro (Vangelo: Luca 24,40-41). Una fede che va riposta in lui quale Figlio obbediente al volere del Padre il quale non lo ha abbandonato nella rete tenebrosa della morte, ma lo ha risuscitato e, ora, nell’Ascensione, lo innalza «al di sopra di tutti i cieli per essere pienezza di tutte le cose» (Epistola: Efesini 4,10).

In questi giorni, inoltre, il Signore Risorto ha dato le sue ultime istruzioni ai suoi in vista del raduno dei futuri credenti nella sua Chiesa e, soprattutto, ha promesso di mandare, una volta tornato al Padre, lo Spirito Santo per tenere viva tra di essi la sua parola e le sue azioni destinate alla salvezza del mondo intero.

Parola e gesti salvifici dei quali Gesù costituisce testimoni i suoi apostoli i quali dovranno recare «fino ai confini della terra» (Lettura: Atti 1,8); e «a tutti i popoli» (Luca 24,47), l’annunzio che la salvezza è in Cristo Crocifisso e Risorto.

Al fine di compiere una tale impresa, impari alle forze umane, Gesù promette ai suoi il «battesimo nello Spirito Santo», ovvero di immergerli nell’infuocata divina potenza che viene «dall’alto» (Luca 24,49) e che li abiliterà alla missione destinata ad abbracciare indistintamente, a partire da Gerusalemme, e da «tutta la Giudea e la Samaria» (Atti 1,8), tutte le genti.

Lo Spirito, inoltre, abiliterà gli apostoli a «compiere il ministero» in qualche modo già significato nel loro stare radunati insieme, vale a dire quello di «edificare il corpo di Cristo» (Efesini 4,12), facendo pervenire, attraverso la predicazione e la riproposizione dei gesti salvifici del Signore, «all’unità della fede» quanti credono e, questo, «fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (v.13).

I testi della preghiera liturgica, dal canto loro, amplificano la grazia propria racchiusa nel mistero pasquale che, nell’Ascensione, porta a compimento il disegno salvifico del Padre: quello che nel Figlio fatto uomo e che sale al di sopra dei cieli, in realtà, viene «restituito al genere umano lo splendore dei doni divini» e, in tal modo, viene «vinto e umiliato il demonio» che, inducendolo al peccato, ha fatto cadere l’uomo nell’abisso dell’umiliazione e della morte, annunzio della rovina eterna (cfr. Prefazio della Messa della vigilia).

Anche la preghiera A Conclusione della Liturgia della Parola della Messa “nel giorno” celebra la dignità alla quale, «nel Cristo asceso al Cielo è stato oggi elevato l’uomo», mentre quella Dopo la Comunione della stessa Messa, afferma che «nello slancio della sua ascensione all’alto dei cieli» il Signore Gesù «ha potentemente tratto con sé anche noi, liberandoci dalla schiavitù del peccato». Si tratta di realtà che fanno nascere nel cuore dei fedeli un’attenzione stupita e ammirata.

Mentre viviamo nella condizione provvisoria di questa vita terrena, la preghiera della Chiesa ci dice, infatti, che siamo in qualche modo già elevati alle altezze divine, diventati abitanti di quella Casa celeste nella quale il Signore ci ha preceduti per prepararci un posto così da stare per sempre dove lui è (cfr. Canto Allo Spezzare del Pane della Messa “nel giorno”). Sicché l’Ascensione del Signore rivela anche a noi, suoi fedeli, ciò che ci è preparato dalla bontà e dalla potenza divina per il nostro “oggi” eterno, a partire da questo nostro “oggi” provvisorio.

La celebrazione eucaristica è il luogo nel quale, accostandoci al Corpo e al Sangue del Signore, possiamo già sperimentare, le inesauribili ricchezze che sgorgano per noi e per ogni uomo dalla sua Pasqua.

Se ne fa efficace interprete l’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica della Messa “nel giorno”: «Con la parola del tuo vangelo tu insegni alla tua Chiesa, o Dio, a gustare le realtà sublimi ed eterne cui oggi è asceso il salvatore del mondo; donaci di contemplare nell’intelligenza della fede la gloria di Cristo risorto perché al suo ritorno possiamo conseguire le ricchezze sperate».

 

 


Pubblicato il - Commenti ()

5 maggio 2013 – VI domenica di Pasqua

Precede immediatamente la solennità pasquale dell’Ascensione, considerata come preludio alla missione dello Spirito della verità che rende viva nel cuore dei fedeli la Parola del Signore Gesù.

 

Il Lezionario

 

Fa leggere i seguenti testi biblici: Lettura: Atti  21,40b-22,22; Salmo: 66 (67); Epistola: Ebrei 7,17-26; Vangelo: Giovanni 16,12-22. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare del sabato è preso da Giovanni 21,1-14.  (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della VI domenica di Pasqua nel Messale ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (21,40b-22,22)

 

In quei giorni. 40bPaolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo, si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo:

22,1 «Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi». 2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio. Ed egli continuò:3«Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. 4Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, 5come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti.

6 Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; 7caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. 8Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. 9Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. 10Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. 11E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.

12 Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, 13venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. 14Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, 15perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. 16E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”.

17 Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi 18e vidi lui che mi diceva: “Affréttati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me”. 19E io dissi: “Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; 20e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”. 21Ma egli mi disse: “Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni”».

22Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: «Togli di mezzo costui; non deve più vivere!».

 

Il capitolo 22 contiene il discorso di autodifesa tenuto da Paolo a Gerusalemme in occasione del suo drammatico soggiorno conclusosi con il suo arresto e il suo appello a Cesare in qualità di cittadino romano. In particolare nei vv. 1-5 l’Apostolo si presenta come un giudeo osservante della Legge e persecutore della fede cristiana indicata con il termine Via. Nei vv. 6-11 narra ciò che avvenne sulla strada nelle vicinanze di Damasco dove si stava recando per annientare la locale comunità cristiana e del dialogo avuto con la voce che gli parlava da una grande luce, ovvero con Gesù Nazareno. I vv. 12-16 riferiscono dell’incontro a Damasco con Anania che gli rivela il volere di Dio nei suoi riguardi e lo battezza facendogli recuperare la vista persa nell’incontro folgorante con la grande luce. I vv. 17-21, infine, parlano dell’estasi avuta da Paolo nel tempio di Gerusalemme e del mandato ricevuto da Gesù: «Va’ perché io ti manderò lontano, alle nazioni!», ossia ai popoli pagani. Il v. 22 riferisce della reazione ostile della folla a conclusione del discorso di Paolo.

 

Lettera agli Ebrei (7,17-26)

 

Fratelli, 17a Cristo è resa questa testimonianza: «Tu sei sacerdote per sempre / secondo l’ordine di Melchìsedek».

18Si ha così l’abrogazione di un ordinamento precedente a causa della sua debolezza e inutilità – 19la Legge infatti non ha portato nulla alla perfezione – e si ha invece l’introduzione di una speranza migliore, grazie alla quale noi ci avviciniamo a Dio.20Inoltre ciò non avvenne senza giuramento. Quelli infatti diventavano sacerdoti senza giuramento; 21costui al contrario con il giuramento di colui che gli dice: «Il Signore ha giurato e non si pentirà: / tu sei sacerdote per sempre».

22Per questo Gesù è diventato garante di un’alleanza migliore.23Inoltre, quelli sono diventati sacerdoti in gran numero, perché la morte impediva loro di durare a lungo. 24Egli invece, poiché resta per sempre, possiede un sacerdozio che non tramonta. 25Perciò può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio: egli infatti è sempre vivo per intercedere a loro favore.

26 Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli.

 

Il brano riprende ancora una volta il tema del sacerdozio di Cristo nella linea, non di quello levitico, ma secondo «l’ordine di Melchisedek» (v. 17). Questo rappresenta l’abrogazione del precedente ordinamento che si è mostrato debole e inutile (vv. 18-19). Inoltre, diversamente dal precedente, il sacerdozio di Gesù si fonda su un giuramento di Dio (vv. 20-21) e, di conseguenza, quello di Gesù «è un sacerdozio che non tramonta» (vv. 22-25). Il brano si conclude al v. 26 con la descrizione delle caratteristiche di Gesù sommo sacerdote.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (16,12-22)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 12«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.16Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».

19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.

21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia».

 

Il brano fa parte dei discorsi di addio pronunciati da Gesù nel Cenacolo prima della sua morte. Qui, in particolare, sviluppa ciò che aveva già detto sullo Spirito Santo come conseguenza “positiva” della sua dipartita. Lo Spirito, infatti, è lo Spirito della verità che aiuterà i discepoli a comprendere in pienezza la rivelazione del Signore e riverserà su di essi tutti i tesori di grazia che appartengono a lui (vv. 12-15). I vv. 16-22 parlano di una nuova presenza di Gesù che non sarà più a livello fisico ma «nello Spirito». La sua presenza porterà gioia ai suoi discepoli tristi per la sua dipartita e la conseguente loro solitudine tra le prove di questo mondo.

 

Commento liturgico-pastorale

 

I testi biblici oggi proclamati, e in particolare il brano evangelico, illuminano il cammino della Chiesa sino al ritorno definitivo del Signore risorto e vivente presso il Padre.

Nel momento di congedarsi dai suoi prima della sua passione, Gesù dimostra di essere consapevole che la sua opera di rivelazione non si è ancora completamente conclusa perché i discepoli non sono «capaci di portarne il peso» (Vangelo: Giovanni 16,12). Essi, cioè, non sono ancora in grado di comprendere fino in fondo il senso ultimo e la portata della sua Pasqua e dei momenti che la contraddistinguono. Inoltre il Signore sa che la sua separazione provocherà in essi pianto, gemito e tristezza (v. 20) e sperimenteranno la paura di fronte agli avvenimenti che li riguarderanno da vicino.

Ciò che il Signore dice in riferimento alle conseguenze del suo pur momentaneo allontanamento dai suoi con la sua morte prima e con la sua ascensione al cielo, è destinato a orientare anche oggi la vita della Chiesa e di ogni credente.

Il suo allontanamento, infatti, permette il sopravvenire sui suoi di Colui che è designato come lo Spirito della verità (v. 13), il quale non ha un messaggio suo personale da recare ai discepoli ma porterà a compimento quelle cose che Gesù voleva ancora dire ad essi (cfr. v. 12), ossia dirà nel cuore della Chiesa le cose che egli stesso riceve da Gesù.

Lo Spirito Santo, pertanto, portando ai discepoli il messaggio di Gesù, rende viva e presente la sua persona dotata di tutto quello «che il Padre possiede» (v. 15) e che gli appartiene a motivo del suo essere Figlio!

Con il messaggio, perciò, lo Spirito porta tra i discepoli tutti i tesori di grazia che appartengono a Gesù Crocifisso e Risorto ed elevato sopra i cieli da dove, come sommo sacerdote, è in grado di «salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si avvicinano a Dio» (Epistola: Ebrei 7,25).

Lo Spirito Santo, pertanto, lungo i tempi trasmette la rivelazione portata storicamente nel mondo, dal Verbo fatto uomo, e partecipa ai fedeli, mediante il sacrificio eucaristico e gli altri sacramenti, tutti i tesori di grazia e di salvezza che Gesù, il Crocifisso/Risorto, esaltato presso il Padre, possiede. Egli, perciò, continua a essere presente tra i suoi “spiritualmente”, grazie cioè all’azione dello Spirito che lo rende perennemente attivo nella sua Chiesa.

Questa sperimenterà, nell’intervallo interposto tra la dipartita del Signore e il suo ritorno, il pianto e la tristezza. Il mondo, infatti, che nel Vangelo di Giovanni può indicare quella realtà pregiudizialmente e irriducibilmente ostile a Gesù e, dunque, a quanti aderiscono a lui, si opporrà, anche con la persecuzione violenta, all’ opera di evangelizzazione e di annuncio di «una speranza migliore» (Ebrei 7,19) che è stata introdotta nel mondo dal sacrificio pasquale del Signore Gesù. Sarà lui, il Signore risorto, sulla via di Damasco, a trasformare Saulo, «formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri» (Lettura: Atti degli Apostoli 22,3) e persecutore della «Via» (v.4), ossia della nascente fede cristiana, nell’Apostolo mandato «lontano, alle nazioni» (v.21) a predicare proprio quella Via perché in essa possano essere salvate.

Pubblicato il - Commenti ()

Pubblicita

Autore del blog

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

Calendario

<<luglio 2024>>
lmmgvsd
1234567
891011121314
15161718192021
22232425262728
293031
gli altri blog di Famigliacristiana
Periodici San Paolo S.r.l. Sede legale: Piazza San Paolo,14 - 12051 Alba (CN)
Cod. fisc./P.Iva e iscrizione al Registro Imprese di Cuneo n. 00980500045 Capitale sociale € 5.164.569,00 i.v.
Copyright © 2012 Periodici San Paolo S.r.l. - Tutti i diritti riservati