2 giugno 2013 – II Domenica dopo Pentecoste

Con le successive tre domeniche rappresenta un primo momento nel tempo “dopo Pentecoste”, dedicato alla riproposizione della storia della salvezza che ha il suo culmine nella Pasqua del Signore attualizzata nella celebrazione eucaristica. In particolare, questa domenica sviluppa il primo momento della storia della salvezza, vale a dire la creazione del mondo, considerata autentica prima autorivelazione di Dio.

 

Il Lezionario

 

Prescrive la proclamazione dei seguenti brani biblici rintracciabili nel Libro III del Lezionario ambrosiano intitolato: “Mistero della Pentecoste”: Lettura: Siracide 18,1-12; Salmo 135 (136); Epistola: Romani 8,18-25; Vangelo: Matteo 6,25-33. Luca 24,1-8 viene letto nella Messa vigiliare del sabato come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della IX domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano).

 

Lettura del libro del Siracide (18,1-2.4-9a.10-13)

 

1Colui che vive in eterno ha creato l’intero universo. / 2Il Signore soltanto è riconosciuto giusto. / 4A nessuno è possibile svelare le sue opere / e chi può esplorare le sue grandezze? / 5La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? / chi riuscirà a narrare le sue misericordie? / 6Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, / non è possibile scoprire le  meraviglie del Signore. /7Quando l’uomo ha finito, allora comincia, / quando si ferma, allora rimane perplesso. / 8Che cos’è l’uomo? A che cosa può servire? / Qual è il suo bene e il suo male? / 9aQuanto al numero dei giorni dell’uomo, cento anni sono già molti. / 10Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, / così questi pochi anni in un giorno dell’eternità. / 11Per questo il Signore è paziente verso di loro / ed effonde su di loro la sua misericordia. / 12Vede e sa che la loro sorte è penosa, / perciò abbonda nel perdono. / 13La misericordia dell’uomo riguarda il suo prossimo, / la misericordia del Signore ogni essere vivente.

 

Il brano riporta, quasi per intero, un canto di lode alla grandezza di Dio (vv. 1-7) che «ha creato l’intero universo» (v. 1); che tutto regge con la sua potenza (v. 3) e che rimane inaccessibile alla mente umana (vv. 4-7). I vv. 8-10 descrivono, al contrario, la piccolezza dell’uomo verso il quale Dio usa pazienza, misericordia e perdono (vv. 11-12).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (8,18-25)

 

Fratelli, 18ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. 19L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.

 

Il presente brano paolino, intende mettere in luce come la creazione, nel bene e nel male, partecipa alla sorte dell’uomo. Qui in particolare viene descritta in attesa spasmodica della manifestazione del felice destino che attende i figli di Dio, al quale anch’essa potrà prenderà parte (v. 19), essendo stata, suo malgrado, coinvolta nella disgrazia dell’uomo a causa del suo peccato (v. 20). Essa, paragonata a una partoriente, aspetta di essere liberata «dalla schiavitù della corruzione» tra gemiti e sofferenze (vv. 21- 22). Lo stesso gemito dell’uomo che attende la redenzione del corpo, ossia la sua partecipazione piena alla grazia dell’adozione filiale di cui possiede la primizia mediante il dono dello Spirito (v. 23), attesa vissuta nella speranza e nella perseveranza della fede (vv. 24-25).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (6,25-33)

 

In quel tempo. Il signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «25Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 26Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 27E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 28E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. 29Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 30Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 31Non preoccupatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?". 32Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.33Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».

 

Il brano evangelico fa parte della sezione che riguarda il discorso del monte (5,1-7,29), ovvero del discorso programmatico del regno rivolto da Gesù alla folla e ai discepoli. Il brano, in particolare, è in qualche modo legato dal detto relativo al non preoccuparsi, al non affannarsi per le necessità materiali (v. 25, v. 27, v. 28, v. 31). Notiamo una prima esortazione del Signore (v. 25) a non affannarsi per le realtà materiali relative alla conservazione della vita (= mangiare e bere) e alla salvaguardia del corpo (= vestito). Esortazione conclusa da un interrogativo retorico sulla preminenza della vita e del corpo rispetto al cibo e al vestito. Seguono due paragoni riguardanti rispettivamente la preoccupazione per la vita con il richiamo agli «uccelli del cielo» nutriti da Dio stesso (v. 26) e la salvaguardia del corpo con il richiamo ai «gigli del campo» splendidamente “vestiti” da Dio stesso (v. 28-30). Con una seconda esortazione a guardarsi dall’affanno (v. 31) viene detto come un simile atteggiamento è proprio dei pagani, di quanti, cioè, non conoscono e, quindi, non credono nella provvidente paternità di Dio per ogni sua creatura (v. 32). Il brano culmina nell’esortazione finale del v. 33 a cercare invece «il regno di Dio e la sua giustizia».

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’effusione dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste, culmine della Pasqua del Signore, anima la comunità dei credenti, la guida nella comprensione più profonda e nell’accoglienza più veritiera della Parola portata a noi dal Cielo dal Signore Gesù, il cui insegnamento è prolungato proprio dal suo Spirito.

Comprendiamo perciò che il mistero del Signore Gesù, a partire dalla sua venuta nel mondo, fino alla sua immolazione sulla croce, la sua risurrezione, il suo ritorno al Padre come Figlio obbediente, è il centro di una più ampia storia, quella della salvezza. Essa ha il suo esordio, a partire dalla creazione del mondo, nell’elezione e nell’alleanza con Israele e il suo  culmine nella Pasqua del Signore che la sua Chiesa  annunzia e attualizza Signore fino alla fine dei tempi.

La sapiente organizzazione della lettura liturgica della Scrittura, per il “Tempo dopo Pentecoste”, che prende avvio dal lunedì dopo la citata solennità e si conclude con il sabato che precede la prima domenica di Avvento, distribuisce in un così prolungato spazio temporale le più importanti tappe della storia della salvezza che ha la sua chiave interpretativa nella Pasqua del Signore perennemente attualizzata nella sua celebrazione sacramentale, ossia nella celebrazione eucaristica.

In questa seconda domenica del Tempo dopo Pentecoste, le Sacre Scritture ci illuminano sull’esordio della storia della salvezza, qual è considerata la creazione, ritenuta autentica “autorivelazione” di Dio.

I testi biblici, oggi proclamati, affermano con decisione che tutto ciò che esiste: il cosmo, la terra popolata di piante e di animali e, specialmente, l’uomo, in una parola, l’intero universo, è stato creato da «Colui che vive in eterno», da Dio (Lettura: Siracide 18,1).

A tale incrollabile certezza la Scrittura aggiunge un’ulteriore, decisiva precisazione: Dio non abbandona l’opera delle sue mani, ma si prende cura di ogni sua creatura: gli uccelli del cielo il cui nutrimento è preparato da Dio stesso, i gigli del campo ai quali Dio dona un “vestito” così magnifico al punto che «neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro» (Vangelo: Matteo 6,29).

Su tale precisazione si innesta la cura del tutto speciale di Dio verso l’uomo, che è senza dubbio creatura e, dunque, limitato nella consistenza del suo stesso essere: intelligente, ma non certo onnisciente, capace di valutare tra il bene e il male ma non autore e legislatore del bene e del male. L’uomo, infine, è per natura sua mortale. «Cento anni», infatti, per l’uomo «sono già molti» ovvero: «Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità» (Siracide 18, 10).

È proprio questa innata fragilità a far battere di amore il cuore di Dio per l’uomo sua creatura, indubbiamente il capolavoro dell’intero universo perché reliquia autentica di lui! Un amore che il suo unico Figlio è venuto a predicare e a diffondere su questa terra rivelando che Dio, incommensurabile nella sua potenza e nella sua inviolabile e inaccessibile maestà (cfr. Siracide 18,5) è un Padre!

Un Padre che sa di che cosa ha davvero bisogno l’uomo oltre il pur necessario cibo e vestito (cfr. Matteo 6,32). L’uomo ha bisogno di perseguire quella giustizia che non è di questo mondo, ma che appartiene al mondo di Dio, ovvero al suo regno introdotto sulla terra nella persona del suo Figlio (v. 33).

Si intravede qui qualcosa di ben più grande del limite proprio dell’uomo in quanto creatura e che muove Dio alla pazienza, al perdono e alla misericordia verso la «sorte penosa dell’uomo» e, di conseguenza, di «ogni essere vivente» (Siracide 18, 11-13). Si tratta della caduta nel peccato. Una caduta che coinvolge il resto della creazione strettamente legata all’uomo per volere divino. Questa, infatti, «è stata sottoposta alla caducità» non certo per sua colpa, ma a causa del peccato che l’uomo ha commesso e continua a commettere nella sua fragilità (Epistola: Romani 8, 20). Sicché la speranza del riscatto della creazione da questa triste situazione di corruzione e di degrado dipende dall’attuazione di quella speranza data all’uomo dallo Spirito che parla al suo cuore. 

Egli lo assicura non solo della «redenzione del suo corpo», frutto della Pasqua del Signore, ma gli fa intravedere una meta impensabile alla sua piccolezza. Una meta che segna «l’ardente aspettativa della creazione… protesa verso la rivelazione dei figli di Dio» (v. 19), ossia l’«adozione a figli» (v. 23).

Non ci resta perciò che rimanere attoniti di fronte alla sapienza e alla grandezza di Dio, confidare nella sua premurosa bontà paterna, nella sua misericordia e indulgenza verso la nostra pochezza, credere con perseveranza che Dio può fare questo e molto di più elevandoci alla gloria futura che grazie al Signore Gesù, «sarà rivelata in noi» (v. 18).

La gloria di divenire e di essere in verità figli di Dio. Gloria che l’intera creazione attende tra gemiti e sofferenze per entrare anch’essa «nella libertà della gloria dei figli di Dio» (v. 21) e di cui si fa interprete la preghiera liturgica: «O Dio, che a quanti ti amano hai preparato la ricchezza di un mondo ancora invisibile, infondi nei nostri cuori un affetto più puro per te; donaci di ricercarti in ogni creatura e in ogni evento, di desiderarti sopra tutte le cose e di conseguire l’adempimento delle tue promesse» (orazione  A Conclusione della Liturgia della Parola).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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