1. La domenica che precede il Martirio di S. Giovanni il Precursore
La tradizione liturgica ambrosiana ha sempre avuto una grande considerazione per la figura e il ruolo del Battista nel compiersi della storia della salvezza in Cristo. Il suo “martirio”, la cui memoria è fissata il 29 agosto, costituisce così come una prima “svolta” nel Tempo “dopo Pentecoste” che, a partire da quella data viene denominato “domeniche e settimane dopo il martirio di San Giovanni il Precursore”. Questo spazio liturgico è come annunciato nell’odierna domenica, caratterizzata dalla Lettura che è sempre presa dai due libri dei Maccabei.
Per il presente anno liturgico il Lezionario ambrosiano prevede: Lettura: 1Maccabei 1,10.41-42; 2,29-38; Salmo 118; Epistola: Efesini 6,10-18; Vangelo: Marco 12,13-17. Nella Messa vespertina del sabato viene letto Marco 16,1-8a come Vangelo della risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXII domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Marco 12,13-17
In quel tempo. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani 13mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. è lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l'iscrizione di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano riporta la seconda delle cinque controversie che oppongono Gesù ai «capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani» (cfr. Mc 11,27), i quali, in questo caso, agiscono per interposta persona. Si tratta di «alcuni farisei ed erodiani» presumibilmente contrari i primi al pagamento del “tributo a Cesare”, mentre i secondi erano molto facilmente favorevoli. L’intento dei mandanti è di natura malevola nei confronti di Gesù e cercano di metterlo in tutti i modi in difficoltà anche se, a parole, i loro emissari ne riconoscono la rettitudine e la franchezza (v. 14).
La “trappola” in cui sperano di far cadere Gesù riguarda il pagamento del “tributo a Cesare” che poneva un serio problema alla coscienza del popolo d’Israele fiero nel riconoscere come proprio sovrano e signore il solo Dio! (vedi il primo comandamento: Esodo 20,2-6; Deuteronomio 5,6-10). Pagare il “tributo” equivale infatti a dichiarare la sottomissione all’imperatore romano!
Di qui la difficoltà di rispondere a una tale domanda: dire di sì significa squalificarsi agli occhi del popolo che non sopportava la dominazione dei romani; dire di no significa pronunciare una parola di aperta ribellione al potere di Roma e, dunque, il rifiuto di sottomettersi all’imperatore.
L’evangelista tiene a porre in rilievo il potere divino di Gesù di leggere nel cuore degli uomini precisando che egli immediatamente colse l’intenzione maligna della domanda a lui rivolta. Spiazza così i suoi interlocutori facendosi dare “un denaro” ossia la moneta romana in argento che equivaleva a un giorno di paga per i braccianti e “intrappolandoli” a sua volta con una domanda: «Questa immagine e l’iscrizione di chi sono?» (v. 16) che poteva avere una sola risposta: “Di Cesare” ossia dell’imperatore romano del tempo.
La mirabile “sentenza” del Signore: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare» fa capire che usando la moneta di Cesare i suoi avversari ne accettano, di fatto, il potere e la sovranità e, pertanto, sono tenuti a pagare il tributo.
Nella seconda parte della sua risposta: «e quello che è di Dio, (rendetelo) a Dio» (v. 17), Gesù eleva il dibattito al piano “teologico” per sottolineare come non c'è nessun potere umano che possa ritenersi superiore al potere divino. Anzi “ciò che è di Cesare” è subordinato a “ciò che è di Dio” al quale anche Cesare appartiene. La controversia perciò si conclude con la sottolineatura di Marco: «E rimasero ammirati di lui».
Proclamato nel peculiare contesto liturgico orientato al Martirio del Battista, il brano evangelico vuole sottolineare con forza l’unicità di Dio e della sua esclusiva signoria sul mondo e sulla storia.
Signoria alla quale veniamo esortati a tenere fede sull’esempio del Battista e, ancora prima di lui, dei “martiri per l’osservanza del sabato” di cui ci parla la Lettura. Si tratta di un migliaio di persone tra uomini, donne e bambini che, all’epoca della persecuzione scatenata dal re Antioco IV Epifane contro i Giudei che non accettavano l'ellenizzazione forzata, preferirono andare inermi incontro alla morte dichiarando: «Moriamo tutti nella nostra innocenza», pur di non venir meno alla fedeltà e all’obbedienza alle disposizioni divine (1Maccabei, 2,37).
L’Epistola paolina esorta anche noi credenti nel Signore a rafforzarci in lui «e nel vigore della sua potenza» (Efesini 6,10) per poter perseverare ed essere vittoriosi nella battaglia che dobbiamo ogni giorno affrontare contro i «dominatori di questo mondo tenebroso» (v. 12). L’Apostolo ci dice anche quale “armatura” indossare per affrontare la battaglia e soprattutto ci esorta a prendere «la spada dello Spirito, che è la parola di Dio» (v. 17).
La celebrazione eucaristica ponendoci a contatto con la Parola e con il Corpo del Signore ci riveste dell’invincibile potenza racchiusa nella sua Pasqua e, perciò, siamo in grado di “resistere”, sull’esempio dei martiri, «nel giorno cattivo» e di «restare saldi dopo aver superato tutte le prove» (v. 13) nell’obbedienza della fede al nostro Dio e Signore.
Pubblicato il - Commenti ()
1. La decima domenica “dopo Pentecoste”
Pone in primo piano l’edificio materiale del Tempio di Gerusalemme come annunzio e figura profetica del vero Tempio di Dio che sono tutti i credenti i quali, sull’esempio di Gesù, offrono sé stessi al Padre. Per la presente domenica pertanto il Lezionario ambrosiano prevede come Lettura: 1Re 8,15-30; Salmo 47; Epistola: 1Corinzi 3,10-17; Vangelo: Marco 12,41-44. Il Vangelo della risurrezione da proclamare alla Messa vespertina del sabato è preso da Giovanni 20,19-23, mentre le orazioni e i canti sono quelli della XXI domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Marco 12,41-44
In quel tempo. 41Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. 42Ma, venuta una povera vedova, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. 43Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. 44Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico oggi proclamato è immediatamente preceduto dalle severe parole con le quali il Signore smaschera l’ipocrisia degli “scribi”, ovvero di alcuni maestri e dottori della Legge (Marco 12,38-40), i quali amano ostentare una devota religiosità, mentre la loro condotta è ben lontana dalla Legge di Dio. La protagonista della presente pagina evangelica è presentata con un atteggiamento del tutto contrario a quello degli scribi.
Il v. 41 colloca la scena nel Tempio di Gerusalemme e in particolare nei pressi del Tesoro dove erano collocate alcune cassette adatte a ricevere le offerte che i fedeli vi gettavano per contribuire alle spese di manutenzione del Tempio e per il culto divino che in esso veniva offerto. Tra la folla degli offerenti si distinguono agli occhi di Gesù, attento osservatore, “tanti ricchi” che vi gettavano “molte” monete forse con un atteggiamento di compiaciuta ostentazione simile a quella prima descritta negli scribi (vv. 38-40).
Il v. 42 presenta a questo punto “una povera vedova” che getta nel “tesoro” “due monetine”, che ben traduce il termine greco usato dall’evangelista per indicare la più piccola moneta allora in circolazione nella terra di Gesù.
Occorre pure notare come la vedovanza, per la maggior parte delle donne, comportava una triste condizione di vita alla quale non c’era rimedio se non affidandosi ai figli o alla pubblica carità. Si comprende perciò come esse andavano sovente incontro a soprusi e sfruttamento, già denunciati dai profeti e anche da Gesù che accusa gli scribi di «divorare le case delle vedove» (v. 40).
È evidente che nel sottolineare il gesto della povera vedova si vuole esaltare la sua generosità totale verso Dio che l’Antico Testamento aveva più volte presentato come «difensore delle vedove e degli orfani».
Di qui la reazione di Gesù che chiama «a sé i suoi discepoli» (v. 43) ai quali intende impartire un insegnamento di grande importanza, come si deduce dalla solenne formula di introduzione: «In verità io vi dico», con la quale egli mostra, ancora una volta, di saper leggere nei cuori di tutti, come nel cuore della vedova che dona una somma di per sé insignificante ma lo fa come segno esterno della sua volontà di donare a Dio «tutto quanto aveva per vivere» (v. 44) ossia tutta sé stessa.
Le parole del Signore sulla “povera vedova” che dona tutto al Tempio e, dunque, a Dio fanno comprendere il significato più profondo di ciò che era prefigurato nell’edificio materiale del Tempio, costruito con grande sfarzo da Salomone figlio di Davide (cfr. Lettura: 1Re 8,15-30).
Il Tempio rappresenta la realizzazione del desiderio del grande re Davide di «costruire una casa al nome del Signore» (v. 17) perché il suo “nome” dimorasse in mezzo al suo popolo Israele garantendo in tal modo la costante presenza di Dio, al quale Salomone chiede di ascoltare «la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo» (v. 30).
Il Signore Gesù, con il suo insegnamento, ha mostrato che il Tempio, materialmente inteso come abitazione di Dio in terra, annunziava la costruzione della “santa dimora” che Dio si edifica nel cuore dei credenti veri suoi adoratori. Egli, infatti, non cerca elargizioni e offerte materiali, ma gradisce l’offerta e il sacrificio del cuore come nel caso della vedova che, nelle due monetine, si consegna totalmente e definitivamente a lui.
Avvertiti dall’Apostolo: «Non sapete che siete tempio di Dio» (Epistola: 1Corinzi 3,16), imprimiamo nel nostro spirito ciò che il Signore ha detto scrutando il cuore della povera vedova e riconoscendo nel suo gesto di offerta un anticipo di quanto lui stesso avrebbe compiuto sull’altare della croce: l’offerta di tutto sé stesso al Padre, sacrificio a Dio gradito e fonte di riconciliazione e di santificazione per tutti.
Con le stesse disposizioni così preghiamo nell’Orazione sui doni: «Accetta, o Padre, le offerte che deponiamo sull’altare per esprimere il nostro proposito di servirti e di amarti, e ridonale ai tuoi figli devoti, rese segno e principio di vita redenta».
Pubblicato il - Commenti ()
Assunzione della Beata Vergine Maria
1. La solennità dell’Assunta
È destinata a celebrare, ogni anno, il mistero dell’assunzione al cielo della Vergine Santa, da sempre e dovunque creduto nella Chiesa e così essenzialmente presentato dal papa Pio XII che nel 1950 ha ritenuto di proclamarlo come verità dogmatica: «La Madre di Dio, unita a Gesù Cristo fin da tutta l'eternità... alla fine ottenne di coronare le sue grandezze, superando la corruzione del sepolcro. Vinse la morte, come già il suo Figlio, e fu innalzata in anima e corpo alla gloria del cielo, dove risplende Regina alla destra del Figlio suo, re immortale dei secoli».
La nostra tradizione liturgica possiede per la solennità odierna due formulari di Messe: “della vigilia” e “nel giorno”.
2. La Messa “ nel giorno”
Ci limitiamo qui ad indicare i brani biblici e alcuni testi orazionali della Messa “nel giorno”. Quella della “vigilia” non viene celebrata perché coincide con quella della IX domenica dopo Pentecoste (14 agosto). Il Lezionario ambrosiano dei Santi.
- Lettura: Apocalisse 11,19;12,6a.10ab.
Presenta nella “donna vestita di sole” insidiata, nell’ora del parto, dall’enorme “drago rosso” l’immagine della Chiesa che lungo i secoli soffre nel vedersi minacciata e perseguitata senza però essere mai vinta. La tradizione della Chiesa vi ha visto anche l’immagine della Vergine Santa.
- Epistola: 1Corinzi 15,20-26
Trasmette l’insegnamento apostolico riguardante il mistero pasquale del Signore Gesù che, quale nuovo Adamo, fa partecipi tutti gli uomini della “risurrezione dai morti”.
- Vangelo: Luca 1,39-55
Riporta il racconto della visita di Maria alla cugina Elisabetta rimasta incinta “nella sua vecchiaia” (vv. 39-45) e dell’inno uscito dal cuore della Vergine Santa, il Magnificat (vv. 46-55) pieno di esultanza e ammirazione davanti alle “grandi cose” che Dio ha compiuto in lei, in Elisabetta e, continua a compiere, negli umili che si dichiarano suoi “servi”.
3. Il Messale ambrosiano
Tra le orazioni e i canti propri della Messa dell’Assunta proponiamo il Prefazio e l’orazione Dopo la Comunione:
- Prefazio: oggi la Vergine madre di Cristo è assunta nella gloria dei cieli. In lei, primizia e immagine della Chiesa, riveli il compimento del mistero di salvezza e fai risplendere per il tuo popolo, pellegrino sulla terra, un segno di consolazione e di sicura speranza. Tu non hai voluto che conoscesse la corruzione del sepolcro colei che ha generato il Signore della vita.
- Dopo la Comunione: proteggi, o Dio onnipotente, il popolo che hai saziato col Pane del cielo e, per l’intercessione di Maria, concedi al nostro cuore e alla nostra vita il dono della castità e della pace per andare incontro con le lampade accese a Cristo, lo Sposo che sta per venire, e vive e regna nei secoli dei secoli.
Pubblicato il - Commenti ()
1. La nona domenica “dopo Pentecoste”
Pone in risalto la rivelazione del potere di rimettere i peccati proprio di Dio e del suo unico Figlio. Il Lezionario prevede Lettura: 2Samuele 12,1-3; Salmo 31; Epistola: 2Corinzi 4,5b-14; Vangelo: Marco 2,1-12. Il Vangelo della risurrezione è: Luca 24,13b. 36-48 mentre le orazioni e i canti sono quelli della XX domenica «per annum».
2. Vangelo secondo Marco 2,1-12
In quel tempo. 1Il Signore Gesù entrò in Cafarnao. Si seppe che era in casa 2e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola.
3Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. 4Non potendo però portaglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. 5Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati».
6Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: 7«Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». 8E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? 9Che cosa è più facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Alzati, prendi la tua barella e cammina”? 10Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, 11dico a te – disse al paralitico -: alzati, prendi la tua barella e va’ a casa tua». 12Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
3. Commento liturgico-pastorale
Per comodità di lettura possiamo così suddividere il brano evangelico: i vv. 1-2 sono introduttivi all’intero racconto che occupa la parte che va dal v. 3 al v. 12 nella quale si inserisce il dialogo polemico con gli “scribi” (vv. 6-9) che culmina con la parola di rivelazione sul potere di Gesù di “perdonare i peccati” (vv. 10-11). In particolare i versetti introduttivi mentre ambientano la successiva scena drammatica evidenziano l’accorrere della gente attorno a Gesù il quale «annunciava loro la Parola» (v. 2).
Capiremo nel corso del racconto incentrato sulla “guarigione” di un “paralitico” come tale annunzio sia finalizzato a suscitare la fede negli ascoltatori. Fede che è espressa non a parole ma con il gesto concreto dei portatori del paralitico i quali, pur di mettere davanti a Gesù il malato, non esitano a scoperchiare «il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico» (v. 4).
Di fatto Gesù riconosce in quei gesti, alquanto decisi e sbrigativi, “la loro fede” (v. 5) che in questo caso esprime la totale fiducia dei portatori e del paralitico in Gesù. A lui, di fatto, si consegnano confidando nel suo potere!
Le parole del Signore, a questo punto, sono davvero sorprendenti: non sono infatti parole di “guarigione” come era lecito aspettarsi, ma di “perdono dei peccati”. Parole tanto sorprendenti al punto da suscitare la reazione degli “scribi” (vv. 6-7) ovvero degli esperti conoscitori delle Scritture i quali sanno bene che solo Dio ha il potere esclusivo di perdonare i peccati e nessun altro (cfr. Deuteronomio 6,4).
Va qui rimarcata la sottolineatura dell’evangelista. Egli dice che la reazione ostile degli scribi, i quali “giustamente” accusano Gesù di “bestemmia” perché si è attribuito un potere che spetta unicamente a Dio, non viene da essi dichiarata ma pronunciata nel segreto dei loro cuori (v. 6).
Il fatto che Gesù conosca “nel suo spirito” ciò che gli scribi pensavano nella loro mente (v. 8) rivela che egli è dotato di un altro esclusivo potere divino: quello di «conoscere il cuore degli uomini» come in più parti affermano le Scritture.
Arriviamo, così, al culmine del racconto che ha al centro la parola di rivelazione di Gesù sul suo potere di «perdonare i peccati sulla terra» (v. 10), un “potere” al quale gli uomini sono invitati ad aderire con fede e che rende visibile il “potere” stesso di Dio che ha mandato nel mondo il suo Figlio a ridonare all’uomo la gioia del perdono (cfr. ritornello al Salmo 31) che porta alla guarigione integrale, così come avviene nel paralitico. È lui infatti, ora, sulla parola di Gesù (v. 11), ad alzarsi, a prendere la barella e ad andarsene sotto gli occhi stupiti e ammirati dei presenti (v. 12).
Il cammino di fede che ogni anno ci ripropone il tempo liturgico “dopo Pentecoste” giunge in questa domenica a una delle svolte più decisive nella storia della salvezza; quella cioè che il “potere” esclusivo di rimettere i peccati che avviluppano l’uomo nella malattia mortale dello spirito, un potere proprio di Dio, brilla in Gesù Cristo, l'Unigenito suo Figlio che nella sua Pasqua di morte e di risurrezione ha realizzato il perdono dei peccati degli uomini, facendo davvero rifulgere “dalle loro tenebre” la “luce” della vita rinnovata, della risurrezione (cfr. Epistola: 2Corinzi 4,6).
L’iniziale rivelazione vetero-testamentaria annunzia ed esalta ripetutamente il potere divino di rimettere i peccati. È ciò che leggiamo nella Lettura a proposito dell’abisso di colpa nella quale era sprofondato nientemeno che il grande re Davide oggetto delle benedizioni più elette e delle promesse di Dio.
In questo caso, però, Dio per concedere il suo perdono si serve di un intermediario, come il profeta Natan. Questi dopo aver portato alla luce il peccato di Davide e ottenuta da lui la parola di pentimento: «Ho peccato contro il Signore» (2Samuele 12,13a) è in grado non di dare ma di significare a Davide il perdono concesso da Dio che legge il pentimento nel suo cuore: «Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu non morirai» (v. 13b).
Al contrario, il Signore Gesù, il Figlio unico del Padre, è lui in persona ad “assolvere” e a guarire dal male: «Figlio, ti sono perdonati i peccati» (Marco 2,5). Questo potere ora il Signore Gesù continua a esercitarlo nella sua Chiesa specialmente nell’attuazione della sua morte sulla croce che è l’Eucaristia, nell’immersione battesimale nella sua morte e risurrezione, nel sacramento della Riconciliazione o Penitenza.
A questo perdono con fede ferma dobbiamo ricorrere di continuo sapendo che tutti noi portiamo “i tesori” della grazia di Dio nei “vasi di creta” quali sono le nostre persone (2Corinzi 4,7).
Pubblicato il - Commenti ()
1. L’ottava domenica “dopo Pentecoste”
Nella “chiamata” di Samuele viene annunciato ciò che avrebbe compiuto il Signore Gesù con il chiamare a sé gli apostoli come collaboratori nella missione di estendere il Regno. Vengono pertanto oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: 1Samuele 3,1-20; Salmo 62; Epistola: Efesini 3,1-12; Vangelo: Matteo 4,18-22. Come Vangelo della risurrezione viene letto nella Messa vespertina del sabato che è quella della festa della Trasfigurazione del Signore (6 agosto): Luca 24,13-35. Le orazioni e i canti sono quelli della XIX domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Matteo 4,18-22
In quel tempo. 18Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». 20Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico è inserito nel più ampio contesto del racconto degli “inizi” del ministero di Gesù in Galilea (vv. 12-22) subito dopo aver ricevuto la notizia che Giovanni il Battista era stato imprigionato da Erode (v. 12). Gli “inizi”, in particolare, sono contrassegnati dal messaggio essenziale di Gesù: «Convertitevi. è prossimo ormai il regno dei cieli» (v. 17).
La scena si svolge «lungo il mare di Galilea», a Cafarnao dove Gesù viene ad abitare dopo essersi trasferito da Nazaret (v. 13). Il brano, da tenere legato a quanto precede (vv. 12-17), vuole mostrare come il regno dei cieli comincia, in effetti, a diffondersi tra gli uomini.
Il testo presenta una prima (vv. 18-20) e una seconda coppia di “chiamati”, composte entrambi da “fratelli” (vv. 21-22). I primi due: «Simone detto Pietro e Andrea» sono “visti” da Gesù nell’atto di compiere il gesto proprio alla loro professione di pescatori: «gettavano le reti in mare».
Proprio a essi rivolge un invito che è come un comando: «Venite dietro a me», un’espressione che indica la relazione alla quale li chiama Gesù: letteralmente a stare “dietro” a lui e, dunque, a diventare suoi discepoli. Il motivo di tale chiamata, capace di cambiare la loro vita, è quello di farli diventare “pescatori di uomini” ossia di renderli idonei a conquistare gli uomini al regno dei cieli. La reazione dei due è contrassegnata dalla loro prontezza a lasciare “le reti” e a seguirlo, accettando in tal modo il mutamento della loro vita segnata oramai dalla sequela di Gesù.
Anche la seconda coppia di fratelli, Giacomo e Giovanni, sono chiamati mentre «riparavano le loro reti» e dunque nell’ordinarietà della loro vita di pescatori. Anch’essi, come Pietro e Andrea, “subito” si lasciano alle spalle la loro vita da pescatori e addirittura “il loro padre” e “lo seguirono” collocandosi cioè con decisione nella via del discepolato, sulle orme del Signore Gesù e, dunque, suoi collaboratori nella predicazione del Regno.
Osserviamo nel contesto del tempo liturgico che è in corso come nello sviluppo graduale della storia della salvezza che ha il suo culmine nella Pasqua del Signore, Dio ha “chiamato” dal suo popolo alcuni uomini da lui scelti per “annunciare” la sua Parola e la cui accoglienza è decisiva per la salvezza.
E' il caso davvero singolare della triplice “chiamata” del piccolo Samuele nel cuore della notte (Lettura: 1Samuele 3,4-8) e la prontezza di lui nel rispondere: «Parla, perché il tuo servo ti ascolta», e soprattutto nel riportare fedelmente ciò che aveva udito dal Signore (v. 18).
Può sorprendere qui, come nel brano evangelico, che la chiamata Dio la rivolge ad un ragazzino come Samuele, a dei “pescatori” come i primi chiamati da Gesù presso il mare di Galilea, o, come nel caso di Paolo, a un “nemico” un “persecutore”, un “bestemmiatore” ovvero, come lui stesso afferma: «A me, che sono l’ultimo fra tutti i santi» (Epistola: Efesini 3,8).
Comprendiamo così come è la “chiamata” di Dio del tutto libera e misteriosa a rendere idonei i “chiamati” alla loro “missione”: Samuele come “giudice” tra il popolo; i primi quattro apostoli come conquistatori di uomini al regno di Dio; Paolo al quale: «è stata concessa questa grazia: annunciare alle genti le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sull’attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio...» (vv. 3,8-9) vale a dire che ogni uomo, senza eccezione, è chiamato: «in Cristo Gesù, a condividere la stessa eredità, a formare lo stesso corpo e ad essere partecipi della stessa promessa per mezzo del Vangelo» (v. 6).
La “chiamata” del Signore è incessante anche ai nostri giorni. Egli non smette di chiamare a collaborare con lui alla vera unica indispensabile missione: introdurre l’umanità nel Regno che lui è venuto ad annunciare e a impiantare realmente in questo nostro mondo, ovvero a far «trascorrere l’uomo da una condizione di morte ad una prodigiosa salvezza» (Prefazio).
E' la chiamata che egli rivolge anche a noi che, partecipando all’Eucaristia, ascoltiamo l’annuncio potente del Signore Gesù Cristo, che ci parla nelle Divine Scritture e che partecipando del Pane e del Vino dell’altare «formiamo un solo corpo», quello del Signore che attende di accogliere in sé ogni uomo e ogni donna.
Pubblicato il - Commenti ()
|
|