29 maggio 2011 – VI Domenica di Pasqua

1. La sesta domenica di Pasqua    

Come la precedente è tesa al vertice della Pasqua segnata dall’Ascensione del Signore al Cielo ossia dal suo “glorioso” ritorno al Padre. Il Lezionario prevede  i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 4,8-14; Salmo 117; Epistola: 1Corinzi 2,12-16; Vangelo: Giovanni 14,25-29. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 21,1-14 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 14,25-29
   

In quel tempo. 25Il Signore Gesù disse: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.    
27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate».
   


3. Commento liturgico-pastorale  
  

I versetti del capitolo 14 oggi proclamati seguono immediatamente quelli che abbiamo udito domenica scorsa (vv. 21-24) e riportano le parole di Gesù sul Paraclito (vv. 25-26) e quelle che annunziano il suo ritorno al Padre (vv. 27-29). Sono parole proiettate sugli eventi che riguardano il compimento della Pasqua e che, pertanto, dovranno essere lette e comprese dalla sua comunità, quella che radunerà lungo i secoli coloro che crederanno in lui.    
Esse, infatti, sono le “cose” che Gesù ha “detto” ai suoi discepoli nella sua permanenza tra di loro (v. 25), vale a dire la “rivelazione” di Dio, il Padre dal quale  egli è uscito e dal quale è stato mandato. Con il suo definitivo ritorno al Padre i discepoli non resteranno comunque privi della sua Parola rivelatrice e del suo “insegnamento”.    
A lui, infatti, subentrerà lo Spirito Santo, qui indicato con il termine greco Paraclito che significa anzitutto: difensore, consolatore! Egli che, al pari di Gesù, sarà “mandato” dal Padre, non porterà una nuova rivelazione, né aggiungerà qualcosa a quella recata da Gesù (v. 26), perché è mandato “nel nome di Gesù”. La sua missione, pertanto, consiste essenzialmente nell’“insegnare ogni cosa” e nel “ricordare” ai discepoli la rivelazione recata da Gesù.      
Sono parole queste di portata fondamentale per la vita della Chiesa di tutti i tempi. Essa possiede la certezza che lo Spirito Santo è perennemente presente e attivo nel condurre i credenti a cogliere il significato autentico delle parole di Gesù e a perseverare nella fede in lui. Queste, infatti, non vanno soggette a interpretazione soggettive ma sono unicamente comprese grazie all’“insegnamento” dello Spirito Santo che parla nel cuore della Chiesa e dei singoli credenti.    
Lo Spirito Santo inoltre “ricorderà” ai credenti le parole dette da Gesù (v. 26). Non si tratta certamente di un semplice ricordo di parole e di eventi appartenenti oramai al passato ma di una penetrazione viva del loro più profondo significato salvifico che perdura con efficacia nelle azioni sacramentali della Chiesa.    
Tutto ciò è stato autorevolmente commentato e sviluppato nella prima predicazione cristiana di cui abbiamo testimonianza nell’Epistola. L’apostolo Paolo dice infatti che l’annunzio evangelico è predicato  «con parole non suggerite dalla sapienza umana, bensì insegnate dallo Spirito, esprimendo cose spirituali in termini spirituali» (1Corinzi 2,13). è proprio l’“insegnamento” dello Spirito trasmesso ovunque dalla predicazione evangelica a garantire alla comunità dei credenti la consapevolezza di possedere «il pensiero di Cristo” (v. 16).    
I vv. 27-29 infine riportano le parole conclusive del “discorso di addio” che essendo pronunciate nell’imminenza della Pasqua, sono destinate a imprimere nel cuore dei discepoli quella “pace” che Gesù, quale Principe della pace (cfr. Isaia 9,5) “lascia” e “dona” a essi perché non si disorientino e non si smarriscano quando, una volta ritornato al Padre, non sarà più fisicamente tra loro (v. 28).    
La “pace” è il dono della felicità piena che arde nel cuore dei credenti, e di cui tutti abbiamo bisogno perché il nostro cuore «non si turbi e non abbia timore» di fronte alle difficoltà, alle prove, alle persecuzioni a cui il “mondo” ci sottoporrà così com’è avvenuto per il Signore Gesù, per i suoi apostoli e i suoi discepoli.    
L’assenza fisica del Signore inaugura pertanto la continua universale permanenza della sua Parola e della sua Pasqua di salvezza nell’“insegnamento” e nel “ricordo” di lui ad opera del Paraclito, dello Spirito Santo. è lui che pone sulla bocca di Pietro un uomo «semplice e senza istruzione», ma “colmato di Spirito Santo” (Lettura: Atti degli Apostoli 4,8) la potente parola evangelizzatrice, quella stessa proclamata da Gesù, come ben mostrano di capire gli ascoltatori riconoscendo in Pietro come in Giovanni «quelli che erano stati con Gesù» (v. 13b).    
La celebrazione eucaristica è l’ambiente privilegiato della presenza e dell’azione dello Spirito Santo. è lui a rendere viva la parola che ascoltiamo nelle Scritture. è lui a far germogliare in noi l’adesione di fede e di amore a colui che ci parla in esse. Ed è sempre lo Spirito a dare efficacia alla Parola nel “ricordo” liturgico di ciò che il Signore ha fatto per noi nella sua morte e risurrezione.    
Per questo preghiamo: «Sii tu, o Dio, il nostro maestro interiore, guidaci sulla strada della giustizia e, donandoci il desiderio di una vita più perfetta, rendi perenne in noi la grazia del mistero pasquale» (All’inizio dell’Assemblea Liturgica).

1. La solennità dell’Ascensione    

Celebra il compimento della Pasqua con il ritorno del Signore vittorioso al Padre dal quale “era venuto” per la nostra salvezza. La recente riforma del Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana (2008) ha  sapientemente riportato questa grande solennità nel “quarantesimo giorno” della letizia pasquale,  segnata dalla gioia della presenza del Risorto tra i suoi ai quali promette, una volta tornato al Padre, di mandare lo Spirito Santo per tener viva la sua Parola e l’efficacia della sua Pasqua fino alla consumazione dei tempi. 
L’importanza dell’odierna solennità nella nostra tradizione liturgica è riscontrabile nella proposta di una speciale Lettura vigiliare per la Messa vespertina che inaugura la solennità e nei due formulari completi per questa Messa e per la Messa “nel giorno”.


1.     Messa della Vigilia
Presentiamo le letture bibliche e il formulario liturgico.       
°   Le letture bibliche    
Sono caratterizzate dalla Lettura vigiliare presa dagli Atti degli Apostoli 1,1-11 .
Essa riporta l’“insegnamento” del Signore risorto impartito ai suoi, ai quali «si mostrò vivo... durante quaranta giorni», e riguardante “il regno di Dio” da lui inaugurato con la sua Pasqua e che la Chiesa grazie alla “forza dello Spirito Santo”, dovrà annunciare ed estendere “fino ai confini della terra”.    
Il brano si conclude con il racconto dell’ascensione e dell’annunzio ai discepoli di “due uomini in bianche vesti” che annunciano il ritorno del Signore dal cielo nel giorno della Parusia, alla fine dei tempi. L’Epistola e il Vangelo sono quelli della Messa “nel giorno”.

Il formulario della Messa
Proponiamo l’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica e il Prefazio che rende grazie a Dio perché nell’ascensione il suo Figlio porta “a compimento il tuo disegno di grazia”.  

All'inizio dell’Assemblea Liturgica    
«Concedi a noi, Padre onnipotente, di tendere con tutte le nostre forze alle altezze del cielo, dove il tuo Figlio oggi è entrato glorioso, e donaci di pervenire con l’integrità della vita là dove si dirige il cammino della fede».  

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, esaltarti, o Padre, sempre e specialmente in questo giorno, in cui Cristo, tuo Figlio e nostro Signore, portò a compimento il tuo disegno di grazia. Così fu vinto e umiliato il demonio, e fu restituito al genere umano lo splendore dei doni divini».    


2.      Messa “nel giorno”    

Presenta un proprio ordinamento delle Letture bibliche e un proprio formulario liturgico.   Le letture bibliche    

Le Letture bibliche
La Lettura: Atti degli Apostoli 1,6-13a completa ciò che è stato letto nella Lettura vigiliare, dicendo che gli apostoli, testimoni dell’elevazione “in alto” del loro maestro e Signore, una volta tornati a Gerusalemme, «salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi». Si tratta di un particolare di grande importanza perché il loro essere riuniti insieme è immagine della Chiesa, quella del Signore, sulla quale egli ha promesso di far scendere “la forza dello Spirito Santo” che la abilita a “dare testimonianza” a Gesù ovunque e fino al suo ritorno “glorioso” dal cielo.    
L’Epistola: Efesini 4,7-13 sottolinea come il Signore «asceso in alto ha portato con sé prigionieri» ossia l’intera umanità schiava del peccato, di satana, della morte, e da lui liberata nel mistero della  sua Pasqua. Contemporaneamente egli ha distribuito doni agli uomini mediante, s’intende, il “dono” dello Spirito Santo.      

Il Vangelo, infine, è preso da Luca 24,36b-53:    
In quel tempo. 36BIl Signore Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma . 38Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho».  40Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42Gli offrirono una porzione  di pesce arrostito; 43egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.     
44Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture 46e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, 47e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48Di questo voi siete testimoni. 49Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».    
50Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. 51Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su in cielo. 52Ed essi di prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia 53e stavano sempre nel tempio lodando Dio.  
   
Il brano segue immediatamente quello dei due discepoli di Emmaus. Esso appare diviso in tre parti: nella prima (vv. 36-43) viene narrata l’apparizione del Signore agli Undici e ai discepoli radunati insieme, nella quale si dà a conoscere nella verità di Crocifisso/Risorto, il Vivente.    
Nella seconda parte (vv. 44-49) come già con i discepoli di Emmaus, Gesù «aprì loro la mente per comprendere le Scritture» che concordano nell’annunziare come il Cristo, ossia il Messia, «patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno», secondo l’ineffabile disegno di Dio di universale salvezza.    
Nei versetti finali (50-53) l’evangelista riferisce l’evento glorioso dell’Ascensione del Signore che produce nel cuore dei discepoli “grande gioia” e la lode a Dio.      

Il formulario della Messa
Riportiamo soltanto l’orazione A Conclusione della Liturgia della Parola e il Prefazio che condividiamo con la tradizione liturgica romana.      

A Conclusione della Liturgia della Parola
   
«Guarda, o Padre, a quale dignità è stato oggi elevato l’uomo che tu creasti; continua a purificarci con la tua grazia e a renderci ogni giorno più degni del mistero del tuo amore infinito».      

Prefazio    
«E' veramente cosa buona e giusta che tutte le creature si uniscano nella tua lode, o Dio di infinita potenza. Gesù tuo Figlio, re dell’universo, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al di sopra dei cieli tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non ci ha abbandonato nella povertà della nostra condizione umana, ma ci ha preceduto nella dimora eterna per darci la sicura speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria».

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22 maggio 2011 – V domenica di Pasqua

1. La quinta domenica di Pasqua    

Comincia a orientare l’attenzione orante della Chiesa al mistero dell’Ascensione del Signore ossia del suo ritorno al Padre culmine della Pasqua. Le lezioni bibliche offerte dal Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 10,1-5.24.34-36. 44-48a; Salmo 65; Epistola: Filippesi 2,12-16; Vangelo: Giovanni 14,21-24. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Matteo 28,8-10 quale Vangelo della risurrezione.  
 

2. Vangelo secondo Giovanni 14,21-24    

In quel tempo. 21Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui».    
22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato».
 
 

3. Commento liturgico-pastorale     

Il brano oggi proclamato è preso dal primo lungo “discorso di addio” pronunciato da Gesù durante l’ultima cena consumata con i suoi discepoli nel cenacolo (13,33-14,31) e ne costituisce come il vertice a cui esso tende.    
Prende avvio al v. 21 con l’iniziale precisazione relativa alla relazione d’amore con lui che possono intrattenere non solo i discepoli ma ogni uomo che tiene come norma di vita l’osservanza dei “comandamenti” dati da Gesù e che sono racchiusi nell’unico comandamento relativo all’amore del “fratello”. Un amore che, sul suo esempio, esige e arriva fino alla donazione della propria vita.    
L’osservanza  dei comandamenti del Signore è però resa possibile nell’uomo soltanto dall’iniziativa del tutto gratuita di Dio Padre che per primo ha dimostrato concretamente il suo “amore” per tutti noi nel “dare” il suo unico Figlio!    
Accogliere con fede Gesù riconoscendo in lui il dono supremo della carità di Dio abilita il credente a sperimentare l’indicibile relazione d’amore che contraddistingue in maniera irripetibile quella del Padre e del suo unico Figlio. Egli, infatti, promette di “amare” coloro che “amandolo”, ossia credendo in lui e osservando i suoi comandamenti, sono oggetto della compiacenza e della carità del Padre. In concreto Gesù ama i “suoi” “manifestando” a essi proprio la sua relazione filiale con il Padre alla quale anch’essi sono chiamati.    
La domanda dell’apostolo Giuda Taddeo (cfr. Matteo 10,3): «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (v. 22) dimostra che inizialmente gli apostoli hanno faticato a comprendere come la “manifestazione” di Gesù che ha avuto il suo momento più alto nella Pasqua, sia in realtà destinata a raggiungere il “mondo” ossia ogni uomo che aprendo il suo cuore alla fede in Gesù, accoglie, di fatto, la sua “venuta” entrando in comunione con lui.    
Anzi, come leggiamo al v. 23, con il Signore Gesù colui che, in obbedienza alla sua parola vive nella carità, entra anche in comunione con il Padre diventando addirittura “dimora” del Padre e del Figlio, vero tempio e casa di Dio.    
Questa è la prospettiva aperta per ogni uomo dalla Pasqua del Signore. Da allora la comunità dei credenti dovrà continuamente annunciare la Parola e attualizzare la Pasqua “manifestazione” definitiva al mondo dell’“amore” del Padre e del Figlio e potente appello ad accogliere il dono della carità divina che vuole “dimorare” stabilmente in coloro che lo accolgono.    
La Lettura ci offre una esemplificazione concreta di tutto ciò nella vicenda di «Cornelio, centurione della coorte detta Italica» (Atti degli Apostoli 10,1) nella quale l’apostolo Pietro può facilmente riconoscere che «Dio non fa preferenza di persona, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (vv 34-35).    
E' un linguaggio diverso per dire ciò che abbiamo letto nel brano evangelico: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Giovanni 14,23).  Cornelio, infatti, nel quale Dio stesso ha suscitato «il volere e l'operare secondo il suo disegno di amore» (cfr. Epistola: Filippesi 2,13) ha “osservato” la parola del Signore facendo «molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio» (Atti degli Apostoli 10,2) vivendo cioè il comandamento della “carità”.    
La celebrazione eucaristica nella quale «Gli angeli stanno attorno all’altare e Cristo porge il Pane dei santi e il Calice di vita» (Canto Alla Comunione) è lo spazio santo nel quale viene “manifestato”  ai nostri occhi, nel segno sacramentale del pane e del vino, il Signore Gesù nell’atto di compiere la sua donazione filiale al Padre che fonda e motiva non solo la nostra salvezza ma la nostra stessa capacità di “amarlo” e, in lui, arrivare all’esperienza decisiva e ultima: quella della nostra relazione filiale con Dio.

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15 maggio 2011 – IV domenica di Pasqua


1. La quarta domenica di Pasqua


E' caratterizzata, nell’anno A, dalla lettura evangelica riguardante l’autorivelazione di Gesù quale “Buon Pastore”. Un’immagine capace di descrivere l’intera opera di salvezza da lui compiuta nella Pasqua. Le lezioni bibliche proposte nel Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 6,1-7; Salmo 134; Epistola: Romani 10,11-15; Vangelo: Giovanni 10,11-18. Il Vangelo della risurrezione da proclamare nella Messa vespertina del sabato è preso da: Luca 24,9-12.    


2. Vangelo secondo Giovanni 10,11-18    

In quel tempo. 11Il Signore Gesù disse ai farisei: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.    
14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto; anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».    



3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano si apre con la solenne dichiarazione con la quale il Signore Gesù si autodefinisce il Pastore “buono” del quale avevano parlato i Profeti, ponendolo spesso in contrapposizione ai “cattivi” pastori, quali si erano rivelati i capi del popolo. Egli può definirsi “buono” perché è pronto a mettere in gioco la sua stessa vita per proteggere il gregge a lui affidato, a differenza del “mercenario” che, non avendo un rapporto personale con il gregge se non di interesse, non ha nessuna intenzione di mettere a repentaglio la propria vita al sopraggiungere di un pericolo mortale per le pecore che, di conseguenza, vengono “disperse”.

Con queste immagini subito comprensibili ai suoi uditori Gesù annunzia l’essenza della sua opera di salvezza, anzitutto nei riguardi del popolo d’Israele che, a ragione, può essere raffigurato come un gregge disperso a motivo dell'incredulità e del traviamento operato dai cattivi suoi pastori.. Egli, dunque, è stato mandato a “radunare i figli di Dio dispersi” cosa da lui compiuta nell’ora in cui “offre” la sua vita per essi, nell’ora cioè della croce.

A ragione perciò il Signore può ulteriormente ribadire: «Io sono il buon pastore» (v.14) e sottolineare il suo speciale rapporto con le “sue pecore” con coloro, cioè che credono in lui e lo seguono;  un rapporto, come fa capire il verbo “conoscere”, che è essenzialmente rapporto di amore. Un amore reciproco del Pastore per le sue pecore e di queste per il Pastore modellato fino a riprodurre in qualche modo l’indicibile rapporto d’amore che lega il Padre a Gesù e questi al Padre.  Un amore ben visibile e riconoscibile nel fatto che Gesù dà la sua vita per le pecore (cfr. v. 15).

Al v. 16 viene aperta la prospettiva universale propria alla missione “pastorale” di Cristo che raggiunge il suo scopo nell’ora del dono della sua vita sulla croce perché, non solo il popolo della prima Alleanza, ma tutti gli uomini nel disegno divino sono chiamati a radunarsi nell’unico gregge, quello guidato dall’unico pastore, Gesù.

Con ciò il Signore mostra come il frutto della sua morte, vale a dire il dono della sua vita, segno del suo amore per il Padre e per le pecore, è il raduno universale di tutte le genti chiamate, mediante l’“ascolto” della sua “voce”, ossia mediante l’adesione di fede in lui, a formare l’unico “gregge”.

Questa prospettiva continua a realizzarsi, sotto i nostri occhi, nell’azione pastorale del Signore prolungata nella sua Chiesa tramite l’annuncio evangelico e l’attualizzazione della sua morte, segno del suo amore senza limiti e senza confini.

Tutti, infatti, senza distinzione “fra Giudeo o Greco” sono chiamati a sperimentare l’amore di Gesù che «è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano» (Epistola: Romani 10,12b) avendo “ascoltato la sua voce” ossia accolto con fede la predicazione evangelica che è l’attività essenziale e primaria, ieri come oggi e sempre, della comunità ecclesiale (cfr. Lettura: Atti degli Apostoli, 6,4).

Questa predicazione dilata lungo i secoli e sino ai confini della terra la “voce” del Buon Pastore perché tutti “aderiscano alla fede” facendo così estendere “il numero dei discepoli”  (At 6,7) ovvero delle “pecore” del Signore che “ascoltano la sua voce” e lo amano seguendo lui solo.

L’ultima parte (vv. 17-18) incornicia l’intero brano nella manifestazione del “comando” dato dal Padre a Gesù e che egli non solo condivide ma, facendolo proprio, lo mette in pratica. Il comando riguarda la “sua vita” che lui “offre” con libera decisione per amore delle sue pecore. Vita che, una volta data, Gesù “riprende” nell’ora della sua risurrezione per poterla donare senza misura e senza limiti perché tutta l’umanità diventi “un solo gregge”.

Con altre parole, la preghiera liturgica, esprime tutto ciò evocando il significato dell’intera esistenza terrena del Figlio di Dio il quale: «Mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, egli si degnò di nascere dalla vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunica la vita immortale» (Prefazio).

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8 maggio 2011 – III domenica di Pasqua


1. La terza domenica di Pasqua    

Ha il compito di tratteggiare e illuminare con l’immagine biblica dell’agnello di Dio l’opera salvifica compiuta dal Signore Gesù nella sua Pasqua. Il Lezionario riporta i seguenti brani scritturistici: Lettura: Atti degli Apostoli 19,1b-7; Salmo: 106; Epistola: Ebrei 9,11-15; Vangelo: Giovanni 1,29-34. Alla Messa vespertina del sabato viene letto: Marco 16,1-8a quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 1,29-34    

In quel tempo. 29Giovanni vedendo il Signore Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! 30Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. 31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele».     
32Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. 33Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. 34E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».    


3. Commento liturgico-pastorale    

La prima parte del brano è occupata dalla dichiarazione di Giovanni Battista che indica Gesù come «l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». Si tratta di una dichiarazione di grande rilievo non solo per Israele che attende da Dio l’invio del Messia liberatore, ma per l’intera umanità che attende di essere liberata dal giogo opprimente del male e del peccato che la tiene separata da Dio.

In una parola viene qui detto che, in Gesù, Dio offre al mondo la pienezza del perdono e della riconciliazione che una volta era profeticamente annunciata nell’offerta dei “sacrifici” di animali inconsapevoli, automaticamente e definitivamente aboliti.

Egli, perciò, venendo in questo mondo non solo, toglie di mezzo la moltitudine dei peccati che estraniano l’uomo dal suo vitale rapporto con Dio, ma toglie di mezzo il potere stesso esercitato dal peccato su di essi e stabilendo “nel suo sangue” un’alleanza nuova con Dio.

La catechesi cristiana delle origini ha sviluppato quanto appena detto mostrando come l’immagine biblica dell’agnello è stata portata a compimento da Gesù nella sua Pasqua di morte e di risurrezione e il cui sangue, a differenza di quello di “capri e di vitelli”, è in grado di purificare «la nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente» (Epistola: Ebrei 9,14).

Gesù è in grado di compiere tutto ciò perché, come afferma il Battista: «è avanti a me, perché era prima di me» (v. 30), confessando così, la preesistenza di Gesù che nel prologo del Vangelo abbiamo imparato a identificare nel Verbo eterno che Dio manda nel mondo per compiere l'opera di salvezza. A lui, dunque, è orientata l’intera attività del Battista, che consiste nel preparare il popolo a rivolgersi e ad accogliere Gesù come l’inviato di Dio (v. 31), ovvero, come chiarisce l’apostolo Paolo: «Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù» (Lettura: Atti degli Apostoli 19,4).

La seconda parte del brano (vv. 32-34) è occupata dalla “testimonianza” che Giovanni Battista dà a Gesù, una testimonianza che procede da quanto lui stesso “ha visto”, s'intende, nel momento del suo battesimo: «Ho contemplato lo Spirito discendere dal cielo e rimanere su di lui» (v. 32).

Proprio la “contemplazione” dello Spirito Santo che si posa stabilmente su Gesù permette al Battista di riconoscerlo quale Messia sul quale, stando alla parola dei profeti, si sarebbe posato lo Spirito del Signore (cfr. Isaia 11,2). Egli inoltre capisce che Gesù, portatore dello Spirito, «è lui che battezza nello Spirito Santo» (v. 33) per la più profonda trasformazione dell'uomo che il battesimo “nell’acqua” poteva soltanto preparare e in qualche modo anticipare.

La Lettura presa dagli Atti degli Apostoli mostra nell’attività missionaria di san Paolo come la Chiesa delle origini ha da subito praticato il “battesimo nello Spirito” inaugurato dal Signore Gesù perché anche sui credenti si posasse stabilmente lo Spirito Santo, non solo per il perdono dei peccati, ma per la loro trasformazione profonda in Cristo e divenire partecipi in lui della sua missione profetica e di universale evangelizzazione.

L'affermazione conclusiva: «E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio» rappresenta il vertice della testimonianza resa dal Battista a Gesù sulla base di ciò che lui stesso ha visto e contemplato, testimonianza che deve essere quella di tutti coloro che, avendo creduto, sono stati immersi nello Spirito del Risorto.

La partecipazione all’Eucaristia, mentre ci inserisce sempre di più nell’alleanza, ovvero nella comunione con la vita divina, inaugurata nel sangue dell’Agnello, ci invita a tornare al fonte battesimale, nostra prima immersione nello Spirito del Signore Gesù, per contemplare con rinnovato stupore le meraviglie di cui siamo stati fatti partecipi e che la preghiera liturgica così traduce: «Dalla terra lo avevi formato, ma rigenerandolo nel battesimo gli hai infuso una vita che viene dal cielo. Da quando l’autore della morte è stato sconfitto per l’azione redentrice di Cristo, l’uomo ha conseguito il dono di un’esistenza immortale e, dispersa la nebbia dell’errore, ha ritrovato la via della verità» (Prefazio).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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