9 Giugno 2013 – III domenica dopo Pentecoste


Il dono dello Spirito, frutto della Pasqua, ci guida in ogni tempo nel ripercorrere la storia della nostra salvezza di cui, questa domenica, ci propone il momento gravido di conseguenze qual è la caduta dell’umanità in Adamo e la promessa divina del suo riscatto in Cristo.

 

Il Lezionario

 

Prevede la proclamazione dei seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 3,1-20; Salmo 129 (130); Epistola: Romani 5,18-21; Vangelo: Matteo 1,20b-24b. Alla Messa vigiliare del sabato il Vangelo della Risurrezione è preso da Marco 16,1-8a. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della X  Domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro della Genesi (3,1-20)

 

In quei giorni. 1Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici che Dio aveva fatto e disse alla donna: «È vero che Dio ha detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». 2Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, 3ma del frutto dell’albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete”». 4Ma il serpente disse alla donna: «Non morirete affatto! 5Anzi, Dio sa che il giorno in cui voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi e sareste come Dio, conoscendo il bene e il male». 6Allora la donna vide che l’albero era buono da mangiare, gradevole agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò. 7Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e conobbero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.

8 Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo, con sua moglie, si nascose dalla presenza del Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. 9Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». 11Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». 12Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato”.

14 Allora il Signore Dio disse al serpente: /«Poiché hai fatto questo, / maledetto tu fra tutto il bestiame / e fra tutti gli animali selvatici! /Sul tuo ventre camminerai / e polvere mangerai / per tutti i giorni della tua vita. / 15Io porrò inimicizia fra te e la donna, / fra la tua stirpe e la sua stirpe: / questa ti schiaccerà la testa / e tu le insidierai il calcagno».16Alla donna disse: / «Moltiplicherò i tuoi dolori / e le tue gravidanze, / con dolore partorirai figli. / Verso tuo marito sarà il tuo istinto, / ed egli ti dominerà»./ 17All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne”, / maledetto il suolo per causa tua! / Con dolore ne trarrai il cibo / per tutti i giorni della tua vita. / 18Spine e cardi produrrà per te / e mangerai l’erba dei campi. / 19Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, / finché non ritornerai alla terra, / perché da essa sei stato tratto: / polvere tu sei e in polvere ritornerai!». / L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

 

Il racconto del peccato dell’uomo (=Adamo ed Eva) intende rispondere alla difficile domanda: da dove ha origine il male che c’è nel mondo? La risposta la si intravede a partire dalla figura del serpente, designato come la creatura «più astuta» (v. 1) e dal dialogo che egli intrattiene con la donna (vv. 1-5), nel quale insinua che la proibizione divina riguardante l’albero «che sta in mezzo al giardino» (v. 3) è dovuta al fatto che Dio non vuole che l’uomo diventi uguale a lui (v. 5). Il v. 6 narra la trasgressione da parte della donna e quindi del marito, che si cibano dell’albero proibito i cui frutti sono desiderabili «per acquistare saggezza», ottenere cioè di poter «conoscere il bene e il male» (v. 5), prerogativa esclusiva di Dio. In realtà, la trasgressione porta sì all’uomo la conoscenza, ma quella di «essere nudi», ossia la sua nativa condizione di creatura e, quindi, di fragilità. La percezione della nudità produce, nell’uomo caduto in peccato, la vergogna davanti a Dio, per cui cerca di nascondersi al suo sguardo (vv.8-10). Alle domande di Dio l’uomo risponde scaricando la responsabilità sulla donna (v. 12) e, questa, sul serpente (v. 13). Il v. 14 riporta il giudizio di Dio sul serpente al quale predice la totale sconfitta da parte della stirpe della donna (v. 15). Predizione, questa, chiamata il proto-vangelo, nel quale si annunzia la venuta del Figlio di Dio fatto uomo e nato da Maria, il quale è destinato a schiacciare la testa al serpente (v. 15). Il v. 16 indica nei dolori del parto e nel predominio dell’uomo sulla donna, il frutto del suo peccato, mentre per l’uomo (vv.17-19) la ricompensa per il peccato consisterà nella fatica per procurarsi cibo da un suolo divenuto arido e ostile e, infine, il suo dissolversi nella polvere da cui Dio lo aveva tratto. Il brano si conclude con l’imposizione del nome, da parte di Adamo, a sua moglie, che egli chiama Eva (v. 20).

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (5, 18-21)

 

Fratelli, 18come per la caduta di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l’opera giusta di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione, che dà vita. 19Infatti come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti.

20La Legge poi sopravvenne perché abbondasse la caduta; ma dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia. 21Di modo che come regnò il peccato nella morte, così regni anche la grazia mediante la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.

 

Nella prima parte del brano (vv. 18-19) l’Apostolo lega l’umanità intera alle conseguenze amare dovute alla caduta e alla disobbedienza di «uno solo» (= Adamo) come rappresentante dell’intera umanità condannata, quindi lega l’umanità intera alle conseguenze positive dovute all’«opera giusta» e alla «obbedienza di uno solo» (= Gesù Cristo) come rappresentante dell’intera umanità giustificata. Nei vv. 20-21, l’Apostolo, in modo paradossale, assegna alla Legge il compito della moltiplicazione delle cadute poiché l’uomo non è in grado di osservarla. La conseguenza è il dominio mortale del peccato sull’uomo il quale però, «per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» viene come inondato dalla sovrabbondanza della grazia che lo libera e lo salva.

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (1,20b-24b)

                  

In quel tempo. 20bApparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».

22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: / a lui sarà dato il nome di Emmanuele, / che significa Dio con noi». 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.

 

Il brano fa seguito a quanto era stato detto ai vv. 18-20a a proposito della scoperta, da parte di Giuseppe, che Maria, sua «promessa sposa si trovò incinta», come precisa l’evangelista, «per opera dello Spirito Santo». Cosa, questa, che viene rivelata a Giuseppe in sogno, con la precisazione che al bambino che nascerà egli dovrà imporre il  nome di Gesù il quale, come indica il suo nome (= Dio salva), dovrà «salvare il suo popolo dai suoi peccati» (vv. 20b-21). Segue il commento riguardante la gravidanza di Maria interpretata come compimento della parola divina rivolta dal profeta Isaia al re Acaz (cfr. Isaia 7,14). Il brano si chiude con la constatazione della pronta obbedienza di Giuseppe alle parole dell’angelo (v. 24).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Lo Spirito Santo, dono supremo e plenario della Pasqua, illumina le nostre intelligenze e le abilita a penetrare in profondità nella Parola che il Signore ha predicato rivelando i disegni divini a favore degli uomini.

In particolare, in questa domenica, le Scritture ci conducono a riflettere con fede su un momento cruciale e fondativo dell’intera storia della salvezza, che ha come suo culmine e chiave interpretativa la croce e la risurrezione del Signore. Mi riferisco agli eventi che coinvolgono misteriosamente, dalle origini e fino alla fine dei tempi, ogni uomo che viene in questo mondo.

Eventi che si sono verificati presso «l’albero che sta in mezzo al giardino» (Lettura: Genesi, 3,3) e che hanno avuto come protagonista l’«uomo», indicato nel testo sacro con il nome di Adamo e di Eva.

Essi, stando all’insegnamento dell’Apostolo, rappresentano ogni uomo (cfr. Epistola: Romani 5,18.19) preda dell’insano desiderio di sfuggire alla realtà della nostra condizione di creature, e dunque, dipendenti dalle mani di Dio creatore, per diventare «come Dio» (v. 5), autonomi nel decretare «ciò che è bene e ciò che è male» (cfr. v. 5).

L’albero a cui la donna e l’uomo tendono la mano per impossessarsene rappresenta Dio stesso che svela all’uomo la sua condizione di nudità (v. 11), ossia la sua nativa totale indigenza e fragilità. Una condizione divenuta drammatica a causa del suo peccato, che lo fa fuggire davanti al suo Creatore, che lo divide in sé stesso opponendo l’uomo e la donna, che lo rende nemico della creazione, essa stessa condannata con lui e a causa sua, al punto da perdere la nativa esuberanza e divenire un suolo arido e ostile (v. 18). Condizione, quella dell’uomo peccatore, incamminato inesorabilmente verso il suo disfacimento nell’inconsistenza della polvere da cui le dita di Dio lo avevano tratto con sapienza e amore.

Su un tale desolante scenario, sempre sperimentabile ogni volta che l’uomo crede di essere come Dio, brilla, però, una parola di speranza che rivela che in lui l’amore per l’uomo ha la meglio sulla pur giusta condanna, come ci ricorda il ritornello al Salmo: «Il Signore è bontà e misericordia».

Sarà infatti proprio un uomo, della stirpe cioè della donna a schiacciare la testa del serpente (v. 15), che presso l’albero delle origini, così come presso ogni uomo e ogni donna, insinua il veleno che inclina a dubitare di Dio, del suo amore, sollecitandolo a sganciarsi da lui, a gridare la sua conoscenza, l’orgogliosa rivendicazione della propria autonomia.

Questa parola che risuona agli inizi della storia, si concretizza nel momento in cui «la vergine concepirà e darà alla luce un figlio» (Isaia 7,14), ovvero allorché Maria «darà alla luce un figlio», che verrà chiamato Gesù poiché egli «salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Vangelo: Matteo 1, 21).

Il figlio della Vergine, Gesù di Nazaret, riversa sull’umanità intera di cui egli è il nuovo inizio, la sovrabbondanza della grazia, frutto della sua opera giusta ovvero della sua obbedienza che ribalta la disobbedienza di Adamo e, dunque, toglie di mezzo, la condanna che, da uno solo (Adamo) si è riversato su tutti, divenuti in lui peccatori(cfr. Romani 5,18-19).

L’obbedienza che da peccatori fa di tutti noi giusti agli occhi di Dio, come ben sappiamo, è l’opera giusta che il Figlio di Dio e della Vergine ha compiuto presso l’“albero” della Croce (cfr. vv. 20-21). Al contrario di Adamo, Gesù non ha steso la sua mano su Dio, ma nell’atto di dare l’ultimo respiro, si è definitivamente e totalmente rimesso nelle sue mani operando, in tal modo, la nostra salvezza, che ora celebriamo intatta nel mistero eucaristico e che ci fa esclamare: «Abbiamo accolto, o Dio, la tua misericordia in mezzo al tuo tempio» (Canto Al Vangelo).

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