Con due settimane di anticipo su quella romana la nostra tradizione liturgica ambrosiana dà inizio, con l’Avvento, al nuovo anno liturgico destinato ad attualizzare il mistero dell’universale salvezza che è nel Figlio di Dio fatto uomo, nato dalla Vergine Maria, morto sulla Croce e risorto.
L’Avvento, che ha la durata di sei settimane, ha il compito di preparare la celebrazione dell’annuale memoria della Natività del Signore quale sua prima venuta nell’umiltà e di tenere desta nella Chiesa l’attesa della seconda e definitiva venuta del Signore con «grande potenza».
La celebrazione eucaristica, specialmente quella domenicale, è il luogo privilegiato dove è possibile, nella “venuta sacramentale”, fare esperienza viva dell’incontro con il Signore «nell’attesa della sua venuta». Veicolo primario di tale esperienza è la Parola divina proclamata nelle Scritture e la preghiera della Chiesa che ascolta e accoglie, nella Parola e nei santi segni eucaristici, il Verbo di Dio fatto uomo, il Crocifisso/Risorto.
Il Lezionario
I testi biblici per questa prima domenica di Avvento sono rintracciabili nel primo dei tre volumi di cui si compone il Lezionario ambrosiano dal titolo: Mistero dell’Incarnazione del Signore. Esso accompagna il nostro cammino fino alle soglie della Quaresima. Per la presente domenica le lezioni bibliche sono prese dal ciclo dell’Anno B e sono: Lettura: Isaia 24,16b-23; Salmo 79(80); Epistola: 1 Corinzi 15,22-28; Vangelo: Marco 13,1-27. Nella messa vigiliare del sabato si legge: Marco 16,9-16 quale Vangelo della Risurrezione.
Lettura del profeta Isaia (24,16b-23)
16bIo dico: «Guai a me! Guai a me! Ohimè!». I perfidi agiscono perfidamente, i perfidi operano con perfidia. 17Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante della terra.18Avverrà che chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso nel laccio, poiché cateratte dall’alto si aprono e si scuotono le fondamenta della terra. 19A pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra, rovinosamente crollerà la terra. 20La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una tenda; peserà su di essa la sua iniquità, cadrà e non si rialzerà. 21Avverrà che in quel giorno il Signore punirà in alto l’esercito di lassù e in terra i re della terra. 22Saranno senza scampo incarcerati, come un prigioniero in una prigione sotterranea, saranno rinchiusi in un carcere e dopo lungo tempo saranno puniti. 23Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e a Gerusalemme, e davanti ai suoi anziani risplende la sua gloria.
Il brano fa parte di quella che viene chiamata la “grande apocalisse” di Isaia, nella quale viene annunziato il giudizio di Dio sull’intera umanità travolta dall’ingiustizia e dalla violenza. Il giudizio è descritto con il ricorso a immagini catastrofiche che riguardano le realtà terrene (vv. 18-20) e celesti (vv. 21-23). Esse intendono far capire che Dio non è indifferente a ciò che avviene nel mondo e che niente e nessuno può resistere e sottrarsi al suo giudizio.
Epistola: Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi (15,22-28)
Fratelli, come in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni Principato e ogni Potenza e Forza.
È necessario infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi.
Però, quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
Il brano fa parte della sezione della lettera nella quale l’Apostolo vuole rafforzare nella comunità di Corinto la certezza che la risurrezione del Signore Gesù dai morti offre ai credenti la garanzia della loro risurrezione «alla sua venuta» (v. 23) espressione questa del vocabolario cristiano delle origini che sta a indicare il ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi o parusia. Essa segnerà il definitivo annientamento di tutti i nostri nemici, il più implacabile dei quali è la morte (v. 26) e la riconsegna a Dio Padre di ogni cosa, «perché Dio sia tutto in tutti» (v.28).
Vangelo: Lettura del Vangelo secondo Marco (13,1-27)
1In quel tempo. Mentre il Signore Gesù usciva dal tempio, uno dei suoi discepoli gli disse: «Maestro, guarda che pietre e che costruzioni!». 2Gesù gli rispose: «Vedi queste grandi costruzioni? Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta».
3Mentre stava sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio, Pietro, Giacomo, Giovanni e Andrea lo interrogavano in disparte: 4«Di’ a noi: quando accadranno queste cose e quale sarà il segno quando tutte queste cose staranno per compiersi?».
5Gesù si mise a dire loro:«Badate che nessuno v’inganni! 6Molti verranno nel mio nome, dicendo: “Sono io”, e trarranno molti in inganno. 7E quando sentirete di guerre e di rumori di guerre, non allarmatevi; deve avvenire, ma non è ancora la fine. 8Si solleverà infatti nazione contro nazione e regno contro regno; vi saranno terremoti in diversi luoghi e vi saranno carestie: questo è l’inizio dei dolori.
9Ma voi badate a voi stessi! Vi consegneranno ai sinedri, sarete percossi nelle sinagoghe e comparirete davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro. 10Ma prima è necessario che il Vangelo sia proclamato a tutte le nazioni. 11E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo. 12Il fratello farà morire il fratello, il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. 13Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato.
14Quando vedrete l’abominio della devastazione presente là dove non è lecito – chi legge, comprenda -, allora quelli che si trovano nella Giudea fuggano sui monti, 15chi si trova sulla terrazza non scenda e non entri a prendere qualcosa nella sua casa, 16e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello. 17In quei giorni guai alle donne incinte e a quelle che allattano!
18Pregate che ciò non accada d’inverno; 19perché quelli saranno giorni di tribolazione, quale non vi è mai stata dall’inizio della creazione, fatta da Dio, fino ad ora, e mai più vi sarà. 20E se il Signore non abbreviasse quei giorni, nessuno si salverebbe. Ma, grazie agli eletti che egli si è scelto, ha abbreviato quei giorni.
21Allora, se qualcuno vi dirà:”Ecco, il Cristo è qui; ecco, è là”, voi non credeteci; 22perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e faranno segni e prodigi per ingannare, se possibile, gli eletti.
23Voi, però, fate attenzione! Io vi ho predetto tutto.
24In quei giorni, dopo quella tribolazione, “il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, 25le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. 26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo».
Il testo riporta quasi per intero il discorso escatologico, riguardante cioè gli avvenimenti finali della storia e della definitiva venuta del Figlio dell’uomo. Si può così suddividere: vv.1-4: scena d’introduzione che prende spunto dall’ammirazione del tempio di Gerusalemme del quale Gesù predice la distruzione come segnale che avvia la fine; vv. 5-8: Gesù invita i suoi a guardarsi nel frattempo dai seduttori e predice l’inizio delle sofferenze che preludono la fine; vv. 9-13: Gesù esorta i suoi discepoli a perseverare tra persecuzioni e tribolazioni fino alla fine; vv. 14-23: descrizione dell’ultima e più grande “tribolazione”, accompagnata da straordinari fenomeni celesti; vv. 24-27: descrivono la parusìa del Figlio dell’uomo per il giudizio con il conseguente raduno davanti a lui dei suoi eletti.
Commento liturgico-pastorale
Questa prima domenica, con i testi biblici oggi proclamati, pone il tempo dell’Avvento, essenzialmente orientato al mistero salvifico dell’Incarnazione e della Natività del Signore, nel più ampio contesto degli ultimi eventi, della sua venuta cioè alla fine dei tempi (parusìa) che rappresenta il compimento ultimo e definitivo della salvezza che ha il suo esordio proprio nella sua Natività e il suo apice nella sua Pasqua.
I brani biblici ci dicono che la prima venuta del Figlio di Dio nel mondo ha effettivamente introdotto in esso la salvezza, che dovrà però compiersi definitivamente con il suo ritorno alla fine dei tempi. Le immagini a tinte forti della Lettura profetica dicono la condizione anche attuale della storia umana contrassegnata dall’iniquità, dalla violenza, dal peccato che provoca nell’uomo sofferenza e dolore di cui si fa interprete il Salmo 79(80): «Tu ci nutri con pane di lacrime, ci fai bere lacrime in abbondanza», e che lo spinge a implorare: «Dio degli eserciti, ritorna!».
La decisione da parte di Dio di intervenire con forza per porre fine a tanto sfacelo si concretizza nella “prima venuta” del suo Figlio fatto uomo. Egli si presenta come la mano tesa da Dio agli uomini invitati ad abbandonare ogni empietà e a ritornare a lui con decisa determinazione. L’Avvento ci stimola ogni anno ad accogliere in Cristo l’intervento salvifico di Dio nel mondo.
Rifiutarlo o misconoscerlo comporterebbe l’impossibilità a sopportare l’inevitabile crollo delle umane certezze delle quali, come ci avverte il Signore, non rimarrà «pietra su pietra che non venga distrutta» (Vangelo), e l’incapacità a resistere, come ci viene detto, saldi nella fede alle altrettanto inevitabili prove e persecuzioni così come alla “grande tribolazione” che attraversa normalmente la nostra storia e la nostra vita.
In essa, come ben sappiano per esperienza diretta e personale, la fanno da padroni quelli che l’Epistola paolina chiama i «nostri nemici», per noi invincibili, il più terribile dei quali è la morte! Rifiutare il dono di salvezza che viene dall’alto comporterebbe infine, cosa più grave e irrimediabile, l’esclusione dal gruppo degli eletti che il Signore radunerà «dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo» (Vangelo).
Di qui l’annuale invito dell’Avvento a volgere il nostro sguardo e il nostro cuore al Volto di Dio che brilla benevolo nel suo Figlio nato da Maria e mentre attendiamo la sua “seconda venuta” nella quale pronuncerà, come speriamo, il giudizio definitivo della nostra salvezza, impariamo a riconoscerlo e ad accoglierlo nella sua incessante “venuta” nell’assemblea liturgica radunata nel suo nome.
In essa è attualizzato ciò che egli ha compiuto con la sua prima venuta «nell’umiltà della carne», nella quale «portò a compimento l’antica speranza e aprì il passaggio all’eterna salvezza» e dove è tenuta desta la certezza che «quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio).
Illuminati dalle divine Scritture sperimentate alla mensa eucaristica dove annunciamo la morte e la risurrezione del Signore «nell’attesa della sua venuta» sale spontanea in noi la gioia e l’esultanza che, come ci suggerisce l’antifona Alla Comunione, coinvolge il cielo e la terra: «Gioite cieli, esulta o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».
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