30 settembre 2012


30 settembre 2012 – V domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore

 

 

Fa risuonare con forza nella Chiesa il comandamento dell’amore, quale norma unica e suprema data da Gesù alla sua comunità e valida per tutti i tempi.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti testi della scrittura: Lettura: Deuteronomio 6,1-9; Salmo 118 (119); Epistola: Romani 13,8-14a; Vangelo: Luca 10,25-37. Alla Messa vigiliare del sabato si proclama: Luca 24,13-35 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVI domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del libro del Deuteronomio (6,1-9)

 

In quei giorni. Mosè disse: «1Questi sono i comandi, le leggi e le norme che il Signore, vostro Dio, ha ordinato di insegnarvi, perché li mettiate in pratica nella terra in cui state per entrare per prenderne possesso; 2perché tu tema il Signore, tuo Dio, osservando per tutti i giorni della tua vita, tu, il tuo figlio e il figlio del tuo figlio, tutte le sue leggi e tutti i suoi comandi che io ti do e così si prolunghino i tuoi giorni. 3Ascolta, o Israele, e bada di metterli in pratica, perché tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele, come il Signore, Dio dei tuoi padri, ti ha detto.

4Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico è il Signore. 5Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. 6Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore. 7Li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando ti troverai in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai. 8Te li legherai alla mano come un segno, ti saranno come un pendaglio tra gli occhi 9e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte».

 

Il brano, che ruota attorno al comandamento dell’amore per Dio, è introdotto, ai vv. 1-3, dall’esortazione a temere il Signore, a rimanere cioè fedeli ai suoi comandi come condizione per avere una vita lunga e serena. Il grande comandamento è inoltre preceduto dall’invito ad ascoltare la proclamazione di fede riguardante Dio, unico Signore (v. 4). Si tratta del nucleo essenziale della professione di fede del giudaismo sulla quale si poggia il precetto di amare il Signore con una totale dedizione a lui (v. 5). I vv. 7-9, infine, contengono una serie pratica di suggerimenti volti a favorire la perseveranza nel tener fede al comando del Signore.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (13,8-14a)

 

Fratelli, 8non siate debitori di nulla a nessuno, se non dell’amore vicendevole; perché chi ama l’altro ha adempiuto la Legge. 9Infatti: «Non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai», e qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». 10La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità.

11E questo voi farete, consapevoli del momento: è ormai tempo di svegliarvi dal sonno, perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. 12La notte è avanzata, il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce. 13Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno: non in mezzo a orge e ubriachezze, non fra lussurie e impurità, non in litigi e gelosie. 14Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo.

 

Il brano fa parte della sezione “pratica” della lettera, nella quale l’Apostolo offre concrete indicazioni per la vita cristiana: 12,1-15,13. È il caso dei vv. 8-10, nei quali con riferimento a Esodo 20,13-17 e Levitico 19,18 pone al centro dell’impegno di vita cristiana l’esigenza dell’amore vicendevole come adempimento dei divini precetti. I vv. 11.14, infine, esortano a vivere nella prospettiva pasquale della risurrezione del Signore che ha inaugurato gli ultimi tempi e che esigono perciò, da parte del credente, una condotta aliena dalle «opere delle tenebre» e del tutto conforme a quella del Signore del quale, nel battesimo, è stato rivestito.

 

Lettura del Vangelo secondo Luca (10,25-37)

 

In quel tempo. 25Un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova il Signore Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». 28Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

29Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». 30Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». 37Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

 

Il testo evangelico registra, nella prima parte (v. 25-28), la risposta data da Gesù a un dottore della Legge che lo interroga «su cosa devo fare per ereditare la vita eterna» (v. 25) rimandandolo a quanto afferma, al riguardo, la Scrittura. Il dottore della Legge cita, per questo, Deuteronomio 6,5 e Levitico 19,18, attinenti al grande precetto dell’amore di Dio e del prossimo (v. 27). La seconda parte (vv. 29-37) risponde alla domanda: «E chi è mio prossimo?» (v. 29) ossia come applicare in concreto tale precetto e Gesù, per questo, si serve di una parabola che è avviata dalla situazione di urgente bisogno di aiuto da parte di un uomo caduto nelle mani dei briganti e lasciato sulla strada mezzo morto (v. 30). Entrano allora in scena rispettivamente un sacerdote e un levita che alla vista del malcapitato passano oltre (vv. 31-32) mentre è un samaritano, che il dottore della Legge non può considerare suo “prossimo” perché eretico e peccatore, ad avvertire per il malcapitato compassione, che è il sentimento attribuito dalla Bibbia a Dio stesso nei confronti dei deboli e dei poveri e, più volte, manifestato anche da Gesù. I vv. 34-35, perciò, descrivono accuratamente i gesti del samaritano che si prende cura del ferito. A questo punto è possibile rispondere alla domanda del versetto 29 che Gesù lascia al suo interlocutore invitato, dunque, a fare la stessa cosa (vv. 36-37) per ottenere la vita eterna, ossia la salvezza (cfr. v. 25).

 

Commento liturgico-pastorale

 

Ci viene oggi presentata la regola fondamentale e il precetto “unico” che il Signore dà alla sua comunità e che essa è chiamata a testimoniare in quanto tale e nella condotta dei suoi componenti. 

Nell’Antico Testamento Dio stesso, attraverso Mosè, ha dato comandi, leggi e norme al suo popolo da mettere in pratica «perchè tu sia felice e diventiate molto numerosi nella terra dove scorrono latte e miele» (Lettura: Deuteronomio 6,3). Essi erano come riassunti nel precetto di tutti i precetti: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze» (v. 5), integrato con l’amore del «tuo prossimo come te stesso» (cfr. Levitico 19,18 citato nel testo evangelico al v. 27).

Gesù stesso indica nell’osservanza di questi due precetti la strada sicura per «ereditare la vita eterna» (Vangelo: Luca 10,25), per ottenere, cioè, la salvezza. Se l’osservanza dei precetti nell’antica alleanza garantiva una vita lunga e felice nel possesso della terra o in una numerosa discendenza (cfr. Deuteronomio 6,3), ora l’osservanza del precetto dell’amore di Dio e del prossimo garantisce la “vita” (cfr. Luca 10,28) ossia la partecipazione personale irrevocabile alla vita divina.

Occorre però precisare che, tra i contemporanei di Gesù, il termine prossimo si riferiva sostanzialmente ai membri del popolo di Dio, dal quale erano certamente esclusi i popoli pagani, ma anche i Samaritani a motivo della loro contaminazione con popolazioni idolatriche e della osservanza religiosa intrisa di usanze ritenute eretiche.

Risulta perciò scandaloso l’aver concretizzato in un Samaritano l’unico che si ferma a soccorrere il malcapitato (vv. 33-35), capace di superare ogni confine culturale, razziale, politico, religioso, la risposta alla domanda: «E chi è il mio prossimo?» (v. 29).  In tal modo il Maestro impartisce ai suoi discepoli una lezione valida sempre e ovunque: ogni uomo è il mio prossimo, verso il quale sono legato dal vincolo di carità a cui mi avvince il precetto divino. Nel rinnovato impegno di predicazione del Vangelo e di testimonianza di fede a cui è sollecitata la Chiesa e, dunque, ogni fedele, occorre tenere ben presente che il loro successo dipende dalla grazia di Dio ed è largamente propiziato dall’osservanza del precetto della carità a partire dalle nostre comunità. Non giova, infatti, allo sforzo missionario lo spettacolo di comunità ecclesiali divise al loro interno, vittime della mentalità di questo mondo che predica l’esclusione, la distinzione e rifiuta l’inclusione, la solidarietà, l’accoglienza. La lezione impartita dal nostro unico Maestro su “chi è il mio prossimo”, deve aiutarci a respingere istintivamente ogni insegnamento contrario, a fuggire da chi predica con sfrontatezza diabolica sulle nostre piazze, specialmente virtuali, discriminazione, avversione, disprezzo verso l’altro ritenuto diverso, quindi, nemico e a percorrere, invece, con la grazia del suo Spirito, la via della carità del tutto gratuita e incondizionata.

Una via di per sé impraticabile con l’ausilio delle sole forze umane, ma percorribile per grazia, come ha ben compreso la preghiera liturgica: «Infondi, o Dio, nei tuoi figli una grande e forte capacità di amare, perché sappiano serbarsi fedeli all’insegnamento del vangelo e possano vivere nella carità e nella pace» (Orazione Sui Doni). È così possibile superare l’innata nostra inclinazione all’individualismo egocentrico e all’amore esclusivo di sé ed assumere i sentimenti e gli atteggiamenti del Signore Gesù che è venuto dal Cielo come “buon samaritano” dell’intera umanità caduta in balia del potere del male e da esso sfigurata.

Sentimenti e atteggiamenti che ci è dato di rivestire nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore,  il quale ci abilita gradatamente a vivere nella disponibilità al dono di sé, sul suo esempio. Di tutto ciò, oggi più che mai, dobbiamo avere grande consapevolezza: chi mangia il Corpo del Signore e beve il suo Sangue assume di fatto la disponibilità e la capacità di fare di sé, al pari di Gesù, un dono per ogni uomo “suo prossimo”!

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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