1 Agosto 2010 - X Domenica dopo Pentecoste


1. La decima domenica “dopo Pentecoste”

Nel re Salomone, figlio di Davide, guida saggia e sapiente del suo popolo è annunziato Gesù, il Figlio di Dio che, nella sua morte e risurrezione ha aperto e indicato all’intera umanità il sicuro passaggio verso il Regno, verso la salvezza. Il Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: 1Re 3,5-15; Salmo 71; Epistola: 1Corinzi 3,18-23; Vangelo: Luca 18,24b-30. Nella Messa vigiliare del sabato si legge Giovanni 20,19-23 quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XVIII Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.


2. Vangelo secondo Luca 18,24b-30


In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 24«Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. 25È più facile infatti per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio!». 26Quelli che ascoltavano dissero: «E chi può essere salvato?». 27Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio». 28Pietro allora disse: «Noi abbiamo lasciato i nostri beni e ti abbiamo seguito». 29Ed egli rispose: «In verità io vi dico, non c’è nessuno che abbia lasciato casa o moglie o fratelli o genitori o figli per il regno di Dio, 30che non riceva molto di più nel tempo presente e la vita eterna nel tempo che verrà».


3. Commento liturgico-pastorale


Il brano segue immediatamente il racconto dell’incontro di Gesù con un personaggio assai in vista (“un capo” dice Luca) che non raccoglie l’invito a seguire Gesù (18,18-23) “poiché era assai ricco” e prende avvio, al v 24, dalla constatazione: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio». Ad essa fa seguito il celebre “detto” riguardante il passaggio del cammello “per la cruna di un ago” (v 25).

Intervengono a questo punto gli astanti con la domanda: «E chi può essere salvato?» (v 26). Essa dice che i presenti hanno ben capito che soltanto un miracolo può permettere a un “ricco” di entrare nel Regno di Dio, ossia di “salvarsi”.

Il v 27 mitiga, con la risposta, la precedente severa affermazione di Gesù, appellandosi al fatto che a Dio è possibile ciò che non lo è per gli uomini, alludendo così alla “grazia” capace di fare cose inimmaginabili.

A questo punto intervengono i discepoli tramite Pietro, loro portavoce, mettendo in luce la loro pronta disponibilità a lasciare tutto per seguire Gesù (v 28) divenendo così una chiara alternativa al comportamento del “capo” che non se la sentì di far parte ai poveri dei suoi averi in vista del Regno. La risposta di Gesù al v 29 assicura ai discepoli, che hanno lasciato addirittura gli affetti umani più belli per seguirlo, un’adeguata “ricompensa”, a partire già da questa vita e destinata a manifestarsi come “vita eterna”, dunque come condizione permanente di salvezza.

Letto nel conteso del tempo liturgico in atto, il brano evangelico ci chiede una presa di coscienza e una conseguente valutazione sulla reale accoglienza del dono divino di salvezza ricevuto nei sacramenti pasquali. Per loro mezzo il credente è, di fatto, già “entrato” nel regno di Dio, è, dunque, già salvo. Si comprende, perciò, come l’effettiva appartenenza al Regno è ciò che deve stare a cuore al credente, più di ogni altra realtà terrena. In una parola la vera “sapienza”, per noi che crediamo, è quella di non anteporre nulla e nessuno al dono di salvezza effettivo in Cristo crocifisso e risorto.

La pagina vetero-testamentaria ci offre l’esempio del grande re Salomone, figlio di Davide, conosciuto su tutta la terra come “sapiente” possessore cioè di un’irresistibile capacità di “distinguere il bene dal male” e dunque in grado di garantire al suo popolo una vita serena e ordinata. Il “cuore saggio” di Salomone aspirava, dunque, a ottenere da Dio questo unico dono: “il discernimento nel giudicare” per il servizio della sua gente mettendo da parte, come Dio stesso riconosce, le richieste per sé stesso quali “molti giorni” di vita, ricchezze e la vita dei suoi nemici, cose, peraltro, che Dio ugualmente a lui dona come sovrappiù! (cfr. Lettura: 1Re 3,11-13).

Così deve essere per noi: ottenere da Dio la grazia di saper abbandonare tutto ciò che costituisce un ostacolo nel nostro cammino di salvezza sulle orme di Cristo. Si tratta, se necessario, di diventare “stolti” agli occhi del mondo, valutando con “sapienza” ciò che davvero conta per l’uomo: “salvarsi”, ossia perseverare nella sequela di Gesù, costi quel che costi! Tutto ciò può apparire una pazzia agli occhi di chi, confidando in sé stesso e nelle tante cose che possiede, crede di essere al riparo da tutti e da tutto, ignorando così, di fatto, Dio e la sua proposta salvifica.

È evidente che nessuno di noi, con le sole sue forze e con la sua umana sapienza, è in grado di capire tali esigenze e di sceglierle e perseguirle. Se è davvero difficile “salvarsi” e se per “un ricco”, non solo di beni materiali ma anche della “sapienza di questo mondo” (cfr. 1Cor 3,18-20) è addirittura “impossibile”, occorre chiedere la salvezza a Dio, al quale nulla è impossibile, come “grazia”!

In tal modo lo Spirito ci fa interiormente convinti che, ciò che conta “in assoluto” è “entrare nel regno di Dio”. Mancare un simile obiettivo significa andare incontro al drammatico definitivo fallimento della propria vita. È questa la vera “sapienza” che non fa temere al discepolo del Signore di apparire “stolto” agli occhi del mondo, nella consapevolezza che essere “di Cristo” vuol dire essere “di Dio” e, dunque, possedere ogni cosa.

Così si esprime, al riguardo, l’Apostolo: «tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro, tutto è vostro» (1Corinzi 3,21-22). È il dono da chiedere e da ottenere nella celebrazione eucaristica quando, nella croce del Signore, brilla la “sapienza” stessa di Dio che nell’”umiliazione” del suo Figlio ha fatto risiedere la salvezza per tutti e apre il passaggio al suo Regno.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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