Si tratta della quarta
domenica di Quaresima, caratterizzata dall’annuale proclamazione del brano
evangelico del cieco nato, nel quale sono raffigurati gli uomini privi del dono
della fede frutto dell’“illuminazione” battesimale.
Il Lezionario
Fa leggere: Lettura: Esodo
17,1-11; Salmo 35 (36); Epistola:
1Tessalonicesi 5,1-11; Vangelo: Giovanni 9, 1-38b. Alla Messa
vigiliare del sabato viene letto: Matteo 17,1b-38b come Lettura vigiliare. (Le
orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della quarta domenica di
Quaresima nel Messale Ambrosiano).
Lettura del libro
dell’Esodo (17,1-11)
In quei giorni. 1Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin,
camminando di tappa in tappa, secondo l’ordine del Signore, e si accampò a
Refidìm. Ma non c’era acqua da bere per il popolo. 2Il
popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché
protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». 3In
quel luogo il popolo soffriva la sete per mancanza di acqua; il popolo mormorò
contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dall’Egitto per far morire di
sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?». 4Allora
Mosè gridò al Signore, dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un
poco e mi lapideranno!». 5Il Signore disse a
Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi
in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo, e va’! 6Ecco,
io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne
uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani
d’Israele.7E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a
causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore,
dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?».
8Amalèk venne a combattere contro Israele a
Refidìm. 9Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi
alcuni uomini ed esci in battaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla
cima del colle, con in mano il bastone di Dio». 10Giosuè
eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk, mentre Mosè,
Aronne e Cur salirono sulla cima del colle. 11Quando
Mosè alzava le mani, Israele prevaleva; ma quando le lasciava cadere, prevaleva
Amalèk.
Il brano è ambientato nel deserto dove Israele, in seguito agli eventi
strepitosi presso il Mar Rosso, è in marcia verso la terra della promessa. Qui
viene letto il racconto dell’acqua scaturita miracolosamente dalla roccia: vv.
1-7 e i versetti iniziali di quello riguardante la battaglia contro Amalèk, una
popolazione ostile a Israele il quale può riportare vittoria a motivo della
preghiera di Mosè a mani alzate (vv. 8-11). La prima parte riguarda anzitutto
la protesta contro Mosè del popolo assetato ed espressa con il verbo mormorare
che è il verbo della ribellione anche contro Dio (vv. 1-3). Alla mormorazione
del popolo segue la supplica di Mosè a Dio e la pronta risposta del Signore che
gli ordina di battere la roccia con il suo bastone operatore dei grandi prodigi
dell’Esodo dall’Egitto, cosa che egli prontamente eseguì (vv. 4-6). Il v. 7
precisa che Mosè chiamò quel luogo, testimone della ribellione a Dio e del
prodigio dell’acqua dalla roccia: Massa, ossia “prova”, e Meriba, ossia
“disputa”.
Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi (5,1-11)
1Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne
scriva ;2infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un
ladro di notte. 3E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!»,
allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e
non potranno sfuggire. 4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre,
cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. 5Infatti
siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla
notte, né alle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma
vigiliamo e siamo sobri.
7Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano,
di notte si ubriacano. 8Noi invece, che apparteniamo al giorno,
siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come
elmo la speranza della salvezza.9Dio infatti non ci ha destinati
alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù
Cristo. 10Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che
dormiamo, viviamo insieme con lui. 11Perciò confortatevi a vicenda e
siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.
Il
brano appartiene alla seconda parte della lettera (4,1-5,22), dedicata alle
istruzioni sulla vita cristiana. Qui, in particolare, l’Apostolo affronta la
questione della venuta finale del Signore e, quindi, della sua attesa. Questa
si caratterizza per i credenti, definiti «figli della luce e figli del giorno»
(v. 5), come una vigile attesa (vv. 1-5) che esige un comportamento sobrio e
una speciale dotazione qual è la fede, la carità e la speranza, indicate
rispettivamente, con il ricorso a immagini prese dal mondo militare, le prime
due come corazza e la speranza come elmo protettivo (vv. 7-8). Il brano si
chiude con l’ annuncio salvifico della morte del Signore generatrice, nei
credenti, della vita da vivere «insieme con lui» (v. 10).
Lettura del Vangelo secondo Giovanni (9,1-38b)
In
quel tempo. 1Passando, il Signore Gesù vide un uomo cieco dalla
nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato,
lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né
lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le
opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha
mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché
io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per
terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e
gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» - che significa Inviato.
Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto
prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a
chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «E’ lui»; altri dicevano:
«No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora
gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli
rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli
occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e
ho acquistato la vista». 12 Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose:
«Non lo so».
13Condussero dai farisei
quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù
aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i
farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli
disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora
alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva
il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di
questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di
nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli
occhi?». Egli rispose: «E’ un profeta!». 18Ma i Giudei non
credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista,
finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E
li interrogarono: «E’ questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco?
Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che
questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non
lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo
a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi
genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già
stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso
dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età:
chiedetelo a lui!». 24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era
stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un
peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una
cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che
cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve
l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete
forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e
dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi
sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose
loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia,
eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i
peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da
che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a
un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto
far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni
a noi?». E lo cacciarono fuori.
35Gesù seppe che l’avevano
cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli
rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse
Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse:
«Credo, Signore!».
Il brano è strutturato in tre parti. La prima,
vv. 1-12, riporta la narrazione del “miracolo” e la reazione dei presenti; la
seconda: vv. 13-34 riporta la reazione dei farisei con il duplice
interrogatorio del “miracolato” (vv. 15-17; 24-34) e dei suoi genitori
(vv.18-23); la terza (vv. 35-39) propone il dialogo tra Gesù e il miracolato
che professa la sua fede in lui. Nella prima parte il racconto del miracolo è
preceduto dal dialogo di Gesù con i suoi discepoli convinti che la condizione
del cieco dalla nascita sia dovuta a
colpe commesse da lui o dai suoi genitori (v. 2). Gesù esclude il nesso
cecità-peccato e afferma che nell’uomo, nato cieco, Dio manifesterà le sue “opere”
che riguardano l’illuminazione del mondo mediante il suo Figlio entrato in esso
come “luce” (v. 3). La narrazione del miracolo (vv. 6-7) sorprende per i gesti
di Gesù che, dopo aver fatto del fango con la sua saliva, lo spalma sugli occhi
del cieco con l’ingiunzione di recarsi alla piscina di Siloe, «che significa
Inviato». Con quel gesto Gesù intende far capire che l’uomo è di per sé
prigioniero delle tenebre da cui potrà essere liberato recandosi
dall’“Inviato”, ossia credendo in lui che è venuto nel mondo proprio per
compiere tale “opera”. La prima parte si chiude con la constatazione
dell’avvenuta guarigione del cieco nato da parte dei conoscenti (vv. 8-12) e
soprattutto con le domande sul “come” abbia ottenuto la vista; domande che
saranno riprese drammaticamente nella seconda parte del racconto.
Questa si apre con il miracolato condotto dai
farisei, esperti dottori e maestri della Legge, i quali prendono da subito una
posizione negativa nei confronti di Gesù il quale, «facendo del fango», ha
violato il precetto fondamentale per Israele del riposo sabbatico. Sorprende la
reazione decisa del guarito nel dichiarare che Gesù è un profeta (v. 17). Con
ciò l’evangelista mostra come la vera guarigione dell’uomo consiste nella sua
adesione di fede in Gesù rivelatore di Dio. Il cieco che ora vede è, al
contrario dei farisei che si ostinano nel rimanere chiusi all’opera di
illuminazione del Signore, l’esemplare per ogni uomo che gradatamente giunge
alla pienezza di luce ossia alla pienezza di fede in lui: è «un profeta» (v.
17); «viene da Dio» (v. 33); «Figlio dell’uomo» (v. 35).
Il racconto si conclude con Gesù che volutamente
va a cercare e trova il miracolato cacciato fuori dalla Sinagoga (vv. 34-35)
per proporgli di aderire a lui che racchiude in pienezza il mistero del Figlio
dell’uomo che, in verità, è il Figlio di Dio!
La risposta finale del
cieco che ora vede per la prima volta il Signore è una decisa professione di
fede resa evidente dall’esplicita affermazione: «Credo, Signore». In tal modo il
cieco nato, illuminato dal Signore, diviene il prototipo e l’esemplare per
tutti i credenti.
Commento
liturgico-pastorale
Avvicinandosi le solennità pasquali i testi
biblici, oggi proclamati, intendono accompagnare e favorire una più immediata
preparazione al Battesimo, prima attualizzazione della salvezza pasquale, e
propiziare, nei già battezzati, la riscoperta e, se è il caso, l’impegno a
recuperarne la grazia persa con il peccato.
Anche la nostra tradizione liturgica, infatti,
ha letto in chiave battesimale sia l’evento vetero-testamentario dell’acqua
scaturita dalla roccia (cfr. Lettura: Esodo 17,6), sia il racconto
evangelico della guarigione dell’uomo, cieco dalla nascita, da sempre
riconosciuto come “essenziale” nella catechesi di preparazione al Battesimo.
Ne fa fede il Prefazio I, appartenente
all’antica scuola eucologica ambrosiana che ne sintetizza così il significato: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella
cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte
battesimale gli viene donata».
In questo
contesto l’immersione nell’acqua battesimale, evocata dalla piscina di Siloe,
rappresenta il passaggio dall’oscurità totale, che è l’incredulità, alla grazia
di “vederci”, ossia di pervenire alla fede che il Vangelo rende plasticamente
nel cieco guarito che vede con i suoi occhi Gesù! È lui, Gesù, il Figlio la
“luce vera” che al credente è concesso di guardare in faccia, “a viso
scoperto”. In effetti è fin troppo evidente registrare ieri, come oggi, che
l’umanità, priva dell’illuminazione propria del dono battesimale della fede,
vive in un’interiore totale “oscurità”.
L’uomo di fatto
non sa chi è, qual è il senso della sua vita, qual è il destino che l’attende.
Egli è nella solitudine più drammatica e infelice finché non incontra Colui che
è la “Luce del mondo” che gli indica il cammino da compiere: «Va’ a lavarti
alla piscina di Siloe» (Vangelo: Giovanni 9,7), immergiti cioè nel dono
battesimale che apre il tuo cuore alla fede. Ti sarà allora permesso di “vedere
Gesù” e, in lui, di comprendere finalmente anche te stesso e il senso del tuo
esistere e del tuo destino, quello di essere elevato «con il sacramento della
rinascita… alla dignità di Figlio”».
Pertanto, ciò che
conta più di ogni altra cosa è poter “vedere”, ossia riconoscere con fede, nel
Signore Gesù, la “luce del mondo”. È questa la splendida “illuminazione” che ha
portato il cieco nato a confessare con piena adesione a colui che afferma di
essere il “figlio dell’uomo”(Giovanni 9,35-38): «Credo, Signore!». Ad essa,
purtroppo, al pari dei farisei, non pochi chiudono ostinatamente il loro cuore
racchiudendosi da sé stessi in una notte tenebrosa senza fine.
A ragione,
perciò, l’Apostolo si rivolge ai fedeli di Tessalonica dicendo: «Siete tutti figli
della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle
tenebre» (Epistola: 1 Tessalonicesi 5,5). Queste parole si addicono,
dunque, a quanti sono stati “illuminati”ovvero a quanti, per mezzo del
Battesimo, costituiscono il popolo dei fedeli e, simultaneamente, rappresentano
un monito a non ritornare nelle “tenebre” dell’incredulità facendosi trascinare
dal fascino oscuro del peccato.
Per questo
l’Apostolo esorta a vivere nella sobrietà e a vestirsi «con la corazza della
fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza» (v. 8). Si
tratta di esortazioni che noi tutti siamo invitati ad accogliere di buon animo
improntando la nostra vita sull’insegnamento apostolico che ci preserva dallo
scivolare di nuovo nelle “tenebre”. Per questo abbiamo bisogno di immergerci
continuamente nel flusso di grazia che fuoriesce dal Cristo Crocifisso che
accostiamo nei divini misteri.
A lui, consapevoli della nostra debolezza, affidiamo l’inestimabile
dono battesimale che ci ha fatti «figli della luce» (v.5) e quello ancora più
grande, frutto della sua morte «per noi», quello di vivere «insieme con
lui»(v.10), di condividere cioè la sua vita che sperimentiamo già da ora,
accostandoci al suo altare così pregando: «Signore, dà luce ai miei occhi
perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: “Sono più
forte di lui”. Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce
illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i
tuoi precetti» (All’Ingresso).
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