11/09/11-II dom dopo il Martirio del Battista

1. La seconda domenica “dopo il martirio” di San Giovanni, il Precursore del Signore    

È incentrata sulla rivelazione di Gesù quale “Figlio Unigenito” e sulla conseguente “testimonianza” da dare di lui mediante l’accoglienza della fede. Il Lezionario, pertanto, riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 60,16b-22; Salmo 88; Epistola: 1Corinzi 15,17-28; Vangelo: Giovanni 5,19-24.    
Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXIV domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano. Alla Messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 20,1-8 quale Vangelo della risurrezione.    


2. Vangelo secondo Giovanni 5,19-24    

In quel tempo. 19Il Signore Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità  io vi dico: il Figlio da sé stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. 20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste perché voi ne siate meravigliati. 21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. 22Il Padre infatti non giudica nessuno , ma ha dato ogni giudizio al Figlio, 23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.    
24In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. 
       


3. Commento liturgico-pastorale    

Il brano fa seguito al  racconto della guarigione di un paralitico operata da Gesù presso la piscina Bethesda, “in giorno di sabato” (Giovanni 5,1-9) e la conseguente diatriba con i “giudei” a motivo proprio del sabato (5,10-18) legato, come si sa, al “riposo” secondo la prescrizione della Legge.

Sono qui riportati alcuni versetti del più ampio discorso di “rivelazione” sul Figlio (vv. 19-47) considerato come colui che “opera” poiché “il Padre mio opera sempre” (v. 17).

In un primo punto (vv. 19-20) a quanti gli contestano la guarigione del paralitico in giorno di sabato e soprattutto la pretesa di farsi uguale a Dio Gesù risponde (v. 19) con la solenne affermazione riguardante la sua condizione di Figlio, il quale in tutto ciò che dice e fa non lo dice e lo fa da sé stesso ma tenendo costantemente rivolto il suo sguardo al Padre e, dunque, al suo agire.

Viene inoltre detto che il motivo profondo di una tale sintonia tra l’agire del Padre e del Figlio risiede nel fatto indicibile dell’“amore” del Padre verso il Figlio: “Il Padre infatti ama il Figlio” (v. 20) e perciò a lui manifesta ogni cosa e tra queste la sua intenzione di operare non solo cose grandi come quella della guarigione del paralitico, bensì “opere ancora più grandi” come subito viene detto al v. 20.

In un secondo punto (vv. 20-23) vengono elencate le “opere ancora più grandi” che consistono essenzialmente nel potere di dare la vita ai morti (v. 21) e nel potere di ”giudicare” (v 22).

Queste stesse “opere più grandi” sono dunque partecipate anche al Figlio, il quale è in grado letteralmente di risuscitare i morti come in effetti avverrà nella risurrezione di Lazzaro, nella quale si fa evidente che in lui agisce il medesimo potere di Dio di dare la vita, di richiamare alla vita, come “segno” della possibilità per l’uomo di avere in sé la “vita”, quella “eterna” che è partecipazione alla comunione con la vita divina.

Una simile risurrezione e il dono della vita Gesù la dona anzitutto a livello fisico ma come annuncio di una risurrezione alla “vita eterna” una volta liberato l’uomo dai lacci funerei dell’incredulità e del peccato.

Se il dono della risurrezione e della vita è detenuto dal Padre e dal Figlio sembra di capire al v. 22 che l’“opera” del “giudizio” è stata invece messa totalmente nelle mani del Figlio. Si comprende così come “avere la vita” equivale ad accogliere con fede il Figlio, mentre chi non lo accoglie va incontro al “giudizio” di condanna e, dunque, di rovina perenne. è necessario perciò “onorare” il Figlio alla pari con il Padre (v. 23) anche perché è il Figlio il rivelatore del Padre e a lui va dunque prestata fede per poter risalire a Dio, il Padre.

Il brano si chiude al v. 24 sintetizzando la precedente rivelazione con la solenne esortazione di Gesù ad “ascoltare” la sua parola. Perciò possiede la vita eterna, non va incontro alla condanna e, di fatto, vive già ora la condizione definitiva contrassegnata dal passaggio “dalla morte alla vita” colui che ascoltando, ossia accogliendo la Parola del Signore Gesù, di fatto pone la sua fede in Dio, il Padre, che ha “inviato” il Figlio nel mondo proprio perché il mondo si salvi.

Proclamato in questa seconda domenica dopo il martirio del Precursore che ha indicato Gesù come il Messia, il Giudice, l’Agnello di Dio, il testo evangelico sottolinea il mistero di Cristo come Figlio Unigenito al quale il Padre ha confidato le opere sue più grandi: richiamare in vita i morti e operare il “giudizio”.

Alla luce di ciò leggiamo la pagina profetica di Isaia, nella quale Dio, rivolgendosi al suo popolo, proclama: «il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore» (Lettura: Isaia 60,19b). In effetti con la venuta nel mondo del Figlio Unigenito è entrata nel mondo la “luce” che ha rivelato il mistero e il volto invisibile del Padre proprio nel Figlio che è lo “splendore” del Padre.

L'apostolo Paolo vede concretamente avverata nella risurrezione del Signore considerato quale “primizia di coloro che risorgono dai morti” (Epistola: 1Corinzi 15,17-28) quanto era stato profeticamente annunziato: «Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria» (Isaia 60, 21).

La celebrazione eucaristica, dal canto suo, è il momento in cui ci è dato di guardare il “volto” di Dio nel suo Figlio che ripresenta, nel mistero, lo splendore della sua croce, annunzio certo della nostra partecipazione anche alla sua risurrezione. In essa si realizza la beatitudine proclamata nel ritornello al Salmo 88: «Beato il popolo che cammina alla luce del tuo volto» e che esige di condurre nella vita di ogni  giorno l’illuminazione ricevuta nel mistero.

In tutta verità, allora, potremo dire: «Il Pane di vita è spezzato, il Calice è benedetto. Il tuo corpo ci nutre, o Dio nostro, il tuo sangue ci dia vita e ci salvi» (allo Spezzare del Pane).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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