12/02/12 - Penultima domenica dopo l’Epifania


12 febbraio 2012 – Penultima domenica dopo l’Epifania
 
E'  la domenica detta “della divina clemenza” destinata, con la prossima, a fare da ponte tra il mistero dell’Incarnazione e quello della Pasqua avviato dal tempo di Quaresima.
 

Il Lezionario
 
Sono riportati i seguenti brani: Lettura: Osea 6,1-6; Salmo 50 (51); Epistola: Galati 2,19-21 – 3,7; Vangelo: Luca 7,36-50. Nella messa vigiliare del sabato viene letto Luca 24,13-35 come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la messa sono quelli della VI domenica del Tempo “per annum” nel Messale Ambrosiano.
 

Lettura del profeta Osea (6, 1-6)
 
Così dice il Signore: «1Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza. 3Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia di autunno, come la pioggia di primavera, che feconda la terra». 4Che dovrò fare per te, Efraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. 5Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6poichè voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.
 
Il testo profetico di Osea si apre ai vv. 1-3 con l’esortazione di Dio al suo popolo a ritornare a lui pronto a “guarirlo” e a “fasciarlo” subito dopo averlo castigato. I vv: 4-5 riportano il lamento di Dio che vede l’instabilità del suo popolo, la cui adesione a lui è paragonata alla «nube del mattino» e alla «rugiada che all’alba svanisce» (v. 4). Per questo Dio lo “uccide” non con la spada ma con la sua parola, che rivela un Dio che vuole l’amore del suo popolo.


Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (2,19-21 – 3,7)

Fratelli, 19 mediante la Legge io sono morto alla Legge, affinché io viva per Dio. Sono stato crocifisso con Cristo, 20e non vivo più io, ma Cristo vive in me. E questa vita, che io vivo nel corpo, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me. 21Dunque non rendo vana la grazia di Dio; infatti, se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano. 1O stolti Gàlati, chi vi ha incantati? Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso! 2Questo solo vorrei sapere da voi: è per le opere della Legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver ascoltato la parola di fede? 3Siete così privi d’intelligenza che, dopo aver cominciato nel segno dello Spirito, ora volete finire nel segno della carne? 4Avete tanto sofferto invano? Se almeno fosse invano! 5Colui dunque che vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della Legge o perché avete ascoltato la parola della fede? 6Come Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia, 7riconoscete dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.
 
I vv. 19-21 concludono la parte della lettera nella quale san Paolo si difende dalle accuse di non essere un vero apostolo in quanto, al contrario di essi, non ha conosciuto e non è stato con Gesù. In particolare ai vv. 19-21 ribadisce che la Legge ha cessato il suo compito dal momento che Cristo, con la sua morte in croce, «ha consegnato sé stesso per me».

Da questo momento chi aderisce con fede al Signore Gesù, vive di lui, ed è dichiarato “giusto” agli occhi di Dio. Con i vv. 1-7 del cap. III l’Apostolo affronta con decisione proprio il problema della “giustificazione” e lo fa con un forte rimprovero ai fedeli della Galazia ai quali ha annunciato con tutta efficacia Gesù Cristo crocifisso, autore della giustificazione.

Com’è dunque possibile che essi, dopo aver ascoltato la parola della fede e aver così ricevuto lo Spirito (v. 2), tornino a confidare nel “segno della carne” ovvero alle prescrizioni della Legge?


Lettura del Vangelo secondo Luca (7,36-50)

In quel tempo. 36Uno dei farisei invitò il Signore Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; 38stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. 39Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!» 40Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». 41«Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. 42Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due: Chi di loro dunque lo amerà di più?» 43Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. 46Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. 47Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». 48Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». 49Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» 50Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va in pace!».

Il brano può essere così suddiviso: i vv.36-38 ambientano la scena a casa di uno dei farisei dove Gesù è stato invitato a pranzo durante il quale «una donna, una peccatrice di quella città», intollerabile per un fariseo, entra in casa con un vaso di profumo e con esso, compie sui piedi di Gesù, alcuni gesti che dicono con piena evidenza la sua fede e soprattutto il suo amore per lui.

I vv. 39-40 riportano la negativa reazione interiore del fariseo, non certo favorevole nei confronti di Gesù, e le parole dello stesso Signore capace di leggere nel cuore del suo ospite. Segue una breve parabola (vv. 41-43) su due debitori, nei quali è facile scorgere tutti gli uomini in credito davanti a Dio.

Con la sua spiegazione (vv. 44-46) Gesù fa capire al fariseo che, a differenza della peccatrice, non si è voluto aprire con fede entrando in rapporto con lui. Per questo le parole di assoluzione (v. 47) riguardano soltanto la donna peccatrice che «ha molto amato» e lei, a cui viene perdonato “molto” è anche capace, al contrario del fariseo, di amare “molto”.

Il v. 48 certifica il perdono dei peccati accordato da Gesù alla donna come salvezza.


Commento liturgico-pastorale

Va anzitutto considerata la sapiente organizzazione delle letture bibliche di questa e della prossima domenica, che ci permettono di cogliere la continuità nel dispiegarsi nel tempo dell’opera della salvezza ideata nel cuore inaccessibile della Trinità, gradualmente realizzata nella preparazione vetero-testamentaria fino al suo compimento nella persona di Gesù di Nazaret, il Figlio Unigenito di Dio.

Si tratta della continuità salvifica tra il mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore e quello centrale della sua Pasqua di morte e di risurrezione. In particolare il tempo dopo l’Epifania ci ha permesso di vedere nella venuta nel mondo del Figlio di Dio il manifestarsi in lui e grazie a lui del progetto divino di salvezza che riguarda non solo Israele, il popolo della prima alleanza, ma anche l’intera umanità.

Veniamo oggi a comprendere, dall’ascolto delle Scritture, come il Signore Gesù ha manifestato la volontà salvifica di Dio verso tutti gli uomini nel suo “stare a mensa” con i farisei osservanti dalla Legge così come con i peccatori di cui è rappresentante la donna peccatrice. Con questo suo atteggiamento, in verità, Gesù ha mostrato il volto autentico di Dio, che è buono, misericordioso, paziente, accogliente, pronto sempre al perdono più largo e generoso.

Un volto di Dio, questo, già rivelato dai Profeti. Un Dio che conosce fino in fondo il cuore del suo popolo e di ogni uomo e sa che esso è instabile e contraddittorio nei suoi confronti. Non a caso per questo si lamenta: «Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce» (Lettura: Osea, 6, 4). L’amore di Dio per il suo popolo invece è stabile e immutabile e si rivela nel sollecitarlo e trafiggerlo con le parole della sua bocca (cfr. v. 5) che proclama: «Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (v. 6).

Queste parole di rivelazione si fanno gesto concreto in Gesù che offre il perdono pieno e senza riserve alla donna peccatrice (Vangelo: Luca 7,47-50) e la trasforma in una donna capace di amare molto, ossia di consegnarsi senza riserve a lui come dimostrano le lacrime che bagnano i piedi del Signore; i baci e l’olio profumato profuso in abbondanza sui suoi piedi.

Gesù, dunque, è la “clemenza” di Dio in persona che chiede a tutti gli uomini, rappresentati dal fariseo che lo ha invitato a pranzo e dalla donna peccatrice, di rivolgersi a lui con l’animo desideroso di accogliere l’amore rigenerante di Dio. La pagina evangelica ci dice che la donna peccatrice si è rivolta a Gesù con quell’atteggiamento a tutti suggerito dal ritornello al Salmo 50(51): «Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore» e riconoscendo lui come sorgente di amore che perdona e ridà vita.

Di questi atteggiamenti si fa interprete il canto all’Ingresso: «Dalla mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha ascoltato. Ho gridato dal fondo dell’abisso e tu, o Dio, hai udito la mia voce. So che tu sei un Dio clemente, paziente e misericordioso, e perdoni i nostri peccati». Non così il fariseo, scrupoloso osservante della Legge e dunque chiuso nella convinzione di essere giusto agli occhi di Dio, rendendo così per lui vana la grazia di Dio racchiusa, come avverte l’Apostolo, nel gesto d’amore del Figlio di Dio «che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Epistola: Gàlati 2,20).

Partecipando con fede all’Eucaristia veniamo totalmente immersi nell’amore del Signore che «ha consegnato sé stesso» per tutti noi perché, dall’accoglienza del perdono che scaturisce proprio dalla sua Croce, anche noi veniamo trasformati in gente capace di un amore non passeggero come la «nuvola del mattino», ma di un amore grande come grande è quello che lui, per primo, ci ha donato.

È ciò che chiediamo nell’orazione Dopo la Comunione: «In virtù del sacrificio che abbiamo compiuto, purificaci, o Dio da ogni contaminazione del cuore e donaci desideri giusti perché tu ci possa sempre esaudire».

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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