1. La terza domenica dopo Pentecoste
La liturgia odierna propone in Gesù “generato in Maria” lo snodo decisivo dell’intera storia della salvezza che ha il suo compimento nella Pasqua. Il Lezionario ambrosiano, per questo, presenta i seguenti brani biblici: Lettura: Genesi 3,1-20; Salmo 129; Epistola: Romani 5,18-21; Vangelo: Matteo 1,20b-24b. Alla Messa vespertina del sabato viene proclamato: Marco 16,1-8a come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti per la Messa sono quelli della XI domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Matteo 1,20b-24b
In quel tempo. 20Apparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; 21ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
22Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: / a lui sarà dato il nome di Emmanuele, / che significa Dio con noi». 24Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
3. Commento liturgico-pastorale
I versetti, oggi proclamati, vanno inseriti nel più ampio contesto di Matteo 1,18-25 che sviluppa il tema della “nascita di Cristo”. I vv 20-23 riguardano l’intervento divino nei confronti di Giuseppe turbato per l’inattesa gravidanza di Maria, la sua fidanzata (cfr. v 19) e il v 24 pone in luce la pronta obbedienza di Giuseppe alle parole dell’”angelo del Signore”.
In particolare il v 20 dopo aver ambientato nel “sogno” l’intervento divino, la cui provenienza celeste è assicurata dal ruolo dell’”angelo”, riferisce il contenuto del messaggio celeste che occupa anche i vv 21-23. Esso consiste anzitutto nel rivelare a Giuseppe indicato con l’appellativo “figlio di Davide”, evocativo dunque della promessa messianica, la “modalità” di quella gravidanza e, dunque, di quella nascita: “da Spirito Santo”.
A lui, Giuseppe dovrà “imporre il nome” (v 21) inserendolo così nel suo casato, nella discendenza davidica dalla quale, secondo la promessa di Dio, sarebbe venuto il Messia salvatore del “popolo”. Il nome “Gesù” che verrà dato al bambino e che letteralmente significa “Dio è salvezza” mette in luce esattamente il ruolo e la missione messianica di lui, ulteriormente così precisata: «egli salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Al v 22 sono riportate le parole con le quali l’angelo mette in luce come gli accadimenti così straordinari e che, di conseguenza, creano “turbamento” in Giuseppe, rientrano in realtà in un preciso disegno rivelato da Dio tramite il profeta Isaia 7,14: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele».
Lo stesso evangelista Matteo, che si premura di dire il significato del nome: “Dio con noi”, e dietro a lui, la tradizione cristiana, hanno interpretato il testo profetico come annunzio del “parto verginale” di Maria! Con ciò evidenziando l’origine celeste “dallo Spirito” di colui che la Vergine porta nel grembo.
Non deve apparire “fuori tempo” la proclamazione della nascita prodigiosa del Signore Gesù in questi giorni immediatamente seguenti la solennità di Pentecoste, corona della Pasqua. Il tempo “dopo la Pentecoste” è infatti dedicato, nella tradizione liturgica ambrosiana, a ripercorrere le grandi tappe della storia della salvezza che ha il suo culmine proprio nel mistero pasquale del Signore.
Lo scopo è duplice: far salire dalla Chiesa il canto di lode, di adorazione e di ringraziamento alla Trinità Santissima da cui ha origine il progetto divino di salvezza e, aiutare i fedeli a sentirsi personalmente inseriti in questa “storia” mediante l’adesione di fede al Vangelo e la successiva immersione nei sacramenti pasquali del Battesimo, Cresima ed Eucaristia.
In questa seconda tappa della storia della salvezza i testi biblici, dunque, pongono al centro la missione essenziale di Gesù che proprio nella sua nascita, e nel suo stesso nome è proclamata: «salvare il suo popolo dai suoi peccati».
La Lettura ci riporta all’origine del “peccato” da cui vengono “i peccati” (Genesi 3,1-20). Il racconto della “caduta” di Adamo e di Eva, considerati come portatori in sé dell’intera umanità, enumera le tragiche conseguenze del loro peccato quali la “paura” di Dio (v 10) unica fonte di vita, la spaccatura nell’uomo stesso che lo fa nemico della sua stessa “carne” (v 12) e del creato (vv 17-18) nel quale Dio lo aveva posto come sua “icona”. In una parola, il peccato “regna nella morte” (Epistola: Romani 5,21) su tutto e su tutti.
Il “bambino” che nasce dalla Vergine, viene nel mondo come nostro nuovo progenitore. Con la sua “obbedienza”, chiaro riferimento alla sua passione e morte, ribalta la condanna, frutto del “peccato” di Adamo, riversando «su tutti gli uomini la giustificazione», ossia la dichiarazione del tutto gratuita, da parte di Dio, di assoluzione dal peccato (Romani 5,19).
Nella Pasqua del Signore, perciò, l’annunzio salvifico rappresentato nel “nome” dato da Giuseppe a colui che nasce dallo Spirito, giunge a sua concreta attuazione come instaurazione nel mondo del “regno della grazia” che sempre sperimentiamo nella celebrazione dei “divini misteri” e che ci fa dire con tutto il cuore: «annunzierò, o Dio, le tue gesta mirabili, gioisco in te ed esulto, canto inni al tuo nome, o Altissimo» (Canto Allo Spezzare del Pane).
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