14 aprile 2013 – III domenica di Pasqua

Questa, come le successive tre domeniche, scandisce la prima parte del Tempo di Pasqua, vale a dire i quaranta giorni della permanenza del Risorto tra i suoi discepoli prima sua ascensione al cielo, ovvero del suo ritorno glorioso al Padre. In particolare le Scritture lette in questa domenica nelle nostre assemblee liturgiche proclamano che il Signore, nella sua Risurrezione, è la luce che, diffusa nel mondo dalla predicazione degli apostoli suoi testimoni, deve illuminare l’intera umanità.

 

Il Lezionario

 

Presenta i seguenti brani biblici: Lettura: Atti 28,16-28; Salmo: 96 (97); Epistola: Romani 1,1-16b; Vangelo: Giovanni 8,12-19. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Marco 16,1-8a come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della III domenica di Pasqua del Messale Ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (28,16-28)

 

In quei giorni. 16Arrivati a Roma, fu concesso a Paolo di abitare per conto suo con un soldato di guardia.
17Dopo tre giorni, egli fece chiamare i notabili dei Giudei e, quando giunsero, disse loro: «Fratelli, senza aver fatto nulla contro il mio popolo o contro le usanze dei padri, sono stato arrestato a Gerusalemme e consegnato nelle mani dei Romani. 18Questi, dopo avermi interrogato, volevano rimettermi in libertà, non avendo trovato in me alcuna colpa degna di morte. 19Ma poiché i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare, senza intendere, con questo, muovere accuse contro la mia gente. 20Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi, poiché è a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena». 21Essi gli risposero: «Noi non abbiamo ricevuto alcuna lettera sul tuo conto dalla Giudea né alcuno dei fratelli è venuto a riferire o a parlar male di te. 22Ci sembra bene tuttavia ascoltare da te quello che pensi: di questa setta infatti sappiamo che ovunque essa trova opposizione».
23E, avendo fissato con lui un giorno, molti vennero da lui, nel suo alloggio. Dal mattino alla sera egli esponeva loro il regno di Dio, dando testimonianza, e cercava di convincerli riguardo a Gesù, partendo dalla legge di Mosè e dai Profeti. 24Alcuni erano persuasi delle cose che venivano dette, altri invece non credevano. 25Essendo in disaccordo fra di loro, se ne andavano via, mentre Paolo diceva quest’unica parola: «Ha detto bene lo Spirito Santo, per mezzo del profeta Isaia, ai vostri padri:26“Va’ da questo popolo e di’: / Udrete, sì, ma non comprenderete;/ guarderete, sì, ma non vedrete. / 27 Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, / sono diventati duri di orecchi / e hanno chiuso gli occhi, / perché non vedano con gli occhi,
non ascoltino con gli orecchi / e non comprendano con il cuoree non si convertano, e io li guarisca!” / 28Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!».

 

Il brano riguarda la prima predicazione dell’apostolo Paolo a Roma in occasione della sua prigionia dopo l’appello fatto a Cesare in seguito ai tumulti scoppiati a Gerusalemme (si veda, per questo, Atti degli Apostoli 21,27-40 e i capitoli dal 22 al 28). I vv. 17-22 parlano del primo positivo incontro avuto da Paolo con i notabili dei Giudei della città, ai quali afferma che egli è prigioniero «a causa della speranza d’Israele». Nel suo secondo incontro: vv. 23-28, Paolo presenta la figura e il messaggio di Gesù come intimamente connessi alla rivelazione vetero-testamentaria, trovando in alcuni suoi interlocutori pronta accoglienza e, in altri, il deciso rifiuto a credere. Rifiuto che l’Apostolo commenta con la citazione di Isaia 6, 9-10 nella quale si annuncia l’indurimento di Israele nel credere alla parola di Dio (vv.25-27), per concludere che la che la salvezza che è in Cristo Signore viene ora annunciata e offerta alle nazioni (v. 28), ossia ai popoli pagani che si mostreranno disponibili ad accoglierla (v.28).

 

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (1,1-16b)

 

1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – 2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture 3e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; 5per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo –, 7a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!

8 Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché della vostra fede si parla nel mondo intero. 9Mi è testimone Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunciando il vangelo del Figlio suo, come io continuamente faccia memoria di voi, 10chiedendo sempre nelle mie preghiere che, in qualche modo, un giorno, per volontà di Dio, io abbia l’opportunità di venire da voi. 11Desidero infatti ardentemente vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, 12o meglio, per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io. 13Non voglio che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi – ma finora ne sono stato impedito – per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra le altre nazioni. 14Sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti: 15sono quindi pronto, per quanto sta in me, ad annunciare il Vangelo anche a voi che siete a Roma.

16Io infatti non mi vergogno del Vangelo, perché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede.

 

Il brano si apre con una prima parte dedicata alla presentazione del mittente della lettera (v. 1), del suo mandato apostolico, del contenuto essenziale della sua predicazione (vv. 2-6) e con l’indicazione dei destinatari della lettera stessa con il saluto iniziale (v. 7). Nei vv. 8-12 l’Apostolo fa continuo riferimento al suo desiderio di venire a Roma dove esiste già una comunità cristiana della cui fede «si parla nel mondo intero». In particolare l’Apostolo, più che il Vangelo già in essa annunziato, afferma di voler comunicare ai fedeli di Roma «qualche dono spirituale» (v. 11) e soprattutto trarre conforto, «mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io» (v. 12). L’Apostolo deve però constatare che questo suo desiderio non si è potuto ancora realizzare (v. 13). Quindi dichiara di sentirsi in debito verso tutti gli uomini del suo impegno missionario che è l’essenza della sua vocazione (v. 14; Cfr. v.1) e che ora intende saldare dicendosi pronto ad «annunciare il Vangelo anche a voi che siete in Roma» (v. 15), nell’assoluta convinzione che esso è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (v. 16).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,12-19)

 

In quel tempo. 12Il Signore Gesù parlò agli scribi e ai farisei e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

 

Il presente brano riporta quasi per intero la prima parte dell’insegnamento di Gesù nel Tempio in occasione della festa delle Capanne (vv. 12-30) e che occupa l’intero ottavo capitolo. In particolare, i versetti, oggi proclamati, si aprono con la solenne rivelazione: «Io sono la luce del mondo» (v.12) si badi, non del solo Israele, ma di tutte le genti. L’umanità intera, perciò, è invitata a seguire Gesù, a credere in lui per raggiungere la vita che Dio le offre. Il v. 13 riporta la contestazione da parte dei farisei i quali rifiutano di accogliere la sua rivelazione perché priva di testimoni che ne attestino la veridicità. La risposta di Gesù (vv. 14-18) si articola nel rivendicare anzitutto la veridicità della sua testimonianza in quanto egli ha perfetta coscienza circa la sua origine dal Padre e circa il suo destino che contempla il suo ritorno al Padre, al contrario dei suoi interlocutori che giudicano secondo la carne (v. 15) ossia secondo le umane apparenze, privi come sono della fede. Gesù, inoltre, è veritiero in quanto, oltre alla sua, può portare la testimonianza del  Padre, della cui Parola egli è il rivelatore supremo (vv. 16-18). Alla  nuova domanda dei farisei: «Dov’è tuo padre?» (v. 19a), Gesù risponde stigmatizzando la loro incredulità che impedisce loro di conoscere lui e il Padre. Solo la fede in lui, dunque offre il dono di comprendere che conoscere lui equivale a conoscere il Padre (v. 19b).

 

Commento liturgico-pastorale

 

I giorni pasquali rappresentano una grande opportunità per dilatare gli spazi della nostra fede, del nostro amore e della nostra speranza nel Signore Gesù risorto dai morti.

Occorre, perciò, vivere questi giorni chiedendo senza interruzione al Padre del Cielo: «Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria» (Salmo 96/97). La gloria di Dio, come sappiamo e crediamo, brilla sopra ogni umana capacità e comprensione nel suo Figlio, il Risorto dalle orribili tenebre della morte!

Il Signore Gesù, pertanto, è, in tutta verità, «la luce del mondo» (Vangelo: Giovanni 8,12). Egli, cioè, rivela e proclama a tutte le nazioni e ad ogni uomo che il suo destino, quello di Figlio glorificato e definitivamente sottratto al potere della morte, è il destino che attende ogni uomo che crede in lui non soltanto come rivelatore ma come Figlio di Dio, il Padre! È questo il Vangelo che gli apostoli hanno predicato e testimoniato a tutti i popoli della terra.

Ne è esemplare testimonianza ciò che abbiamo letto nella Lettura che riporta la ferma, serena consapevolezza dell’apostolo Paolo che la luce salvifica che brilla sul volto del Signore deve essere portata a tutti indistintamente: non solo al popolo della prima Alleanza ma, come egli stesso afferma: «Sia dunque noto a voi che questa salvezza  di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!» (Atti degli Apostoli 28,28).

Una consapevolezza che gli fa dire, nell’avviare la sua lettera alla comunità cristiana di Roma composta sia da fedeli provenienti dal giudaismo che dal mondo pagano, che egli è stato chiamato ad essere apostolo «per annunziare il vangelo di Dio…», «che riguarda il Figlio suo… costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» e questo «per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti» (Epistola: Romani 1,1-5).

Si tratta di parole di permanente stringente attualità. Siamo, infatti, consapevoli che il Vangelo della Risurrezione del Signore Gesù e il significato salvifico in essa racchiuso, deve ancora essere predicato alla stragrande maggioranza degli uomini oggi esistenti sulla faccia della terra.

Siamo inoltre consapevoli che il Vangelo della Risurrezione debba essere di nuovo annunciato anche alle nostre comunità, a tutti noi che, «santi per chiamata»  (Romani 1,6), corriamo il rischio concreto di diventare duri di orecchi e ciechi (cfr. Atti degli Apostoli 28,27), a motivo dell’indifferenza più sorda e opaca che sembra oggi avere la meglio anche tra noi.

Le nostre comunità, al contrario, sono chiamate a seguire le orme apostoliche nella convinzione che la luce che promana dal Signore Risorto è il dono che il mondo attende da noi.

Si tratta, come direbbe l’Apostolo, di un debito che tutti noi, discepoli del Signore, abbiamo nei confronti degli uomini e delle donne del nostro tempo (cfr. Romani 1,14). Un debito che saremo in grado di saldare nella misura in cui gli effetti della Risurrezione saranno visibili e riconoscibili nella nostra esistenza. Ciò dipende dalla nostra convinta adesione di fede nel Signore Gesù rivelatore di Dio e Figlio unigenito del Padre che, nella partecipazione ai sacramenti pasquali ci attraversa con la potenza della sua Risurrezione. Nel Battesimo, infatti, il Padre ha «infuso in noi una vita che viene dal cielo» (Prefazio) quella, cioè, del suo Figlio che, alimentata alla mensa eucaristica, comincia a far brillare già da ora la luce della Risurrezione in un’esistenza pienamente uniformata alla sua.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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