14 ottobre 2012


VII domenica dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore


L’ultima domenica “dopo il martirio di San Giovanni il Precursore” intende additare nella Chiesa un riflesso autentico del Regno, preparando in tal modo i fedeli alla solennità della Dedicazione del Duomo, la prossima domenica.

 


Il Lezionario

 

Propone i seguenti brani biblici: Lettura: Isaia 43,10-21; Salmo 120 (121); Epistola: 1 Corinzi 3,6-13; Vangelo: Matteo 13,24-43. Nella Messa vigiliare del sabato viene letto Gv 20,19-23 come Vangelo della Risurrezione. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXVIII domenica del Tempo «per annum» del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (43,10-21)

 

10«Voi siete i miei testimoni – oracolo del Signore – / e il mio servo, che io mi sono scelto, / perché mi conosciate e crediate in me / e comprendiate che sono io. / Prima di me non fu formato alcun dio  / né dopo ce ne sarà. / 11Io, io sono il Signore, /  fuori di me non c’è salvatore. / 12Io ho annunciato e ho salvato, / mi sono fatto sentire / e non c’era tra voi alcun dio straniero. / Voi siete miei testimoni – oracolo del Signore – / e io sono Dio, / 13sempre il medesimo dall’eternità. / Nessuno può sottrarre nulla al mio potere: / chi può cambiare quanto io faccio?». / 14Così dice il Signore, / vostro redentore, il Santo d’Israele: / «Per amore vostro l’ho mandato contro Babilonia / e farò cadere tutte le loro spranghe, / e, quanto ai Caldei, muterò i loro clamori in lutto. / 15Io sono il Signore, il vostro Santo, / il creatore d’Israele, il vostro re». / 16Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare / e un sentiero in mezzo ad acque possenti, / 17che fece uscire carri e cavalli, /
esercito ed eroi a un tempo; / essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, / si spensero come un lucignolo, sono estinti: / 18«Non ricordate più le cose passate, / non pensate più alle cose antiche! / 19Ecco, io faccio una cosa nuova: / proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? / Aprirò anche nel deserto una strada, / immetterò fiumi nella steppa. / 20Mi glorificheranno le bestie selvatiche, / sciacalli e struzzi, / perché avrò fornito acqua al deserto, / fiumi alla steppa, / per dissetare il mio popolo, il mio eletto. / 21Il popolo che io ho plasmato per me / celebrerà le mie lodi.»

Il brano si inserisce nel più ampio contesto dell’annunzio della volontà di Dio di riscattare il suo popolo in esilio a Babilonia. Qui, in particolare, Dio prende a testimone il popolo degli esiliati e il misterioso personaggio del “servo” che si è scelto, e nel quale è lecito vedere il Messia, di quanto da lui compiuto in loro favore come unico loro Dio. Lui solo è Dio, non vi sono altri dei. Lui solo, infatti, ha scelto e liberato il suo popolo (vv. 10-13). I vv. 13-15 alludono a Ciro, re di Persia, che concede agli esuli in Babilonia di tornare in patria. Nel fare ciò il re agisce sotto l’ispirazione divina che vuole la liberazione d’Israele. I vv. 16-21, infine, rappresentano l’annunzio delle nuove meraviglie che Dio vuole operare a favore del suo popolo, in continuità con quelle compiute nella liberazione dall’Egitto (vv. 16-17)  e il segno sarà del tutto inedito: la fioritura del deserto che significa, più in profondità, la trasformazione interiore del popolo.  

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (3,6-13)

 

6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma era Dio che faceva crescere. 7Sicché, né chi pianta né chi irriga vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. 8Chi pianta e chi irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro. 9Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. 11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. 12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia,
13l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno.

 

In questa sua lettera l’Apostolo risponde a domande e a situazioni particolari verificatesi nella giovane e turbolenta comunità cristiana di Corinto. Qui si affronta il problema del ruolo dei missionari del Vangelo che si sono succeduti nell’evangelizzazione e nella presidenza della comunità: Paolo che ha avviato la comunità stessa e Apollo che si è impegnato per renderla più solida nella fede (v. 6). Essi sono semplici servi e collaboratori di Dio il quale, soltanto, è in grado di far crescere nei cuori l’adesione di fede al Vangelo (vv. 7-9). Inoltre il predicatore del Vangelo deve stare ben attento a come costruisce l’edificio di Dio che è la Chiesa, tenendo presente che il fondamento su cui essa si regge è Gesù Cristo (vv. 10-13).

 

Lettura del Vangelo secondo Matteo (13, 24-43)

 

In quel tempo. Il Signore Gesù 24espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. 27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. 28Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. 29“No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponételo nel mio granaio”».

31Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. 32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». 33Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
34Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, 35perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, / proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo».

36Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. 38Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno 39e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. 40Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità 42e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

 

Il brano evangelico oggi proclamato riporta tre delle “parabole del regno” che occupano l’intero tredicesimo capitolo. Si tratta della parabola della zizzania (vv. 24-30) che Gesù stesso spiega ai suoi discepoli una volta congedata la folla ed entrato «in casa», allusione, questa, alla Chiesa, la Comunità del Signore (vv. 36-43), della parabola del grano di senape (vv. 31-32) e di quella del lievito (v. 33). L’evangelista non manca di spiegare perché Gesù si serva del linguaggio parabolico per parlare alle folle del regno di Dio mediante il ricorso alla citazione del Salmo 78,2 (vv. 34-35).

 

 

 

Commento liturgico-pastorale

 

L’immagine del Regno, di cui parlano le tre parabole del testo evangelico odierno, appartiene di per sé alla dimensione terrena, ma riceve un significato nuovo in quanto Gesù la assume per indicare la piena e definitiva sovranità di Dio sul mondo e sulla storia.

Di conseguenza, occorre andare oltre la categoria mondana e ben nota del regno e, a questo, provvede Gesù stesso ricorrendo al linguaggio parabolico. Egli infatti paragona il regno dei cieli «a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo» (Vangelo: Matteo 13,24). In quel seminatore riconosciamo Gesù stesso (v. 37) che nella sua esistenza terrena ha seminato il buon seme della sua Parola e della sua stessa vita come autentici “germogli” del regno destinato a manifestarsi in pienezza alla fine del mondo ossia nell’ora della sua parusia ovvero del suo secondo e definitivo ritorno per il giudizio (cfr. v. 30).

Gesù, dunque, nel mistero della sua incarnazione, morte, risurrezione e ritorno glorioso alla fine dei tempi “è” il regno dei cieli piantato come buon seme nel campo che è il mondo e, in esso, l’intera umanità. Esso, però, e quanti accogliendo il seme della sua Parola sono diventati a loro volta buon seme, deve fare i conti con un altro seme, quello della zizzania, un’erbaccia nella quale Gesù vede raffigurati i figli del Maligno intenti a impedire e a soffocare la crescita del seme buono dei credenti (v. 38). Nella zizzania sono raffigurati coloro che si lasciano sedurre dalla predicazione mondana che si oppone risolutamente a quella evangelica e vivono nell’incredulità e nella ricerca egoistica di sé che genera nell’uomo ogni sorta di male e di peccato.

Il messaggio altamente positivo che questa domenica fa risuonare al nostro cuore è che la semina del buon seme è fruttificata nella vita di tanti uomini e donne che, lungo i secoli, hanno accolto il Vangelo predicato da un’infinita serie di collaboratori di Dio e, a ragione, perciò, sono anche chiamati “campo di Dio” ed “edificio di Dio” (Epistola: 1 Corinzi 3,9).

Il campo e l’edificio di Dio, lo sappiamo, è la Chiesa, la comunità piantata e irrigata dai suoi collaboratori quali, in primo luogo, gli Apostoli e, dopo di essi, i Vescovi loro successori, e tutti i Missionari del Vangelo. Ma è Dio stesso a edificarla sul fondamento che è Gesù Cristo (v. 11) e a farla crescere e prosperare. Essa sa di essere, per grazia, un riflesso del regno dei cieli, ma è ben consapevole di dover  vivere e di svilupparsi in questo mondo accanto e insieme alla zizzania. La Chiesa, inoltre, sa di portare in sé la presenza autentica del regno ma nella consistenza di un granello di senape che «è il più piccolo di tutti i semi» (Matteo 13,32) o di una piccola porzione di lievito mescolato «in tre misure di farina» (v. 33).

Questa lezione che viene direttamente dalla bocca del Signore Gesù insegna alla sua comunità a ritenersi in effetti un germoglio del Regno, ma umile e piccolo e, perciò, tanto autentico quanto sa svilupparsi con pazienza accanto alla zizzania senza la tentazione di sostituirsi a Dio nel giudizio su di essa (cfr. vv. 28-30)!

In tal modo la comunità del Signore fa intravedere all’umanità e alla storia la novità profeticamente annunciata: «Ecco, io faccio una cosa nuova» (Lettura: Isaia 43,19) e già riscontrabile  proprio in essa, irrigata e dissetata dal fiume della Parola divina capace di far fiorire il deserto che è questo mondo arido, violento, pericoloso e addirittura di trasformare la zizzania in buon grano da riporre nei granai del cielo e, dunque, di fare dell’intera umanità il “suo” popolo, quello “eletto”, perché canti le sue lodi (cfr. vv. 20-21).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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