15 gennaio 2012 – II domenica dopo l’Epifania


Concluso il tempo di Natale con la festa del Battesimo del Signore prende avvio il tempo “dopo l’Epifania” che si prefigge di sviluppare i diversi “misteri” concentrati nella solennità del 6 gennaio e che ci accompagnerà fino alla Quaresima. In questa domenica si legge sempre il Vangelo delle nozze di Cana, che è uno dei momenti “epifanici” sottolineati dalla nostra tradizione liturgica.


Il Lezionario

Riporta i seguenti brani: Lettura: Isaia 25,6-10a; Salmo 71 (72); Epistola: Colossesi 2,1-10a e il Vangelo: Giovanni 2,1-11 comune per il ciclo triennale. Luca 24,1-8 è proclamato quale Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato.


Lettura del profeta Isaia (25,6-10a)


In quei giorni. Isaia disse: 6«Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato. 9E si dirà in quel giorno: “Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10poiché la mano del Signore si poserà su questo monte”».

Il brano segue immediatamente al canto di ringraziamento (vv. 1-5) per le opere di Dio capace di annientare una grande città nemica del suo popolo. Qui invece si espone la grandezza dei disegni di Dio che chiama tutti i popoli della terra ad accorrere a Gerusalemme per godere dei suoi doni descritti nell’immagine del banchetto (v. 6) e che culminano nell’eliminazione della morte e del dolore (v. 8).


Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
(2,1-10a)


Fratelli, 1voglio che sappiate quale dura lotta devo sostenere per voi, per quelli di Laodicea e per tutti quelli che non mi hanno mai visto di persona, 2perché i loro cuori vengano consolati. E così, intimamente uniti nell’amore, essi siano arricchiti di una piena intelligenza per conoscere il mistero di Dio, che è Cristo: 3in lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza. 4Dico questo perché nessuno vi inganni con argomenti seducenti: 5infatti, anche se sono lontano con il corpo, sono però tra voi con lo spirito e gioisco vedendo la vostra condotta ordinata e la saldezza della vostra fede in Cristo. 6Come dunque avete accolto Cristo Gesù, il Signore, in lui camminate, 7radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie. 8Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo. 9È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, 10e voi partecipate della pienezza di lui.

Nel brano si evidenzia la preoccupazione dell’Apostolo perché i fedeli delle giovani Chiese da lui fondate mantengano integra la fede che si poggia su Gesù Cristo (vv. 2-3). Per questo li mette in guardia da mentalità seducenti (v. 4), sulle quali tornerà al v. 8, capaci di sviare dalla fede in Cristo. Al contrario occorre perseverare nella fede e rimanere “radicati” e costruiti su Cristo Gesù (vv. 6-7).


Lettura del Vangelo secondo Giovanni (2,1-11)

In quel tempo. 1Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù, con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.


Il brano evangelico si premura di collocare il racconto nel terzo giorno che succede ai primi due caratterizzati dalla chiamata dei primi discepoli (vv. 35-51) e di ambientarlo in una festa di nozze nella città di Cana in Galilea senza trascurare di nominare tra gli invitati la madre di Gesù, Gesù stesso e i suoi discepoli (vv. 1-2).

I vv. 3-5 sottolineano il protagonismo della madre di Gesù che sollecita da lui un intervento a motivo dell’improvvisa mancanza di vino. L’apparente risposta negativa di Gesù che si rivolge alla madre con l’appellativo “donna”, da lui ripreso nel momento della sua morte (cfr. Giovanni 19,26), è motivata dal fatto che «non è ancora giunta la mia ora» (v. 4). L’ “ora” di Gesù è quella della sua “glorificazione” sulla Croce con il conseguente ritorno al Padre.

Di fatto Gesù interviene ordinando di riempire di acqua le anfore, di cui viene precisato il numero: sei, e la capienza: «da ottanta a centoventi litri l’una» (v. 6). Segue la constatazione da parte del direttore del banchetto della bontà del vino fatta notare allo sposo (vv. 9-10).

L’evangelista non trascura di sottolineare che colui che dirigeva il banchetto «non sapeva da dove venisse» quel vino: un non sapere, una non conoscenza che dice la necessità di aprire il cuore alla fede di Gesù, il rivelatore unico di Dio.

Il v. 11 precisa che questo «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù» appunto per rivelare la sua identità e per sollecitare a credere in lui come hanno prontamente fatto i suoi discepoli.


Commento liturgico-pastorale


In questa seconda domenica le divine scritture ci invitano a guardare a Gesù che alle nozze di Cana, mutando l’acqua in vino, dà inizio ai segni rivelatori della sua identità e sollecita l’adesione di fede in lui.

Il segno di Cana vuole espressamente dire che in Gesù, nella sua Persona, sono finalmente arrivati “i tempi messianici”. Questi sono caratterizzati dall’invito rivolto a tutte le genti a prendere parte alla gioiosa comunione di vita con Dio profeticamente significata nel «banchetto di cibi succulenti e di vini raffinati» (Cfr. Lettura) e ora possibile nel suo Unico Figlio.

La partecipazione alla vita divina ha come conseguenza lo strappo del “velo” e della “coltre” che grava sull’umanità. Si tratta del velo dell’ignoranza di Dio a motivo dell’incredulità e della coltre funerea stesa sul mondo a causa del peccato, che impedisce agli uomini di conoscerlo sperimentando il suo amore, capace di eliminare «la morte per sempre», di asciugare «le lacrime su ogni volto» di far scomparire «l’ignominia del suo popolo» (Lettura).

Tutto ciò viene da Dio conseguito con l’invio nel mondo del suo Figlio e, segnatamente, nel mistero della sua morte e risurrezione, le cui conseguenze salvifiche vengono partecipate a quanti credono in lui come hanno fatto Maria e i suoi discepoli alle nozze di Cana (Vangelo).

La fede in lui è il presupposto per andare oltre i “segni” e cogliere nel Signore “il mistero di Dio” nel quale, come scrive l’Apostolo, «sono nascosti tutti i tesori della sapienza e delle conoscenza» fino ad arrivare a credere che «È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» (Epistola). Sicché proprio dalla pienezza di Cristo è possibile attingere i doni divini insperati quali la comunione con Dio stesso e il conseguente superamento del dominio del male, del peccato e della morte. La preghiera liturgica ascrive tutto ciò alla “potenza” e alla “gloria eterna” ovvero al progetto di salvezza concepito da Dio Padre al quale così si rivolge: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro» ( Prefazio).

Nella celebrazione eucaristica, mentre alimentiamo la nostra fede nel Signore, veniamo «radicati e costruiti su di lui» (Epistola) e fatti sedere al banchetto del suo corpo e del suo sangue, sperimentiamo l’esuberanza dei doni divini significati dal «Pane di vita» che ci rende «capaci di conseguire i beni eterni offerti alla nostra speranza» (Orazione Dopo la Comunione).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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