16 Maggio 2010, Domenica dopo l'Ascensione

La settima domenica “di Pasqua”  

Fa come da ponte tra la solennità dell’Ascensione e quella della Pentecoste nella quale “culmina” il mistero della Pasqua. Il Lezionario prevede: Lettura: Atti degli Apostoli 7,48-57; Salmo 26; Epistola: Efesini 1,17-23; Vangelo: Giovanni 17,1b.20-26. Il Vangelo della Risurrezione, da proclamare nella Messa vespertina del sabato, è preso da Giovanni 20,1-8. (Oggi, nella Chiesa, si celebra la giornata mondiale delle Comunicazioni Sociali).    


Vangelo secondo Giovanni 17,1b.20-26

In quel tempo. Il Signore Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse: 20«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22E la gioia che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. 24Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove io sono, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. 25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. 26E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Commento liturgico-pastorale

Il brano di questa domenica è preso dall’ultimo colloquio di Gesù con il Padre pronunciato nel contesto della cena pasquale, terminati i discorsi di “addio” proposti nei precedenti quattro capitoli. Il v 1b in particolare si incarica, con la precisazione «alzando gli occhi al cielo», di far capire che Gesù intende vivere l’ora del suo “passaggio” da questo mondo in diretto filiale dialogo con il Padre. Nei vv 20-23 la richiesta di Gesù al Padre riguarda l’”unità” di amore nella quale devono essere conservati i suoi discepoli e, tutti coloro che, lungo i tempi attraverso di essi, perverranno alla fede in lui. I vv 24-26 contengono le “ultime volontà” di Gesù riguardanti la destinazione finale dei suoi discepoli: «siano anch’essi con me dove sono io». Proclamato nei giorni immediatamente seguenti la solennità dell’Ascensione il brano evangelico ci fa capire come quell’evento pasquale riguardi da vicino tutti i credenti destinati, secondo il volere di Gesù, a essere «anch’essi con me dove sono io» (v 24). Perciò, a quanti aderendo a Gesù con fede, entrano a far parte della sua comunità, la parola evangelica indica, nella definitiva partecipazione alla comunione di vita celeste, la destinazione ultima, quella, cioè, di essere «anch’essi con me dove sono io»: nel cuore del Padre! Con altre parole l’Apostolo afferma che Dio, quando risuscitò il suo Figlio Gesù dai morti «e lo fece sedere alla sua destra nei cieli», manifestò in realtà tutta la sua “potenza”, la sua “forza” e il suo “vigore” verso di noi (Epistola: Efesini 1,19) per darci «la speranza di entrare nel regno dei cieli» (Prefazio). «Essere dove è Gesù», «sedere alla destra di Dio», «entrare nel regno dei cieli» è, pertanto, la prospettiva e l’orizzonte che la Pasqua del Signore apre ai credenti e che mai essi devono smarrire. Si comprende, perciò,  come l’Apostolo supplichi perché “il Padre della gloria” «illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi» (Efesini 1,18). Non è facile per nessuno conservare, tra le vicende di questo momento, l’anelito alla “gloria” a cui siamo chiamati. Per questo è per noi indispensabile, fin da ora, avere come un’anticipazione dello stare dove ora è il Risorto, quella che sostenne Stefano nell’ora del martirio: egli «pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio» (Lettura: Atti degli Apostoli 7,55). Occorre, in una parola, sperimentare da ora, in qualche misura, l’amore con il quale il Padre ama il Figlio (cfr. Giovanni 17,26). Tale esperienza è a nostra portata, come si sa, nella celebrazione eucaristica in cui si avvera la Pasqua della nostra salvezza. In essa la compagine dei credenti, trasformata “in una sola cosa” (v 21) dall’amore incandescente del Signore, avverte di essere amata di quello stesso amore con il quale il Padre “ama” il Figlio (vv 23.25). Resa così “perfetta nell’unità” (v 23) la Chiesa è in grado di calamitare la fede in Gesù del mondo intero (v 23), ma è soprattutto il luogo visibile e riconoscibile nel quale già qui, si sperimenta l’efficacia della richiesta di Gesù: «voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io» (v 24).     L’esperienza eucaristica, dunque, come anticipazione reale e certa della comunione del Cielo. Perciò, la sapienza orante della nostra tradizione liturgica ambrosiana così prega nel cuore della Messa: «Tu che ora ci raduni col vincolo di un amore sincero nell’unità della Chiesa cattolica, serbaci per il banchetto del cielo» (Preghiera Eucaristica V). Il “banchetto”, s’intende, come immagine della comunione d’amore piena e definitiva del cielo, alla quale il Risorto tutti attira.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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