1. La domenica della dedicazione del Duomo
Si tratta di una ricorrenza di grande importanza per tutti i fedeli della diocesi di Milano che guardano al Duomo come loro cattedrale, ma anche per quei fedeli che, pur appartenendo ad altre diocesi, seguono il rito ambrosiano e, perciò, riconoscono il Duomo di Milano come loro Chiesa madre. In questa domenica, perciò, mentre si fa “memoria” della dedicazione o consacrazione del Duomo, si celebra, in realtà, il mistero della Chiesa che in esso si raduna. Vengono oggi proclamate le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Isaia 60,11-21 (in alternativa: 1Pietro 2,4-10); Salmo 117; Epistola: Ebrei 13,15-17.20-21; Vangelo: Luca 6,43-48. Il Vangelo della Risurrezione nella Messa vigiliare del sabato, è preso da Giovanni 20,24-29.
2. Vangelo secondo Luca 6,43-48
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: 43«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. 44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. 45L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. 46Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? 47Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: 48è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene».
3. Commento liturgico-pastorale
Il brano evangelico odierno conclude il cosiddetto “discorso in pianura” di Luca 6,20-49 da leggere in parallelo con il “discorso sul monte” di Matteo 5-7. Esso è rivolto da Gesù ai discepoli e a tutti coloro che intendono seguirlo al fine di indicare le essenziali esigenze che qualificano la sequela.
Esigenze che hanno al loro vertice il precetto dell’amore del nemico (6,27-35) e dell’amore fraterno (vv 36-42). Questo è il Vangelo che i suoi devono predicare sempre e ovunque. I versetti odierni sono come l’avvertimento finale di Gesù a mettere in pratica i suoi insegnamenti.
Egli lo fa paragonando gli uomini ad alberi (vv 43-44a). Guardando i loro frutti si capisce se essi sono buoni o cattivi. Esattamente come gli alberi anche gli uomini producono frutti secondo la natura del loro cuore. Se ha un cuore “buono” dice e fa cose buone (v 45). E il cuore buono si ottiene ascoltando e mettendo in pratica la Parola di Gesù (v 45). Chi fa così pone sé stesso sul fondamento solido che è Cristo e non va incontro a rovina (vv 47-48).
Proclamato nell’odierna circostanza il brano evangelico ci aiuta a comprendere come nel segno esterno del Duomo si rende visibile il mistero della Chiesa come casa di Dio posta tra gli uomini. Chi guarda il Duomo e ne ammira la maestà e la bellezza perdurante nei secoli comprende che essa è dovuta al fatto che le sue fondamenta sono state scavate molto in profondità.
Una simile osservazione rende al vivo la parola di Gesù sulla casa costruita su fondamenta molto profonde fino a incontrare la “roccia”. La “roccia” è lo stesso Signore Gesù e la sua Parola, sicché il fondamento su cui poggia la comunità ecclesiale è incrollabile. Esso, infatti, non è gettato superficialmente sulla “sabbia” che siamo tutto noi con la nostra nativa fragilità e inconsistenza, ma sulla “roccia” che è il Signore Gesù ovvero, come leggiamo nella Lettura alternativa, sulla «pietra viva… scelta e preziosa davanti a Dio» (1Pietro 2,4).
Su tale «pietra d’angolo» la Chiesa, perciò, e tutti noi che la componiamo come “pietre vive” (v 5), deve tenersi poggiata in modo da resistere “alla piena del fiume” (cfr. Luca 5,48) che periodicamente la investe nel passare del tempo, vale a dire le difficoltà interne che l’attraversano e le persecuzioni esterne che la minacciano.
Celebrare ogni anno la dedicazione della nostra chiesa cattedrale e della nostra chiesa madre, significa anzitutto lodare, benedire e “rendere grazie” al Padre per il mistero della Chiesa, “sua dimora”, “sposa e regina”, “madre di tutti i viventi”, “vita feconda”, “città posta sulla cima dei monti” (cfr. Prefazio).
Significa, inoltre, assumere sempre più viva coscienza che, avendo creduto e obbedito alla Parola del Signore, su di lui “pietra viva” siamo edificati e uniti al punto da poterci chiamare, in tutta verità,: «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato» (1Pietro 2,9).
Tale consapevolezza sprona la Chiesa e noi, suoi fedeli, ad “ascoltare” e a “obbedire” alla Parola del Signore traducendola in pratica di vita, evitando così il suo rimprovero: «Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?» (Luca 6,46).
Ora la Parola che occorre ascoltare e mettere in pratica è tutta riassunta nel precetto della carità nei confronti di tutti: “amici” e “nemici”. È questa “obbedienza”, infatti, a tenere la Chiesa fondata sulla “roccia” e a donarle l’inesauribile capacità di «trarre fuori il bene» «dal buon tesoro del suo cuore» (v 43) abitato dall’amore del Signore.
Dal cuore della Chiesa traboccano quei frutti buoni quali l’annunzio del Vangelo destinato a tutti indistintamente: «un tempo eravate esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia» (1Pietro 2,10).
Un Vangelo che la Chiesa quale «vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci» (Prefazio) reca in dono a ogni uomo chiamato a stringersi a Cristo poggiandosi sulla “roccia” del suo amore, vale a dire la sua croce. Così come il nostro Duomo spalanca accogliente le sue porte, la Chiesa «tiene le sue porte sempre aperte, di giorno e di notte» (cfr. Lettura: Isaia 60,11) perché tutti possano entrare attratti dalla “luce eterna” e “dal divino splendore” (v 19) ed essere rivestiti di misericordia e di salvezza perenne.
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