24 marzo 2013 - Domenica delle Palme

È la domenica che inaugura la settimana santa che la nostra tradizione liturgica ambrosiana chiama “Autentica”.  In essa il cammino quaresimale viene coronato dalla celebrazione del Triduo Pasquale della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, che dispiega l’evento di salvezza posto a fondamento della fede e della vita della Chiesa, vale a dire la Pasqua, partecipata ai credenti nei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia.

 In questa domenica la nostra tradizione liturgica prevede due distinte celebrazioni: la Messa per la benedizione delle Palme e la Messa “nel giorno”.

 

MESSA PER LA BENEDIZIONE DELLE PALME

 

Viene celebrata quando la Messa è preceduta dal rito della benedizione e successiva processione delle palme. Essa intende far memoria del solenne ingresso di Gesù in Gerusalemme riconosciuto come Messia.

 

Il Lezionario

 

Vengono proclamati i seguenti brani biblici: Lettura: Zaccaria 9,9-10; Salmo 47; Epistola: Colossesi 1,15-20; Vangelo: Giovanni 12,12-16. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della Messa per la benedizione delle Palme del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Zaccaria (9,9-10)

 

Così dice il Signore Dio: 9«Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. 10Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra».

 

Si tratta dell’oracolo messianico nel quale il profeta, in un contesto di esultanza e di grande gioia per Gerusalemme e, dunque, per tutto il popolo d’Israele, annunzia la venuta di un re che godrà della protezione divina e che, a differenza degli altri sovrani, si distinguerà per la sua umiltà, di cui è segno la cavalcatura da lui scelta: «un puledro figlio d’asina» (v. 9). Egli pacificherà e riunirà il popolo in un unico regno di pace che si estenderà ad abbracciare altri popoli e altre nazioni (v.10). Questa profezia, nella comprensione di fede della Chiesa, si è compiuta con l’ingresso di Gesù in Gerusalemme acclamato dal popolo come Messia.

 

Lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi (1,15-20)

 

Fratelli, 15Cristo è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, 16perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze, tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. 19È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza 20e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

 

Il brano, oggi proclamato, riporta un inno del cristianesimo delle origini. Si tratta di una proclamazione di fede nel Signore Gesù, di cui si esalta la preesistenza e il ruolo avuto nella creazione di tutto ciò che esiste e, dunque, di tutte le cose visibili, come il mondo e l’uomo e quelle invisibili, ossia gli spiriti incorporei di cui l’Apostolo offre un elenco (vv.15-16). Il v. 17 sottolinea la preesistenza di Cristo alla creazione stessa, ovvero la sua divinità, mentre nel v. 18 viene proclamo «capo del corpo», cioè della Chiesa, a motivo del suo essere il primo risuscitato e il principio nell’ordine della salvezza. I vv. 19-20, infatti, evidenziano il disegno salvifico di Dio che coinvolge l’universo intero nell’azione di riconciliazione e di pacificazione, compiuta da Gesù con il suo sangue.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (12,12-16).

 

In quel tempo. 12La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!».

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:15«Non temere, figlia di Sion!Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina».

16I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte.

 

Il brano segue immediatamente quello dell’“unzione” di Gesù in casa di Lazzaro da lui «risuscitato dai morti» (Gv 12,1-11) e che viene proclamato nella Messa del giorno. I vv. 12-13 riportano l’iniziativa spontanea della folla presente in Gerusalemme per l’imminente festa di Pasqua che va incontro a Gesù  recando, non semplici fronde strappate dagli alberi, ma palme, simbolo di vittoria. Con le palme l’evangelista registra il grido della folla preso dal Salmo 118,25-29 con il quale lo acclama quale inviato da Dio e re d’Israele.

I vv. 14-15 mettono in luce, nel gesto di Gesù di montare su un asinello, che la sua regalità si differenzia da quella dei sovrani di questo mondo. Anzi, con l’esplicita citazione del profeta Zaccaria (cfr. 9,9), viene chiarito che egli è il re umile e pacifico destinato, nel disegno divino, a governare non un solo popolo ma tutte le genti.

Il brano si chiude al v. 16 con l’indicazione preziosa anche per noi: sarà soltanto nell’ora della sua     “glorificazione”, ovvero della Croce, che i discepoli di allora e di sempre saranno pienamente illuminati e potranno comprendere in pienezza le parole profetiche e i fatti riguardanti il Signore Gesù.

 

Commento liturgico- pastorale

 

Le Sacre Scritture ci introducono, in questa domenica in cui prende avvio la solenne distesa celebrazione del mistero pasquale del Signore, a una comprensione più profonda di tale mistero aiutandoci a riconoscerlo come il Messia inviato da Dio al suo popolo come Re. Un re «giusto e vittorioso» la cui venuta reca gioia in quanto «farà sparire il carro di guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme» (Lettura: Zaccaria 9, 9s), ossia porterà la pace al suo popolo. Egli sarà soprattutto un re umile, come si desume dalla cavalcatura da lui scelta per il suo ingresso regale: «un asino, un puledro figlio d’asina» (v. 9), ed estenderà il suo regno «fino ai confini della Terra» (v. 10) ossia a tutti i popoli ai quali recherà pure come dono la pace. La parola profetica trova il suo compimento ed è pienamente compresa nell’evento riportato nel brano evangelico di Giovanni riguardante l’ingresso di Gesù in Gerusalemme «seduto su un puledro d’asina» (Vangelo: Giovanni 12,14). È pertanto lui, Gesù di Nazaret, il Messia inviato da Dio come Re d’Israele per pacificare e risollevare il regno promesso a Davide come regno che non avrà fine e che in lui abbraccerà il mondo intero, ma nella modalità del tutto inedita e sorprendente della sua umiltà e della sua mitezza, allusive della sua passione e della sua morte violenta.

La preghiera liturgica commenta in modo insuperabile l’evento salvifico di cui oggi si fa memoria cogliendo il senso spirituale dell’avvenimento evangelico dell’ingresso messianico del Signore, e motiva così il rendere grazie che coinvolge «qui e in ogni luogo» la Chiesa: «Tu hai mandato in questo mondo Gesù, tuo Figlio, a salvarci perché, abbassandosi fino a noi e condividendo il dolore umano, risollevasse fino a te la nostra vita» (Prefazio). L’Epistola paolina iscrive l’opera del pacifico e umile Messia, re d’Israele nel disegno divino di riconciliare ogni realtà che esiste in terra e nei cieli, per mezzo di lui, umiliato fino alla morte di croce e il cui sangue è dato come garanzia di riconciliazione e di pacificazione tra tutte le realtà creata e Dio stesso (v.20).

Al pari dei discepoli anche noi comprenderemo in pienezza ciò che è avvenuto e ciò che è significato nell’ingresso messianico a Gerusalemme, soltanto nell’ora nella quale il Signore «fu glorificato» ossia, nell’ora della sua esaltazione in Croce. Ricordando ovvero “facendo memoria” di quanto egli ha fatto, impariamo anche noi, suoi discepoli, che la “regalità” secondo il disegno inaccessibile di Dio non consiste nella forza e nella potenza mondane, ma nell’obbedienza al volere di Dio che addita anche a noi, Chiesa santa del suo Figlio, la via indicata al suo Unigenito: la via della piccolezza, dell’umiliazione e della mitezza, la via della Croce. Nel sangue della sua Croce, infatti, il Re umile venuto a noi dal Cielo, ha riconciliato e pacificato il mondo intero invitandolo ad entrare nel suo Regno di gioia. È l’invito che ripete incessantemente la Chiesa in questo giorno che inaugura i giorni della nostra salvezza: «Venite tutti ad adorare il Re dell’universo: sei giorni mancano alla sua passione: viene il Signore nella sua città, secondo le Scritture. Accorrono lieti i fanciulli, si stendono a terra i mantelli. In alto levando l’ulivo acclamiamo a gran voce: “Osanna nell’alto dei cieli. Benedetto tu sei che vieni al tuo popolo: abbi di noi pietà”».

 

MESSA  NEL GIORNO

 

Viene celebrata quando non si fa la processione delle palme benedette. Le letture bibliche e i testi del Messale pongono in rilievo la passione e la morte del Signore che segue l’ingresso trionfale a Gerusalemme.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Isaia 52,13-53,12; Salmo 87 (88); Epistola: Ebrei 12,1b-3; Vangelo: Giovanni 11,55-12,11. Alla messa vespertina del sabato viene letto Giovanni 2,13-22 come Lettura vigiliare. ( Le orazione e i canti della Messa sono quelli propri della Messa “nel giorno” del Messale Ambrosiano).

 

Lettura del profeta Isaia (52,13-53,12)

 

Così dice il Signore Dio:52,13«Ecco il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e  innalzato grandemente.14 Come molti si stupirono di lui – tanto era sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto e diversa la sua forma da quella dei figli dell’uomo – 15così si meraviglieranno di lui molte nazioni;i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché vedranno un fatto mai ad essi raccontato
e comprenderanno ciò che mai avevano udito.53,1Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?
A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? 2È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere.3Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. 5Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca. 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua posterità? Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi, per la colpa del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore. 11Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà la loro iniquità.12Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino, perché ha spogliato se stesso alla morte ed è stato annoverato fra gli empi mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i colpevoli».

 

Il brano riporta il quarto canto del servo di Dio sofferente concepito come un dialogo tra Dio che pronuncia un oracolo sul suo “servo” (53,13-15) e i popoli e i re della terra (53, 1-10) e si conclude con un nuovo intervento divino che annunzia il successo della missione del servo (vv.11-12). Nel suo primo intervento Dio annuncia il trionfo del suo servo una volta affrontate le prove e le sofferenze estreme alle quali verrà sottoposto (52, 13-15). Nella loro risposta i re della terra e le nazioni enumerano le sofferenze del servo riconoscendo che esse sono causate dalle loro colpe e dalle loro iniquità. Il canto si chiude con la riaffermazione del pieno successo della missione del servo di Dio.

 

Lettera agli Ebrei (12,1b-3)

 

Fratelli, 1bavendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, 2tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento. Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e si siede alla destra del trono di Dio. 3Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d’animo.

 

Il brano esorta i credenti, una volta sbarazzatisi della presenza opprimente del peccato, alla perseveranza nella fede, concepita come una corsa verso la meta che è lo stesso Cristo autore della fede (vv. 1-2). A lui occorre riferirsi sempre e in ogni cosa perché, avendo accettato la morte infamante di Croce, ha portato a compimento l’opera di salvezza e ora «siede alla destra del trono di Dio» (v. 2b). Il brano si conclude con l’esortazione a non smarrirsi tra le prove della vita e per questo occorre contemplare senza sosta la passione del Signore Gesù (v.3) che, per obbedienza al volere del Padre, si è sottoposto alla Croce.

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (11,55-12,11) 

 

In quel tempo. 55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betania, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena. Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con coi, ma non potete sempre avere me».

9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

 

Il brano, incentrato sul racconto dell’unzione di Gesù nella casa di Lazzaro (12,1-8), è come incorniciato dai versetti iniziali 11,55-57 e quelli finali 12,9-11. I primi riportano il desiderio della gente, venuta a Gerusalemme per la festa di Pasqua, di poter incontrare Gesù la cui fama, dopo la risurrezione di Lazzaro, si era sparsa ovunque suscitando la reazione ostile delle autorità (v. 57). I versetti finali (vv. 9-10) riferiscono della decisione presa dai capi dei sacerdoti di mettere a morte anche Lazzaro a causa del quale molti lasciavano la Sinagoga per aderire a Gesù.

Il racconto dell’unzione (v. 12,3) è collocato nel contesto di un pranzo familiare consumato da Gesù a casa di Lazzaro e delle sorelle Marta e Maria, ardenti di fede e di amore verso di lui che si sta incamminando verso la sua Pasqua (12,1-3)! Il pranzo può forse rappresentare la gioia della futura risurrezione mentre l’unzione che Maria fa sui piedi di Gesù annunzia la sua sepoltura.

Il significato profondo del gesto di Maria, non capito da Giuda, il traditore (vv. 5-6), consiste nell’anticipare, pur senza saperlo, quello che ella avrebbe presto compiuto sul corpo esanime del Signore e da lui stesso così interpretato (v. 7). Il brano si chiude con una parola rivolta non solo a Giuda (v. 5), ma anche a tutti coloro che ascoltano e ascolteranno nei secoli la sua Parola. Gesù, in pratica, riafferma il precetto divino di prendersi cura dei poveri, un precetto valido per sempre (cfr. Deuteronomio 15,11), ma giustifica, per questa volta, l’attenzione rivolta a lui che sta per andare incontro alla morte (v. 8).  

 

Commento liturgico-pastorale

 

 I testi della Scrittura, proclamati nel giorno che inaugura la Settimana Autentica, dirigono l’attenzione orante della comunità radunata in assemblea liturgica, sull’evento della morte del Signore Gesù che in quel raduno viene attualizzata a livello sacramentale. La celebrazione liturgica della passione e morte del Signore è illuminata da ciò che abbiamo ascoltato nella Lettura profetica a proposito del “servo sofferente” che nel misterioso disegno di Dio è destinato ad aver “successo”, a essere «onorato e innalzato grandemente» (Isaia 52,13). Di più, a motivo della sua totale sottomissione al volere divino, fino a subire gli oltraggi, le umiliazioni più infamanti e la stessa morte, egli riceve da Dio «in premio le moltitudini», ossia l’umanità intera dei cui peccati e delle cui iniquità egli si è addossato, eliminandoli proprio con la sua morte. Il testo profetico, infatti, mette in bocca alle nazioni e ai re (cfr. Isaia 52,15) la solenne dichiarazione che rivela il significato delle sofferenze del “servo” ascrivibili al disegno di Dio inaccessibile per la nostra mente: «È stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Isaia 53,5). Il messaggio biblico è stato ben compreso dalla preghiera liturgica che esalta il perenne universale valore salvifico della morte del Signore nel quale viene portata a compimento la parola profetica: «Cristo tuo Figlio, il giusto che non conobbe la colpa, accettò di patire per noi e, consegnandosi a una ingiusta condanna, portò il peso dei nostri errori. La sua morte ha distrutto il peccato, la sua risurrezione ha ricreato la nostra innocenza» (Prefazio). Ed è ancora la preghiera liturgica a esprimere la certezza che l’efficacia della morte del Signore è intatta nel sacramento del suo amore: «Nel Figlio del suo amore tutto dal nostro Dio ci fu donato, il sangue del Signore ogni peccato nostro ci ha lavato. Perdona il nostro errore, medica le ferite del peccato» (Alla Comunione).

 Di conseguenza, l’ascolto della Parola e la sua attualizzazione sacramentale, spingono tutta la Chiesa e, ogni fedele, a tenere «fisso lo sguardo su Gesù» che si è sottoposto volontariamente alla croce «disprezzando il disonore» che essa rappresenta e, ora, «siede alla destra del Padre» (Epistola: Ebrei 12,). È questa la meta verso la quale i credenti sono esortati a correre «con perseveranza», accettando di condividere quella condizione di “servo” che Gesù ha accettato di rivestire per la nostra salvezza.

Ci doni, perciò, il Padre del Cielo di avere in noi lo stesso amore per Gesù che spinse Maria a cospargere i suoi piedi con «trecento grammi di profumo di puro nardo» annunziando, in tal modo, la preziosità della morte del suo e nostro Maestro (cfr. Vangelo: Giovanni 12,3). La Chiesa santa è quella casa ripiena dell’aroma del profumo che spande in essa l’amore del Signore Gesù nel suo consegnarsi alla morte per noi e per tutti. Un amore che chiede anzitutto a tutti noi, suoi discepoli, di condividere la sua sorte di “servo” totalmente disponibile ai superiori disegni salvifici del Padre. Al Padre buono del cielo che per la passione del suo Unigenito «fatto nostro fratello» rinnova il mondo intero, così ci rivolgiamo nell’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «Conserva in noi l’azione della tua misericordia perché celebrando questo mistero ti offriamo in ogni tempo la nostra vita».   

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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