1. La domenica del “mandato missionario”
L’annuale solenne memoria della Dedicazione del Duomo, dando l’avvio ad alcune settimane e domeniche a essa collegate, offre ogni anno a noi fedeli della Chiesa ambrosiana, la grazia di guardare al “grande mistero” che è la Chiesa di cui tutti siamo membra: da dove essa trae origine, qual è la sua natura e la sua missione.
Questa seconda domenica ci dà l’opportunità, nell’ascolto comunitario delle divine Scritture, di tornare su ciò che la Chiesa, per esplicito mandato del Signore risorto, deve essenzialmente fare.
I testi biblici proposti nel Lezionario sono: Lettura: Atti degli Apostoli 13,1-5a; Salmo 95; Epistola: Romani 15,15-20; Vangelo: Matteo 28,16-20. Nella Messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 21,1-14, quale Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XXX domenica del Tempo «per annum» nel Messale ambrosiano.
Oggi si celebra, in tutta la Chiesa, la Giornata missionaria.
2. Vangelo secondo Matteo 28,16-20
In quel tempo. 16Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che il Signore Gesù aveva loro indicato. 17Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. 18Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. 19Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, 20insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
3. Commento liturgico-pastorale
Il testo evangelico riporta le ultime parole del Signore risorto agli Undici prima del suo ritorno al Padre. Esse mantengono un valore perenne all’interno della Chiesa.
Il v 16 è destinato ad ambientare l’incontro del Risorto anzitutto a livello geografico: la “Galilea”, regione aperta ai popoli pagani; quindi a livello locale: un “monte” come luogo tipico della rivelazione; e, infine, i protagonisti: gli Undici, dei quali il v 17 registra l’atteggiamento pieno di fede in alcuni («si prostrarono») e, in altri, una certa esitazione a credere («Essi, però, dubitarono»).
Al centro della scena, comunque, c’è Gesù che si rivolge per l’ultima volta ai suoi dichiarando anzitutto di possedere, in seguito alla sua croce e risurrezione, il potere universale proprio di Dio (v 18). In base a tale potere egli conferisce un incarico espresso ai vv 19-20a con quattro verbi: “andate”, “fate discepoli”, “battezzate”, “insegnate”.
L’attività principale è senza dubbio quella di “fare discepoli”, per questo occorre “andare”; mentre il Battesimo nel nome della Trinità e l’“insegnamento” sottolineano il compimento del diventare “discepoli”. Al fine di garantire tale missione e il suo buon esito, Gesù assicura la sua permanente presenza tra i suoi, fino alla consumazione dei tempi (v 20b).
Proclamato nel peculiare momento liturgico qual è quello delle “Settimane dopo la Dedicazione” del Duomo, il brano evangelico rappresenta un forte richiamo al compito essenziale della Chiesa e di ogni singolo fedele: “la missione”. Questi deve realizzare il mandato del Signore risorto: «fate discepoli tutti i popoli» (v 19) incorporandoli nella Chiesa dov’è possibile ottenere la “salvezza” da lui procurata nella sua Pasqua.
La Lettura evidenzia come la comunità delle origini ha, da subito, tradotto il comando del Signore, deputando alla “missione” Barnaba e Saulo, ricolmati dalla potenza del suo Spirito, mediante l’imposizione delle mani (cfr. Atti degli Apostoli 13,3). Missione che essi concepiscono come “universale”, riguardante cioè sia i Giudei (v 5) sia quelli che l’apostolo Paolo ama chiamare “le genti” (Epistola: Romani 15,16-18) ovvero i popoli pagani presso i quali non era conosciuto «il nome di Cristo» (v 20).
Lo stesso «sacro ministero di annunciare il Vangelo di Dio» che ha come “sequestrato” l’intera esistenza dell’Apostolo deve oggi trovare in tutti noi una più piena e convinta disponibilità. Siamo tutti persuasi che l’umanità, oggi come ieri, come domani e «fino alla fine del mondo», ha bisogno del Vangelo di Gesù, ha bisogno di ascoltare le sue parole che invitano a mettersi alla sua scuola, a diventare cioè suoi discepoli.
Si imparano così le grandi cose preparate da Dio per noi e i cuori si aprono alla fede e soprattutto alla carità, nella quale è sintetizzato l’“insegnamento” del Signore che la Chiesa deve conservare e trasmettere intatto.
L’immersione battesimale «nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» vincola per sempre il discepolo all’amore bruciante di Dio e lo inserisce nel corpo vivo del Signore che è la Chiesa, per diventare così: «un’offerta gradita, santificata dallo Spirito Santo» (Romani 15,16).
Viene, a questo punto, spontaneo interrogarci sulla nostra disponibilità al “mandato” missionario del Signore, da vivere già all’interno delle nostre stesse comunità ecclesiali, nelle quali è necessario pervenire a una piena professione di fede e a un’osservanza puntuale di tutto ciò che il Signore ci ha comandato (cfr. Matteo 28,20).
Saranno proprio la riconosciuta fede battesimale e la condotta ispirata al comando del Signore a rendere fruttuoso l’impegno missionario verso “le genti” che oggi abitano i nostri paesi e le nostre città. Ciò che più conta, però, è avvertire la presenza viva del Signore nella sua Chiesa. Presenza che va percepita sommamente nella celebrazione eucaristica.
È ciò che domanda l’orazione Dopo la Comunione: «O Dio forte ed eterno, che ci hai radunato oggi nel nome di Gesù a celebrare le lodi della tua azione di salvezza, fa’ che possiamo sperimentare nella gioia dell’amore fraterno, secondo la sua promessa, la permanente presenza tra noi del nostro Signore e Maestro».
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