1. La quinta domenica “dopo Pentecoste”
La liturgia odierna propone Abramo come padre e modello di tutti coloro che, nella fede, accedono alla “salvezza” frutto della Pasqua. Il Lezionario prevede le seguenti lezioni bibliche: Lettura: Genesi 18,1-2a.16-33; Salmo 27; Epistola: Romani 4,16-25; Vangelo: Luca 13,23-29. Nella Messa vespertina del sabato viene proclamato: Giovanni 20,1-8, come Vangelo della Risurrezione. Le orazioni e i canti della Messa sono quelli della XIII Domenica del Tempo “per annum” nel Messale ambrosiano.
2. Vangelo secondo Luca 13,23-29
In quel tempo. 23Un tale chiese al Signore Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: 24«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. 25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. 26Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. 27Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 28Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. 29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».
3. Commento liturgico-pastorale
Al centro del brano evangelico, con la domanda rivolta a Gesù da un anonimo interlocutore: «Sono pochi quelli che si salvano?» (v 23), è posta la questione della “salvezza”. La risposta di Gesù non concerne il “numero” dei salvati ma rilancia con più forza il problema della “salvezza” qui indicata nella “casa” (v 25) la cui porta d’accesso, però, è angusta, è stretta (v 24). Di qui il pressante invito: “sforzatevi di entrare” ossia fate di tutto, pur di entrare nella “casa” e, dunque, avere accesso alla salvezza finale.
L’imperativo “sforzatevi” usato da Gesù va compreso come un richiamo a una pronta decisione nei suoi riguardi, quella di seguirlo come discepoli nella via della croce, del rinnegamento di sé, della conversione, della condotta irreprensibile, del compimento della volontà di Dio. Per questo, non c’è tempo! Il “padrone di casa” può da un momento all’altro chiudere la porta. Allusione questa alla parusia del Signore, alla sua venuta che segnerà l’ammissione e l’esclusione dalla “salvezza” (v 25).
Il v 26 mette in luce che non basterà vantare una certa familiarità con Gesù: «abbiamo mangiato e bevuto dinanzi a te, e hai insegnato nelle nostre piazze». A nulla gioverà l’aver “mangiato e bevuto” con Gesù se non ci si immedesimerà nella realtà di cui il “pasto” è figura, vale a dire la partecipazione al sacrificio del Signore inteso come “consegna” di sé al volere del Padre. Allo stesso modo a nulla gioverà l’aver ascoltato l’insegnamento di Gesù, essere stati alla sua scuola se essa non avrà operato una conversione di fondo nella concezione di vita e nella condotta pratica.
Anzi, sarà proprio l’“aver mangiato e bevuto con lui” e aver “ascoltato il suo insegnamento” senza una reale concreta adesione della mente, del cuore e della vita, la causa della condanna: «Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia» (v 27). Queste parole equivalgono alla definitiva esclusione della “salvezza” descritta con la nota immagine del banchetto, della mensa allestita nel “regno di Dio”.
A quella mensa sarà sorprendentemente ammessa, con i “giusti” della prima alleanza, una moltitudine di gente proveniente da ogni dove (v 29) e che, evidentemente, è stata pronta all’ascolto e alla conversione.
In questo tempo liturgico “dopo Pentecoste”, lo Spirito del Risorto ci fa ripercorrere, dal suo esordio, l’intera storia della salvezza, evidenziandone le tappe e le svolte fondamentali e decisive in vista del suo pieno compimento nella Pasqua di morte e risurrezione del Signore. Tra di esse occupa un posto essenziale la figura di Abramo il quale è stato costituito da Dio “padre di tutti i popoli” (Epistola: Romani 4,17), ovvero capostipite di tutti coloro che, fino alla consumazione dei tempi, e proveniente da Occidente e da Oriente ovvero da ogni popolo, da ogni condizione e situazione, apriranno il loro cuore a Dio, credendo in lui, aderendo in tutto alla sua divina Parola, vale a dire al suo Figlio Gesù.
Essi sono coloro che nell’”osservare la via del Signore” e nell’”agire con giustizia e diritto” (Lettura: Genesi 18,19) sono, di fatto, “figli” di Abramo, il quale crede di poterne trovare persino in Sodoma e Gomorra (v 23), emblema stesso dell’empietà e del peccato. Per Abramo e per i suoi “figli” l’osservanza della via del Signore traduce, in realtà e concretamente, la loro ferma fede in Dio senza mai vacillare. Fede che i credenti in Cristo ripongono in lui «consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Romani 4,25).
La fede, pertanto, è quello stretto unico passaggio, di cui abbiamo sentito nel Vangelo, per il quale si accede alla gioia del Regno e dunque alla salvezza. Abramo è a tutti modello nello “sforzo” richiesto ossia nel rimanere fermo nella sua adesione di fede nonostante le innumerevoli e gravi prove a cui dovette sottostare: egli davvero «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza» (Romani 4,18.) e per questo, pur non avendo “materialmente mangiato e bevuto” alla mensa di Gesù, né aver ascoltato i suoi insegnamenti, egli di fatto lo ascoltò e lo seguì nella via della fede e dell’obbedienza alla volontà di Dio. In tal modo divenne “operatore di giustizia” per la quale poté già entrare in quel Regno inaugurato nel mondo dalla venuta del Figlio di Dio e manifestato a tutti nella sua croce e nella sua risurrezione.
L’esempio di Abramo ci spinge a verificare con tutta sincerità la nostra attuale condizione in ordine alla “salvezza”. Nella celebrazione eucaristica possiamo dire di “mangiare e bere” alla presenza del Signore e di ascoltare il suo “insegnamento”. Ma perché tutto ciò giovi alla nostra “salvezza” è indispensabile essere già entrati “per la porta stretta”, essere cioè passati dall’incredulità alla fede concretamente vissuta nell’”osservare la via del Signore” e nel compiere le “opere di giustizia”: in una parola nel seguire Gesù sulla via dell’obbedienza al Padre e dell’amore per i fratelli.
Non sarà allora impossibile essere chiamati con «Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti» a partecipare alla “mensa nel regno di Dio”, realmente anticipata in quella eucaristica: «Mi hai preparato una mensa, o Dio d’amore, il mio calice trabocca di dolcezza» (Canto Allo spezzare del Pane). Per questo così preghiamo: «O Dio, che nutri e rinnovi i credenti alla mensa della parola e del pane di vita, per questi doni di Cristo Signore dà ai tuoi figli di crescere nella fede e di partecipare per sempre alla gioiosa esistenza del cielo» (orazione Dopo la Comunione).
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