28 aprile 2013 – V domenica di Pasqua

I testi biblici, oggi proclamati, orientano l’assemblea liturgica verso il compimento dei giorni pasquali nel mistero dell’Ascensione, preludio dell’invio, da parte del Signore risorto, dello Spirito Santo.

 

Il Lezionario

 

Riporta i seguenti brani biblici: Lettura: Atti degli Apostoli 4,32-37; Salmo 132 (133); Epistola: 1Corinzi 12,31-13,8a; Vangelo: Giovanni 13,31b-35. Il Vangelo della Risurrezione da proclamare nella Messa vigiliare è preso da: Matteo 28,8-10. (Le orazioni e i canti sono quelli propri della V domenica di Pasqua nel Messale Ambrosiano).

 

Lettura degli Atti degli Apostoli (4,32-37)

 

In quei giorni. 32La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 33Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.
36Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levita originario di Cipro, 37padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.

 

I versetti qui riportati concludono il capitolo che narra della testimonianza offerta da Pietro e Giovanni davanti al Sinedrio (4,1-31). Al v. 32 si parla della mirabile concreta comunione che unisce in unum la prima comunità cristiana di Gerusalemme. Ciò rende particolarmente efficace la predicazione degli apostoli e attira le simpatie e il favore della gente (v. 33). I vv. 34-35 esemplificano, nella condivisione dei beni materiali, la portata della comunione all’interno della comunità. È ciò che è spinto a fare anche un ebreo della diaspora, Barnaba, che avrà poi il grande merito di introdurre Paolo, una volta convertito, nella Chiesa (vv.36-37).

 

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (12,31-13,8a)

 

Fratelli, 31desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora vi mostro la via più sublime.

13,1Se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sarei come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita.

2 E se avessi il dono della profezia, se conoscessi tutti i misteri e avessi tutta la conoscenza, se possedessi tanta fede da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.

3E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per averne vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe.

4La carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, 5non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, 6non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. 7Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

8La carità non avrà mai fine.

 

Il brano, con il v.31, si collega a quanto l’Apostolo dice nel capitolo 12 a proposito dei carismi, che sono doni dello Spirito per l’edificazione della Chiesa. Per l’Apostolo esiste una «via più sublime» dei vari carismi ed è la carità, ovvero l’amore proprio di Dio che in Cristo ci è stato donato. Nei vv. 1-3 del capitolo 13 pone in raffronto i diversi carismi con la carità, evidenziando l’inutilità dei primi in mancanza di essa. Nei vv. 4-7, con una serie di negazioni e di affermazioni, descrive la natura della carità. Essa, a differenza dei carismi, che riguardano l’esistenza nel tempo, è destinata a non avere «mai fine» (v. 8a).

 

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (13,31b-35)

 

In quel tempo. 31bIl Signore Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 

Il brano è ambientato nel cenacolo dove Gesù consuma l’ultimo pasto con i suoi, lava i piedi degli apostoli e rivela, tra di essi, la presenza del traditore. In particolare i vv. 31b-32 riportano le parole di Gesù dopo l’uscita di Giuda dal cenacolo. Con l’affermazione iniziale Gesù  si riferisce alla sua morte, che è l’“ora” verso la quale converge tutta la sua esistenza terrena (v.31b). La sua ora segna la sua “glorificazione” da parte di Dio, perché Gesù ha accettato la morte come compimento del disegno salvifico del Padre. L’azione di Dio volta a glorificare il Figlio rivela la gloria stessa di Dio! Il v. 32 ribadisce che Dio glorificherà «subito» il Figlio ovvero nell’ora della sua morte oramai imminente. I vv. 33-35 introducono, nel discorso di addio, il tema della partenza di Gesù che egli rivolge ai suoi, identificati con il termine familiare «figlioli». Essi, al pari dei giudei, non sono ancora in grado di raggiungerlo nella sfera divina nella quale va dopo la sua morte. E questo a causa della persistente incredulità (v. 33). Segue ai vv. 34-35 la rivelazione del comandamento nuovo e la precisazione della natura di tale amore. Il comandamento dell’amore vicendevole tra i discepoli è nuovo in quanto nel loro amore, si manifesta, in realtà, l’amore con il quale Gesù li ha amati e dona ad essi la grazia di amare (v. 34). Tale amore ha come risultato il fatto della riconoscibilità di essi come discepoli di Gesù (v. 35).

 

Commento liturgico-pastorale

 

I passi biblici proclamati in questa domenica ci aiutano a penetrare più a fondo nella comprensione del mistero della Pasqua del Signore che culmina con il suo ritorno al Padre e con l’invio dello Spirito Paraclito, il Consolatore, che subentra, al suo posto, tra i suoi. Anche la preghiera liturgica sottolinea che «in questo tempo santo» la Chiesa è consacrata  «a contemplare e a rivivere gli eventi salvifici della pasqua di Cristo» (Prefazio).

Il brano evangelico, in particolare, ci trasporta nel cenacolo dove Gesù stesso, nel guardare in faccia la sua morte, oramai imminente, la chiama glorificazione! In essa, infatti, lui, quale Figlio obbediente, “glorifica” il Padre, ossia manifesta il disegno salvifico in essa racchiuso. A sua volta, il Padre, “glorifica” il Figlio facendolo penetrare nell’intimità della comunione divina alla quale potranno accedere anche coloro che avranno creduto in lui.

Da ciò impariamo anche noi a dare “gloria” al Padre del Cielo compiendo in noi, al pari del suo Figlio, la sua volontà. Il Padre non mancherà di donarci, così come ha fatto con il suo Figlio, l’esperienza sublime della comunione con lui che, essenzialmente, è esperienza di amore. Quello che Gesù ha reso visibile, e a tutti concretamente riconoscibile nella sua Pasqua e, segnatamente, nella sua “ora”, ossia nella sua Croce!

Si comprende, perciò, come il Signore, nel momento di prendere congedo dai suoi, consegna ad essi il suo comandamento, che egli dice «nuovo» in quanto consiste nell’amare di quell’amore con il quale sono stati amati da lui. Un simile amore, è evidente, non ci è connaturato, né si persegue mediante i nostri sforzi, ma procede dall’amore con il quale Gesù ci ha amati e che ci rende capaci di manifestare nell’amore reciproco verso i fratelli.

Del resto egli, nel sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato, ci trasmette intatto e di continuo il suo amore, spinto fino al dono supremo di sé, e ci abilita a far sprigionare da noi, che «partecipiamo del suo Corpo e del suo Sangue», lo stesso suo amore!

È la solenne consegna del Signore che sta per avviarsi alla Croce, ai suoi discepoli. Essi l’hanno accolta, messa in pratica e trasmessa come eredità preziosa alle future generazioni di credenti fino ad oggi. È la consegna che la Chiesa oggi è chiamata a vivere in faccia a questo nostro mondo: rendere visibile il suo amore per tutti! Si pensi, a tale riguardo, al ruolo che l’apostolo Paolo assegna alla carità nella vita e nell’attività delle comunità cristiane delle origini e, dunque, della Chiesa di tutti i tempi. Essa dovrà sempre desiderare «i carismi più grandi» (Epistola: 1Corinzi 12,31), vale a dire quei doni spirituali capaci di farla crescere, di sostenere la sua vita e di rendere efficace la sua attività missionaria. Tali carismi, di per sé provvisori, sono tutti compresi nel dono della carità la quale, invece, «non avrà mai fine» (13,8).

L’amore vicendevole, quello stesso del Signore, che i credenti si donano reciprocamente,  mentre li identifica nel tempo come discepoli di Gesù, rappresenta la forma più alta ed efficace di evangelizzazione. Tutto ciò è stato ben compreso fin dalle origini della comunità cristiana come ci testimonia la Lettura: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (Atti degli Apostoli 4,32). Ciò permetteva agli apostoli di dare concreta «testimonianza alla risurrezione del Signore Gesù» (v. 33) e alla comunità di godere di autentico prestigio tra la gente.

Mentre nell’assemblea liturgica partecipiamo al sacramento della carità di Cristo, facciamo risuonare in noi ciò che abbiamo ripetuto più volte nel Salmo Responsoriale: «Dove la carità è vera, abita il Signore». Stiano, inoltre, fisse nei nostri cuori le parole dell’apostolo intenzionato a mostrarci «la via più sublime» che è la carità, ovvero l’amore del Signore riversato in tutti noi nel suo celeste sacramento e che, per sua grazia, deve da noi traboccare sui nostri fratelli di fede e sugli uomini del nostro tempo.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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