3 giugno 2012 – Santissima Trinità


Tiene il posto della prima domenica “dopo Pentecoste”, il tempo liturgico che ha preso avvio il lunedì successivo alla solennità e che si concluderà il sabato che precede la I domenica di Avvento.


Il Lezionario

Propone i seguenti brani biblici reperibili nel III Libro del Lezionario ambrosiano, “Mistero della Pentecoste”: Lettura: Esodo 33,18-23; 34,5-7a; Salmo 62 (63); Epistola: Romani 8,1-9b; Vangelo: Giovanni 15,24-27. Nella Messa vespertina del sabato si proclama Marco 16,9-16 come Vangelo della Risurrezione.


Lettura del libro dell’Esodo (33,18-23; 34,5-7a)
 
In quei giorni. Mosè disse al Signore: 18«Mostrami la tua gloria!». 19Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia». 20Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». 21Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: 22quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. 23Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere». 5Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. 6Il Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, 7che conserva il suo amore per mille generazioni».

Il brano è preso dal contesto particolare della preghiera che Mosè eleva a Dio a favore del popolo dopo il peccato di idolatria commesso con l’adorazione del vitello d’oro (Esodo, 32-33,1ss). Mosè chiede a Dio l’indicibile e l’impossibile: «Mostrami la tua gloria» (v. 18). I vv. 19-23 riferiscono le istruzioni impartite a Mosè perché possa assistere indenne al passaggio della gloria di Dio il cui volto, comunque, «non si può vedere». Segue ai vv. 1-4 del cap. 34 la preparazione da parte di Mosè di due tavole di pietra, uguali a quelle ricevute in precedenza e spezzate sul vitello d’oro e sulle quali Dio si impegna a scrivere di nuovo le “parole”, ossia i dieci comandamenti. I vv. 5-7a descrivono la manifestazione di Dio a Mosè con la proclamazione dei suoi attributi tra i quali primeggiano la misericordia, la fedeltà e il perdono.


Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (8,1-9b)

Fratelli, 1non c’è nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. 2Perché la legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. 3Infatti ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, 4perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito. 5Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. 6Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. 7Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. 8Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. 9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi.

Nella prima parte, vv. 1-4, l’Apostolo sviluppa il tema della liberazione del credente dalla schiavitù della Legge, sostituita dalla legge dello Spirito che ci fa vivere non più secondo la carne, ma secondo lo Spirito, grazie alla rimozione del peccato che Gesù ha compiuto nella sua morte sulla Croce. I vv. 5-9a riportano perciò la reiterata esortazione a “vivere secondo lo Spirito” e non “secondo la carne” riconsegnandosi, così, sotto la schiavitù del peccato.


Lettura del Vangelo secondo Giovanni (15,24-27)

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «24Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai compiuto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. 25Ma questo, perché si compisse la parola che sta scritta nella loro Legge: “Mi hanno odiato senza ragione”. 26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio».

Il brano evangelico ci trasporta nel contesto dei discorsi tenuti da Gesù nell’ultima cena con i suoi discepoli. Con questi discorsi Gesù, tra l’altro, li prepara ad affrontare l’incredulità e l’odio al quale essi andranno incontro come è capitato a lui nonostante le opere compiute, vale a dire i chiari segni che egli ha dato del suo essere inviato da Dio, anzi, di essere il Figlio di Dio (vv. 24-25). Con il suo ritorno al Padre sarà lo Spirito a dare testimonianza a Gesù, abilitando i discepoli che sono stati con lui «fin dal principio» a offrire una testimonianza certa e autorevole su Gesù stesso (vv 26-27).


Commento liturgico-pastorale

La presente solennità ci riporta ancora una volta nel cuore della rivelazione di Dio e dell’inaccessibile mistero del suo Volto offerto al mondo dal suo Verbo invisibile venuto tra noi come uomo, come uno di noi, Cristo Gesù, il Crocifisso, Risorto, costituito “Signore”. Egli, una volta ritornato a Dio, dal quale era venuto, ha dato alla comunità dei credenti lo Spirito Santo che gli rende testimonianza (Vangelo: Giovanni 15,26).

Lo Spirito Santo apre infatti l’intelligenza e il cuore dei discepoli alla comprensione del mistero del Figlio, della sua parola di rivelatore unico di Dio e delle sue opere che attestano la sua origine da Dio, da lui chiamato Padre! Di questa intelligenza abbiamo bisogno perché l’uomo che vive «secondo la carne» (Epistola: Romani 8,5), basandosi cioè su di sé, non è in grado di comprendere e, dunque, di aderire con fede a quanto gli viene rivelato di Dio e del suo mistero.

Perciò, illuminati dallo Spirito che ci è stato donato, confessiamo integralmente la nostra fede che così si esprime nel cuore della celebrazione eucaristica: «Tu (Dio Padre) con il tuo unico Figlio e con lo Spirito Santo sei un solo Dio e un solo Signore, non nell’unità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Quanto hai rivelato della tua gloria, noi lo crediamo e, con la stessa fede, senza differenze lo affermiamo del tuo unico Figlio e dello Spirito Santo.

Nel proclamare te Dio vero ed eterno noi adoriamo la Trinità delle Persone, l’unità della natura, l’uguaglianza nella maestà divina» (Prefazio). Lo stesso Spirito che ci illumina con l’intelligenza della fede, apre i nostri cuori all’indicibile: il Dio tre volte santo, invisibile, inaccessibile, il cui volto nessuno può vedere (Cfr. Lettura: Esodo 34,5), impenetrabile nel mistero della sua vita divina e che «gli angeli e gli arcangeli non cessano di esaltare», è il Dio «misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni» (Esodo 34,6-7).

Il Dio che nel suo unico Figlio e nella grazia del suo Santo Spirito non solo ci libera dal potere del male, ma ci chiama a partecipare alla sua stessa Vita, rendendo continuamente tutto ciò alla nostra portata nella celebrazione della Morte e della Risurrezione del suo Unico Figlio, manifestazione suprema di lui «che è amore». In tutta verità, perciò, diciamo: «Sia lode al Padre che regna nei cieli e al Figlio che è sovrano con lui; cantino gloria allo Spirito Santo tutte le creature beate» (Canto Dopo il Vangelo).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO AMBROSIANO, curata da don Alberto Fusi.

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