3 Marzo 2013 – Domenica di Abramo – Anno C

3 Marzo 2013 – Domenica di Abramo – Anno C

 

È la terza domenica di Quaresima, caratterizzata dalla figura di Abramo, considerato padre di tutti coloro che aprono il loro cuore alla fede e, perciò, modello per quanti intendono percorrere il cammino di fede sulle orme del Signore Gesù.

Il Lezionario

Prescrive: Lettura: Deuteronomio 6,4a;18,9-22; Salmo 105 (106); Epistola: Romani 3,21-26; Vangelo: Giovanni 8,31-59. La Lettura vigiliare della Messa vespertina del sabato è presa da Luca 9,28b-36. (Le orazioni e i canti della Messa sono quelli propri della III domenica di Quaresima nel Messale Ambrosiano).

Lettura del libro del Deuteronomio (6,4a; 18,9-22)

In quei giorni. Mosè disse: «6,4aAscolta, Israele: 18,9Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti, non imparerai a commettere gli abomini di quelle nazioni. 10Non si trovi in mezzo a te chi fa passare per il fuoco il suo figlio o la sua figlia, né chi esercita la divinazione o il sortilegio o il presagio o la magia, 11né chi faccia incantesimi, né chi consulti i negromanti o gli indovini, né chi interroghi i morti, 12perché chiunque fa queste cose è in abominio al Signore. A causa di questi abomini, il Signore, tuo Dio, sta per scacciare quelle nazioni davanti a te. 13Tu sarai irreprensibile verso il Signore, tuo Dio, 14perché le nazioni, di cui tu vai ad occupare il paese, ascoltano gli indovini e gli incantatori, ma quanto a te, non così ti ha permesso il Signore, tuo Dio.
15Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. 16Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. 17Il Signore mi rispose: “Quello che hanno detto, va bene. 18Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò. 19Se qualcuno non ascolterà le parole che egli dirà in mio nome, io gliene domanderò conto. 20Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire”. 21Forse potresti dire nel tuo cuore: “Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detto?”. 22Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l’ha detta il Signore. Il profeta l’ha detta per presunzione. Non devi aver paura di lui».

Il brano fa parte del secondo lungo discorso di Mosè in vista dell’ingresso del popolo nella terra promessa (Deuteronomio 4,44-28,68). Qui, in particolare, il popolo viene esortato a «evitare gli abomini» delle nazioni, ovvero le pratiche idolatriche e di divinazione che hanno attirato la punizione divina su di esse (vv. 9-14). Il v. 15 contiene la promessa, ripetuta al v. 18, di un profeta pari a Mosè, in base alla quale Israele aspettava il Messia come il profeta per eccellenza. Promessa che, nell’interpretazione neotestamentaria, si considera attuata nella persona di Gesù Cristo (cfr. Atti degli Apostoli 3,22-26). A quel profeta tutti devono dare ascolto. I vv. 20-22 si riferiscono ai falsi profeti, a quanti cioè presumono di parlare a nome di Dio e offrono opportuni criteri per mascherarli.

Lettera di san Paolo apostolo ai Romani (3,21-26)

Fratelli, 21ora, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla Legge e dai Profeti: 22giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, 23perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, 24ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù.25 È lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue, a manifestazione della sua giustizia per la remissione dei peccati passati 26mediante la clemenza di Dio, al fine di manifestare la sua giustizia nel tempo presente, così da risultare lui giusto e rendere giusto colui che si basa sulla fede in Gesù. 

Il brano è preso dalla parte dottrinale della lettera e in particolare da quella in cui, dopo aver dimostrato l’incapacità della Legge di rendere gli uomini “giusti”, si afferma che tale “giustificazione” è opera della grazia di Dio in Cristo. I vv. 23-24 presentano anzitutto la situazione comune a tutti gli uomini, sia Giudei che pagani, quella di peccatori privi perciò della gloria di Dio, ovvero dell’intima presenza divina in essi. Da questa situazione sono «giustificati gratuitamente» in quanto Gesù li ha redenti, ossia li ha riscattati e liberati dal dominio del peccato. I vv. 25-26, infine, tornano sull’opera salvifica in Cristo, stabilito da Dio «come strumento di espiazione» in quanto egli, nel suo sangue, ha compiuto realmente la purificazione dal peccato. E ciò «nel tempo presente», quello cioè stabilito da Dio per l’opera redentrice di Cristo, il quale giustifica ossia dona la sua giustizia salvifica a quanti credono in lui.

Lettura del Vangelo secondo Giovanni (8,31-59)

In quel tempo. Il Signore 31Gesù disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora:  «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio».

48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?». 49Rispose Gesù: «Io non sono un indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei un indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno;  lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

La seconda parte del capitolo 8, da cui è preso il brano evangelico odierno, è contrassegnata dal riferimento ad Abramo come padre di Israele. Qui viene riportato l’insegnamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme e destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione dei farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di molti che lo seguivano e lo ascoltavano. Il brano appare diviso in due sezioni: i vv. 31-45 riguardano la necessità di credere, mentre i vv. 46-59 insistono sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole di Gesù «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione libertà/schiavitù del peccato. La libertà è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù. I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano figli non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede  propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi figli di Dio rifiutando di credere in colui che è uscito da Dio ed è stato da lui inviato, ma, con tale rifiuto, dimostrano di essere figli del diavolo (vv. 41-45). Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù “dice la verità”, in quanto, con la sua Parola, offre  l’autentica e piena rivelazione di Dio al contrario dei suoi interlocutori che rifiutandola preferiscono seguire la menzogna.

Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di poter sfuggire alla morte da intendere come “eterna”, ovvero come dannazione. Modello di un simile ascolto obbediente è proprio Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).

Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che il Signore pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, in lui è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione anelava Abramo il quale, a motivo della sua fede, poté vedere e gioire del Figlio rivelatore di Dio Padre! Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei Giudei che, chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo “nascondersi” ai loro occhi e la sua uscita dal Tempio.

Commento liturgico-pastorale

Nel graduale percorso quaresimale proposto a coloro che domandano il Battesimo e ai fedeli che, attraverso quel percorso, intendono riattivare la grazia propria di quel sacramento, il brano evangelico, costruito intorno alla figura di Abramo, il credente per eccellenza, intende evidenziare come la fede in Cristo, Figlio di Dio, sia  da considerare l’opera essenziale per quanti nel Battesimo diventeranno “figli” ed entreranno a far parte di quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca Abramo come sua discendenza» (Prefazio I). Stando al testo evangelico, credere in Cristo significa credere che egli è il portatore della verità, ossia della rivelazione piena e definitiva di Dio che, se accolta, è in grado di liberare quanti sono schiavi del peccato (cfr. Vangelo: Giovanni 8,32). Si tratta di una schiavitù che paralizza il cuore umano e lo rende incapace di credere e, dunque, di giungere a essere libero e pronto per le cose grandi che Dio ha in serbo per lui. Credere in Cristo significa, inoltre, credere che in lui si adempie l’antica promessa di Dio a Israele: «Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Lettura: Deuteronomio 18.18). Gesù, però, non è semplicemente il profeta pari a Mosè (cfr. v.15), bensì il Messia, il Figlio stesso di Dio, la sua Parola vivente, dopo del quale l’umanità non dovrà aspettare un altro rivelatore. A lui, perciò, tutti sono invitati a prestare ascolto perché portatore, nella sua persona, della Parola che Dio vuole comunicare al mondo e sulla cui bocca è posta la «verità intera», ossia la rivelazione del disegno di salvezza che Dio intende attuare proprio attraverso  di lui. Di tale disegno parla l’Apostolo come di una manifestazione della “giustizia” di Dio, che ha deciso di rendere “giusti” quanti, Giudei e Greci, sono ugualmente peccatori e, quindi, «privi della sua gloria», vale a dire della sua presenza vivificante (cfr. Epistola: Romani 3,21-23). L’Apostolo si riferisce qui alla condizione di lontananza e di estraneità a Dio in cui si trova l’umanità a causa del peccato. Una condizione che rende impossibile sia ai Giudei, fieri possessori della Legge, sia ai Greci, altrettanto fieri della loro sapienza filosofica, di farsi trovare da sé stessi giusti agli occhi di Dio, in una parola di sfuggire alla rovina eterna e di accedere alla salvezza. La «verità udita da Dio» (Giovanni 8,40), portata nel mondo dal suo Figlio al quale occorre prestare l’assenso della fede, ci dice che egli è in grado di liberare quanti credono dalla schiavitù del peccato (cfr. v. 36) e di restituirli a un rapporto vitale con Dio. Liberazione che l’Apostolo descrive come redenzione, riscatto dal potere del peccato, espiazione, ovvero purificazione e remissione dei peccati mediante il suo sangue quello, ovviamente, della sua Croce. In essa si è «manifestata la giustizia di Dio» che, nel suo Figlio, l’unico giusto, ha deciso di rendere giusti tutti coloro che aderisco con fede a lui (cfr. Romani 3,24-26).

Accogliamo, perciò, senza indugio l’esortazione evangelica: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli» (Giovanni 8,31), “dimorando” costantemente con tutta la nostra mente e il nostro cuore in Cristo rivelatore ultimo e attuatore dei grandi disegni salvifici di Dio. Impareremo, in tal modo, a compiere giorno dopo giorno l’«opera di Abramo» crescendo nella fede in Gesù, e amandolo come Figlio «uscito da Dio» e da lui mandato nel mondo per salvare il mondo. La  fede, pertanto, è il dono a cui anelano quanti si preparano, nelle prossime feste pasquali, a essere rigenerati  alla grazia di figli di Dio. La fede è il dono e la responsabilità di tutti noi già battezzati e che l’osservanza quaresimale vuole rendere più vivida e riconoscibile nella nostra vita improntata all’ascolto obbediente della Parola di Dio e “giustificata” davanti ai suoi occhi per mezzo del sangue del suo Figlio.

La celebrazione eucaristica è il luogo privilegiato per accrescere ed esprimere compiutamente la fede, per renderla sempre più ferma e operosa, ed è il luogo dove, a contatto con il Corpo e il Sangue del Signore, veniamo di continuo da peccatori resi giusti dal suo amore, che si manifesta come dono di sé, della sua stessa vita, significato nel sangue prezioso della sua Croce.

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