21
mag

Spark, contro la depressione giovanile

I personaggi di Sparx
I personaggi di Sparx

I videogiochi fanno bene alla salute? Secondo me – già ne abbiamo parlato – la domanda è troppo generica per darle una risposta univoca. Ci sono esempi negativi e positivi, e di solito dipendono da molti fattori diretti e indiretti, fra cui certo essenziale è la scelta del gioco, il rapporto fra questo e chi gioca, il tempo e il modo del gioco.

Tra gli esempi positivi figura un serio progetto dell’Università di Auckland in Nuova Zelanda, nel contesto del quale un gruppo di studiosi ha elaborato un videogioco per pc con finalità terapeutiche, rivolto a ragazzi che soffrono di depressione. Il gioco si chiama Sparx e ne potete leggere i dettagli in http://sparx.org.nz/.

È un gioco fantasy, in 3D, consistente in una serie di sfide-“imprese” che bisogna superare per imparare a controllare le proprie emozioni, impersonate dai nemici Gnat (che sta per Gloomy Negative Automatic Thoughts, cioè Pensieri impulsivi negativi e tristi). Sono sette livelli di gioco da superare in alcune settimane: “trovare la speranza”, “essere attivi”, “dominare le emozioni” e così via.  Qui sotto il video che hanno pubblicato su YouTube:

Sul sito si apprende che i creatori di Sparx contano di ultimare una versione definitiva entro l’anno. Tuttavia il videogioco ha già vinto un premio significativo nella categoria Salute e ambiente.

E, soprattutto, lo studio pilota che ha applicato queste impostazioni, ha raggiunto risultati spettacolosi: sulla rivista scientifica British Medical Journal è stato pubblicato un articolo che riporta percentuali di successo con 187 ragazzi fra i 12 e i 19 anni affetti da depressione moderata: ben il 44% contro il 26% abituale in terapie tradizionali, come dire che questa metodica potrebbe risultare addirittura più utile della sola terapia individuale con un medico.

Pubblicato il 21 maggio 2012 - Commenti (0)
14
mag

Euro 2012, un evento giocabile

Un'inquadratura dal videogioco dedicato ai prosimi Europei di calcio
Un'inquadratura dal videogioco dedicato ai prosimi Europei di calcio

La nostra è una civiltà di eventi. Conta quasi più che le cose accadono, rispetto alla consistenza di quello che accade. Anche l’arte contemporanea apprezza molto la dimensione dell’evento: i critici definiscono performance artistica questo accadere di qualcosa che poi svanirà, ma che è bello mentre e finché dura.

Naturalmente la dimensione degli eventi, grandi e piccini – pensate per esempio all’Expo 2015, evento degli eventi per la Milano di oggi –, comporta una cornice di comunicazioni, informazioni, attese, chiacchiere, rumori. Che coinvolgono persone e servono a coinvolgerne altre.

Un evento significativo imminente sono gli Europei di calcio programmati in Polonia e Ucraina a partire dall’8 giugno. Un appuntamento quadriennale che si alterna con i Mondiali e che periodicamente calamita l’attenzione degli appassionati. Poi viene il gran giorno, la manifestazione si svolge, si conclude e passa in archivio, come sempre e come tutti gli eventi. Considerazione banale, perché così è la vita, ma anche significativa se pensiamo che qui stanno le radici del tifo: ci sarà sempre una prossima occasione per rivalersi, e sarà sempre la più importante.

Ecco il trailer:

Una virtuale Italia-Danimarca
Una virtuale Italia-Danimarca

Un piccolo evento nell’evento degli Europei di calcio è l’omonima edizione del celebre videogioco di Electronic Arts, appena uscita sotto forma di “espansione digitale”. Non grandi novità nel sistema di gioco, ma grande impatto, invece, per la possibilità di ricreare e vivere in proprio l’“evento Europei”, tante volte quante si vuole. In una nazione dove siamo tutti commissari tecnici, anche la libertà di scegliere e variare formazioni e tattiche fa parte del gioco, magari sfidando altri in internet. Euro 2012 Poland-Ukraine, un evento a disposizione di chi già possiede Fifa 12.

Pubblicato il 14 maggio 2012 - Commenti (0)
03
mag

I mostri zozzi dei bambini

Uno dei molti "schiaccia insetti" disponibili per smartphone e tablet
Uno dei molti "schiaccia insetti" disponibili per smartphone e tablet

Mio nipote ha sei anni. Ha una sorella di cinque e una di tre. Giorni fa sono stato loro ospite nella città in cui vivono. E, come prevedevo, il mio iPad è diventato loro per i giorni che ero là. Già sapevano che cos’è: a casa loro ce n’è uno. Ma sanno che il mio è più attraente perché è pieno di giochi scaricati nel tempo: in fondo sono “lo zio dei videogiochi”.

Nicolò – così si chiama mio nipote – è abbastanza grande da affidargli l’iPad, con le sorelline che fanno da spettatrici e occasionalmente da collaboratrici (un dito         qua, un dito là). Quali giochi hanno dominato la classifica dopo due giorni di uso intensivo (moderato, sì, da papà, mamma e zio, ma qualche concessione bisognava pur fare alla straordinarietà dell’occasione)?

Al terzo posto un gioco in cui bisogna schiacciare con le dita degli insetti (innocenti coccinelle, ma anche scarabei, forbicine ecc.) prima che raggiungano il lato opposto dello schermo. Al secondo posto una “sala torture” in cui si può lapidare un malcapitato personaggio con pomodori, uova, puntine da disegno, matite e su su fino al revolver. Al primo posto gli immancabili, immarcescibili zombie, vagolanti e minacciosi, da far fuori uno dopo l’altro.

(Qui sotto, un video straordinario scovato su YouTube in cui un'uguana domestica mostra le sue abilità ludiche).

Perché ai bambini piace questo genere di giochi? Non saprei. Probabilmente ha a che vedere con il gusto per le “cose zozze” (in senso letterale: cacca e altre sostanze e parole ripugnanti), che è il loro modo infantile di trasgredire. Ma non voglio fare psicologismi. Piuttosto, mi sono reso conto che in questo giocare e rigiocare la violenza non è la componente principale. Semmai è un mezzo macroscopico, ridicolo, caricaturale per esorcizzare un orrore anch’esso esagerato e plateale. L’orrore dei bambini, quello dei mostri notturni e delle ombre che si muovono. Poi, è vero, i bambini sono sinceri e immediati anche nella crudeltà...

(Qui sotto, in una recensione di iPaddisti.it, uno dei molti giochi-zombie disponibili, tra i meno "orribili").

Voi cosa fate per educare i vostri piccini a una vita in cui l'orrido non domini ma non sia nemmeno "dietro l'angolo"?

Pubblicato il 03 maggio 2012 - Commenti (0)
21
gen

Beyblade, la trottola diventa sport

Eccola: la trottola in fase di lancio
Eccola: la trottola in fase di lancio

Dev’esserci qualcosa  di affascinante nel vorticare della trottola, se un gioco così semplice affonda le sue origini addirittura nell’epoca dei Greci e dei Romani. Un semplice cono di legno, ma così suggestivo che Cicerone lo consigliava ai giovani come alternativa più seria e salutare rispetto ai dadi.

Questo è il fumetto (manga) da cui tutto è nato. Poi come spesso accade è venuto il cartone animato (anime), un successo mondiale.
Questo è il fumetto (manga) da cui tutto è nato. Poi come spesso accade è venuto il cartone animato (anime), un successo mondiale.

Con antenati così illustri stupisce un po’ meno che sia proprio una trottola il giocattolo più venduto in assoluto l’anno passato, con tre milioni di esemplari. Si chiama Beyblade e in effetti è un’intera galleria di trottole, concepite per sfidarsi l’una con l’altra dentro speciali arene in miniatura. Come spesso succede con i giochi più semplici, le trottole che si affrontano rinviano a universi di fantasia molto più complessi: Bayblade infatti nasce come un manga in Giappone nel 1999 giunge come anime in Italia nel 2003, con ottimo successo. Che è andato accrescendosi negli anni, fino a conquistare infiniti affezionati nella fascia dai 4 ai 14 anni e oltre: non sono pochi i papà iscritti ai tornei accanto ai figli.

Le trottole Beyblade sono oggetti montabili con una quantità di accessori concepiti per farle girare più a lungo o per far cadere l’avversaria, che sono i due modi in cui si può vincere una sfida (qui sotto nel video una esibizione-fiera negli Stati Uniti). Sorprendentemente, la passione si è diffusa al punto da ottenere presso il Coni addirittura il riconoscimento in quanto disciplina sportiva: in queste settimane di gennaio sono cominciati in tutta la penisola tornei regionali organizzati dall’Associazione sportiva dilettantistica BeyBlade Italia (informazioni su www.beybladeitalia.it). Sfoceranno, a partire dal 25 febbraio, in un campionato nazionale. Il blader italiano vincente partirà per Toronto, dove lo aspetta la partecipazione ai mondiali di categoria.

Pubblicato il 21 gennaio 2012 - Commenti (0)
04
gen

Non abbandoniamoli al gioco

Le foto sono riferite al Fiuggi Family Festival.
Le foto sono riferite al Fiuggi Family Festival.

Buon anno. Un anno che comincia denso di incognite ma con una certezza: la famiglia è più che mai il rifugio che può proteggere ed educare in un mondo in cui qualsiasi sicurezza sociale ed economica sembra esposto a una crisi di sistema che è anche crisi di valori.

 

     In questo contesto tornare a parlare di giochi è tutt’altro che banale, posto che nel gioco si concentra una parte non piccola dell’impegno familiare dove tutti i membri “mettono in gioco”, appunto, sé stessi, il loro desiderio sincero di conoscersi meglio e – pur con le ovvie e importanti differenze di età, di maturità e di ruolo – procedere insieme.

Non mi sembra inutile da questo punto di vista insistere sul fatto che è invece negativo disinteressarsi del gioco dei figli. Specie se si tratta di giochi interattivi e digitali, che a fronte di una grande semplicità di approccio e di un’altrettanto notevole capacità di coinvolgere, investono bambini e ragazzi con una enorme forza d’impatto emozionale, razionale ed etico. Davvero non c’è niente di banale nei videogiochi.

     Interessarsene, per genitori e nonni, non può d’altra parte significare – di fatto sarebbe impossibile farlo sempre o anche spesso – che l’adulto s’immerga nel gioco quanto il giovane, o che ne sorvegli ogni mossa. Sarebbe anche controproducente. A mio parere conviene comportarsi come si fa – o sarebbe opportuno fare – con qualsiasi libro o film che entri in casa: sapere che c’è, di che parla, con quale tono.

    Più in generale, credo che sia essenziale mostrare interesse al di là dell’incompetenza che quasi tutti gli adulti possiedono nei confronti di questo mondo. Il messaggio è: non sei solo, m’importa quello che fai, lo ritengo interessante e positivo, perciò non sentirti solo. Invece è molto negativo far passare messaggi del tipo “basta che stai tranquillo e non rompi le scatole puoi fare quello che vuoi”.

     È questo l’abbandono pericoloso, quello che induce insicurezza e che trasforma il gioco in fuga ed evasione: ovvero nella forma più dolente ed autolesionistica di ribellione familiare, quella silenziosa e solitaria.

Pubblicato il 04 gennaio 2012 - Commenti (0)
27
apr

Videogiochi, non sono un parcheggio per bebè

Rayman è uno dei personaggi più popolari delle avventure per bambini, un concorrente di SuperMario. È appena uscito “Rayman 3d” per il nuovo Ds Nintendo.
Rayman è uno dei personaggi più popolari delle avventure per bambini, un concorrente di SuperMario. È appena uscito “Rayman 3d” per il nuovo Ds Nintendo.

L’associazione italiana editori software videoludico (Aesvi) ha presentato il suo rapporto annuale sullo stato di questo settore dell’industria. Che in Italia fattura ormai da un lustro oltre un miliardo di euro, con una lieve flessione negli ultimi due anni da imputare – più che alla crisi – in parte alla pirateria che ha fatto soffrire giochi come quelli per Nintendo Ds, e in parte alle molte altre “finestre” che si sono aperte senza che però il rapporto (curato da GFK) ne tenesse conto: dai mondi online (le schede per collegarsi a “War of Warcraft” sono abitualmente al primo posto nelle classifiche) a quelle nuove console per giocare che sono i due cugini Apple, iPod e iPad.

Due considerazioni. Anzitutto la ribadita certezza che tutto possiamo fare tranne che sottovalutare i videogiochi. In due casi su tre ne abbiamo qualcuno in famiglia, nel terzo i figli li conoscono e ci giocano da amici. Serve avere idee chiare e farsene aiutare nella vita familiare e nell’educazione. Sarà utile che famiglia e scuola ne accettino l’esistenza e li tengano in giusta considerazione: solo così esisterà un pubblico maturo, capace di apprezzare ciò che va bene o di respingere ciò che non va bene, orientando il mercato e quindi la produzione.

In secondo luogo, i videogiochi dimostrano che la faccenda degli “immigrati digitali” e del “divario digitale” con i bambini è una panzana, o quantomeno una semplificazione. Guardate la qualità di questo “poliziesco” che sta per arrivare (a fine mese, ne riparleremo) e capirete perché giocare può non essere un capriccio infantile:



I numeri dicono che ooggi gli adulti “videogiocano” più dei bambini: spesso sono loro, bambini trent’anni fa, a istruire i figlioletti nella frequentazione di questo mondo.

Papà e mamme, diamoci da fare per stare accanto ai figli quando giocano: il vero nemico sono i videogiochi usati da area di parcheggio. Esattamente come la Tv.

Pubblicato il 27 aprile 2011 - Commenti (1)
24
gen

L’ansia dei figli e quella dei padri

Ragazzi all’opera nel Laboratorio videogiochi del Fiuggi Family Festival 2010.
Ragazzi all’opera nel Laboratorio videogiochi del Fiuggi Family Festival 2010.

Due notizie significative sono apparse nei giorni scorsi sui giornali. Da un lato una ricerca mostrava quanto sia vero che le ultime generazioni sono diverse dalle precedenti rispetto all’apprendimento e alla percezione del mondo: imparano a maneggiare un mouse e un telecomando ben prima di saper parlare, leggere o andare in bici. Dall’altro lato, ricercatori ci informano che, a quanto pare, la dipendenza da videogiochi in età infantile può frequentemente generare ansia e depressione.

Sono dati su cui riflettere. Senza, tuttavia, indurci ad accettare per comprovate alcune conclusioni che, in assenza di prove più ampie e circostanziate, assomigliano piuttosto a pregiudizi. Un bambino o una bambina crescono entro la cornice del mondo reale: una cornice che oggi è piena zeppa dei manufatti, delle tecnologie e dei linguaggi che noi stessi, i loro genitori, abbiamo inventato e prodotto.

In sé questa constatazione non è né nuova né particolarmente significativa, dal momento che da sempre i figli beneficiano delle innovazioni prodotte dai padri. Semmai c’è da domandarsi se non siamo proprio noi, i padri odierni, a essere confusi dalla vertiginosa rapidità delle innovazioni, visto che confusioni del genere facilmente si ripercuotono sui più giovani.

Ugualmente, quanta dall’ansia dei piccini davanti a computer e videogiochi è indotta dal fatto stesso di essere abbandonati lì da genitori stremati o distratti, che li parcheggiano davanti allo schermo per sbarazzarsene o almeno per rifiatare? Dovremmo chiederci, quindi, quanto tempo passiamo accanto a loro, anche mentre giocano, per aiutarli a scoprire il mondo. Se non lo facciamo, forse il problema è lì, nello stile di vita che ce lo rende impossibile. Forse è da qui che dovrebbe partire la riforma del nostro mondo.

Pubblicato il 24 gennaio 2011 - Commenti (2)

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Family Game

Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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