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Genitori, figli, schermi

Qualche giorno fa sono stato a Torino, dove ho partecipato a un convegno su “Violenza e nuove tecnologie: quale influenza sullo stile di vita dei giovani?”. Si trattava della conferenza finale di Safe Social Media – Stop violence on Social Media, un progetto internazionale per sensibilizzare all’uso sicuro dei social media rivolto a ragazzi, genitori e insegnanti, che prevedeva una ricerca nelle scuole italiane e spagnole.

Il progetto, finanziato dall’Unione Europea, è stato portato avanti dagli italiani di Davide.it insieme a Intermedia e Cece, la confederazione di scuole spagnole che riunisce un gran numero di istituti pubblici e privati.

Moltissime le informazioni utili fornite dalle relazioni. Fra tutte, una che mi ha francamente atterrito: dalla ricerca risulta che ben il 42,2% dei genitori non controlla che cosa i figli facciano davanti allo schermo della tv, quando giocano con i videogame o quando sono connessi all’internet; il 48,3% non fornisce assistenza o consigli per l’uso di queste piattaforme, il 73,3% non gioca mai con i videogiochi con i propri figli.

Dati impressionanti: vogliono dire in pratica che in un caso su due vostro figlio potrebbe trovarsi in una casa dove non c’è alcun controllo su ciò che guardano lui e i suoi amici. Per informazioni più dettagliate, http://it.safesocialmedia.eu/.

Durante la giornata di lavoro – era presente anche un nutrito gruppo di studenti – è stato fatto anche vedere un video impressionante che si trova su YouTube e mostra, purtroppo, di che cosa sono capaci le “provocazioni virtuali” che il cyberbullismo induce sulla rete. Carolina Picchio era una quattordicenne, si è suicidata il 5 gennaio scorso. Ecco il video, fatto da suoi amici e coetanei:

 

Pubblicato il 16 gennaio 2013 - Commenti (0)
24
set

World of Warcraft: entusiasmi ed equilibri

Un personaggio del "nuovo mondo" di Pandaria
Un personaggio del "nuovo mondo" di Pandaria

Il 25 settembre Mists of Pandaria allargherà i confini dell’ormai vastissimo mondo online di World of Warcraft, il gioco pubblicato da Blizzard nel 1994 e da allora evolutosi fino a contare oltre 12 milioni di frequentatori attivi e paganti.

Tra gli appassionati di ogni età e nazione l’attesa è spasmodica. Sono previsti grandi eventi di lancio e, in particolare, un evento europeo sarà visibile sul web connettendosi alle 22,30 a www.youtube.com/warcraft.

Qui un trailer:


Esaurita la fase informativa, aggiungo che ritengo World of Warcraft un vertice di ciò che i videogame hanno saputo creare nel mondo della rete globale. Ne ho già dato conto in articoli precedenti, qui voglio ribadire che si tratta di una esperienza che coinvolge non soltanto con la qualità della grafica e dei personaggi, bensì con una genuina tendenza a favorire la collaborazione fra i giocatori.

Due avvertenze. Anzitutto, il gioco è consigliato dai dodici anni in su. Do per scontato che saranno molti i bambini e i ragazzi che si presenteranno all'"appuntamento", lo sappiano o no i familiari. In secondo luogo, specie per chi ha un’età così giovane, è opportuno che in famiglia – se si decide che la frequentazione è opportuna – si tenga a bada il probabile desiderio di giocare per ore e ore. Poiché le sfide non si esauriscono mai e le zone da esplorare sono pressoché interminabili, questo gioco può anche essere visto come una buona occasione per imparare a mantenere l’equilibrio tra la voglia di giocare e le tante altre cose che un ragazzo può/deve fare lungo la giornate.

C’è da tenere presente anche l’aspetto economico. Giocare a WoW costa 35 euro di abbonamento ogni due mesi, e altrettanto si spende per l’imminente espansione.

Pubblicato il 24 settembre 2012 - Commenti (0)
03
lug

Sicuri in Rete, con mamma e papà

Nelle impostazioni dell'iPad (e di altri tablet) c'è una pagina dedicata alle restrizioni da abilitare
Nelle impostazioni dell'iPad (e di altri tablet) c'è una pagina dedicata alle restrizioni da abilitare

Ancora sul tempo che passiamo davanti ai mille terminali della rete digitale. Il punto è che, trattandosi di una rete, sottrarsene è impossibile: più ci muoviamo e più ci ritroviamo imbozzolati.

Ciò che possiamo fare è tenere ben distinti i fini dai mezzi. Uso la rete – e le macchine che mi servono per connettermi – quando voglio comunicare, o giocare, o informarmi, eccetera. Il movente è mio, io sono o dovrei essere il “signore della rete” e non il suo schiavo. Ho anche altre persone che voglio vedere, altre cose che voglio (debbo) fare.

Esiste un componente aggiuntivo per inserire il parental control nel browser Mozilla Firefox
Esiste un componente aggiuntivo per inserire il parental control nel browser Mozilla Firefox

Nella pratica, già per un adulto è impegnativo agire così. Figurarsi per un adolescente o per un bambino. Tanto più, dunque, questo è un passaggio vitale nel processo educativo.

A proposito di videogiochi e di web, praticamente tutti i terminali da cui accedervi sono dotati di “parental control”, vale a dire di strumenti concepiti in modo che i genitori o chi per loro possano decidere a quali attività e per quanto tempo ciascuno dei bambini o ragazzi abbiano accesso quotidiano o settimanale, o quali applicazioni possano acquistare o scaricare.

Ritengo che stabilire insieme questi limiti, e poi rispettarli, sia un fatto molto positivo. Meno lo è imporli unilateralmente senza alcuna conversazione. Ci sono genitori che impostano questo tipo di barriere sulla fiducia, senza accompagnarle con il “parental control”, ma in parecchi casi l’aiuto della tecnologia può essere impiegato consensualmente per sostenere volontà ovviamente deboli davanti alla voglia di passare tempo davanti agli schermi.

Ognuno veda qual è la strada più opportuna. L’unico errore da evitare, a mio parere, è quello di non porsi il problema e di lasciare alla “libera scelta” dei figli l’opzione su quando e quanto giocare.

Pubblicato il 03 luglio 2012 - Commenti (0)
28
nov

Papà, perché non giochi con me?

In questa e nelle immagini successive, famiglie in campo (...o "sul tavolo"?) nella Settimana del gioco da tavolo
In questa e nelle immagini successive, famiglie in campo (...o "sul tavolo"?) nella Settimana del gioco da tavolo

La Settimana del gioco da tavolo si è appena conclusa ma mi è arrivata sul tavolo l’interessante ricerca condotta dalla Bottega dell’educare della Onlus Pepita (cooperativa sociale che si occupa di progetti educativi in tutta Italia), su un campione di 500 ragazzi di cui 250 al nord e 250 al sud, di età compresa tra i 6 e i 13 anni.

Argomento: come si gioca in famiglia.

Facendo un confronto con il resto d’Europa si apprende che i genitori italiani sono quelli che trascorrono il minor tempo insieme ai propri figli: in media quindici minuti al giorno. Addirittura, il 16% dei bambini del Nord lamenta il fatto che i genitori non giocano mai insieme a loro. In altri Paesi europei i genitori si mostrano più attenti: in Norvegia, per esempio, giocano con i figli circa 30 minuti al giorno, in Spagna 35.

Al Nord il 26,4% dei genitori dedica meno di un’ora al giorno al gioco con i figli. Il 9,2%  dedica più di due ore, mentre il 16% non gioca mai con i figli e il 48,4% risponde che lo fa “appena può”. Quest’ultimo dato potrebbe però riferirsi a un genitore che dedica solo 5 minuti sparsi all’interno di una giornata. Quindi va valutato con attenzione, soprattutto perché il tempo da dedicare al gioco è uno spazio che ha bisogno di essere strutturato, organizzato, atteso. Senza una pianificazione, un appuntamento condiviso, il bambino potrebbe non cogliere il piacere e il desiderio che il proprio genitore ha di giocare e di passare del tempo con lui.

La situazione al Sud non sembra essere diversa: 40,4% dei genitori dedica meno di un’ora al giorno al gioco con i figli, il 26,4% più di due ore, mentre il 33,2% lo fa “appena può”. Unico dato che segna una netta differenza è quello riguardante la riposta “mai”. Nessuno dei ragazzi intervistati ha dichiarato che i propri genitori non passano mai del tempo a giocare con loro, diversamente da quanto invece affermato dai ragazzi del Nord (16%).

Tornando ai giochi in scatola, ciò che emerge dall’indagine è che sono più conosciuti al Nord che al Sud. Quelli più apprezzati sono Monopoly, Cluedo e Indovina Chi, addirittura più popolari del Gioco dell’Oca, degli Scacchi e del vecchio labirinto. La cultura del gioco di società tuttavia sembra essere decisamente più diffusa al Nord.

Ognuno tragga le proprie conclusioni. Per conto mio non credo che si possa stabilire un’equivalenza tra “passare tempo insieme” e “giocare insieme” tra genitori e figli. D’altra parte giocare insieme può in vari casi essere una risposta adeguata al bisogno di vicinanza familiare.

Pubblicato il 28 novembre 2011 - Commenti (0)
11
ott

I giochi da tavolo fanno famiglia

L'unico eterno e universale gioco da tavolo anche da noi: il Monopoli
L'unico eterno e universale gioco da tavolo anche da noi: il Monopoli

Mi ha sempre colpito l’incapacità di giocare insieme che abbiamo noi italiani. Incapacità accertata dalle cifre: in quasi tutte le altre nazioni europee i giochi in scatola o da tavolo sono non soltanto diffusi ma fanno parte delle abitudini familiari. Ogni famiglia prevede, nel proprio tempo abituale, una “zona giochi” da frequentare insieme, in alternativa a cinema, tv e pizza fuori.

Da noi, invece, i giochi languiscono entro un’area limitata: Natale e Capodanno, qualche sparuta apparizione d’estate. E sono sempre gli stessi: Monopoli, Scarabeo, Risiko e poco altro. Pensate che in Paesi come la Germania se un libro diventa best seller si può star sicuri che uscirà un gioco da tavolo ispirato a quella trama. È proprio un altro mondo.

Sono anche convintissimo – e su questo tema mi piacerebbe sentire il parere di chi frequenta questo blog – che tutte le attività che aiutano a stare insieme attivamente, in famiglia, sono in sé positive. Se una “colpa” vera ha la tv, è quella di farci stare zitti, proprio in quei pochi momenti in cui potremmo conversare perché siamo uno accanto all’altro.

Il tabellone del Cluedo. Di molti giochi da tavolo esiste una versione digitale su pc o console
Il tabellone del Cluedo. Di molti giochi da tavolo esiste una versione digitale su pc o console

Hasbro, che è tra i massimi produttori di giochi da tavolo, ha lanciato un’iniziativa che non è solo pubblicitaria: la “Settimana del gioco in scatola”, che si svolgerà in tutt’Italia dal 12 al 20 novembre (hanno aderito 100 città). Coinvolti scuole, locali, oratori, università. Giornata inaugurale a Milano, il 12 novembre, nel Mediolanum Forum di Assago, con sfide a premi formato famiglia.  Il sito www.staserasigioca.it darà notizie più precise.

Magari qualche famiglia si accorgerà che giocare assieme piace a grandi e piccini, e fa bene.

Pubblicato il 11 ottobre 2011 - Commenti (0)
11
mag

Basta con la fandonia degli immigrati digitali

I celeberrimi personaggi di PacMan, la bocca vorace che mangia palline. Sotto, il filmato presenta Monkey Island 2, episodio di un’avventura prodotta da George Lucas.
I celeberrimi personaggi di PacMan, la bocca vorace che mangia palline. Sotto, il filmato presenta Monkey Island 2, episodio di un’avventura prodotta da George Lucas.

Va di moda dividere il mondo contemporaneo in due schiere: i “nativi digitali”, nati dagli anni Novanta in qua, e gli “immigrati digitali”, ovvero gli adulti nati prima. Il senso della divisione – coniata dall’americano Marc Prensky nel 2001 e da allora divenuta un luogo comune – sta nell’attribuire agli “immigrati digitali” una insostenibile fatica a padroneggiare tecnologie e linguaggi in cui i “nativi”, invece, si muovono come a casa loro. Di qui un ineluttabile abisso, un “divario digitale” tra generazioni che non si capiscono più.

Adottare alla lettera questa distinzione è ingenuo e soprattutto inesatto proprio per quel che riguarda gli “immigrati digitali”. Tanto per cominciare, praticamente tutte le innovazioni dell’era digitale si devono proprio a loro, agli adulti che quest’era l’hanno inaugurata e la fanno crescere. In secondo luogo, proprio il terreno dei videogiochi, di cui qui ci occupiamo, sbaraglia qualsiasi rigida barriera visto che, anche in Italia, questo mondo esiste e prospera almeno dagli anni Settanta: i papà dei “nativi digitali” sono quei bambini e ragazzi che da Pong (1972) a Space Invaders (1978), da PacMac (1980) a Monkey Island (1990) e a Wolfenstein 3d (1992), hanno fatto propria la cultura dell’interattività mentre l’internet e il web erano ancora di là da venire. Questo video fa vedere come, compatibilmente con le qualità video e audio dei pc di allora, alcune “storie digitali” fossero incantevoli già all’inizio degli anni Novanta:



Non per niente gli ex bambini degli anni Ottanta sono tuttora acquirenti abituali di videogiochi (l’età media di chi li usa in Italia s’aggira sui 30 anni) e, certamente, sono  loro che hanno introdotto i propri figli a questo mondo. Anche per questo una famiglia su due, oggi, ha in casa almeno una console.

Quindi, papà e mamme, non accettate di sentirvi escludere da un mondo che è legittimamente vostro. Quella di essere “immigrati digitali”, se deve equivalere a sentirsi incapaci (o, peggio, giustificati) rispetto al capire che cosa fanno i figli davanti agli schermi, è una panzana bella e buona.

Detto questo, i “nativi digitali” esistono ed è un discorso molto serio, di cui riparleremo. Seriamente.

Pubblicato il 11 maggio 2011 - Commenti (1)

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Family Game

Giuseppe Romano

Giuseppe Romano insegna Lettura e creazione di testi interattivi all'Università Cattolica di Milano e collabora con quotidiani e riviste su temi riguardanti l’era digitale, la comunicazione interattiva, i videogame, i fenomeni di massa.

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